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Full text of "L'Adone; poema"

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IL  MARINO 


OPERE  SCELTE 


DALLA  STAMPERIA  DI  ORAPELET 

RUC  DE  VACOtllAKD,  9 


L ADONE 

POEMA 

BEL  GAVillII  GltlBlTTISTi  lAIINO 


ARCUaaitTt  SI  FORTCIII 


LA   STRAGE   DEGL' INNOCEÌSTI. 

ED  UNA  SCELTA  DI  POESIE  URICHE 

MUOVA  B&mONE  COMPUTA 
CON  LN  D18C01ÌS0  PRELIMINAHE 

ensippi  zisuiiii 


PARIGI 


3,  00*1  KALAODAIB,  rais  LX  TONT  IfS  t: 

1849 

/  "     ■  '■•■ 


DI 


GIAMBATTISTA  MARINO 


E  DEL  SUO  STII£ 


Varie  sono  le  vicende,  alle  quali  siccome  le  arLi  hanno  a  servire 
le  lettere,  la  bellezza  delle  quali  non  così  tiene  presi  gli  occhi  e  le 
menti  degli  uomini  che  non  ai  lascino  tirare  da  ombre  che  ban  faecia 
di  vero,  e  non  si  stanchino  de'  cibi  i  più  succosi  e  i  più  squisiti,  per 
pascersi  di  grossi  e  privi  d'ogni  virtù  nutritiva.  A  nissuno  è  ignoto 
che  dopo  Cicerone  e  Virgilio,  fiumi  d'eloquenza,  vennero  Seneca  e 
Lucano,  impuri  torrenti ,  dopo  Dante  e  Petrarca ,  i  secentisti  ;  dopo 
Alfieri  e  Byron,  dai  quali  vorrà  questo  secolo  nomioaffsi,  un'in*' 
finita  schiera  di  versificatori  vuoti  di  sapienza  e  d' afTelto.  Questi 
esempi  ci  paiono  utilissimi  alla  storia  del  Buono  e  del  Bello,  e  però 
non  sarà  vano  il  parlare  d'  un  Poeta,  fattosi  per  abbondanza  dHoge- 
gno  capo  di  corruzione,, e  della  quale,  per  istrana  vicenda,  abbiam 
pur  ora  vive  l'immagini. 

GuMBÀTTiSTÀ  MiaiNo  nacque  a  Napoli  nel  1569  di  padre  giurecon« 
sulto.  Veduto  il  figliuolo  nemico  a  quegli  studj  tanto  cari  e  pei  quali 
aspettava  in  lui  un  erede  di  quel  po'  di  gloria  venutagli  dalla  giu- 
risprudenza, sdegnato  di  saperlo  volto  all' arte  povera  del  poeta, 
caccìollo  di  casa,  e  gli  fd  avaro  di  pane.  Al  duca  di  Bovino 
ed  al  principe  di  Conca,  grande  ammiraglio  del  regno  di  Napoli, 
venne  fatto  di  leggere  alcuni  versi  del  giovane,  e  scorgendolo  di  fe- 
condissima vena,  furongli  generosi  di  conforto  ed  akito.  Chiaro  era 
r  ammiraglio  per  l'amor  suo  a'  letterati  di  che  glorktvasi,  e  però  le 
amicizie  de'  migliori  ingegni  non  mancarono  al  Makino,  e  così 
crebbeiindui.dotirìiia  ed  «more  alla  poesia  per  la  quale  aveva  Hvuto 
a  vile  le  discipliiie  cibili  e  canoniche.  Né  picciolo  vanto  fu  a  lui  di 


II  01  GIAMBATTISTA  MARINO 

vedere  ed  ammirar  vivo  Torquato  Taaao  che  nella  dolce  aria  na- 
tiva riatoravam  allora  dalle  molte  ingiarie  di  Fortuna.  Forse  più 
che  non  dovesse  fu  il  Hiaiiio  vago  d' amori,  anzi  disse  alla  sua 
maniera  : 

Quelle  catene  In  eh*  lo  son  preso  e  vinto 
Insieme  colle  Cuce  mi  legaro. 

E  tanto  se  ne  compiacque  da  farsi  istrumento  alla  pericolosa  tresca 
d*  un  amico,  ma  squarciato  quel  velo  e  condotti  tutti  e  due  prigioni, 
non  potè  uscire  che  morto  improvvisamente  il  compagno.  Né  la 
bellezza  di  Napoli  potè  vincere  in  lui  il  dolore  della  sciagura,  a] 
quale  sperò  un  refrigerio  partendosi  precipitoso.  Pietro  Aldobran- 
dino, cardinale,  avutolo  a  sé  in  Roma,  il  condusse  a  Ravenna  e 
poi  a  Torino.  I  versi  del  giovane  non  eranvi  ignoti  e  il  duca 
Carlo  Emmanuele,  letto  il  panegirico  che  di  lui  avea  fatto  il  Poeta , 
cbbelo  a  segretario  e  lo  decorò  della  croce  di  San  Maurizio.  Gasparo 
Murtola,  poeta  e  familiare  pur  egli  a  quel  principe,  invidioso  delle 
grazie  onde  il  padrone  era  così  largo  al  forestiero,  s*  argomentò  vin- 
cere il  rivale  svillaneggiandolo.  11  Maiino  allora  non  potè  tenersi  di 
farsi  beffe  in  un  sonetto  di  quel  poema  del  Mondo  creato,  onde  il 
Murtola  menava  tanto  rumore.  Rispose  questi  con  una  satira  intito- 
lata :  Compendio  della  vita  del  cavalier  Marino.  Né  finì  qui  il  furore 
letterato,  che  il  primo  scrisse  la  Marineide ,  Risate  del  Murtola,  e 
l'altro  la  Murtoleide,  Fischiate  del  Marino.  Questa  non  fu  solo  guerra 
d'inchiostro,  perchè  il  Murtola  troppo  vedutosi  inferiore  a  quella 
lotta,  perdutone  il  senno  daddovero,  appostato  un  dì  il  Marino,  la 
rabbia  fece  errar  la  mano,  che  in  quella  vece  ferì  d'archibugiata 
un  compagno  al  Poeta  e  amico  al  duca.  Parlò  il  Masino  di  quella 
vendetta,  e  l'antitesi  campeggia  nella  descrizione  di  quel  colpo 
che  pur  non  era  una  baia: 

Girò  1*  infllusta  chiare,  e  e  sue  strane 
Volgendo  intorno  e  spaventose  rote. 
Abbassar  fé*  la  testa  al  fero  cane 
Cbe  in  bocca  tien  la  formidabil  cote. 
Sicché  toccò  le  macchine  inumane 
Onde  avvampa  il  balen  che  altrui  perente, 
E  con  fragore  orribile  e  rimbombo 
Avventò  contro  me  globi  Ai  piombo* 

E  qui  viene  a  rallegrarci  una  virtù  dèi  Marino.  Fatto  prigione 
r  uccisore  del  cortigiano,  avrebbe  della  testa  pagato  il  fio  di  quella 


E  BEL  SUO  STILE.  II 

matta  vendetta,  se  il  Poeta  non  avesse  avuto  il  chiesto  perdono. 
Queste  furono  le  grazie  rendutegli  dal  Murtola,  che  partito  per 
Roma,  trovato  il  poemetto  della  Cuccagna,  scritto  dal  Marino  in 
gioventù,  e  venutegli  scoperte  alcune  ottave  in  cui  poteasi  far  per- 
suaso il  duca,  che  in  esse  il  Poeta  avesse  voluto  farlo  segno  ad  in- 
giuria, mandolle  a  Torino,  e  godè  di  saper  prigione  Y  emulo  gene- 
roso. Corta  fu  la  difesa,  né  lunga  la  prigionia  del  Marino.  Invitato 
dalla  regina  Margherita,  rìfuggiossi  in  Francia,  paratagli  più  sicuro 
porto. 

Maria  de* Medici  non  gli  fu  meno  cortese  della  morta  regina;  che 
anzi  l'apoteosi  fattane  nel  poemetto  il  Tempio,  fece  montare  la 
pensione  del  Poeta  a  dieci  mila  franchi  incirca.  Il  re  e  la  eorte 
furono  larghi  di  grazie  al  Marino.  Compito  il  Poema  deHM- 
dùHC  ogni  copia  manoscritta  di  questo,  dicesi,  fosse  venduta  cin- 
quanta scudi  d^oro.  Stampato  in  Parigi  nel  1623,  le  lodi  toccaronle 
stelle.  «^  Questi  amici  che  lo  hanno  sentito,  scriveva  egli,  ne  vanno 
pazzi.  » 

Né  del  Poema  deirildoneavvisiam  noi  dover  tacere  senza  biasimo, 
e  perchè  è  la  prova  di  quel  che  potesse  l'ingegno  del  Marino  e  per- 
diè  fu  delizia  d'un  secolo.  E  non  è  forse  senza  pericolo  il  parlarne  ; 
se  si  pensi,  aver  egli  in  quello,  siccome  in  molte  sue  liriche,  fatta 
stramento  d'infido  diletto  quella  Poesia  il  cui  u£Bcio  è  dilettare 
giovando,  ed  il  vero,  assai  volte  amaro,  render  soave.  Noi  afier- 
miamo  però  che  la  vaghezza  e  la  novità  delle  descrizioni  d'ogni 
genere  e  la  fecondità ,  più  presto  inaudita  che  rara,  onde  i  versi 
paiono  nati  fatti,  e  che  non  viene  mai  meno  per  ben  venti  lunghi 
Canti,  induce  anche  adesso  maraviglia.  Ma  di  questa  fecondità 
grave  è  la  noia ,  perchè  oltre  le  bizzarrie ,  arguzie  e  bisticci ,  ha 
tale  con  lei  una  schiera  di  metafore  e  di  similitudini ,  da  parere 
assai  volte  un  vocabolario  di  figure  reltoriche.  Chi  avesse  la-: 
lento  di  vederne  un  saggio,  getti  gli  occhi  in  sulle  prime  ottave  del 
Canto  IV,  ov'è  parlato  della  virtù  che  più  è  oppressa,  più  in  alto  si 
leva,  e  in  quelle  del  Canto  XII,  ove  gridasi  contro  la  gelosia.  Ma 
chi  leggerà  il  canto  X  le  Maraviglie,  e  nel  quale  Mercurio  dimostra 
a  Venere  salita  in  cielo  con  Adone,  tutto  che  contiene  il  inondo 
nostro,  vedrà  quanto  fosse  l'altezza  e  la  dottrina  del  Marino,  che 
in  questo  Canto  non  si  lasciò  governare  da  quelllt  prepotente  fan- 
tasia che  troppo  spesso  trasportollo  in  altri  a  voli  infelici.  Del  quale 
errore  più  presto  che  il  Poeta  debbono  accagionarsi  le  smisurato 
lodi  che  di  lui  risuonarono  in  Italia  ed  in  Francia.  «  Or  quanto ,  dice  il 
Crescimbeni  nella  sua  Storia  della  volgar  Poesia,  fosse  applaudita  e 


W  DI  GIAMBATTISTA  MARINO 

stimaUt  una  si  smoderala  lioenza  non  sarebbe  agevol  cosa  riferire  e 
dare  altrui  a  comprendere,  se  la  vicinanza  del  tempo  non  ne  avesse 
iiasporlato  intero  il  grido  anche  alle  nostre  orecchie  e  fattici  udire 
Applausi  di  quella  sorta  che  né  Dante»  né  Petrarca,  né  il  Tasso  in  lor 
vita,  e  per  avventura  ninno  degli  antichi  Greci  e  Latini  ebbe  fortuna 
.vivendo  di  goadagnarai.  « 

Claudio  Achillini  che  Luigi  X1YI  premiò  fli  oltre  cinquemila 
franchi  per  una  Canzone,  scriveva  di  Bologna  ai  Maaino  :  «  Nella 
più  pura  parte  dell* anima  mia  sta  viva  questa  opinione,  che  voi 
siate  il  maggior  Poeta  di  quanti  ne  nascessero  o  tra*  Toscani,  o 
tra*  Latini,  o  tra*  Greci,  o  tra  gli  Egizi,  o  tra  gli  Arabi,  o  tra'  Caldei, 
o  tra  gli  Ebrei...  Insomma  Tapi  di  Pindo  non  sanno  stillar  favi  più 
dolci  di  quelli  che  fabbricano  nella  vostra  bocca  e  la  fama  poetica 
non  sa  volar  con  altre  penne  che  con  la  vostra.  L' invidia  poi  de' 
vostri  detrattori  non  sente  i  suoi  funerali  più  risoluti  che  nelle  mie 
parole.  »  Né  il  Marino  ebbe  solamente  maravigUose  lodi  da  povcTÌ 
ingegni,  e  ne  piace  rapportar  quello  che  il  cardinale  Bentivoglio 
scrivevagli  a  Parigi,  perchè  T esempio  d'un  ottimo  faccia  meno 
strano  Terror  de'  mediocri  : 

«  Se  non  ho  potuto  goder  la  vostra  conversazione,  ho  goduto  al- 
m^o  quella  de'  vostri  versi  nell'armonia  della  vostra  dolce^amp»- 
gna.  Per  istrada  questo  è  stato  il  mio  gusto,  ed  ora  che  sto  fermo 
qoesla  è  la  maggior  ricreazione  eh'  io  abbia.  Oh  che  vena  !  oh  ehe 
purità!  oh  che  pellegrini  concetti  !  Ma  di  tant' altri  vostri  corafioni- 
menti,  che  sono  di  già  o  finiti  o  in  termine  di  finirsi,  cherisoèQ- 
zione  piglierete  ?  Gran  torto  in  vero  fareste  alla  gloria  di  voi  mede* 
siou>,  alla  liberalità  d'un  re  cosi  grande ,  alla  Pruicia  ed  all'IUlia , 
eospiranti  in  un  voto  stesso ,  o  più  tosto  emule  nella  participazHMiB 
de'  vostri  applausi,  se  ne  differtsie  più  lungamente  hi  stampa.  So- 
prattutto ricordatevi,  il  mio  caro  Cavaliere,  di  grazia,  come  tante  voka 
jr^bo  detto,  di  purgar  Y Adone  dalle  liucivie  in  maniera,  ch'egli^noo 
abbia  da  temere  la  sfeBa  delle  nostre  censure  d' Italia ,  e  da  morir 
più  infeiioementeal  fine  la  seconda  volta  con  queste  ferite,  che  non 
fiMe.la  prioMi  con  quelle  altre  che  fovolosamentedavoissMinno 
flautate.  (Confido  però  che  non  vorrete  essere  onisida  voi  slesso  fle' 
^rostri  parti. Fralaoto  goderemo  ilsuono- di  questa  soave  fiamjMfiia; 
in  frontoi  della iioale,  perohè  avete  voluto  voi  porre  qnella  fam|$aile^ 
Inra,  o  più:tfl0tD'apologia,!airAchillinied  al  Pr0ti?Trop{io  aveteal»- 
Insaatala  vostra  viriùieiroppo  ottonato  il  livorc'de'-voatrir malomlL 
All'insidia  il  mag^ore  castigo  è  il  disprezso,  e  mai'SStflSaBeriitfari 
il  flielo.  Chi  è.giuntOiaUa^QStra  emÌBenm,'Don  deve*fiP caso  «temo 


E  DEL  SUO  STILE.  V 

di  quattro  o  sei  ombre  vane,  cbe  non  concorrono  a^  commii  ap- 
plausi di  tutto  il  teatro.  » 

AmegliocoDoscere  il  Marihio  e  le  intenzioni  del  suo  stile,  assai  più 
delle  nostre  parole  e  di  quelle  d'altrui,  giovano  le  sue.  Però  pare 
a  noi  non  inutile  opera  il  porre  innanzi  al  Lettore  la  lettera  so- 
praddetta dove  si  vedrà  come  il  concerto  di  lodi  che  gli  risuo- 
navan  d'intorno,  avesse  tanta  forza  nel  Poeta  da  impedire  la  mo- 
destia : 

//  Cavalier  Marino  a  Claudio  Achillini, 

«  In  un  medesimo  punto  e  per  una  medesima  mano  ho  ricevute 
insieme  due  lettere  a  me  carissime,  l'una  vostra,  l'altra  del  signor 
Preti  ;  care  dico ,  perchè  mi  vengono  da  due  de'  più  cari  amici , 
ch'io  mi  abbia  al  mondo;  e  care  anche,  perchè  caramente  mi  lo- 
dano e  mi  lusingano.  Risponderò  a  voi,  ma  parlerò  con  Tutio  e  con 
l'altro,  perchè  voglio,  che  siccome  ad  amendue  è  comune  una 
istessa  patria  ed  una  istessa  affezione,  cosi  sia  ancora  ad  amendue 
comune  una  mia  sola  risposta.  Ma  piano  di  grazia ,  piano  con 
tanti  encomi,  che  se  l'Invidia  vi  sente,  voi  le  farete  scoppiare  il 
fiele.  So  che  siete  troppo  teneri  delP  onor  mio,  e  che  soverchio 
amore  vi  fa  smoderare.  Lasciarsi  però  tanto  trasportar  dall'affetto, 
cbe  si  trabocchi  in  iperboli,  lodandomi  in  guisa,  ch'io  conosca  la 
loda  trapassar  di  gran  lunga  la  capacità  de'  meriti  miei ,  questo  mi 
tà  doppiamente  vergognar  di  me  stesso.  Forse  il  fate  per  dimostrar 
l'altezza  del  vostro  spirito,  il  qual  siccome  in  tutte  Taltre  operazioni 
tenta  sempre  l'eminenza  e  cerca  la  sovranità,  cosi  ancora  lodando, 
BOB  contento  delle  lodi  oi*dinarie ,  trascende  i  gradi  mezzani  e  si 
diffonde  negli  eccessi.  Certo  io  debbo  prenderle  senza  alenn  se** 
spetto  d'adulazione,  sì  perchè  da  animi  cosi  candidi,  come  sono  i 
vostri ,  eziandio  quando  si  lasciano  cadere  in  passione  di  parzialità, 
non  si  può  sperare  altro,  che  giudicio  sincero ,  si  perchè  essendo  la 
loda  frutto  della  virtù,  non  deve  stare  in  su  i  termini  della  trtviaKtà. 
km  (se  mi  è  lecito  dirne  con  libertà  la  mia  opinione  )  io  per  me 
aliiBo  migliori  e  più  tollerabili  le  detrazioni  gravi ,  che  le  lodi  me* 
dÉxsri»  Colui  cbe  biasima,  quatto  il  fa  con  maggior  veemenza, 
tuito  meno  è  creduto,  perciocché  quanto  i  biasimi  sono  più  acerbi, 
più  il  fanno  conoscere  per  nemico  del  biasimato.  Sia  colui  eheloda 
freddamente  ed  a  bocca  secca ,  discopre  o  malignità  di  cuore  m 
oecvpare  quelle  qualità  deir amico,  che  non  si  deono  tacere,  o  pe^ 
amia  d'ingegno  in  non  saper  ritrovare  invenzione  da  lodar  con  eSSh 

iày  nò  parte  alcuna  nel  lodato,  che  possa  naeritar  1* altrui  loda. 


VI  DI  GIAMBATTISTA  MARINO 

Per  queste  ragioni  tutte  quante  le  lodi ,  che  dalle  vostre  penne,  o 
dalle  vostre  lingue  mi  sono  attribuite,  si  riflettono  in  voi  stessi,  per- 
chè lodando  si  bene,  date  ad  intendere  a  chi  legge  ed  a  chi  ode, 
che  sapete  eccellentemente  lodare  anche  coloro  che  non  sono 
lodevoli.  Comunque  sia,  s'io  dicessi,  che  l'esser  lodato  non  mi 
piace,  senza  dubbio  mentirei,  che  la  loda  è  una  musica  che  diletta 
a  tutti  ed  un  incanto,  ch'agli  aspidi  istessi  per  ascoltarlo,  farebbe 
cavar  la  coda  dell'orecchio.  Che  sarà  poi ,  quando  la  loda  esce  di 
bocca  di  persone  lodate?  Quella  in  vero  si  può  chiamar  loda  glo- 
riosa, e  l'ambizione  del  gloriarsene  è  ragionevole ,  laddove  al  con- 
trario i  lodatori  indegni  allora  commendano  quando  vituperano ,  ed 
allora  avviliscono  quando  esaltano,  perciocché  ne' lodali  da  cotali 
uomini  si  presume  conformità  di  costumi,  e  negl'  ingiuriati  contra- 
rietà. I  veri  onori  e  le  vere  glorie  si  derivano  da'  par  vostri ,  e 
s' alcun  di  voi  dicesse  mal  di  me,  allora  non  potrei  fare  di  non  af- 
fliggermi, e  restame  mortificato,  perchè  crederei  fermamente,  che  i 
miei  difetti  avessero  sussistenza,  per  essermi  accusati  da  chi  ha  in 
sé  la  dottrina  uguale  alla  integrità.  Voglio  adunque,  che  la  fede,  che 
voi  avete  fatta  del  mio  picciolo  valore,  sia  autenticata  dalle  stampe, 
e  che  a  guisa  d'un  privilegio  immortale  sia  posta  in  su  '1  fronte» 
spizio  dell'  opere  mie,  si  perchè  a  tutto  il  mondo  sia  palese  1'  ono* 
revolezza  che  mi  viene  da  testimoni  si  grandi  ;  sì  per  obbligami  in 
un  medesimo  tempo  a  sostentare,  quando  occorra  il  bisogno,  quel 
che  avete  di  me  una  volta  scritto.  Più  mi  glorio  io ,  che  l' Achillini 
intelletto  mirabile,  la  cui  feconda  miniera  produce  sempre  nuove 
ricchezze  di  concetti  preziosi  ;  e  il  Preti  spirilo  dilicalissimo,  nel  cui 
stile  fioriscono  tutte  le  delizie  e  tutte  le  grazie  delle  Muse ,  mi  ab- 
biano odebrato  nelle  lor  carte,  che  non  mi  turbo  de'  cicalecci  di 
mille  balordi ,  che  mi  vanno  lacerando  la  fama.  Più  mi  pregio,  che 
il  conte  Ridolfo  Campeggi,  una  delle  più  franche  penne,  che  oggidì 
▼olino  per  lo  cielo  italiano ,  nel  suo  Poema  delle  Lagrime  delia  Ver-^ 
gine  abbia  fatta  onorata  menzione  di  me,  che  non  mi  tribulo, 
eh'  alcun  moderno  Archimede,  fabbricatore  di  mondi  nuovi  ne' suoi 
stracciumi  ipdiani ,  abbia  motteggiato  sopra  il  mio  nome  con  vili- 
pendio. Più  mi  piace  di  vedere  nella  Primavera  di  monsig.  Giovanni 
Boterò ,  uomo  consumato  nelle  lettere  ;  e  nell'  Autunno  del  conte 
Lodovico  d'Agliè,  suggello  compiuto  in  tulle  quelle  condizioni,  che 
ai  ricbi^ggono  a  cavaliere  e  a  letterato ,  vivere  registrala  la  mia 
meiRioria,  che  non  mi  attrista  l'avermi  sentilo  trafiggere  con  acute 
punture  dalle  sobiocberalrìci  delle  Scanderbeidi.  Più  mi  giova,  che 
prima  dal  conte  Lodovico  Tesauro ,  tesoro  veramente  non  meno 


E  DEL  SUO  STILE.  VII 

d'inoomparaUl  genlilena ,  che  di  scelta  e  peregrina  erudizione;  e 
poi  dal  Capponi ,  dal  Dolci  »  dal  Forteguerra  e  dal  Valesio ,  cime  e 
fiori  degl'ingegni  elevati,  aia  stata  abbracciata  la  mia  difesa  contro 
r  alimi  opposizioni  con  si  dotte  rispoate,  che  non  mi  nuoce  ressero 
stato  sittdicato  con  oltraggiose  e  mordaci  esamine  dai  fiscali  delia 
Poesia.  Amo  meglio,  che  in  molte  famose  Accademie  d'Italia,  e 
principalmente  in  quella  degli  Umoristi  di  Roma ,  paragone  dove 
s' affina  T  oro  del  vero  sapere ,  si  sieno  più  volte  avute  pubbliche  le- 
zioni sopra  i  miei  componimenti,  privilegio  a  niuno  altro  degli  scrit- 
tori vivi  conceduto,  eccetto  a  me ,  che  se  fnssi  stato  buccinato  per 
divino  dalle  rauche  trombe  d' infiniti  ignoranti.  Non  darei  V  onor 
fattomi  da  Filippo  di  Portes,  dal  marchese  d'Urfè,  da  mona,  il  Sec- 
chi, da  mons.  di  Vaugelà ,  da  monsig.  di  Brussin,  da  altri  nobiiis- 
simi  ingegni ,  che  si  sono  compiaciuti  di  trsdurre  gran  parte  delle 
mie  composizioni  in  francese,  per  quanto  mi  potesse  dar  di  grido  la 
garrula  voce  di  tutta  la  turba  volgare.  Non  vorrei  non  ritrovarmi 
appoggiato  all'autorità  del  P.  Giulio  Mazzarini,  torrente  d'eloquenza 
e  specchio  di  bontà ,  che  neir  ultima  parte  del  suo  Miserere  si  è  ab- 
bassato a  comprovare  molte  sue  proposizioni  con  le  sentenze  de' 
miei  versi ,  per  centomila  vane  acclamazioni ,  che  potessero  fare  in 
mia  loda  le  bocche  di  tutto  il  resto  de'  goffi.  Mi  basta,  eh'  un  cardinal 
di  Perona ,  oracolo  e  miracolo  di  sapienza ,  un  cavalier  Battista 
Guarini ,  un  conte  Pomponio  Torelli ,  un  conte  Guidobaldo  Bona- 
relli,  un  Ascanio  Pignatelli,  un  Gio.  Battista  Attendolo,  un  Ca-  , 
mille  Pellegrino ,  un  Celio  Magno ,  un  Orsatto  Giustiniano ,  un  Ber- 
nardino Baldi,  un  Filippo  Alberti,  un  Scipione  della  Cella,  lumi 
del  secol  nostro  tra'  morti  ;  e  mi  basta,  eh'  un  cardinale  Ubaldini, 
ornamento  delle  porpore  e  splendore  delle  scienze,  un  monsig.  An- 
tonio Csetano ,  un  monsig.  Antonio  Querenghi ,  un  monsig.  Por- 
firio Feliciani ,  un  monsig.  Scipione  Pasquali ,  un  abate  D,  Angelo 
Grillo,  un  Gabriello  Chiabrera,  un  Guido  Casoni,  un  Gio.  Battista 
Strozzi ,  un  Ottavio  Rinuccini ,  un  Giulio  Cesare  Bagnoli ,  un  Pier 
Francesco  Paoli ,  simulacri  delhi  immortalità  tra'  vivi,  parte  con 
vive  voci  in  diverse  corone  di  virtuose  ragunanze ,  e  parte  con  pri- 
vate lettere  scrittemi  di  lor  proprio  pugno ,  abbiano  testifiòito 
quello  istesBo,  che  ora  mi  viene  ratificato  da  voi.  Questi  A ,  che  son 
personaggi ,  i  quali  possono  o  parlando ,  o  scrivendo  recsre  altrui 
onore ,  o  disonore  ;  e  quando  coetoro  mormorassero  di  me ,  avrei 
ben  giusta  cagione  di  rammaricarmi.  Ma  ciò  non  può  essere,  perchè 
i  savi  e  i  buoni  non  sanno  dir  se  non  bene,  siccome  gli  sdoccbi  e  i 
malvagi  mm  possono  dir  se  non  male.  Poco  ho  io  a  temere  sotto  lo 


tm  DI  GMroATnSTA  MARINO 

scudo  di  cuDpknn*  riflaUi'  le  saette  spuntale  degU  av^wncui  mtlk^ 
lUei  ;  e  pooo  debbo  corare  con  la  guardia  di  tal  patroeimo  le  vele-^ 
uose  zanne  de*  cagnacci  arrabbiati.  11  meglio  è  lasciar  quelli  bravttm 
al  Tento  fincliò  si  stanchino ,  e  questi  abbaiare  alla  Iona  tanto  ohe 
crepino.  Che  oa'  importa ,  avendo  io  meco  (oltre  V  universale  api- 
plauso  della  moltitudine)  la  favorevole  protezione  di  chi  più  sa, 
V  essere  maltrattalo  ne*  Poemazzi  pasqoineschi  dagl'  imitadori-  d^ 
Bovo  e  di  Brusiano  !  Lodato  pure  il  Cielo,  che  ataneno  non  hanno 
avute  altre  armi  da  pungermi ,  che  titoli  gloriosi ,  onde  in  veoe  di 
piccarmi,  mi  hanno  più  tosto  onorato.  Ch'io  mi  sia  figliuolo  della 
Sirena,  noi  nego,  anzi  me  ne  vanto  ;  ma  coloro,  che  ciò  mi  rinfac- 
ciano per  obbrobrio,  vengono  tacitamente  a  dichiarare,  eh'  essi  noi 
sono*  La  somiglianza  della  scimia  non  so  come  mi  possa  ben  conve- 
nire, poich'io  non  mi  son  giammai  piegato  a  contraffar  loro,  come 
eglino  hanno  contraffatto  me.  Così  fanno  appunto  alcune  buone  fem- 
flrine,  che  quando  talvolta  vengono  a  garrire  con  donne  oneste , 
prima  che  sieno  ingiuriate  di  puttane ,  le  prevengono  col  proprio 
nome.  Mi  hanno  contraffatto  dico,  imitandomi  non  con  emulazione, 
hmt  oob  islbeciataggine,  non  solo  nel  suggetto  d' alcun  poemetto  fa» 
foioso,  (^àda  me  disteso  in  sonetti,  e  con  ogni  confidenza  comunicato 
Ibro  a  penna  in  Napoli  prima  che  si  stampasse  ;  non  solo  nella 
divisione  delle  rime  liriche  in  capi,  ordine  da  ninno  altro  osservato 
prima  che  da  me,  e  poi  seguito  da  essi  ;  non  solo  nella  forma  de'  pane- 
girici in  sesta  rima,  nella  quale  cou  Y  occasione  del  natale  di  qualche 
principe  hanno  tracciato  il  mio  stile,  ma  ne' concetti  particolari 
de'  lor  canzonieri  ;  e  non  solo  in  quelli  de'  canzonieri ,  ma  in  quelli 
delle  lor  colonbaie  ;  e  non  solo  ne'  concetti,  ma  ne'  versi  ;  e  non  solo 
ne'  versi ,  ma  ne'  nomi  istessi  delle  persone,  che  vi  sono  introdotte, 
ancorché  ad  altri  poeti  non  ben  conosciuti  ne  sieno  stati  parimente 
tolti  parecchi  di  peso.  Ma  non  è  tempo  ora  da  spianar  queste  ciferc. 
8^  per  r  innanzi  sarò  hrritato  d'avantaggio ,  dimostrerò  senza  alcun 
rispetto  più  distintamente  queste  ed  altre  cose,  le  quali  non  piace- 
wnno  pmto  a  chi  prende  ardimento  di  stuzzicarmi.  Farò  veder  le 
haBSezzo  iammerabili,  le  sciapitezze  inenarrabili,  le  durezze  iusop- 
partabili ,  gii  storcimenti  del  buon  parlare ,  le  contradizionì  delle 
sentenze,  i  barbarismi  delle  frasi,  gli  storpj  della  lingua,  le  freddure 
degR  aggiunti,  le  meschinità  delle  rime,  infino  alle  falsità  delle  de- 
ainenze ,  scappate  che  non  si  possono  scusare ,  perdocdiè  non  son 
notate  nel  registro  degli  altri  errori.  Allora  chiaro  vedrossi  chi  sia 
li  bertuccia  del  mAre,  e  chi  il  babbuino  della  terra,  o  io,  che  (la  Dio 
nercè)  son  pur  lodato  da  voi ,  o  altri ,  che  per  voler  fare  un  sritetto 


fi  DEL  SUO  STILB.  IX 

dietro  al  Tasso ,  discoprendo  il  londo  pelato  con  qnanto  di  vergo- 
gnoso s'appiatta  sotto  la  coda,  ha  data  assai  piaoe^fol  materia  al 
fiso  popolare»  Hanno  procurato  di  giustificarsi  meco ,  affisticaodosi 
inutìlmenle  intomo  a  certe  interpretazioni  ridicole  e  puerili;  come 
•e  noi  non  sapessimo  assai  meglio  di  loro,  che  quando  si  vuol  mor- 
dere, si  ricorre  air  equivoco,  e  si  scherza  col  doppio,  acciooebò 
possa  in  ogni  caso  il  poeta  lasciare  il  senso  metaforico,  e  salvarsi 
nella  ritfarata  del  proprio ,  giuocando  come  i  zingari  a  eh'  eli'  è  den- 
tro, e  eh'  eir  è  fuora.  Io  per  me  ne  rimango  quieto,  se  non  soddisfatto, 
e  siccome  non  curo  altra  giustificazione  all' altrui  perfidia,  che  il  gfo* 
dicio  del  mondo,  cosi  non  catx)  altra  vendetta  alla  mia  offesa ,  che 
quella  istessa  che  ne  fa  il  caso ,  o  che  ne  fanno  più  tosto  i  propri 
Ubri  loro,  i  quali  o  non  essendo  letti,  o  essendo  letti  con  irrisione, 
terranno  per  sempre  sepolte  insieme  con  le  glorie  loro  l' ingiurie 
mie.  Altro  ci  vuole  per  illustrarsi,  che  con  discorsi  specolalivi  pre- 
sumere di  far  paralelli  e  riscontri  tra  i  suoi  scartabelli,  e  la  Gerusa-- 
lemme  liberata,  se  poi  alla  prova  le  misure  riescono  corte ,  e  si  fa 
come  il  gallo,  che  canta  bene»  ma  ruspa  male,  romanzando  in  uno 
stilacelo  sì  sciagurato,  che  pare  appreso  dagl'  improvvisanti  di  Pu- 
glia, o  da*  pitocchi  di  Spoleto.  L'importanza  consiste  nell' atto  pra- 
tico, e  non  nelle  parole;  bisogna  sapere  operare  e  porre  ad  effetto 
quel  che  si  predica ,  perchè  molti  conoscono  il  buono ,  ma  pochi 
l'attingono  ;  e  chi  non  è  nato  a  questo ,  rivolgasi  ad  altri  studj,  che 
il  mondo  può  ben  passarsela  senza  un  poeta.  Vaglia  però  a  dire  il 
vero,  egli  non  si  può  negare,  che  costoro,  de'  quali  io  parlo,  sebben 
mancano  nella  felicità  dello  stil  poetico  (ch'alia  fine  è  dono  più  di 
natura,  che  d'arte)  sono  per  altro  nondimeno  dotati  di  buona  cogni- 
zione di  belle  lettere  e  di  finezza  di  giudicio  ;  e  se  questo  talora 
s'inganna,  se  ne  può  recar  la  colpa  all'  affezione  delle  cose  proprie. 
11  peggio  è,  che  vi  ha  certi  giovanotti ,  i  quali  appena  spoppali  dal 
latte  de'  primi  elementi ,  vorrebbono  subito  esser  maestri  ;  e  per 
aver  dato  fuora  un  quinternuzzo  di  soncttini  e  di  madrigaletti,  quasi 
tutti  scroccati  dalle  mie  cose,  mi  fanno  il  concorrente  addosso;  e 
perciocché  sono  stati  loro  rimproverati  i  furti,  si  sono  ingegnati  di 
levargli  via  ristampando  il  libretto  in  altra  forma  ;  ma  hanno  con 
tutto  ciò  saltato  meno  in  camìcia,  che  in  farsetto.  Oltre  che  nelle  lor 
pistolesse  a'  lettori  (dove  non  ha  però  straccio  di  grammatica)  vanno 
ombreggiando  la  mia  persona ,  e  tra'  denti  cinguettando  del  fatto 
mio.  Mostrano  sdegno  e  rimordimento,  si  lamentano  ed  arrabbiano, 
che  nel  proemio  fatto  dal  Claretti  nell'  ultima  parte  della  mia  Lira  si 
fusse  pariate  troppo  albi  libera  intorno  a  certe  Arpiette  dall'  ugne 


X  DI  GIAttlATTlSTA  MARINO 

uncinate,  che  vanno  rapinando  i  concetti  altrui.  Quando  si  riprende 
un  vizio  in  generale  »  ed  altri  appropria  a  aè  stesso  solo  quel  che  si 
può  intendere  di  molli ,  è  segno  oh*  egli  non  ha  la  coscienza  ben 
netta.  Aggiungasi  di  più,  che  per  discolpar  sé  stessi  e  difendersi  dalle 
imputazioni  apposte  loro,  si  sforzano  di  discreditar  me,  rovesciando 
in  me  il  medesimo  fallo.  Se  confessassero  con  modestia  di  rìcono-* 
scere  il  bene  da  chi  *1  ricevono,  e'  si  potrebbe  pure  fame  passaggio  ; 
ma  il  volere  abbellirsi  del  mio,  e  di  più  nascondendo  la  fraude,  cer- 
care ingratamente  d' inUtccar  la  mia  riputazione,  questo  mi  fa  rom- 
pere ogni  freno  di  sofferenza.  Perchè  par  loro  strano,  eh'  io  abbia 
tanta  varietà  di  cose  composta,  né  sanno  comprendere  da  qual 
fontana  scaturisca  una  si  larga  vena,  dicono,  che  ho  tolte  anch'io 
delle  poesie  dal  latino  e  dallo  spagnuolo.  Permettetemi  (vi  priego) 
eh'  io  con  una  breve  digressionetta  mi  vada  alquanto  dilatando 
intorno  a  questo  punto.  L' incontrarsi  con  altri  scrittori  può  ad- 
divenire in  due  modi ,  o  per  caso ,  o  per  arte.  A  caso  non  solo 
è  impossibile,  ma  è  facile  essermi  accaduto ,  e  non  pur  oon  Latini, 
o  Spagnuoli,  ma  eziandio  d'altre  lingue,  perciocché  chi  scrive 
molto  non  può  far  di  non  servirsi  d' alcuni  luoghi  topici  comuni, 
che  possono  di  leggieri  essere  stati  investigali  da  altri.  Le  cose 
belle  son  poche,  e  tutti  gV  intellelti  acuii  quando  entrano  nelhi 
specolazione  d*  un  suggello,  corrono  dietro  alla  traccia  del  me- 
glio, onde  non  è  maraviglia,  se  talora  s'abbattono  nel  medesimo; 
né  mi  par  poco  iu  questo  secolo ,  dove  si  ritrova  occupata  la 
maggior  parte  delle  bellezze  principali,  quando  Ira  molle  cose  ordi- 
narie si  reca  in  mezzo  qualche  dilicatura  gemile.  Ad  arte  e  a  bello 
studio  si  può  fare  altresì  per  uno  di  questi  tre  capi ,  o  a  fine  di  tra- 
durre, o  a  fine  d'imitare,  o  a  fine  di  rubare.  11  tradurre  (quando 
però  non  sia  secondo  V  usanza  pedantesca)  merita  anzi  loda,  che  ri- 
prensione; né  vi  mancano  esempi  di  moltissimi  uomini  egregi,  i 
quali  comeché  per  sé  stessi  fussero  fertilissimi  rilrovatori,  non 
hanno  con  tutto  ciò  lasciato  anch' essi  d*  esercilarvisi.  Tradurre  in- 
tendo, non  già  vulgarizzare  da  parola  a  parola,  ma  con  modo  pa- 
rafrastico mutando  le  circostanze  della  ipolesi,  ed  alterando  gli 
accidenti  senza  guastar  la  sostanza  del  sentimento  originale.  Ho  tra- 
dotto senza  dubbio  anch'  io  talora  per  proprio  passatempo  e  talora 
per  compiacerne  altrui  ;  ma  le  mie  traduzioni  sono  stale  solo  dal 
latino,  o  pur  dal  greco  passalo  nella  latinità,  e  non  da  altro  idioma, 
e  sempre  con  le  mentovate  condizioni  ;  sebbene  ancor  questo  sov- 
viemmi  aver  fallo  pochissime  volte,  e  queste  poche  le  riduco  sola- 
meute  a  due  canzoncine  trasportate  da  due  elegie  d'Ovidio,  e  slam- 


E  DEL  SUO  STILE.  XI 

paté  nella  terza  parte  della  mia  lira ,  cioè  a  dire  i  TrasÈuUi  estivi,  e 
Y Incostanza  d'Amore.  Qualora  si  prende  da  autori  noti,  non  si  può 
dubitare  di  ladroneccio,  perciocché  son  luoghi  pubblici,  ed  esposti  a 
tatti  gli  occhi,  che  non  sien  ciechi,  onde  si  concedono  a  chi  prima 
gli  occupa ,  come  le  gemme  sparse  nel  lido  del  mare.  E  siccome 
Virgilio  non  arrossi  di  framettere  nella  sua  Eneade  i  versi  intieri 
d* Ennio  e  di  Catullo;  né  altri  lirici  ed  epici  toscani  si  hanno  re- 
cato ad  onta  di  servirsi  di  quelli  di  Dante  e  del  Petrarca  ;  cosi  chiun- 
que da  essi ,  o  da  altri  piglia  a  volgere  in  diversa  lingua  alcun  pas- 
saggio più  lungo ,  presuppone  che  si  sappia  da  coloro ,  che  son 
versati  tra'  poeti ,  né  deve  esseme  chiamato  usurpatore.  Anche  tra 
gridillj  della  mia  SampogiM  un  ve  n'  ha,  il  quale  a  prima  vista  potrà 
forse  parer  traslato  da  aliro  linguaggio  straniero ,  tuttoché  il  primo 
ed  antico  fonte,  da  cui  procedono  amendue  i  nostri  ruscelli,  sia 
Ovidio,  e  forse  prima  d' Ovidio  alcun  altro  Greco,  lo  Y  ho  poi  (se  non 
m'inganno}  aiutato,  illustrato  ed  amplificato  con  diversi  cpisodietti^ 
e  descrizioni,  onde  quel  che  v'  è  rimase  dei  suo  primiero  autore,  è 
si  poco,  che  si  può  dir  quasi  nulla,  né  so  s'egli  stesso  cosi  travestito 
il  riconoscerebbe  per  suo.  Or  avvengachè  per  esser  le  suddette  cose 
(come  dissi)  da  me  accresciute  ed  arricchite  di  molti  lumi,  che  per 
r addietro  non  avevano ,  io  possa  dire  d'aver  sopra  di  esse  qualche 
giusta  giuridizione,  e  d'essermene  non  senza  ragionevole  autorità 
insignorito,  non  voglio  con  tutto  ciò  esserne  tenuto  legittimo  pos- 
sessore. Sieusi  traduzioni,  per  tali  si  smaltiscano,  spendansi  per 
quel  che  vagliono,  non  le  vendo  come  mie,  né  pretendo  di  esse  altra 
loda,  che  di  fatica.  Ma  che  diranno  questi  tali,  s'io  farò  loro  toccar 
chiaramente  con  mano,  che  que'mcdesimi  componimenti,  de*  quali 
essi  mi  appellano  traduttore,  soiio  stati  dal  mio  esemplare  tradotti? 
Adunque  tante  mie  poesie,  che  da' sopraccennati  e  da  altri  begli 
ingegni  sono  state  messe  in  favella  forastiera,  e  che  poi  sono  parte 
uscite  alla  pubblica  slampa  e  parte  vanno  in  volta  a  penna,  si  dovrà 
dire  di  qua  a  qualche  anni,  che  non  sieno  originariamente  mie?  Le 
mie  rime  prima  che  impresse  fossero ,  e  specialmente  quelle  della 
detta  ultima  parte,  sono  ite  un  gran  tempo  attorno  per  tutte  quante 
le  mani ,  e  dopo  l'impressione  per  molte  reiterate  edizioni  hanno 
avuto  tanto  dì  dispaccio,  che  chiunque  ha  voluto  o  tradurne,  o  car* 
pime  qualche  parte,  ha  ben  potuto  scapricciarsi  a  sua  volontà.  Or 
se  così  è ,  perchè  questi  malignetli  avanti  che  detrarre  alla  mia 
fama,  seminando  si  fatte  menzogne  per  le  stampe,  non  si  sono  in- 
formati del  vero?  Ma  poniamo  anche,  che  vero  fusse,  ch'io  per  tra- 
stullo avessi  due  o  tre  sonetti  tolti  alla  Spagna,  o  alla  Francia,  e  dati 


XII  DI  GIAMBATTISTA  MARINO 

airitalia  ^  perchè  con  fare  alla  lor  madre  questo  torto ,  la  quale  di 
amili  frotti  è  altrettanto  feconda,  quanto  quell'altre  due  pròvinde 
se  sono  sterili ,  defraudandomi  iniquamente  della  loda  in  quell» 
parte  che  mi  sì  deve,  ne  tacciono  le  migliaia  fatte  di  nùa  propria  ed 
assoluta  invenzione?  Vengo  dal  tradurre  all'imitare;  né  parlo  dì 
quella  imitatone,  la  qual  dice  Aristotele  esser  propria  del  poeta, 
quella  che  si  conEà  con  la  natura ,  e  da  cui  nasce  il  verisimile  e  per 
conseguenza  il  dilettevole:  ma  di  quella,  che  c'insegna  a  seguir  le 
vestigia  de'  maestri  più  celebri ,  che  prima  di  noi  hanno  scritto. 
Tutti  gli  uomini  sogliono  esser  tirali  dalla  propria  inclinazione  na- 
turalmente ad  imitare;  onde  l' immaginative  feconde  egrintelletti 
inventivi  ricevendo  in  sé  a  guisa  di  semi  i  fantasmi  d' una  lettura 
gioconda,  entrano  in  cupidità  di  partorire  il  concetto  che  n'ap- 
prendono» e  vanno  subito  macchinando  dal  simile  altre  fantasie,  e 
spesso  per  avventura  più  belle  di  quelle,  che  son  lor  suggerite  dalle 
parole  altrui ,  ritraendo  sovente  da  uu  conciso  e  semplice  motto 
d' un  poeta  cose,  alle  quali  ristesse  poeta  non  pensò  mai,  ancorcb^ 
egli  ne  porga  1* occasione  e  uè  sia  il  primo  promotore.  Questa  imi- 
tazione può  essere  o  negli  universali,  o  ne* particolari.  L'universale 
consiste  nella  invenzione  e  nelle  cose;  la  particolare  nella  sentenza, 
e  nelle  parole;  l'una  è  propria  deireroico,  l'altra  s'appartiene  più 
al  lirico  ;  quella  ha  più  del  poetico  e  si  può  meglio  dell'  altra  nascon* 
dere,  questa  è  più  sfacciata  e  manco  lodevole.  Tralascio  infiniti 
esempi  antichi ,  e  tocco  solamente  i  due  epici  eminenti  dell'età  più 
vicina  a  noi.  L'Ariosto  ha  (secondo  il  mio  giudicio)  assai  meglio,  che 
il  Tasso  non  ha  fatto ,  imitati  i  poeti  greci  e  latini  e  dissimulata 
l'imitazione.  Chi  direbbe  mai,  che  Astolfo  con  l'Ippogrifo  sia  imi- 
tato da  Perseo?  lo  scudo  d'Atlante  dal  teschio  di  Medusa?  Isabella 
uccisa  da  Rodomonte,  da  Medea  con  le  sorelle  di  Giasone?  l'Orco 
con  Norandino,  da  Polifemo  con  Ulisse?  Orrilo  dall'Idra?  È  vero, 
che  telvolta  non  ha  saputo  nel  celare  esser  tanto  accorto,  che  non 
si  sia  discoverta  la  ragia.  Onde  all'incontro  chi  non  direbbe  subito, 
che  Olimpia  abbandonata  da  Bireno,  sia  imitata  da  Arianna  abban- 
donata da  Teseo?  Angelica  esposta  al  mostro  marino,  da  Andromeda 
condannata  ad  esser  divorata  dalla  balena?  Rodomonte  nell'assedio 
di  Parigi,  da  Capaneo  in  Tebe?  Clorìdano  e  Medoro,  da  Niso  ed  Eii» 
rialo?  Sobrino,  da  Nestore?  l'Arpie,  dall'Arpie  di  Virgilio?  l'Amaz- 
zoni, dall'Amazzoni  di  Stazio?  il  cerchio  deUa  luna,  dal  cerchio 
della  luna  di  Luciano?  Il  Tasso  all'  incontro  è  stato  maggiore  e  più 
manifesto  imitatore  delle  particolarità ,  perciocché  senza  velo  al- 
cuno trapporte  ciò  che  vuole  imitare,  usando  assai  forme  di  dire 


If  DEI.  SCO  STILEé^  XIR 

ed'doeuzioni  hlàoe,  delle  quali  troppo  evidentemente  si  serve;  sic- 
c«OM  ^ecft  più  destro  panni  che  dìmostnito  si  sia  nelle  unrrersalità. 
Onde^ii  naasiaomito  di  Clorinda  ci  fa  sabito  ricordare  del  nsaoioiento 
di  €aviidi8  in  Eliodoro;  lo  sdegno  di  lUnaldo,  dell'ira  d'Achille 
io  Omeio;.  r  inremo  e  '1  consiglio  de-^  demoni,  ddl'uno  e  del-* 
Taltro  in  Claodiano  e  nel  Trissino;  la  battaglia  tra  i  diavoli  e  gli 
angioli  nella  espugnazione  di  Gerusalemme,  del  contrasto  degl*  Iddii 
pfOBDO  Omero  nella  distruzione  di  Troia  ;  la  sete  del  campo,  ddla  sete 
in  Lucano  ;. Tancredi,  ch'uccide  Clorinda,  di  Gefolo,  che  saetta  Pro- 
cri;  la  Fmìa  che  stioMihi  Solimano,  della  Furia,  eh' irrita^  Turno; 
Binaldo  quando  parte  da  Armida,  d'Enea  quando  lascia  Didone; 
Aarmida  che  fii^^  nella  rotta  dell'esercito  egizio,  seguita  ed  abbrac- 
daia  da  Rinaldo,  d'Abra  sconfitta,  ed  appunto  nel  medesimo  modo 
disperato  per  Lisvarte.  Neil'  una  e  nel!'  altre  foggia  mi  sono  ingegnato 
adeh'io  d'oaservar  l'imitazione.  Per  quel  che  tocca  agli  universali, 
s^io  afaUa  bene,  o  male  imitato,  ancore  non  si  può  giudicare  dal 
Biondo^  poiché  ancora  alcuni  miei  poemi  narrativi  non  sono  esposti 
al  giwficiosiio.  Per  quel  che  concerne  i  particolari,  non  nego  d'a- 
vere imitalo  aUe  volte,  anzi  sempre  in  quello  istesso  modo  (se  non 
erre)  che  hamo  tetto  i  migliori  antichi  e  i  più  {arnesi  moderni , 
dando  nuova  forma  alle  cose  vecchie,  o  vestendo  di  vecchia  maniera 
le  cose  nnovis.  E  s' io  questa  sorte  d' imitazione  mi  abbia  male 
0  bene  aeaegmta,  me  ne  riporto  al  parere  di  chi  più  di  me  sa, 
parehè  leggacon  occhio  puro  e  con  animo  spassionato  quant'  io  ho 
s^tto.  Ora  discendo  al  terzo  ed  ultimo  capo  dei  rubare ,  sebben  di 
questo,  e  deUa  differenza  eh'  è  tra  il  furto  e  Timilazione  e  delia 
regoli^  da  tonerai  neli'  uno  e  nelF  altra,  parmi  esseme  stato  ab- 
bastanza discorso  nel  sopredetto  preambulo  della  Lira.  E  qm  che 
posso,  o  che  debbo  io  dire  ?  Dirò  con  ogni  ingenuità  non  esser  pun* 
to  da  dubitare,  eh'  io  sinùhnente  rubato  non  abbia  più  di  qualsivoglia 
akro  poeta.  Sappia  tutto  il  mondo,  che  infin  dal  primo  di  oh'  io 
inconmKtai  a  studiar  lettere,  imparai  sempre  a  leggere  col  rampino, 
tfrando  id  mio  proposito  ciò  eh'  io  ritrovava  di  bnono,  notandolo 
nel  Alio  libsidbae,  e  servendomene  a  suo  tooopo  ;  che  insomma 
ipnsla  è  il  frutto  ohe  si  cava  dalla  lezione  de'  libri.  Cosi  fanno  tutti 
t  vaienti'  uomini  Ae  scrivono ,  e  chi  coA  non  fa,  non  può  giammai 
per  mis  stima  pervenire  a  capo  di  scrittura  eccellente,  perchè  la 
neetraoMmoria  è  debole  e  mancante,  e  senza  questo  aiuto  di  rado 
el  soraminìatra  perfettamente  le  cose  vedute  quando  1'  opportunità 
il  rishiede.  Vero è^  che cotal  repertorio  ciascuno  sei'  ha  a  bxe  a  sao 
«iprioeie  •  eom  quel  metodo  ordinario,  die  può  più  facilmente 


XIV  DI  GIAMBATTISTA  MARINO 

improntai^]]  le  materie  quando  le  cerca.  GY  hitdletti  son  diversi  e 
diveraiBsimi  gli  umori  degli  uomini ,  onde  ad  uno  piacerà  tal  cosa, 
che  dispiacerà  ad  un  altro;  e  taluno  sceglierà  qualche  sentenza 
d'  un  autore ,  che  da  un  altro  sarà  rifiutata.  Le  statue  antiche  e  le 
relìquie  de'  marmi  distrutti,  poste  in  buon  sito  e  collocate  con 
belP  artificio,  accrescono  ornamento  e  maestà  alle  fobbriche  nuove. 
Perciò  se,  secondo  i  precetti  e  le  circostanze  nel  sopraccitato  di« 
scorso  contenute ,  razzolando  col  detto  ronciglio,  ho  pur  commesso 
qualche  povero  furtarello,  me  ne  accuso  e  me  ne  scuso  insieme, 
poiché  la  mia  povertà  è  tanta,  che  mi  bisogna  accattar  delle  ricchezze 
da  chi  n'  è  più  di  me  dovizioso.  Assicurinsi  nondimeno  cotesti 
ladroncelli,  che  nel  mare,  dove  io  pesco  e  dove  io  traffico,  essi  non 
vengono  a  navigare,  né  mi  sapranno  ritrovar  addosso  la  preda, 
s' io  stesso  non  la  rivelo.  Ed  almeno  non  mi  potranno  querelare, 
eh*  io  abbia  loro  involato  nulla,  com*  eglino  hanno  a  me  fatto;  onde 
si  possono  ben  vantare  d'  aver  rubato  a'  Napoletani,  che  sono 
avvezzi  a  saper  farlo  altrui  con  sottilità  e  con  grazia.  Stentino  adun* 
que  col  malanno,  tanto,  che  svanisca  loro  il  cervello  nel  capo,  e 
crepino  le  vene  nel  petto,  se  hanno  disiderio  di  gloria,  e  vogliono 
farsi  onore.  E  se  non  hanno  spirito  atto  a  sapere  inventar  novità, 
né  dottrina  da  potere  scrivere  con  fondamento,  riveriscano  ed  am<- 
mirino  coloro  che  Thanno  ;  nò  credano  per  chiudere  un  sonettuzzo 
con  una  bella  punta  (  il  che  pure  alla  fine  hanno  da  me  imparato) 
d*esser  divenuti  immortali  ;  o  per  istrappazzare  il  mio  nome  dopo  le 
spalle,  di  deprimer  me  ed  avantaggiar  sé  stessi  nella  opinione  del 
mondo.  Ma  io  debbo  di  tutto  ciò  ridermi  e  dissimularlo,  perchè  son 
fanciuUacci  più  tosto  da  scudisciar  per  burla  a  colpi  di  sonetti  ce- 
duti, che  da  confondere  con  salde  ragioni  ;  se  non  eh*  io  mi  ritrovo 
già  un  pezzo  fa  avere  appeso  all'  arpione  lo  staffil  della  satira,  nò  ho 
volontà  di  ripigliarlo ,  se  non  son  provocato  più  che  villanamente. 
Quanto  poi  alla  caterva  dozzinale  de'  pedanti  muffi,  de'  critici  falliti, 
e  degli  altri  correttori  delle  stampe,  che  non  sapendo  giammai  per 
sé  medesimi  produrre  cosa  di  buòno,  fanno  tuttavia  professione  di 
ficcare  il  grifo  per  tutto  crivellando  gli  scritti  e  tassando  gli  scrit* 
tori,  non  ce  ne  dobbiamo  dolere,  essendo  questo  il  contrassegno 
ddhi  virtù  e  il  tocco  del  paragone.  Non  deve  chi  cammina  al  monte 
della  Gloria,  per  la  stitichezza  di  quattro  linguacciuti  nasuti,  a  cui 
anche  le  rose  putono,  tralasciare  il  corso  delle  onorate  fatiche,  che 
lo  conducono  alla  Eternità.  Siccome  i  legai  hanno  i  tarti,  che  gli 
rodono,  cosi  i  poeti  hanno  i  censori,  che  gli  flagellano  ;  e  siccome  il 
vento  australe  è  contrario  alla  serenità ,  cosi  delhi  gloria  è  stato 


E  DEL  SDO  STILE.  XV 

sempre  nemico  il  livore.  Ditemi,  furono  fora'  eglino  nel  biasimare 
gli  altrui  sudori,  o  nel  condannargli  con  perverso  giudicio  più  mo- 
desti gli  antichi  di  quel  che  si  sieno  i  nostri?  L^Orazioni  di  Demo- 
stene ad  alcuni  parevano  smunte  ed  asciutte,  ad  Eschine  barbare,  a 
Demade  che  olissero  di  lucerna.  Quelle  di  Cicerone  da  Calvo  erano 
stimate  trite  ed  esangui ,  da  Bruto  dirotte  e  dislombate ,  da  altri 
aride  e  secche.  Altri  al  contrario  giudicavano  il  suo  dire  troppo  tur* 
gido  e  gonfio,  altri  troppo  lubrico  e  fluido,  altri  molle  e  ricercato, 
altri  superstizioso,  freddo  negli  scherzi  e  poco  osservatore  dell*  an- 
tichiià.  Didimo  grammatico  alessandrino  scrisse  volumi  contro  di 
lui ,  così  parimente  Gallo  Asinio  e  Larzio  Licinio.  Contro  Teofrasto 
scrisse  una  certa  meretrice,  la  qual  si  racconta  avergli  data  grandis- 
sima noia.  PoUione  notò  in  Livio,  isterico  di  tanta  eccellenza, 
alquante  parole  padovane.  Ed  il  medesimo  poi  riprese  Sallustio, 
principe  delle  romane  istorie  ,  per  avere  usato  un  vocabolo  in  altra 
significanza,  che  non  portava  la  sua  etimologia.  Lucilio,  che  fu  il 
primo  (secondo  che  dicono)  a  fare  il  punteruolo  ed  il  postillatore 
dell'  altrui  fatiche,  quanto  acerbamente  lacerò  Euripide,  Accio, 
Ennio,  Pacuvio  ed  altri  poeti  classici  del  primo  secolo?  E  pure 
Orazio  riprende  lui,  notandolo  d*  impurità.  Or  come  può  mai  chi 
scrive  soddisfare  a  tanti  appetiti ,  se  non  ha  i  sapori  della  manna, 
che  si  affaceva  con  tutti  i  gusti?  o  come  guardarsi  da  simili  zanzare 
fastidiosette,  che  senza  perdonare  a  chi  che  sia  pungono  rabbiosar 
mente?  Non  ha  dubbio,  che  ciò  per  lo  più  non  d'altro  fonte  suol 
nascere,  che  d^invidia,  perchè  pensano  costoro  col  censurare  gli 
uomini  illustri  di  rischiarare  i  lor  nomi  rugginosi  ed  acquistarsi 
qualche  grido,  che  altrimenti  sempre  abbietti  e  sconosciuti  se  ne 
starebbono  ;  in  quella  guisa  istessa,  eh*  Erostrato  con  Tincendio  del 
tempio  di  Diana  si  fece  famoso,  e  Pilato  per  la  scelleraggine  della  sua 
ingiusta  sentenza  si  canta  ogni  giorno  nel  simbolo  per  le  chiese. 
Certo  colui,  che  fu  il  primo  a  porre  il  nome  a  questo  vizio^  con  gran 
ragione  chiamollo  invidia,  poiché  Tinvido  par  che  non  vegga  l'altrui 
bene,  ma  osserva  solamente  il  male,  e  tutto  quelle  cose  lasciando 
da  parte,  che  in  una  scrittura  sarebbono  per  avventura  lodevoli» 
volge  gli  occhi  solo  a  que*  pochi  mancamenti,  che  potrebbono  essere 
riprensibili.  Orazio,  quantunque  fusse  giudice  de'  poemi  molto  severo, 
sapendo  nondimeno  le  difficoltà,  che  nel  comporre  si  passano,  si 
contentava  di  rimetter  loro  molti  falli,  che  gli  parevano  degni  di 
perdono  : 

«  Snnt  dellcU  ttunen,  quibus  ignovlate  TtHoMit, 

«  Nani  Dcc  corda  sonum  rcddit,  quem  viilt  ninus  et  neas. 


Xn  DI  GIAMBArnSTA  MARINO 

•  Potcentlque  gravein,  pereaBp«  reinUUt  acutiim, 
e  Nec  8emper  feriet  quodcunque  mirabiuir  arcu&  »> 

E  conoscendo  egli  ottimanacnte,  che  non  tutte  le  palle  (come  dir  si 
suole)  riescono  ri  tonde,  e  che  in  un  bel  corpo  si  può  tollerare  qual- 
che nco,  qualche  pelo,  o  qualche  picciolaruga,  senza  pregiudicio  del 
resto,  scusava  molte  colpe  leggiere  ne'  componimenti  in  quegli  altri 
versi  2 

e  Verum  ubi  plura  nitent  in  carmiae,  non  ego  paucis 
«  Offendar  maculb.  » 

Veramente  soverchio  rigore  gli  pareva  voler  guastare  l'integrità  del 
tutto  per  una  particella,  e  dannare  a  morte  un'  opera  di  chiaro  au- 
tore per  un  minimo  peccatuzzo.  Che  se  nelle  cose  di  coloro,  che 
furono  in  maggior  credito  ne'  tempi  addietro,  vorremo  incrudelire 
con  tanta  austerità,  che  non  s'ammettano  se  non  gì*  immacolati,  si 
verranno  ad  escludere  forse  tutti  senza  rimanerne  pur  uno.  Perciò 
diceva  il  medesimo  nel  primo  de'  Sermoni. 

«  Age  qtueso, 

«  Tu  nlhil  in  magno  doctus  depraehendis  Homcro? 

«  NH  Ck)mis  tragici  mutat  Lucilius  Acci? 

Le  quali  parole  (come  voi  meglio  di  me  sapete)  hanno  a  pronun- 
ciarsi interrogativamente  con  ironia,  volendo  quasi  dire  il  contrario, 
cioè  non  esser  poeta,  in  cui  alcuna  cosetta  da  emendare  non  si  ri«* 
trovi.  Vi  sovviene  di  ciò  che  dice  Quintiliano  nel  decimo  libro  al 
capitolo  de  Fmìtatione?  In  magnis  quoque  auctoribus  incidunt  all'- 
qua  vitiasa,  et  a  doctis  inter  ipsos  etiam  mutuo  reprxhensa.  E 
ristesso  nel  medesimo  libro  al  capitolo  primo  :  Tieque  id  statim 
legenti  persuasum  sitj  omnia  qux  omnes  auctores  dixerunt  esse 
perfecta,  nam  et  labant  cdiquando^  et  oneri  cedunt,  et  indulgent 
geniorum  suorum  voluptati,  non  semper  intendunt  animum,  non-- 
nunquam  fatigantur,  nam  Ciceroni  dormitare  interdum  non  solum 
Demosthenis  oratìo,  verum  etiam  Homerus  ipse  videatur.  Non 
deono  dunque  i  signori  sindici  di  Parnaso  e  gabbellieri  degl'  im^- 
pacci  esser  tanto  importuni,  che  vadano  ricercando  sottilmente  nelle 
poesie  col  fuscellino  ogni  scropoletto ,  uè  dobbiamo  noi  quando 
altri  ciò  faccia  alterarci  punto,  né  risentirci  ;  ma  sforzandoci  d^appa-* 
gare  il  disiderio  di  Fiacco,  ci  basterà,  che  se  pure  ne'  nostri  scritti 
8i  troverà  qualch'  emenda  di  poco  momento,  almeno  le  parli  princi** 
pali  abbiano  in  sé  tanto  di  bello,  che  ricuopra  qualsivoglia  difetto. 
Chi  ha  giammai  più  di  me  soierti  i  latrati  di  questi  mastini ,  e  i  zuffo- 


E  DfiL  SUO  &T1LE.  Xm 

lambiti  di  queste  serpi?  Io  Boo  dico  già  di  ^aon  potete  errare,  poiebè 
niuno  scrittore  può  esser  tanto  occhiuto,  quantunque  Argo  eia, 
eh*  alle  volle  non  inciampi  senssa  avvedersene,  maseime  io,  ohe  mi 
stimo  più  d'ogni  altro  degnodi  correzione,  e  neUe cui  cose  è  verisi<- 
mile,.che  delle  imperfezioni  non  manchioo.  Dovrebbono  peròcon^ 
tentarsi  questi,  non  dirò  Zoili  ed  Arislarchi,  ma  più  tosto  Monode 
Pasquini,  di  disfogar  contro  l'opere  sole  la  rabbia,  manifestando  le 
mie  scioccbezae,  senza  pregiudicarmi  in  cose,  che  rilevano  molto 
più.  U  continovo  corso  de'  miei  varj  e  fortunevolì  accidenti  crederei 
Ql^imai,  che  bastasse  a  farmi  degno  d'essere  più  compatito,  che  in* 
vidiato.  E  aarebbe  pietà  il  considerare,  che  se  fra  tanti  moli,  peri- 
coli e  travagli  qualche  cosa  ho  pur  fatta,  ho  fatto  olire  il  possibile 
del  poter  mio.  Nò  il  vulgo  de'  poeti  correnti  dovrebbe  con  tante 
persecuzioni  calunniarmi,  avendo  più  tosto  occasione  d' amarmi,  se 
non  per  altro,  almeno  per  aver  io  periate  le  Muse  toscano  di  qua  dal- 
l'Alpi,  ed  introdottele  nelle  camere  reali  ;  e  per  aver  fatto  oltracciò  ai 
lauro,  .eh'  è  pianta  infeconda,  in  vece  di  coccole  piedurre  scudi  del 
Sole,  che  ben  del  Sole  meritano  il  nome,  poiché  a  sostentamento 
de'  seguaci  d' Apollo  si  dispensano.  Conviene  pertanto  darsene  [«ce, 
e  soggiacere  con  pazienza  a  sì  fatta  infelicità,  ringraziando  tuttavia 
la  divina  Provvidenza,  eh'  almeno  non  diede  a  costoro  le  forze  pari 
all'orgoglio  ed  air  arroganza,  sicché  ci  possano  nuocere.  Una  delle 
grazie  principali,  che  ci  abbia  fatte  la  Natura,  fu  per  mio  avviso  il 
non  aver  dati  i  denti  ai  ranocchi,  perciocché  poco  ci  gioverebbe  il 
possedere  le  delìzie  di  questo  mondo,  se  ci  fusse  bisogno  al  passar 
de'  fossati  armar  le  gambe  di  horsacchini  di  ferro  per  difenderci 
da'  moarai  loro.  Buon  per  noi,  eh*  essi  abbiano  la  bocca  sdentata,  che 
altrimenti  la  darebbono  in  barba  agli  aspidi  ed  alle  vìpere  ;  là  dove 
essendo  tali,  quali  sono,  basterà  che  noi  siamo  più  tosto  ben  forniti 
d'  orecchi,  che  d'  altre  armature.  Gracchino  pure  e  garriscano  a 
posta  loro,  che  il  vero  antidoto  di  questo  veleno  si  é  il  tacere  e  pro- 
curar d'avanzarsi  ogni  giorno  di  bene  in  meglio.  Così  si  confonde 
rignofoiiaa,  s-abbaUe  Tinvidia,  sì  conculca  la  calunnia,  si  calpesta  la 
perfidia,  s'abbassa  la -superbia,  si  sotterra  la  presunzione,  e  si  sub- 
bisaa  la  tenwrUà.  Chiuderò  questa  lettera  salutandovi  di  vivomiors, 
abbncrioidovi  eon  tutta  l'anima,  e  ringraziandovi  di  nuovo  del 
vostra eertese  affetto  in  lodarmi  tanto  ;  del  che  non  posso  non  sonlif*- 
nm  forte  .obbligato.  Obbligato  dico  di  tutte  l'altre  lodi  mi  vi.eoiH 
faaso,  sakDjsolo  di  quella,  ehe  mi  dateannorerandomittra  gli.Ebrsi, 
poiebbhn  sapete,  0fa'  lio  wm  mi  dilettoipantodi  rìsprsngsr  oioppe 
veeohìe.i&8eDsa  più  alla  vostra  buona  ^grazia  mi  racsomando,  pM-- 


XVIII  DI  GIAMBATTISTA  MARINO 

gando  il, Signore,  che  abbia  voi  perpetuamente  nella  sua.  Di  Pa- 
rigi. » 

Noi  avvisiamo  che  nessuno  ci  accuserà  d' aver  voluto  ristampare 
tutta  quanta  questa  lettera  del  Miaiiio,  perchè  è  un  buon  saggio 
della  sua  prosa  libera  dagli  errori  in  che  si  lasciò  cosi  spesso  cadere 
quando  scrisse  poeticamente.  E  poi  nella  lunghezza  di  essa  lettera 
potè  il  Poeta  sfogando  V  ira  contro  i  censori ,  far  chiaro  come  le 
lodi  sperticate  gli  avessero  offeso  siffattamente  l' intelletto  da  te- 
nere per  fermo  che  la  sua  gloria  non  verrebbe  oscurata  per  volger 
di  secoli ,  e  da  giudicare  che  le  considerazioni  di  chi  avea  per  guida 
gli  esemplari  di  Roma  ed  Atene ,  fossero  argomento  d*  invidia  e 
d' ignoranza.  Ma  chi  non  vede  come  il  suo  lamentare  andasse  a 
vuoto?  Troppo  oralo  splendore  dello  stile  del  Mariiio  da  non  abba- 
gliare le  moltitudini.  E  può  affermarsi  senza  tema  d' errare  che  anche 
adesso,  ¥  Adone,  la  Strage  degt  Innocenti ,  il  canto  Vii  della  Geru- 
salemme distrutta,  e  le  alcune  poche  liriche  scelte  in  questo  vo- 
lume ,  offrono  bellissimi  esempj  di  fecondità  e  grazia  di  concetti , 
di  purità  e  franchezza  di  parole.  Che  se  assai  bello  è  misto  a  strane 
fantasie,  ne  troviam  chiara  T intenzione  nella  sua  sentenza  della 
Murtoleide  : 

È  del  poeta  il  fin  la  maraviglia  ; 
Parlo  dell'  eccellente  e  non  del  goffo  ; 
Chi  non  sa  far  stupir  vada  alla  striglia. 

Questa  fu,  a  dir  così,  l'insegna  del  secenio,  e  da  questa  deriva- 
rono le  puerilità  che  adesso  muovono  a  riso  chi  non  sappia  di 
scemo  ;  questa  faceva  scrivere  in  sul  serio  al  cavaliere  Giro  di  Pers, 
che  pativa  di  pietra  : 

Io  so  che  in  queste  pietre  arrota  V  armi 
La  Morte,  e  che,  a  formar  la  sepoltura 
Nelle  viscere  mie  nascono  i  marmi. 

Discorso  del  Marino,  non  possiam  tenerci  di  toccai*e  un  poco  del 
vivente  Victor  Hugo ,  fattosi  in  Francia  rinnovatore  di  quella  in- 
sensata scuola  de'  secentisti  italiani,  ed  alcuna  volta  dolce  e  potente 
di  quell'affetto  che  troppo  spesso  affoga  in  un  mar  di  metafore  e 
di  similitudini.  E  a  dir  vero  le  stranezze  di  che  va  bruttando  le 
odi  alla  Colonna  di  Napoleone,  all'Arco  di  trionfo,  e  non  poche  delle 
sue  liriche,  son  più  vergognose  delle  antiche,  e  perchè  Tessere 
quegli  errori  divenuti  favola  di  tutta  Europa,  avrebbe  avuto  a  ren- 
derne impossibile  il  rinnovamento ,  e  perchè  le  glorie  francesi  son 


E  DEL  SUO  STILE.  XIX 

più  presto  atte  ad  innalzare  gli  spiriti  che  abbassarli  a  fiinciulleschi 
concetti,  de'  qaali  oe  piace  dare  un  esempio  fra  i  molti ,  tolto 
alla  seconda  delle  Odi  sopraddette  nella  quale  il  poeta  fa  una  cosi 
strana  pittura  di  Parigi  : 

e  Oh!  Paris  est  la  cité  mère, 
«  Paris  est  le  lien  sdennel 
e  Où  le  tourbillon  éphémère 
«  Toume  sur  un  centre  eterne  I! 
«  Paris ,  feu  sombre  ou  pure  étolle , 
e  Home  lais  converte  d'un  voile! 
e  Araignée  à  rimmeose  toile« 
e  Où  se  prennentles  nationsl 
«  Fontaine  d'urnes  obaédée , 
«  Mamelle  sans  cesse  Inondée 
e  Où  pour  se  nourrìr  de  l'idée 
e  Yiennent  les  généraUons.... 
e  G'est  elle,  hélas!  qui  nuit  et  Jour 
«  RéveiUe  le  géant  Europe 
«  Atcc  sa  docbe  et  son  tambour  !  » 

Legga  le  opere  poetiche  di  Victor  Hugo  chi  avesse  voglia  di  sapere 
se  questi  errori,  scelti  a  dimostrare  il  mal  gusto  di  quel  poeta, 
siano  r  abito,  a  dir  cosi,  della  sua  mente  e  del  suo  stile,  oppure  un 
accidentale  impeto  di  falsi  e  puerili  concetti.  A  noi  duole  che  sic- 
come il  MiRino  ebbe  colpa  del  corrotto  gusto  del  suo  secolo, 
debba  pure  apporsi  a  Victor  Hugo  il  peccato  de'  molti  sconsigliati 
che,  tirati  dall'  imitazion  dell'  immaginoso  maestro,  si  lasciano  por- 
tare dalla  fantasia  senza  un  pensiero  al  mondo  della  bella  natura , 
dell'importanza  del  decoro,  della  castità  dello  stile,  e  avendo  in  non 
cale  il  nobilissimo  fine  del  poeta,  la  correzion  de'  costumi  ;  alle 
quali  cose  chi  non  ponga  mente,  formerà  parole,  somiglianti  a 
bolle  di  sapone  che  splendono  un  poco,  e  poi  com'elle  svaniscono. 
Ma  quasi  a  conforto  di  tanta  licenza  vive  ancora  quel  dolcissimo  Bé- 
ranger,  il  quale  o  canti  il  valor  della  Francia,  o  mediti  sulle  danze 
fanciullesche,  è  sempre  sublime  di  spontanei  canti  che  Amore  gli 
dettò,  e  che  ne'  poveri  tetti  cosi  spesso  risuonano.  Né  questo  è  il 
solo  premio;  un  altro  e  maggiore  s' aspetta  al  virtuoso  poeta,  che 
l'inesorabile  vecchio  non  lascerà  cader  nell'onda  dell' obblio  nis- 
suna  sua  nota. 

Giuseppe  ZIRARDINl. 


ALLA  MAESTÀ  CRISTIANISSIMA 


DI  MARIA  DE'  MEDICI. 


REINA  DI  FRANGA  E  DI  NAVARRA. 


La  Grecia  di  tulle  le  beir  arti  inventrice,  la  qual  sotto  velo  di  favolose  finzioni 
loleya  ricoprire  la  mai^gior  parie  de'  suoi  misteri ,  non  senza  allegorico  senti- 
meato  chiamava  Ercole  Musagete,  quasi  duce  e  capitano  delle  Muse.  Il  che  non 
con  altra  significazione  (s'io  non  m'inganno)  hassi  da  inlerprelare,  che  per  la 
vicendevole  corrispondenza  che  passa  tra  la  forza  e  T ingegno,  tra  'I  valore  e  '1 
sapere,  tra  l'armi  e  le  lettere;  e  per  la  reciproca  scambievolezza,  che  lega  in- 
sieme i  principi  e  i  poeti ,  gli  scettri  e  le  penne,  le  corone  dell'oro  e  quelle  del- 
l'alloro. Perciocché  siccome  alla  quiete  degli  stud]  è  necessario  il  patrocinio 
de*  Grandi,  perchè  gli  conservi  nella  loro  tranquillità  ;  così  all'incontro,  la  glo- 
ria delle  operazioni  inclite  ha  bisogno  dell'aiuto  degli  scrittori,  perchè  le  sot- 
traggano alla  obblivione.  E  siccome  questi  ofA'ono  versi  e  componimenti,  che 
possono  a  quelli  recare  insieme  col  diletto  l'immortalità;  così  ancora  quelli 
donano  ricompense  di  favori  e  premj  di  ricchezze,  con  cui  possono  questi  me- 
nare comodamente  la  vita.  Quinci,  senza  alcun  dubbio,  è  nato  ne'  signori  il 
nobilissimo  costume  del  nutrire  i  cigni  famosi,  acciocché  illustrando  essi  col 
canto  la  memoria  de'  loro  onori,  la  rapiscano  alla  voracilà  del  Tempo.  Quinci 
d'altra  parte  parimente  si  è  derivala  in  coloro  che  scrivono,  l'amica  usanza  del 
dedicare  i  libri  ai  gran  maestri ,  a'  quali ,  per  non  altra  cagione  sogliono  indiriz- 
zargli ,  se  non  per  procacciarsi ,  sotto  il  ricovero  di  tale  scudo,  sicura  difesa  dal- 
l'altrui malignità  e  dalla  propria  necessità.  Questi  rispetti  mossero  Virgilio  ad 
intitolare  il  suo  poema  a  Cesare,  Lucano  a  Nerone,  Claudiano  ad  Onorio,  ed  ai 
nostri  tempi ,  l'Ariosto  e  'I  Tasso ,  alla  serenissima  casa  da  Este.  Questi  istessi , 
dall'altro  lato  mossero  Mecenate  a  sovvenire  alla  poverlà  d'Orazio,  Domiziano 
a  promovere  Slazio  e  Silio  Italico  a  gradi  onorevoli,  Antonino  a  contraccambiare 
con  altrettanto  oro  le  fatiche  d'Oppiano;  ed  ullimamente  (per  tralasciare  gli 
altri  stranieri)  Francesco  il  primo,  re  di  Francia,  a  remunerare  con  effetti  di 
profusa  liberalità  le  scritture  dell'Alamanni,  del  Tolomei,  del  Delminio,  del- 
l'Aretino e  d'altri  molli  letterali  italiani;  Carlo  il  nono,  a  slimare,  onorare  e 
riconoscere  oltremodo  la  virtù  ed  eccellenza  di  Piero  Ronsardo  ;  Arrigo  il  terzo, 
ad  accrescere  con  larghe  entrate  le  fortune  di  Filippo  di  Portes,  abaie  di  Ti- 
rone;  ed  Arrigo  il  quarto,  dopo  molli  altri  segni  d'aCTezione  parziale,  ad  esaltare 
alla  sacra  dignità  della  porpora  i  meriti  del  cardinal  di  Perona.  Non  mossero  già 
(per  mio  credere)  questi  rispetti  la  maestà  cristianissima  di  Lodovico  il  tredi- 
cesimo, quando  con  tante  dimoslrazioni  di  generosità  prese  a  trattener  me 
nella  sua  corte,  sì  perchè  all'edificio  deità  sua  gloria,  non  fa  mestieri  di  sì  falli 
puntelli ,  sì  anche  perch'io  non  son  tale,  che  basti  a  sostenere  con  la  debolezza 
del  mio  stile  il  grave  peso  dei  suo  nome.  Né  muovono  ora  similmente  me  a  con- 
sacrare a  Sua  Maestà  il  mio  Adone,  come  fo,  sì  perchè  l'animo  mio  è  tanto  lon- 
tano dall'interesse,  quanto  il  suo  dall'ambizione,  sì  anclie  perchè  sono  stalo 
prevenuto  co'  benefici ,  ed  ho  ricevuti  guiderdoni  maggiori  del  desiderio  e  della 
sperania,  non  che  del  merito.  Ma  quantunque  i  fini  principali  della  sua  prole- 

1 


J  DEDICAZIONE. 

zlone  e  della  mia  dedicazione  non  sieno  questi ,  contuttociò  tanto  per  la  parte , 
che  concerne  i  debili  della  obbligation  mia,  quanto  per  quella,  die  s'appartiene 
ai  meriti  della  grandezza  sua ,  con  ragione  parmi  che  si  debba  il  presente  libro 
al  nostro  re,  e  che  da  me  al  noslro  re  sia,  buon  tempo  fa,  giustamente  dovuto. 
Devesi  a  lui ,  come  degno  di  qualsivoglia  onore;  e  deveci  da  me ,  come  onorato 
(benché  indegnamente)  del  titolo  della  regia  servitù.  Per  quel  che  tocca  a 
Sua  Maestà  dico,  ch'è  proporzionato  questo  tributo,  essendosi  già  col  sopraccen- 
nato esempio  d'Ercole  dimostrato,  eh' a' principi  graadi  non  disconvengono 
poesie.  E  mi  vaglio  della  somiglianza  d'Ercole,  nreriiando  egli  appunto  ad  esso 
Ercole  d'essere  per  le  sue  azioni  paragonalo.  Poiché  se  l'uno  ne'  principj  della 
sua  infanzia  ei>be  forza  di  strangolare  due  fieri  dragoni,  il  che  fu  preso  per 
infallibile  indizio  dell'altre  prove  future-,  Faltre  ne'prìraordj,  e  della  sua  età, 
e  del  suo  governo,  conculcò  né  più  ne  meno  due  ferocissime  e  velenosissime 
serpi,  dico  le  guerre  intestine  di  Francia  e  le  slraniere  d'Italia ,  superale  l'una 
con  la  mano  del  valore,  l'altra  con  quella  dell'autorità;  dal  qual  allo  si  può  far 
certissimo  giudicio  dell'altre  imprese  segnalale,  che  ci  promettono  gli  anni  suoi 
più  fermi.  Havvi  però  di  più  tanto  di  di(Terenza,  che  quel  che  Tuno  operò  già 
adulto  e  robusto,  l'altro  ha  operato  ancor  tenero  fanciullo,  esttrpamlo  dal  suo 
regno  un  mostro  così  pestifero,  com'era  l'idra  della  discordia  civile,  le  cui  teste 
pareva  che  d'ora  in  ora  moltiplicassero  in  infinito.  E  sebbene  al  presente  guer- 
reggia tuttavia  co'  suoi  sudditi,  il  che  par  che  repugni  alla  pubblica  pace  e  con- 
trafaccia alla  concordia  dello  Slato,  vedesi  nondimeno  chiaramente,  che  dopo 
l'onor  di  Dio,  ch'è  il  suo  primo  riguardo,  il  tutto  è  inteso  a  quel  medesimo 
scopo,  cioè  di  passare  alla  quiete  per  lo  mezzo  de*  travagli;  né  altro  pretende, 
che  con  la  dovuta  ubbidienza  de'  popoli  tranquillando  le  continue  tempeste  del 
suo  reame,  slabii irsi  nella  paterna  monarchia.  Gran  cosa  certo  è  il  mirare  i  mi- 
racolosi progressi  che  fa  questo  mirabile  giovane  in  età  sì  acerba  con  sì  maturo 
consiglio,  che  più  di  grave  non  si  desidera  nella  [irudenza  de'  più  canuti.  Ecco 
appena  uscilo della  fanciullezza,  mosso  dal  senno,  spinto  dalla  virtù,  guidato 
dalla  Fortuna,  accompagnato  dalla  lode,  ascende  a  gran  passi  co'  piedi  del  va- 
lore le  scale  della  immortalila,  e  va  crescendo  in  tanta  grandezza  di  pregio, 
che  oggimai  i  suoi  fatti  peregrini  sono  ammiral)ili,  ma  non  imitabili.  Si  arma 
per  l'onor  di  Cristo,  combalte  per  la  verità  evangelica,  vendica  l'ingiurie  della 
corona  gallica,  ristora  i  riti  del  culto  cattolico,  fa  inviolabili  le  leggi  della  buona 
religione.  Le  sue  for;e,  le  sue  armi,  le  sue  genti,  i  suoi  tesori,  e  tulli  i  concetti 
alti  del  suo  animo  reale,  non  ad  altro  fine  hi  rivolgono,  che  alla  gloria  del  Cielo. 
Passi  esecutore  della  divina  disposizione,  difensore  della  regia  dignità,  punitore 
della  insolenza  de'  rubelli;  ed  in  tutte  le  sue  generose  azioni  si  dimostra  amico 
de'  buoni,  compagno  de'  soldati,  fratello  de'  servi,  padre  de'  Yassalii,  e  degno 
flgliuol  primogenito  della  Chiesa  apostolica.  Risarcisce  i  quasi  distrutti  onori 
della  milizia,  i  disagi  gli  sono  ozj ,  i  sudori  delizie,  le  fatiche  riposi.  Fa  stupire 
e  tremare ,  vince  prima  che  coml>atla,  ottiene  più  trionfi,  che  non  dà  assalti ,  e 
signoreggia  più  animi,  che  non  acquista  terre.  Il  suo  petto  è  nido  della  fortezza, 
il  suo  cuore  refugio  della  clemenza,  la  sua  fronte  paragone  della  maestà;  il  suo 
sembiante  specchio  dell' afiabililà,  il  suo  braccio  colonna  della  giustizia,  la  sua 
mano  fontana  della  liberalità.  La  sua  spada  infocata  di  zelo  par  la  spada  del 
serafino ,  che  discaccia  dalla  sua  casa  i  contumaci  di  Dio.  Onde  il  mondo ,  die 
gli  applaude ,  e  che  ha  delle  sue  magnanime  opere  incredibile  aspettazione,  con 
voce  universale  lo  chiama  intelligenza  della  Francia ,  virtù  del  trono  e  dello 
scettro,  angelo  tutelare  della  vera  Fede,  poiché  angelico  veramente  è  II  suo 
aspetto,  angelico  il  suo  intelletto,  ed  angelica  la  sua  innocenza.  Così  la  somma 
pietà  di  quel  Dio,  il  quale  lo  regge ,  ed  il  quale  egli  difende ,  guardi  la  sua  vita , 
ed  allontani  dalla  sua  sacra  persona  la  violenza  del  ferro,  la  fraudo  del  veleno  e 
la  perfidia  del  tradimento  ;  come  in  lui  si  adempiranno  appieno  tutte  le  condi- 
zioni di  perfezione,  che  mancarono  negli  antichi  Cesari.  E  trattandosi  in  qnesla 
guerra  santa  dell'interesse  pur  di  Dio,  non  mancheranno  a  quella  infinita  si- 
pieaxa  modi  da  teminarfaL  a  gloria  sua,  •  con.  riputazione  d'un  re  sì  giusto. 


Omnltb  ftA  tìH  patrie,  cfte  foeca  a  me,  debita  antora,  non  che  ragionevole 
sttmolo  «piesla  dedicatuta ,  acctof^cTvè  «e  nell'ano  abbonda  cortesia,  neiratlto 
non  manchi  gralHndlne.  Ma  con  qual  cambio  o  cìoil  qtial  effetto  condegno,  cor- 
rftponderò  io  a  tanti  eccessi  d'umanità ,  i  quali  sopraratmo  tanto  di  gran  lan^a 
ogDt  mio  potere ?Oeirto  non  so  con  ailro  pagargli,  che  con  parole  e  con  lodi,  m 
fletta  guisa  Istesm  cVie  si  piagano  le  divine  grazie.  Ben  vorrei  che  la  mìa  viriti 
fùue  pari  alfa  sua  bontà ,  per  potere  altrettanto  celebrar  lui ,  quanto  egli  giova 
a  me;  percioccliè  Siccome  i  suoi  gesti  cgi-egi,  quasi  stelle  del  ciel  della  gloria, 
influiscono  a!  mio  ingegno  suggetti  degni  d'eterna  lode ,  così  i  favori,  ch'io  ne 
ricevo,  quasi  rivoli  del  fonte  della  magnificenza,  innaffiano  l'aridilà  della  mia 
fortuna  con  tanta  larghezza,  che  fanno  arrossire  fa  mia  viltà,  onde  rimango 
confuso  di  non  aver  Un  qui  fatta  opera  alcuna,  per  la  quale  appaia  il  merito  di 
^  fatta  mercede.  Potevano  per  avventura  da  questa  oblazione  dislormi  due 
circostanze,  cioè  la  bassezza  della  offerta  dal  canto  mio,  e  l'eminenza  del  per- 
sonaggio dal  camiosuo.  Ma  era  legge  de'  Persiani  (come  Eliano  racconta)  che 
ciascune  tributasse  il  re  loro  di  qualche  donativo  conforme  alle  proprie  facoltà , 
quahmquesi  fosse.  E  Licurgo  voleva  che  si  offerissero  agVlddj  cose,  ancorché 
nlnirae,  per  non  cessar  giammai  d'onorargli.  Queste  ragioni  scusano  in  parte  il 
mancamento  del  donatore.  Ma  per  appagare  la  grandezza  di  colui ,  a  cui  si  dona, 
dirò  solo,  die  quell'islesso  Ercole  di  cui  parliamo,  per  dar  alle  sue  lunKhe  faliche 
qualche  sollazzevole  intervallo,  deposta  talvolta  la  clava,  soleva  pure  scher- 
zando favoleggiare  con  gli  amori.  Achille,  mentrechè  nella  sua  prima  età  viveva 
tra  le  selve  del  monte  Pelià  sotto  la  disciplina  di  Chìrone ,  soleva  (secondo  che 
scrive  Omero)  dilettarsi  del  suono  della  celerà,  né  sdegnava  di  toccar  talvolta 
Fumll  plettro,  e  di  tasteggiar  le  tenere  corde  con  quella  mano  istessa  che  do- 
veva poi  con  somma  prodezza  vibrar  la  lancia,  trattar  la  spada,  domare  destrieri 
indomiti  e  vincere  guerrieri  invincibili.  Perla  qual  cosa  io  non  dubito  punto, 
che  tra  l'altre  eroiche  virtù,  che  adornano  gli  anni  giovanili  di  Sua  Miiesla  in 
tanta  sublimità  di  stato,  in  tanta  vivacità  di  spirito  ed  in  tanta  severità  d'educa- 
zione, non  debba  anche  aver  luogo  l'onesto  e  piacevole  trastullo  della  poesìa. 
E  se  il  medesimo  eroe  pargoletto  (come  narra  Filoslralo),  quando  ritornava 
dall'esercizio  della  caccia  stanco  per  la  uccisione  delle  fiere ,  non  prendeva  a 
schifo  d'accettare  dal  suo  maestro  le  poma  e  i  favi,  in  premio  della  fatica  con 
quell'istesso  animo  grande,  con  cui  poi  aveva  da  ricevere  le  palme  e  le  spoglie 
delle  sue  vittorie  ;  perchè  non  del)bo  io  sperare,  che  Sua  Maestà,  non  dico  dopo 
le  cacce,  nelle  quali  suole  alle  volte  nobilmente  esercitarsi,  ma  dopo  le  guerre, 
le  quali  con  troppo  dure  distrazioni  rincominciano  ad  occupare,  abbia  con  be- 
nignità a  gradire  questo  picciolo  e  povero  dono  presentato  da  un  suo  devolo,  il 
quale  appunto  altro  non  è,  che  frutto  di  rozzo  Intelletto,  e  miele  composto  di 
fiori  poetici,  quasi  lieto  e  sicuro  presagio  de'  ricchi  tributi  e  de'  trionrali  onori, 
che  in  più  maturo  tempo  saranno  al  suo  valore  ofTerti?  Parmi  veramente  la 
figura  biforme  di  quel  misterioso  scmicavallo  ben  confacevole  al  mio  suggello, 
come  molto  espressiva  delle  due  necessarie  e  principali  condizioni  del  principe, 
dinotando  per  la  parte  umana  il  reggimento  della  pace ,  e  per  la  ferina  Tammi- 
nistrazione  della  guerra.  La  qual  significanza  si  attende,  che  debba  perfettamente 
verificarsi  in  Sua  Maestà,  come  degno  figlio  di  sì  gran  padre,  ed  erede  non 
meno  delle  paterne  virtù,  che  db*  regni;  la  cui  generosa  indole  precorre  l'età 
e  vince  l'altrui  speranze.  E  già  gli  effetti  ne  fanno  fede ,  poiché  non  così  tosto 
prese  in  mano  le  redine  dell'imperio,  che  stabilì  per  sempre  la  devozione  nei 
popoli;  ed  appena  assunto  al  possesso  dello  scettro,  gli  fu  commesso  rarbilrio 
del  mondo.  Egli  è  ben  vero,  che  se  il  Centauro  (come  finge  il  medesimo  scrittore) 
per  rendersi  uguale  alta  statura  del  giovanetto,  quando  le  delle  cose  nel  grembo 
gli  sporgeva ,  piegando  le  gambe  dinanzi  si  chinava ,  chiunque  volesse  con  dono 
conforme  pareggiare  gli  eccelsi  pregi  di  Sua  Maestà,  che  ancor  crescente  si  sol- 
leva a  pensieri  tanto  sublimi ,  bisognerebbe  per  contrario,  in  vece  d' abliassarsi, 
innalzar  più  tosto  sé  stesso  a  quel  grado  d'eccellenza,  che  nella  mia  persona  e 
nel  mio  ingegno,  manca  del  tutto.  Per  riparare  adunque  alla  disccnvenevolezza 


4  DEDICAZIONE. 

di  cotale  sproporzione,  io  mi  sono  ingegnalo  di  rìlroTare  un  mezzo  potente,  e 
questo  si  è  introdurre  il  mio  dono  per  la  porta  dei  favore  di  Vostra  Maestà,  anzi 
all'una  ed  all'altra  Maestà  farlo  comune,  acciocché  siccome  ella  è  per  tutti  una 
fontana,  anzi  un  mape,  onde  scaturiscono  agli  altri  l'acque  della  vena  regìa, 
così  sia  per  me  una  miniera,  onde  passando  quelle  del  mio  tributario  ruscello, 
piglino  altro  sapore  e  qualità ,  che  non  dispiaccia  a  gusto  sì  nobile.  E  siccome 
ella  è  fatta  (si  può  dire).  Io  Spirilo  assistente  del  regno  suo,  avendolo  tanto 
tempo  governato  con  sì  giusto  e  provvido  reggimento,  così  si  faccia  anche  II 
Genio  custode  dell'opera  mia,  rendendola  in  virtù  del  suo  glorioso  nome  e 
della  sua  favorevole  autorità  più  cara  e  più  dilettevole.  Veramente ,  che  la  ma- 
dre abbia  a  partecipare  delle  glorie  e  delle  lodi  che  si  danno  al  figlio,  è  dovere 
di  legge  umana  e  divina;  e  che  in  particolare  debba  ella  aver  parte  in  quelle, 
che  si  contengono  in  questo  volume ,  è  cosa  giusta  sì  per  rispetto  suo,  come  per 
rispetto  mio.  Per  rispetto  suo,  poich*  essendo  Vostra  Maestà,  la  terra,  che  ha 
prodotta  sì  bella  pianta,  e  la  pianta ,  che  ha  partorito  sì  nobii  frutto,  si  debbono 
tutti  gli  onori  attribuire  non  meno  a  lei,  come  a  cagione,  che  a  lui,  come  ad 
effetto.  Per  rispetto  mio,  perciocché  essendo  io  sua  fattura,  e  dependendo  tutto 
il  mio  presente  stato  da  lei,  per  la  cui  ufficiosa  bontà  mi  ritrovo  collocato  nel- 
Tatluai  servigio  di  questa  corte,  siccome  dalla  sua  protezione  riconosco  g 
accrescimenti  della  mia  fortuna,  così  mi  sento  tenuto  a  riconoscere  le  ricevute 
cortesie  con  tutti  quegli  ossequj  di  grata  devozione,  che  possono  nascere  dalla 
mia  bassezza.  Oltre  che  per  essere  il  componimento,  ch'io  le  reco,  quasi  un  re- 
gistro delle  sue  opere  magnanime ,  delle  quali  una  parte  (ancorché  minima)  mi 
sono  ingegnato  d'esprimere  in  esso  ;  e  per  avere  io  ridotto  il  suggello,  che  tratta 
(come  per  l'allegorie  si  dimostra)  ad  un  segno  di  moralità  la  maggiore,  che 
per  avventura  si  ritrovi  fra  tutte  Tanliche  favole,  contro  l'opinione  di  coloro, 
che  il  contrario  si  persuadevano,  giudico,  che  ben  si  confaccia  alla  modesta 
gravità  d'una  principessa  tanto  discreta.  Or  piaccia  a  Vostra  Maestà  con  quella 
benignità  Islessa ,  con  cui  si  compiacque  di  farmi  degno  della  sua  buona  grazia, 
accettare  e  far  accettare  la  presente  fatica  ;  onde  si  vegga ,  che  sebbene  il  mio 
ingegno  é  mendico  ed  infecondo,  ed  il  poema,  che  porla,  é  tardo  fruito  della 
sua  sterilità ,  vorrei  pur  almeno  In  qualche  parte  pagar  con  gli  scritti  quel  che 
non  mi  é  possibile  soddisfar  con  le  forze.  Se  ciò  farà  (per  chiudere  il  mio  scrì- 
vere con  l'incominciato  paralello  d'Ercole)  ricevendo  ella  per  sé  stessa,  e  rap* 
presentando  a  Sua  Maestà  composizioni  di  poeta,  come  non  indegne  di  re 
guerriero,  né  disconvenevoli  a  reina  grande,  conseguirà  la  medesima  lode, 
che  conseguì  già  Fulvio,  quando  delle  spoglie  già  conquistale  in  Ambracia 
trasportò  nel  tempio  dello  stesso  Ercole  da  lui  edificato  i  simulacri  delle  Muse. 
E  senza  più  augurando  a  Vostra  Maestà  il  colmo  d'ogni  felicità,  le  inchino  con 
reverenza  la  fronte ,  e  le  sollevo  con  devozione  il  cuore. 

Di  Parigi,  lì  30  giugno  1623. 

Di  Vostra  Maestà 

Umilissimo  e  devotissimo  Servitore 

Il  CAVALiER  MARINO. 


L'ADONE. 


CANTO  PRIMO. 


LA  FORTUNA. 


ALLEGORIA. 

Nella  sferza  di  rose  e  di  spine,  con  cui  Venere  batte  il  figlio,  si  figura  la  qualità 
degli  amorosi  piaceri,  non  giammai  discompagnati  da*  dolori.  In  Amore,  che  com- 
move prima  Apollo,  poi  Vulcano,  e  finalmente  Nettuno,  si  dimostra  quanto  questa 
fiera  passione  sia  potente  per  tutto,  eziandio  negli  animi  de*  Grandi.  In  Adone,  che 
con  la  scorta  della  Fortuna,  dal  paese  di  Arabia  sua  patria,  passa  all'  isola  di  Cipro, 
si  significa  la  gioventù,  che  sotto  il  favore  della  prosperila,  corre  volentieri  agii 
amorì.  Sotto  la  persona  di  Clizio  s' intende  il  slg.  Gio.  Vincenzo  Imperiali ,  gentil- 
uomo genovese  di  belle  lettere,  che  questo  nome  si  ha  appropriato  nelle  sue  poesie. 
Nelle  lodi  delia  vita  pastorale  si  adombra  il  poema  dello  Sfato  Rustico,  dal  mede- 
fimo  leggiadramente  composto. 


AtGOHBUTO. 


PMsa  in  picciol  legnetto  a  Cipro  Adone 
Dalle  sp'.aggie  d' Ai-abia,  ov'egli  nacque. 
Amor  gli  turba  intorno  i  venti  e  l' acque; 
elisio  pastor  V  accoglie  in  sua  magione. 


Io  chiamo  te,  per  cui  si  volge  e  move 
La  più  benigna  e  mansueta  sfera, 
Sanu  madre  d*Amor,  figlia  di  Giove, 
Bella  Dea  d' Amatunia  e  di  Citerà, 
Te,  la  cui  stella,  ond*  ogni  grazia  piove, 
Della  notte  e  del  giorno  è  messaggiera, 
Te,  lo  cui  raggio  lucido  e  fecondo 
Serena  il  cielo  ed  Innamora  il  mondo. 

Tu  dar  puoi  sola  altrui  godere  in  terra 
Di  pacifico  stato  ozio  sereno. 
Per  te  Giano  placato  il  tempio  serra. 
Addolcito  il  furor  tlcn  V  ire  a  freno; 
Poiché  lo  Dio  dell'  armi  e  della  guerra 
Spesso  laol  prigionier  languirti  in  seno, 
E  con  armi  di  gioia  e  di  diletto 
Guerreggia  in  pace,  ed  è  steccato  11  letto. 


Dettami  tu  del  giovinetto  amato 
Le  venture  e  le  glorie  alte  e  superbe; 
Qual  teco  In  prima  visse,  indi  qual  fato 
L*  estinse,  e  tinse  del  suo  sangue  1*  erbe. 
E  tu  m' insegna  del  tuo  cor  piagato 
A  dir  le  pene  dolcebiente  acerbe, 
E  le  dolci  querele,  e  il  dolce  pianto, 
E  tu  de*  cigni  tuoi  m'Impetra  il  canto. 

Ma  mentr'  io  tento  pur.  Diva  cortese, 
D*  ordir  testura  ingiuriosa  agli  anni, 
Prendendo  a  dir  del  foco,  che  t'accese, 
1  pria  si  grati  e  poi  si  gravi  affanni  ; 
Amor  con  grazie  almen  pari  ali*  offiese 
Lievi  mi  presti  a  si  gran  volo  i  vanni  ; 
E  con  la  face  sua  (s*  io  ne  son  degno) 
Dia  quant*  arsura  al  cor,  luce  ali*  ingegno. 


MARINO. 


E  te,  eh'  Adone  istesso,  o  gran  Luigi, 
DI  beltà  vinci,  e  di  splendore  abbagli , 
E  seguendo  ancor  tenero  i  vestigi 
Del  morto  genitor,  quasi  V  agguagli  ; 
Per  cui  suda  Vulcano,  a  eui  Parigi 
Conyjen  che  palme  colga  e  statue  intagli, 
Prego  intanto  m'ascolti,  e  sostien  ch'io 
Intrecci  il  gìglio  tuo  col  lauro  mìo. 

m 

Se  muovo  ad  agguagliar  V  allo  concetto 
La  penna,  che  per  sé  tanto  non  sale, 
Facciol  per  ottener  dal  gran  soggetto 
Col  favor,  che  mi  rrgge,  ed  aure  ed  ale. 
Privo  di  questo,  il  debile  intelletto, 
Ch'  al  ciel  degli  onor  tuoi  volar  non  vale, 
Teme  all'arder  di  sì  lucente  sfera 
Stemprar  l'audace  e  temeraria  cera. 

[avanza 

Ma  quando  queir  ardir,  eh'  or  gli  anni 
Sciogliendo  al  vento  la  paterna  insegna, 
Per  domar  la  superbia  e  la  possanza 
Del  tiranno  crudcl,  che  In  Asia  regna, 
Vinta  col  suo  valor  l'altrui  speranza, 
Fia  che  in  sul  fiore  a  maturar  si  vcgna, 
Allor  con  spada  al  fianco  e  cetra  al  collo 
L'un  di  noi  sarà  Marte  e  T  altro  Apollo. 

C!osl  la  Dea  del  sempre  verde  alloro. 
Parca  immortai  de'  nomi  e  degli  stili, 
Alle  fatiche  mìe  con  fuso  d'oro 
Di  stame  adaniantin  la  vita  fili, 
E  dia  per  fama  a  questo  umil  lavoro 
Viver  fra  le  pregiate  opre  gentili. 
Come  farò,  che  fulminar  tra  l'armi 
S' odan  co'  tuoi  metalli  anco  i  miei  carmi. 

La  donna,  che  dal  mare  li  nome  ha  tolto 
Dove  nacque  la  Dea.  che  adombro  in  carte. 
Quella,  ciie  ben  a  lei  conforme  molto 
Produsse  un  novo  amor  d' un  novo  Marte, 
Quella,  che  tanta  forza  ha  nel  bel  volto, 
Quant'  egli  ebbe  nell'  armi  ardire  ed  arte. 
Forse  m' udrà,  né  sdegnerà  clie  scriva 
Tenerezze  d' amor  penna  lasciva. 

Ombreggia  il  ver  Parnaso,  e  non  rivela 
Gli  alti  misteri  ai  sciuplici  profani. 
Ma  con  scorza  mcntiU  asconde  e  cela 
(Quasi  in  rozzo  Silen)  celesti  arcani. 
Però  dal  vel,  che  tesse  or  la  mia  tela 
In  molli  versi,  e  favolosi  e  vani^ 
Quest/o  senso  verace  altri  raccoglia  : 
Smoderato  piacer  termina  in  doglia. 


Amor  pur  diami,  il  fanciullin  crudele,. 
Giove  di  nova  fiamma  acceso  avca. 
Arse  di  sdegno,  e  '1  cor  d' amaro  fiele 
Sparso,  gelò  la  sua  gelosa  Dea, 
E  incontro  a  lui  con  flebili  querele 
Richiamossi  del  torto  a  Citerea, 
Onde  il  garzon  sovra  l'etade  astuto 
Dalla  materna  man  pianse  battuto. 

Oìmè,  poBsibil  fia,  dlcea  Ciprigna, 
Ch'io  mai  per  te  di  pace  ora  non  abbia? 
Qual  cerasta  più  livida  e  maligna 
Nutre  nel  Nilo  la  deserta  sabbia  ? 
Qual  furia  insana  o  qual  arpia  sanguigna 
Là  negli  antri  di  Stige  ha  tanta  rabbia? 
Dimmi,  quel  tosco,  ond'  ogni  core  appesti. 
Aspe  di  paradiso,  onde  traesti? 

Vuol  tu  più  mal  conlaminar  di  Gtuno 
Le  legittime  gioie  e  i  casti  amori? 
Udrò  di  te  mai  più  rldtiamo  alcuno. 
Ministro  di  follie,  fabbro  d' errori? 
Soilecito  avoltor,  verme  importuno. 
Morbo  de'  sensi ,  ebrietà  de'  cori , 
Di  fraude  nato  e  di  furor  nutrito. 
Omicida  del  senno,  empio  appetito? 

Ira  mi  vlen  di  romperti  quo'  lacci 
E  queir  arco  che  fa  piaghe  si  grandi  ; 
Né  so  chi  mi  ritien  eh'  or  or  non  stracci 
Quante  reti  malvagie  ordisci  e  spandi  ; 
Che  per  sempre  dal  elei  non  ti  discacci , 
Che  in  esilio  perpetuo  io  non  ti  mandi 
Su  i  gioghi  ircaoi  e  tra  le  caspie  selve , 
Arder  villano,  a  saettarle  belve. 

Che  tu  fra  gli  egri  e  languidi  mortali , 
Di  cui  s'odono  ognor  gridi  e  lamenti. 
Semini  colaggiù  martirj  e  mali, 
Con\  ien ,  malgrado  mio,  eh'  io  mi  contenti. 
Ma  soffrirò  che  in  Cicl  vibri  1  tuoi  serali. 
Non  perdonando  alle  beate  genti? 
Che  sostengan  per  te  strazj  si  rei. 
Serpentello  orgoglioso,  anco  gli  Dei  ? 

Che  più?  fin  delle  sielle  il  aommo  Duce 
Questo  malnato  di  sforzar  si  vanta, 
E  spesso  a  stato  tale  anco  il  riduce,  [canta. 
Che  or  in  mandra^or  in  nido,or  mugghia,or 
Un  pestifero  mostro  orbo  di  luce 
Avrà  dunque  fra  noi  baldanca  tanta? 
Un ,  che  la  lingua  ancor  tinta  1»  di  latte,. 
Cotanto  ardisce?  E  ciò  dicendo,  il  balte. 


VAWR&. 


Cmb  fla^eBo  dk  rose  farieme  storte , 

Ch*afc«  grappa  ^  ^P^n^i  <Ua  i^  peroosw, 
E  de'  bel  OMaibri ,  onde  si  dote  forte, 
Fé'  le  vivaci  porpore  più  rosM. 
Tremato  I  peli,  e  ia  steHaia  earte 
A  qnel  fiero  fiagir  tutta  si  mosse. 
Mossesi  ii  Ciel,  cbe  pie  d'Amor  infante 
Teme  ii  furor,  che  di  IKeo  gigaatSc 

Deila  reggia  materna  il  fglio  escilo, 
Con  qneUo  sdegno  aiior  se  n'allontana, 
G>n  cui  sofiar  per  l'arenosa  lite 
Caieata  suol  la  vipera  africana 
0  l'orso  cafemicr,  quando- ferito 
Si  scaglia  faor  della  sassosa  tana 
E  va  fremendo  per  gii  error  più  cnpl 
Delle  valli  lucane  e  deile  rapi. 

Sferzato  e  pien  di  cliipettaaa  dogli» 
Fuggii  piangendo  atta  vicina  sfera. 
Là  dove  doto  di  purpurea  spoglia 
(Gran  Bonarcnde'  tempi)  il  Soie  impera^ 
E  io  su  l'entrar  della  dorata  soglia 
Stella  nanzia  dei  gion»  e  condottienif 
Lucifero  incontrò  che  in  Oriente 
Aprìa  eaa  chiave  d'or  1* nsdo  lacepte. 

E  il  crepuaeolo  seeo  a  poco  a  poco 
Uscito  per  la  lucida  contrada 
Sovra  un  corsier  di  tenebroso  foco. 
Spumante  il  fren  d'ambrosi»  e  di  rugiada. 
Di  firesco  giglio  e  di  vivace  croco, 
Forier  del  bei  mattin,  spargea  la  strada  ; 
E  con  sCerza  di  rose  e  di  viole 
Aflrettava  il  cammino  innanzi  al  Sole» 

La  lidia  luce  ch'in  su  l'aurea  porta 
Aspettava  del  So4  la  prioMi  uscita.. 
Era  di  Citerea  ministra  e  scorta 
D'anorosi*  spieodor  tutta  crinita». 
PcK  varcar  l' ombro  Innami  tempo  sorta. 
GU  la  biga  rotante  asea:  spedita^. 
E  '1  venir  deila  Dea  slava  attendendo ^ 
Quando  iiiicr  pargoiettoentrò  piangendo» 

Blanaa  al  pianger  d'Amor  In  nnttmloa 
Del  m  de'  lumi  ambasciadrlce  stella , 
E  di  pioggia  aagentala  e  cristalHn» 
Rigò  la  fancia  mgiadasa.  e  beMa , 
Onde  di  vive  perle  accolte-  im  brina 
Potè  l'urna-  ooloar  V  Alba  novella^ 
L' Alba ,  che  rasciugò  eoi  vei  vermiglio 
L' onido  raggia  aiiagrinoso  ciglio» 


Ricoverato  al  riecgafbei^o  Amorg 
Trovò,  die  posto  a'  corridori  il  ttorw. 
Gii  s' era  accinto  H  principe  dell'Ore 
Con  la  verga  gemmata  al  novo  corse  ; 
E  i  focosi  deatrìer  slìuffaiìdo  ardore 
L'attere  iube  si  scotean  sti!  dorso, 
E  sdegnosi  d' Indugio,  tt  pavimento 
Fcrian  co'  calci,  e  co'  nitriti  il  vento. 

Sta  quivi  l'Anno  sovra  l'afl  accorto 
Cliesempre  il  fin  col  suo  principio  annoda, 
E  in  forma  d'angue  innanetlato  e  torto 
Morde  l'estremo  alla  volubil  coda; 
E  qnal  Anteo  cadnto  e  poi  risorto 
Cerca  no>-a  materia  ond'  egli  roda; 
Vi  ba  la  serie  de'  mesi  e  i  di  lucenti , 
I  lungbl  e  1  bravi ,  1  fervidi  e  gli  algentL 

L'aurea  corona,  onde  scintilla  II  gioivo, 
Del  Tempo  gli  ponean  le  quattro  iglie. 
Due  schiere  avca  d'alate  anceile  intorno, 
Dodid  brune  e  dodici  vermiglie. 
Mentre  accoppiavan  queste  al  carro  adone 
Gli  aurati  gioghi  e  le  rosate  briglie,  ' 
Gli  occhi  di  foco  il  Sol  rivolse,  e  il  pianto 
Vide  d'Amor,  che  gli  languiva  accanto. 

Era  Apollo  di  Tenere  nemliA^ 
E  tenea  l'odio  ancor  nel  petto  vivo. 
Dacché  lassù  dell' adulterio  antico 
Pubblicò  io  spettacolo  lascivo. 
Quando  accusò  del  talamo  impudico 
Al  fabbro  adusto  II  predator  furtivo, 
E  con  vergogna  invidiata  in  Cielo 
Ai  suoi  dolci  legami  aperse  il  velo. 

Orche  gli  espone  Amor  sua  graTOsalma, 
E  che  sciocchi  dolor,  dice,  son  questi? 
Sci  tu  colui  che  lillgar  la  paima 
In  riva  di  Penco  meco  volesti  7 
Tu,  tumeote  del  mondo,  alma  d'ogni  alÉM, 
Vincitor  de'  mortali  e  de'  celesti , 
Or  con  strato  arrotato  e  face  accesa 
Vendicar  non  ti  sai  di  tanta  oOésaY 

Quanto  fora  il  miglior,  siecomcalllltU) 
Di  lagrime  Infantili  il  volto  or  bagni , 
Volgere  il  duolo  In  ira,  e  il  dardo  ii«Vitlo> 
Aguzzar  nett*  Ingiuria  onde  ti  lagni? 
Facile  con  petto  lacerne  trafitto 
Per  te  pianga  colei  per  cui  tu>  piagni; 
Che ,  se  vorrai ,  non  senaa  gloria  e  none 
Seguiranae  l^eiTétlo;  MOoMacmne: 


MARINO. 


Li  nella  reglon  ricca  e  felice 
D'Arabia  beila,  Adone  il  giovinetto, 
Quasi  competitor  della  fenice, 
Senza  pari  in  beltà ,  \ive  soletto. 
Adon  nato  dlM,  cui  la  nutrice 
Gol  proprio  grnitor  giunse  in  un  ietto; 
Di  lei,  che  yolu  in  pianU,  1  suoi  dolori 
Ancor  distilla  in  iagrimosi  odori. 

Schernì  la  scellerata  il  re  mal  saggio 
Accesa  il  cor  di  sozzo  foco  indegno, 
Ond'  egli  pò!  per  così  grave  oltraggio, 
Quant*ella  già  d'amore,  arse  di  sdegno; 
E  le  convenne  in  loco  ermo  e  selvaggio 
Girne  ad  esporre  il  mal  concetto  pegno  ; 
Pegno  furtivo,  a  cui  la  propria  madre 
Fu  sorella  in  un  punto,  avolo  il  padre. 

Fattezze  mai  si  signorili  e  belle 
Non  vide  l'occhio  mio  lucido  e  chiaro. 
Sventurato  fanciullo,  a  cui  le  stelle 
Prima  il  rigor,  che  lo  splendor  mostrano. 
Gontro  gli  armò  crude  influenze  e  felle 
Ancor  da  lui  non  visto,  il  Cielo  avaro  : 
Poiché  mentre  l' un  sorse  e  l'altra  giacque, 
Al  morir  della  madre  il  Aglio  nacque. 

Qual  trofeo  più  famoso?  e  qual  altronde 
Spoglia  attendi  più  ricca  o  più  superba, 
Se  per  costui  ch'or  prende  a  solcar  l'onde. 
Il  cor  le  ferirai  di  piaga  acerba? 
Dolci  le  piaghe  finn ,  ma  sì  profonde , 
Ch'  arte  non  vi  varrà  di  pietra  o  d'erba. 
Questa  fia  del  tuo  mal  degna  vendetta  ; 
Spirito  di  profezia  così  mi  detta. 

Più  oltre  io  ti  dirò.  Mira  là,  dove 
A  caratteri  egizj  in  note  oscure 
Inlagliati  vedrai  per  man  di  Giove 
1  vaticini  dell'età  future. 
Havvl  quante  il  Destino  al  mondo  piove 
Da'  canali  dei  elei  sorti  e  venture, 
Che  de'  pianeti  al  numero  costrutte. 
Sono  in  SKtte  metalli  incise  tutte. 

Quivi  ciò  che  seguir  deggia  di  questo 
Legger  potrai  quasi  in  vergale  carte. 
Prole  tal  nascerà  dt^l  beli*  innesto 
Che  non  ti  pentirai  d'avervi  parte. 
In  lei ,  pur  come  gemme  in  bei  contesto, 
Saran  tutte  del  Ciel  le  grazie  sparte; 
E  questa  (oh  per  tal  nozze  a  pien  beato  I  ) 
Al  tiranno  dd  mar  promette  11  Fato. 


Se  ciò  farai,  non  pur  n'andrà  In  obblio 
La  memoria  tra  noi  de'  gran  contrasti , 
Ma  tal  premio  n'  avrai  d*  un  doho  mio. 
Che  in  mercè  di  tant' opra  io  vo'  che  basti. 
Lira  nei  mio  Parnaso  aurea  serb'io 
Che  ha  d*  or  le  corde  e  di  rubino  1  tasti. 
Fu  d' Armonia  tua  suora ,  ed  lo  di  lei , 
Con  questa  celebrai  gli  alti  Imenei. 

Questa  fia  tua.  Così  qualor  ti  stai 
Di  cuore  e  d'armi  alleggerito  e  scarco, 
Musico  com'arcier  trattar  potrai 
Il  plettro  a  pardi  me  non  men  che  l'arco  ; 
Che  l'armonia  non  sol  ristora  assai 
Qualunfjue  sia  più  faticoso  incarco; 
Ma  molto  può  co'  numeri  sonori 
Ad  eccitare  ed  incitar  gli  amori. 

Fur  queste  efficacissime  parole 
Folli,  ch'ai  Tolle  cor  soffiaro  orgoglio, 
Ond*  irritato  abbandonò  del  Sole, 
Senza  far  motto,  il  lampeggiante  soglio, 
E  ruinando  dall'eterea  mole 
Invcr  le  piagge  dei  materno  scoglio , 
Corse  coi  tratto  delie  penne  ardenti 
Più  che  vento  leggier  le  vie  de*  venti. 

Come  prodigiosa  acuta  stella. 
Armata  il  volto  di  scintille  e  lampi. 
Fende  dell'  aria ,  orribtl  sì ,  ma  beila 
Passeggiera  lucente ,  i  larghi  campi. 
Mira  il  nocchier  da  questa  riva  e  quella. 
Con  qual  purpureo  pie  la  nebbia  stampi, 
E  con  qual  penna  d'or  scriva  e  disegni 
Le  morti  ai  regi  e  le  radute  ai  regni. 

Così  mentre  ch'Amor  dal  ciel  disceso 
Scorrendo  va  la  region  più  bassa. 
Con  la  face  impugnata  e  l'arco  teso 
Gran  traccia  di  splendor  dietro  si  lassa. 
D' un  solco  ardente  e  d*  auree  fiamme  acce- 
Riga  intorno  le  nubi  ovunque  passa,  [so, 
E  trae  per  lunga  linea  in  ogni  loco 
Striscia  di  luce,  impression  di  foco. 

Su  il  mar  si  caia,  e  slccom'ira  il  punge. 
Sé  stesso  avventa  impetuoso  a  piombo. 
Circonda  I  lidi  quasi  mcrgo,  e  lunge 
Fa  dell'ali  stridenti  udire  il  rombo. 
Né  grifagno  falcon  quando  raggiunge 
Col  fiero  artiglio  il  semplice  colombo 
Fassi  lieto  così,  com'ei  diventa 
Quando  il  leggiadro  Adon  gli  si  presenta. 


L' 

Era  Adon  n«l]*età  chela  fiTella 
Sente  d'Amor  più  rigorosa  e  vira, 
Ed  avea  dispostezia  alla  novella 
Acerbità  degli  anni  intempestiva. 
He  sulle  rose  della  guancia  bella 
Alcun  germoglio  ancor  d*  oro  fioriva  ; 
0  seppur  vi  spuntava  ombra  di  pelo, 
Era  qual  flore  in  prato  o  stella  in  cielo, 


ADONE.  9 

Giunto  alla  sacra  e  gloriosa  riva , 
Che  con  boschi  di  palme  illustra  Idume , 
Dietro  una  cerva  lieve  e  fuggitiva 
Stancando  il  pie,  slccom'^vea  costume. 
Trovò  di  guardia  e  di  govefbo  priva, 
Ritratta  in  secco  appo  le  salse  spume 
Da*  pescatori  abbandonala ,  e  carci 
D'ogni  arredo  marin ,  picclola  barca. 


In  blonde  anella  di  fin  or  lucente 
Tutto  si  torce  e  si  rincrespa  il  crine. 
Dell*  ampia  fronte  in  maestà  ridente 
Sotto  gli  sorge  il  candido  confine. 
Un  dolce  minio ,  un  dolce  foco  ardente 
Sparso  tra  vivo  latte  e  vive  biine , 
GII  tinge  il  viso  in  quel  rossor  che  suole 
Prender  la  rosa  infra  1*  Aurora  e  il  Sole. 

Ma  chi  ritrar  dell'uno  e  l' altro  ciglio 
Può  le  due  stelle  lucide,  serene? 
Chi  delle  dolci  labbra  il  bel  vermìglio. 
Che  di  vivi  tesor  son  ricche  e  piene? 
0  qual  candor  d'avorio,  o qual  di  gìglio 
La  gola  pareggiar,  eh'  erge  e  sostiene 
Quasi  colonna  adamantina,  accolto 
Un  del  di  meraviglie  in  quel  bel  volto  ? 

Qualor  feroce  e  faretrato  arciero 
Di  quadrella  pungenti  armato  e  carco 
Affronta  o  segue  in  un  leggiadro  e  fiero, 
0  fere  attende  fuggitive  ai  varco, 
E  In  atto  dolce  cacciator  guerriero. 
Saettando  la  morte  incurva  l'arco. 
Somiglia  in  tutto  Amor,  se  non  che  solo 
Mancano  a  farlo  tale  U  velo  e  '1  volo. 

Egli  tanto  tesoro  In  lui  raccolto 
Di  natura  e  d' amor  par  che  abbia  a  vile, 
E  cerca  del  bel  ciglio  e  del  bel  volto 
Turbar  il  Sole,  inorridir  l'aprile. 
Ma  minacci  cruccioso  o  vada  incolto  « 
Esser  però  non  sa  se  non  gentile; 
E  rustico  quantunque  e  sdcgnosetto,  [to. 
Convlen  pur  eh'  altrui  piaccia  a  suo  dlspet- 

Or  mentre  per  I* arabiche  foreste, 
DoT'ei  nacque  e  menò  l'età  primiera, 
L'orme  segula  per  quelle  macchie  e  queste 
D'alcuna  vaga  e  tlmldetta  fera, 
Errore  il  trasse,  oppur  destìn  celeste , 
Dalla  terra  deserta  alla  costiera , 
Colà  dove  fa  lido  alla  marina 
Del  lembo  ultimo  suo  la  Palestina. 


Ed  ecco  varia  d'abito  e  di  volto 
Strania  donna  venir  vede  per  l' onde, 
Ch'  ha  sulla  fronte  il  biondo  crine  accolto 
Tutto  in  un  globo,  e  quei  eh'  è  calvo  ascon- 
Vermiglio  e  bianco  ilvestimento  sciolto[de 
Con  lieve  tremolio  l'aura  confonde. 
Lubrico  è  li  lembo,  e  quasi  un  aer  vano. 
Che  sempre  a  chi  lo  stringe  esce  di  mano. 

Nell'ampio  grembo  ha  della  copia  11  cor- 
fi  nella  destra  una  volubil  palla.        [no, 
Fugge  ratto  sovente ,  e  fa  ritomo 
Per  le  liquide  vie  scherzando  a  galla. 
Alato  ha  il  piede ,  e  più  leggiera  Intorno 
Che  foglia  al  vento,  si  raggira  e  baila  ; 
E  mentre  move  al  bailo  il  pie  veloce, 
In  si  fatto  cantar  scioglie  la  voce  : 

Chi  cerca  in  terra  divenir  beato , 
Goder  tesori  e  possedere  imperì , 
Stenda  la  destra  In  questo  crine  aurato , 
Ma  non  indugi  a  cogliere  I  piaceri  ; 
Che  se  si  muta  poi  stagione  e  stato. 
Perduto  ben  di  racquistar  non  sperì. 
Così  cangia  tenor  i*Orbe  rotante , 
Neil'  incosunza  sua  sempre  costante. 

Cosi  cantava,  Indi  arrestando  il  canto. 
Con  lieto  sguardo  al  bel  garzone  arrise , 
Ed  allo  scoglio  avvicinata  intanto 
Spalmò  quellegno  e  in  sul  timon  s'assise  : 
Adon ,  seguimi ,  disse ,  e  vedrai  quanto 
Cortese  stella  al  nascer  tuo  promise. 
Prendi  la  treccia  d' orche  in  man  ti  porgo. 
Né  temer  di  venirne  ov'  io  li  scorgo. 

Benché  volgare  opinione  antica 
Mi  stimi  un  idol  falso,  un'  ombra  vana , 
E  cieca  e  stolta ,  e  di  virtù  nemica 
M*  appelli,  Instabil  sempre,  e  sempre  Insa- 
E  tiranna  impotente  altri  mi  dica,  [na; 
Vinta  talor  dalla  prudenza  umana  ; 
Pur  son  fata ,  e  son  diva ,  e  son  relna , 
M'ubbidisce  Natura,  Il  Ciel  m'inchina. 


10  -  ìixmvùi 

Chi  unquAAAioreo  Marte  Magvlr  pceade, 
Convieq  che  il  nome  mio  celebri  e  cliiami. 
Chi  solca  r  acqua  «  e  chi  la  ten^feaUo , 
0  8*  alcun  v'  ha ,  che  onore  e  gloria  brami  « 
Porge  pregili  al  mio^'u^lee  voti  apfiende. 
Ed  io  dispenso  altrui  scettri  e  reami. 
Toglier  posso  e  donar  tutto  ad  un  cenno, 
E  quanto  è  sotto  il  Sol  reggo  a  «io  senno. 

Me  dunque  adora,  e  io  su  r  eccelsa  cima 
Della  mia  rota  asconderai  di  corto. 
Per  me  nel  trono,  onde  ti  trasse  in  prima 
L'empio  inganno  materno,  or  sarai  scorto; 
Sol  che  poi  dove  il  Fato  or  ti  sublima 
Sappi  nel  conservarti  essere  accorto  ; 
Che  spesso  suol  con  preveder  periglio 
Romper  Fortuna  rea  cauto  consiglio. 


Tace  ciò  detto,  ed  egli  vago  allora 
Di  costeggiar  quel  dilettoso  loco , 
Entra  nellegiM>,  e  dell'angusta  prora, 
I  due  rami  a  trattar  prejuie  per  gioco. 
Ed  ecco  al  sospirar  d' agcvol  ora 
S'allontana  l'arena  a  poco  a  poco, 
Sicché  menlr  ei  dal  mar  si  volge  ad  essa, 
Par  che  navighi  ancor  la  terra  isiessa. 

Scorrendo  va  piacevolmente  il  lido, 
Mentr'è  placido  e  piano  li  molle  argento, 
E  da  principio  del  suo  patrio  nido 
Rade  la  riva  a  passo  tardo  e  lento. 
Indi  airinslabil  fé  del  flutto  infido, 
Sé  ^stesso  crede ,  e  si  commette  al  vento 
Lunge  di  la  dove  a  morir  va  l' onda , 
E  con  roco  latrar  morde  la  sponda. 

Tragparean  si  le  belle  spiaggie  ondose, 
Che  si  potean  dell'  umide  spelonche 
Nelle  profonde  viscere  arenose 
Ad  una  ad  una  annoverar  le  conche, 
Zeffirl  destri  al  volo,  auiy$  vezzose 
L'  ali  scotcan ,  ma  tosto  lor  fur  tronche, 
li  mar  cangiossi ,  il  Ciel  ruppe  la  fede: 
0  malcauto  colui  ch'ai  venti  credei 

0  stolto  quanto  industre,  o  troppo  au* 
Fabbro  prjmier  dei  temerani0  legno,  [dace 
Che  osasti  la  tranquilla  antica  pace 
Romper  del  crudo  e  prooeJioeo  regno  1 
Più  che  aspro  scoglio  e  più  che  mar  vera* 
Rigido  avesti  il  cor,  fiero  l' iiigegao,     [co 
Quando  sprezzando  l' io^poto  marino^, 
Gisti  a  sfidar  la  morie  la  fragil  pÌ9fh 


Per  far  uiMJtgigÌ«ir»Ma  v«iìiI«U« 
Amor  fu  solo  autor  di  si  gran  molo.. 
Amor  fu ,  oli'  a  pugnar  con  tanta  fr«tt» 
Trasse  turUiU  e  nembi  ^  Affrico  e  Nóto« 
Ma  della  stanca  e  miaera  bardietta 
Fu  senipr'egli  il  poppiero^  egli  il  pilolo,. 
Fece  vela  del  vel,  vento  con  l'aii, 
E  fur  r  arco  tlmon ,  remi  gli  strali. 

Dalla  madre  fuggendo  iva  il  figliuolo 
Quasi  bandito  e  contumace  intorno. 
Perchè,  com'io  dicea,  vinto  dal  duolo 
Di  fanciullesca  stizza  arse  e  di  scorna , 
Né  perchè  poscia  il  richiamasse,  il  volo 
Fermar  volse  giammai,  né  far  ritorno; 
E  in  tal  dispetto ,  in  tant*  orgoglio  salse , 
Che  di  vezzo ,  o  pregar  nulla  gli  calse. 

Per  gli  spazi  sen  già  dell'  arb  molle 
Sriocchoggiando  con  l' aure  Amor  volante, 
E  dettava  talor  rabbioso  e  Còlle 
Tragiche  rime  a  più  d'un  mesto  amante. 
Talor  luns;o  un  ruscello ,  o  so>ra  un  colle 
Piegava  1*  .di  e  raccoglica  le  piante , 
E  dovunque  ne  giva  il  supcrbctto 
Rubava  un  core,  o  trapassava  un  petto. 

Non  é  questo  Io  strai  possente  e  fiero. 
Ch'ai  Hetlor  delle  stelle  il  fianco  olTese? 
Per  cui  più  volte  dal  celeste  impero 
L'aureo  scettro  deposto,  in  terra  scese? 
Quel  eh'  al  quinto  del  ciel  Nume  guerriero 
Spezzò,  passò  l'adamantino  arnese? 
Quel  che  punse  in  Tessaglia  il  biondo  Dio, 
Superbo  sprezzator  dei  valor  mio? 

Questa  la  face  è  pur,  cui  sola  adora 
(Non  che  la  terra  eli  Ciel)  Stige  e  Cocito; 
Cile  strugger  fé*,  che  fé'  languir  talora 
11  signor  delle  fiamme  incenerito. 
Quella ,  da  cui  non  si  difese  ancora 
Di  Teli  11  freddo  ed  umido  mari  tot 
Che  tra  gelidi  umori  infiamma  i  fonti , 
Tra  l' ombre  i  boschi,  e  tra  le  nevi  ì  monti. 

Ed  or  costei,  da  cui  con  blasmo  eterno 
Miir  onte  gravi  io  mi  sofferai  e  tacqui, 
Perché  dee  le  mio  forae  aver  a  sohemOi, 
Sebbcn  dai  ventre  suoconcettoio  naoqnit 
Dunque  andri  da  qne'  lacci  il  cor  materno 
Libero  a  cui  (non  eh'  altri)  anch'  io  soggiao* 

[qui? 
Arse  per  Marte,  è  ver;  ma  questo  è  poco« 
Lieve  plaga  fu  quella,  •  dsbiLli»Qib 


n 


yo^^'P^toH^  ai  coHMiìUpiinaiioo.) 
Si  vedrai  cè.'eUa.|siaiMM  imrìorHdt} 
La  vipera crudel  cbe  leapre.U,fianQ9» 
Degg*  hi.fleaipre  ononau  cbhpiù  m'imta? 
Fon««per:  tcoia  il  mio  valor  vìm  mmeo? 
NoiBO.,  segua  clie  può«  Goti  cU«eiL 
L'impiMal»a  figiluQl  di  Cilena., 

Moitet  chequiacl  e  quIadivOriMuaft^or 
VoUe  riffoia  il  predator  fellooe,     [alto, 
Cone  prìma  loiilaii  dal  verde  snalio 
Yed»  ia  picciol  Legneli»  il  vago  Adone  ; 
SubitaBMnie  al  disegnato  aasaibo 
L'amù  apparecchia  e  raaiUno  dispone  ; 
E  tutto  ioAeso  a  tribolarla  madre , 
Vasseodia  Leuno  alla  magloa  del  padre* 

Malia  fiiligiiiosa»  atra  fucina^ 
Dove  il  aoppo  Vuican  suo  genitore 
De*  Numi  eterni  i  varj  arnesi  aOaa 
Tinto  di  fumo  e  molle  di  sudore^ 
Entra  per  fabbricar  tempra  divina 
D*  un  aureo  strale,  imperioso  Amore; 
Slral,  eh*  efficace  e  penetrante  e  forte 
Possa  un  petto  immortal  ferire  a  morte» 

Libero  1*  uscio  al  cieco  arderò  aperso 
La  gran  ferriera  del  dlviiìo  artista  ^ 
Parte  di  gii  polite  opre  diverse  « 
Parte  imperfette  ancor,  confusa  e  mista. 
Colà  lan  l'armi  lampeggianti  e  terso 
(Dd  celeste  guerrier  superba  vista). 
Qui  la  folgor  flaumieggia  alala  e  rossa 
Del  gran  Fuiminator  d' Olimpo  e  d' Ossa* 

Vi  è  di  Pallade  ancor  lo  sondo  e  l' asU, 
11  rasteUo  di  Cerere  e  il  bidente; 
L'acuto  spiedo  di  Diana  casta^ 
La  grosaa  mazza  d'Ercole  poiseHiA, 
La  falce,  oode  Saturno  U  iMtlo  guasta^ 
L*arco,  ood' Apollo  uocise  ilflor  serpentei 
Dt  Nettnno  il  tcallero,  o  di  Mutom 
Gas  duopuaiad'  aedaio  haién  il  fiMxone^ 

Le  trombe  vlha^  eon  cuè  volando  suona 
laEamn^^gUailnd  faUiorMaama  or  loda, 
VI  hai  ceppi,  ira'eui  ferri  Gololniprigiiona 

I  Venti  insani ,  e  le  Tempeste  ineldodn. 
Vfrèa  le  catene,  onde  lalor  Bellona. 

II  Furor  lega,  e  la  Diecoadia  annoda.. 
Evi  baie  chiavi,  ondo  n  dar  piceo  guerra 
Ciano  iLgranteBipln  ti»  strato  dlawcau 


Prawo  altfooon-d^nM%nnaHinl 
;  Travagliai  il<nero.fabbra.entr4^  la  «gipHa» 
Più  d'unrcalloJula manforte  erobuslDn 
Alle  fatiche  esorcUala  e  dotta* 
Rugginosa  la. fronte,  il. volto. adu|s^(^« 
Crespa  la  pelle  od  abbronzata  e  cott^^ 
Sparso,  il  grembial  di  mille  avanzi  e  mi^e 
Di  limatuns^  e  ceneri,,  e  faville. 

QnandaegU  scorge  il  nudo  paigoletto^ 
La  forbice  e  il  martol  lascia,  e  sospenda, 
E  curvo«  e  chino  entro  il  lanoso  pot^o 
Con-  uftriso  villan  da  terra  il  prende« 
Tra  le  ruvide  braccia  avvinto  e  stretto 
L*  ispido  labbro  per  baciarlo  stende  ^ 
E  la  sudicia  barba  ed  iucompos^ 
Al  molle  viso  e.  delicato  a.ccostJ^ 

ìfa  mentre  cb*egU  raecarezaa  ostring^ 
Raccolto  in  braccio  con  paterna  zelo, 
Amor,  perchè  baciando  il  punge  e  tii^ge» 
La  faccia  arretra  dall'  irsuto  pdo , 
E  con  quel  sozzo  iiu ,  che  il  seu  gli  cinge. 
Per  non  macchiarsi  di  carbone  il  vdo , 
Air  aspra  guancia  d' una  in  altra  ruga, 
Dell' immondo  sudor  le  sUUe  asciuga. 

Padre,  dalla  tua  man,  poscia  gli  dice, 
Voglio  or  or  sopraffina  una  saetta , 
Che  fia  de'  torti  tuoi  vendicatrice, 
Lascia  la  cura  a  me  della  vendetta» 
11  come  appalesar  né  \o\  né  lice , 
Basti  soltanto  «  spacciali,  cbè  ho  fretta. 
Non  porta  indugio  il  caso,  al  tro  or  non  puoi 
Da  me  sapi  r,  i'  bilcnUcrai  ben  poi. 

Il  quadrel,  eh'  lo  ti  chicggio,  esser  con- 
Dl  perfetto  artificio,  e  ben  condotto,  [viene 
Cli'  esserne  fin  nelle  più  inLerne  vene 
Deve  un  petto  di\in  forato  e  rotto. 
Se  usò  mal  sforzo  ad  impiegar  si  bene 
Il  tuo  braccio,  lituo  senno  esperto  e  dotto. 
Fa ,  prego ,  Ui  cosa  o\ *  lui  tanto  Uteresse, 
Del  gran  saper  le  meia^iglie  espresse. 

Starò  qui  tcco  a  ministrarti  intento 
Sotto  la  rocca  dd  canimin,  che  fuma  ; 
Acciocché- U  foco  non  rimanga  spento^ 
Mantice  ti  farò  deli'  aurea  piuma. 
E  s'egli  avverrà  pur,  che  mai.clii  il  vento 
Al  folle,  che  l'accende,  a  che  l'alluma, 
Prometto.accumulnr  tea  questi  ardori 
In.nAsol|ia  1  sospir  di  mille  cori 


tt 


MARINO. 


non  pon  Vulcano  in  qtiell'  affar  dimora, 
Ma  sceglie  la  miglior  tra  cento  zolle, 
E  pria  che  In  su  1*  incudine  sonora 
1^  la  castiglii ,  al  Tocolar  la  liolle  ; 
E  non  la  batte,  e  non  la  tratta  ancora 
Flncliè  ben  non  rosseggia,  e  non  tIcd 
IHvenuta  poi  tenera  e  vermiglia,  [molle. 
Con  la  inorsa  tenace  ei  la  ripiglia. 

Amor  presente  ed  assistente  all'  opra 
Come  l'abbia  a  temprar,  come  l' aguzzi 
Gli  mostra,  acciocché  poi  quando  l'adopra 
Non  si  rompa,  o  si  pieglii,  o  si  rintuzzi  ; 
E  di  sua  propria  man  vi  sparge  sopra 
Dell'umor  d*un' ampolla  alquanti  spruzzi, 
Piena  di  stille  di  dogliosi  pianti 
Di  sfortunati  e  disperati  amanti. 

Mentr'  è  caldo  il  metallo,  i  tre  fratelli. 
Che  un  sol  occhio  hanno  in  fronte,  e  son  gi- 
Con  vicende  di  tuoni  i  gran  martelli  [ganti, 
Muovono  a  grandinar  botte  pesanti  ; 
E  il  dotto  mastro  al  martellar  di  quelli, 
Che  fan  tremar  le  volte  arse  e  fumanti, 
Per  dar  effetto  a  quel  che  ha  nel  disegno, 
Pon  gli  stromenti  in  opera  e  V  ingegno. 

Tostochè  il  ferro  è  raffreddato,  in  prima 
Sbozza  il  suo  lavorio  rozzo  ed  informe, 
Poi  sotto  più  sottil  minuta  lima 
Con  industria  maggior  gli  dà  le  forme  ; 
L' arrota  intorno,  e  lo  forbisce  In  cima. 
Applicando  al  pcnsicr  studio  conforme. 
Col  fuoco  alfin  1*  indora  e  col  mordente, 
E  fa  1*  acciaio  e  l'or  terso  e  lucente. 

Polche  l'egregio  artefice  allo  strale 
Per  tutto  il  liscio  e  II  lustro  ha  dato  appieno, 
N'  arma  il  fanciullo  un' asticcluola  frale. 
Ma  che  trafigge  ogni  più  duro  seno. 
Ci'  impenna  il  calce  di  due  piccini  ale 
E  il  tinge  di  dolcissimo  veleno  ; 
E  tutto  pien  d' una  superbia  stolta 
Pon  la  caverna  e  i  lavoranti  in  volta. 

Va  della  Dea,  che  generaro  1  flutti , 
Il  baldanzoso  e  temerario  figlio 
Spiando  intorno,  e  i  ferramenti  tutti 
Della  scola  fabbri!  mette  in  scompiglio. 
Or  de'  Ciclopi  mostruosi  e  brutti 
La  difforme  pupilla  e  II  vasto  ciglio, 
Or  il  cotto  tatlon  del  pie  paterno 
Prende  con  rìsi  e  con  dispreazi  a  scherno. 


Veggendo  alternamente  arsicci  e  neri 
Pestar  ferro  con  ferro  i  tre  gran  mostri , 
Troppo  son,  dice,  del>oIi  e  leggieri 
A  librar  le  percosse  1  polsi  vostri. 
Omai  con  colpi  assai  più  forti  e  fieri 
Questa  mano  a  ferir  v'insegni  e  mostri. 
Impari  ognun  dalla  mìa  man,  che  spezza 
Qualunque  di  diamante  aspra  durezza. 

Volto  a  colui,  che  ha  fabbricato  li  telo. 
Soggiunge  poscia  :  In  questa  tua  fornace 
Le  fiamme  son  più  gelide  che  gelo  : 
Altro  ardor  più  cocente  ha  la  mia  face. 
Tolto  indi  in  mano  il  fulmine  del  Cielo, 
E  sciolto  il  freno  all'insolenza  audace, 
In  cotal  guisa,  mentre  il  vibra  e  move, 
Prende  le  forze  a  beffeggiar  di  Giove. 

Deh  quanto,  oTonator,  che  dalle  stelle 
Fai  sdegnoso  scoppiar  le  nubi  orrende, 
Più  della  tua,  che  a  spaventar  Babelle 
Dal  ciel  con  fiero  strepito  discende. 
Atta  sola  a  domar  genti  rubelle 
Senza  rumor  la  mia  saetta  offende. 
Tu  de'  monti,  io  de* cori  abblam  le  palme, 
L'  una  fulmina  i  corpi  e  l'altra  l'alme. 

Depon  r  arme  tonante,  e  ricercando 
Di  qua  di  là  T affumicato  albergo. 
Trova  di  Marte  li  minaccioso  brando, 
11  fin  brocchier,  V  avantaggiató  usbergo. 
Or  la  prova  vedrem,  dice  scherzando, 
Se  a  difender  son  buoni  li  fianco  e  il  tergo. 
Lo  strale  in  questa  uscir  dall'  arco  lassa, 
Falsa  lo  scudo,  e  la  lorica  passa. 

Di  s)  fatte  follie  sorridea  seco 
Lo  Dio  distorto,  che  il  mirava  intanto. 
Tu  rìdi,  disseti  faretiato  cieco, 
Né  sai,  che  l'altrui  risolo  cangio  in  pianto» 
E  più  che  la  fumea  di  questo  speco 
Farli  d' angoscia  lacrimar  mi  vanto. 
Ciò  detto  al  gran  Nettun  vola  leggiero,  [ro. 
Che  nel  mondo  dell'acque  ha  sommo  Impe- 

Velocemenle  a  Tenaro  sen  viene, 
E  l'aria  scossa  al  suo  volar  fiammeggia. 
Abitator  delle  più  basse  arene 
Quivi  ha  Nettun  la  cristallina  reggia. 
Che  dall'  umor,  di  cui  le  sponde  ha  piene 
Battuta  sempre  e  flagellata  ondeggia. 
Rende  dagli  antri  cavi  eco  profonda 
Rauco  muggito  alio  sferzar  dell'  onda. 


L'ADONE. 


13 


All'  arilTo  d'Amor  da  cupi  fonti  [ca. 
Sgorga,  e  crespo  di  spuma  11  mar  s*  imbian- 
Qttincl  e  quindi  gli  estremi  In  duo  gran  mon- 
Sospendee  inmezzosldivideemanca;  [U 
E  scoperti  del  fondo  asciutti  i  ponti. 
Del  gran  palagio  I  cardini  spalanca. 
Passa  ei  nel  regno,  ove  la  madre  nacque. 
Patria  de' pesci  e  region  dell'  acque. 

Passa,  e  sen  va  tra  1*  una  e  l' altra  roccia 
Quasi  per  stretta  e  discoscesa  valle. 
L'onda  noi  bagna,  e  11  mar  non  cbe  gli  noe- 
Ritira  Indietro  il  pie,  volge  le  spaile,  [eia, 
Filano  acuto  gelo  a  goccia  a  goccia 
Ambe  le  rupi  del  profondo  calle, 
E  tra  questo  e  quell'argine  pendente 
Appena  ei  scorger  può  l' aria  lucente. 

Né  già,  mentre  varcava  i  calli  ondosi, 
La  faretra  o  la  face  in  ozio  teme, 
Ma  con  acuti  stimoli  amorosi 
Faville  e  piaghe  a  seminar  vi  venne  s 
E  laddove  dell'acqua  augei  squamosi 
Spiegano  i  pesci  l' argentate  penne. 
Tra  gr  infiniti  eserciti  guizzanti 
Sparse  miU'escbe  di  sospiri  e  pianti. 

Strana  di  quella  casa  è  la  struttura, 
Strano  11  lavoro  e  strano  è  l'ornamento. 
Ha  di  ruvidi  pomici  le  mura , 
E  di  tenere  sj)ugne  il  pavimento. 
Di  lubrico  zaffiro  è  la  scultura 
Della  scala  maggior,  i' uscio  è  d'argento. 
Variato  di  pietre  e  di  conchiglie 
Azzurre,  e  verdi,  e  candide,  e  vermiglie. 

NeiF  antro  Istesso  è  la  maglon  di  Teti, 
E  gran  famiglia  di  Nereidl  ha  seco, 
Che  In  vaij  uffici  ed  esercizi  lieti 
Occupate  si  sian  nel  cavo  speco. 
Queste  con  passi  incogniti  e  secreti , 
E  per  sentier  caliginoso  e  cieco 
Van  dell'arida  terra  irrlgatrici 
A  nutrir  piante  e  fiori,  erbe  e  radici. 

Intorno  e  dentro  all'umida  spelonca    ' 
Chi  danzando  di  lor  le  piante  vibra,[conca. 
Chi  sceglie  o  gemma  In  sabbia,  o  perla  In 
Chi  fila  l'oro,  e  clii  l'affina  o  cribra  ; 
Qnal  de* germi  purpurei  1  rami  tronca, 
Qnal  degli  ostri  sanguigni  I  pesi  librai 
E  sotto  U  pie  d' Amor  v'ha  molte  Ninfe, 
Che  vaa  di  onisco  ad  infiorar  le  linfe. 


*      Belle  aon  tutte  si,  ma  differenti  : 
Altra  ceruleo,  ed  altra  ha  verde  U  crine. 
Altra  r  accoglie,  altra  lo  scioglie  ai  venti. 
Altra  intrecciando  11  >*a  d' alghe  marine  ; 
E  di  manti  diafani  e  lucenti 
Veian  le  membra  pure  e  cristalline. 
Simili  al  viso,  ed  agili  e  leggiadre 
Mostran  che  figlie son  d'un  stesso  padre. 

Pasce  Proteo  pastor  mandra  di  foche , 
Orche,  pistrl,  balene  ed  altri  mostri , 
Delle  cui  voci  mormoranti  e  roche 
Fremon  per  tutto  i  cavernosi  chiostri  ; 
E  le  guarda  e  le  conta,  e  non  son  poche, 
E  scagliose  han  le  terga,  e  curvi  I  rostri. 
Glauchi  ha  gli  occhi  lo  Dio,cllestro  II  volto, 
E  di  teneri  giunchi  il  crine  involto. 


Giunto  alla  vasta  e  spaziosa  corte 
Stupisce  Amor  da  tutti  quanti  1  lati  : 
Polche  per  cento  vie,  per  cento  porte   * 
Cento  vi  scorge  entrar  fiumi  onorati , 
Che  quindi  poi  con  piante  oblique  e  torte 
Tornan  per  invisibili  meati 
Fuor  del  gran  sen,  che  gli  concepe  e  serra, 
Con  chiare  vene  ad  innaffiar  la  terra. 

Vede  l'Eufrate  dlvlsor  del  mondo , 
Che  i  bei  cristalli  suoi  rompendo  piange. 
Vede  l'originai  fonte  profondo 
Del  Mi,  che  il  mar  con  sette  bocche  frange. 
E  vede  in  letto  rilucente  e  biondo 
Del  più  fino  metal  corcarsi  il  Gange , 
11  Gange,  onde  trae  l'or,  di  cui  si  suole 
Vestir  quand*  esce  In  sul  matthio  il  Sole. 

Vede  pallido  li  Tago  in  su  la  riva. 
Non  mcn  ricchi  sputar  vomiti  d' oro  ; 
E  trar  groppi  di  gel  neli'  onda  viva 
li  Reno,  r  Istro,  e  il  Rodano  sonoro. 
Di  salce  il  Mincio,  l'Adige  d'oliva, 
L'Arno  al  par  dei  Peneo  cinto  d'alloro, 
Di  pampini  il  Meandro,  ed' edre  l'Ebro, 
E  d'auree  palme  incoronato  il  Tebro. 

Vede  di  verdi  pioppo  ombrar  le  corna 
L' Eridano  superbo  e  trionfale , 
Ch'  ove  il  rettor  del  pelago  soggiorna 
Vien  dall'  Alpi  a  votar  l'urna  reale; 
E  mercè  de' suol  duci,  11  ciglio  adoma 
DI  splendor  glorioso  ed  immortale; 
Onde  quel  eh' è  nel  ciel  di  lume  agguaglia, 
E  con  fronte  di  Luna  II  Sole  abbaglia. 


14 


ìAàxamL 


Poi  di  grifi»  ntaor  ne  veés-  mpUit 
Che  con  rvmi  divisi  in  varie  parti 
Per  i*  Italia  ieUce  errano  scioiti 
Dei  gran  padre  Appennin  concetti  eparti. 
E  quai  di  canna,  e  quai  di  mirto  aTvoitt 
Le  tempie,  e  guai  di  rosa  ornati  e  sparti, 
Somniinìstranconracque  in  lunga  schiera 
Sempiterno  alinìciito  a  pi  imavera* 

Tra  questi  yumii  iieliuol  del  l>el  Tirreno, 
Il  mio  Sel>eto  ancor  i*  acque  confonde  : 
Picciolo  si,  ma  di  delizie  pieno. 
Quanto  ricco  d*  OHor,  povero  d*  onde. 
Giriti  intorno  il  ciel  sempre  sereno. 
Nò  sfiori  aspra  stagion  le  belle  sponde. 
Né  mai  la  luce  dei  tuo  vivo  argento 
Turbi  con  sozzo  pie  fetido  armento* 

Giacque  in  te  la  Sirena,  e  per  te  poi 
Sorger  viriude,  e  fiorir  gloria  io  veggio. 
Trono  di  Giove,  e  di  pregiati  eroi 
Felice  albergo  e  fortunato  seggio; 
Dolce  mio  porto,  agli  abitanti  tuoi ,  f  gio, 
Ne' cui  pel  ti  ho  il  mio  nido,  eterno  io  deg- 
Padre  di  cìkiìì,  e  lor  ri  covro  eietto, 
E  de'  fralelli  miei  fido  ricetto. 

Con  questi  encomj  affettuosi  Amoro 
Dei  patrio  fiume  mio  le  lodi  spande, 
Che  il  riconosce  al  limpido  splendore, 
Che  fra  mili'  altri  è  segnalato  e  grande  ^ 
E  de'  cedri  fioriti  al  grato  odore. 
Di  cui  s' intesse  al  crin  verdi  ghirlande^ 
Intanto  nella  gelida  caverna , 
Dove  siede  Nettuno,  i  passi  interni» 

Seggio  di  terso  orientai  cristalio 
Preme  de'  flutti  il  regnator  canuto^ 
Che  da  colonne  d' oro  e  di  corallo 
Con  basi  di  diamante  è  sostenuto* 
E  chi  d'  una  tealudine  a  cavallo , 
Chi  d'un  deifin^  ciii  d' un  vi  tei  cornuto, 
Cento  aJtri  Dei  n>inor.  Numi  vuigari. 
Cedono  a  lui  la  monarchia  de' mari* 

Non  pensar  ohe  |>er  ira«  Amor  gli  disse, 
Gran  padre  delle  cose,  a  te  ne  vegna  ; 
Che  non  può  Dio  di  pace  amarle  risse,. 
E  nel  petto  d'Amore  odio  non  regnc; 
Ma  perchè  nuovamente  il  Ciel  prefisse 
Impresa  all' arco  mio  nobile  e  degtta» 
Per  render  l' opra  agevole  e  spedita. 
Di  contese  favor  ti  chieggie  alta* 


Tiivedillk,  dvvft  di  Siria  siede 
La  spiaggiaestreroa,  die  eoi  oyv  confiate 
Vago  fanctul  del  mio  bei  regno  erede- 
Col  -remo  esercitar  i'  onda  <  marina* 
Questo, diedi  l>eileszaogni  altro  eccede,. 
Alla  mia  i>elia  madre  it  Cl(4desUnav 
Onde  frutto  uscir  dee  di  Mtà  tantsi,. 
Che  sia  simile  in  tutto  alia  saa  pianta. 

Se  deriva* da  te  l'originmia. 
Se  a  chi  mi  generò  desti  la  cuna, 
Se  il  tuo  desir,  quando  d'amor  languia.. 
Ottenne  unqua  da  me  dolcezza  alcuna, 
Acciocch'  io  possa  per  più  facil  viat 
Condurlo  a  posseder  tanta  fortuna, 
Mercè  di  quanto  feci,  o  a  far  mi  resta. 
Siavi  nel  regno  tuo  breve  tempesta* 

Di  questa  Immensa  tua  liquida  sfera 
Turbar  la  beila  e  placida  quiete 
Piacciati  tanto  sol,  eh*  innanzi  sera 
Venga  Adone  a  cader  nella  mia  rete. 
E  Pia  tutto  a  suo  prò,  perchè  non  pera 
Sì  ricca  merce  io  mai  sicuro  alicte, 
11  cui  navigio  con  incerta  legge 
Piùiltimorclie  il  timon governa  e  regge; 

Sai  che  quando  Ciprigna  in  novi  amori 
Occupata  non  è,  come  ha  per  uso , 
Usurpando  a  Hinerva  i  suoi  lavori 
Non  sa,  se  non  trattar  la  spola,  o  il  fosOf 
Onde  inntil  letargo  opprime  i  cori  , 
Torpe  spento  il  mio  foco,  il  dardo  ottuso. 
Manca  il  seme  alla  vita,  ed  infecondo 
A  riscliio  va  di  spopolarsi  il  mondo. 

Oltre  queste  cagion,  per  cui  dorrei 
Impetrar  quaich' efletto  alle  mie  voci. 
Dee  r  util  proprio  almeno  a' preghi  miei 
Far  più  le  voglio  tue  pronto  e  veiool. 
Da  questt  feilcissinii  imenei 
Corteggiata  da  mille  e  mille  Prod 
Beroe  uscirà,  che  più  d'ogni -altra  l)elbi> 
Fia  delie  Grazie  l' uitims  sorella. 

Costei,  siceome  mi  moslraro  in  cielo 
L' adamantino  tavole  immortali , 
Dov«  nel  cerchio  dei  signor  di  Delo 
Giove  scolpi  gli  oracoli  fatali , 
Concede  ai  re  del  liquefatto  gelo 
L' allo  tener  di  quegli  etemi  aimaH , 
Perciiè  venga!  a  scaldar  eoi  doKee  lumo 
Del  freddo  letta  tuo  V  umido  piume^ 


L'AIM>^* 


15 


Ma  quando  ancorda  quel,  cb'  Mscplpio 
Chi  move  U  tutto  «  il  (ato  altro  volgeste*» 
Sebben  di  Tebe  il  giovioetto  Dio 
Fia  tuo  rivai  nelle  belleve  ìstesse», 
A  dispetto  del  Ciel  tei  promell'  io  : 
Scrìtte  in  diamante  sien  le  mie  promease. 
Io»  che.Giove  o  destin  punto  non  curo» 
Per  r  acqpe  sacre,epermeslesao  il  giuro* 

Cosi  parlava,  e  il  ro  dell*  onde  intanto 
A  lui  si  volse  con  tranquilla  faccia; 
0  domatore  indomito  di  quanto 
Il  ciel  circonda  e  i'  Oceano  ai)bracciai, 
A  chi  può  dare  altrui  letizia  e  pianto  [ciai 
Ragione  è  ben,  che  appieno  orsicompiao- 
Spendi  comunque  vuoi  quanto  poss'  io^ 
Pende  dal  cenno  tuo  l'arbitrio  mlo« 

E  qual  onda  Ha  mai ,  die  a  tuo  talento 
Qui  non  si  renda  o  torbida  o  tranquilla, 
Se  ardon  nel  molle  e  mobile  elemento 
Per  Ciquotoe  Triton,  Glauco  per  Scilla  7 
Come  Ha  tardo  ad  ubbidirti  il  Vento, 
Se  il  re  de*  Vcuti  ancor  per  le  sfavilla? 
E  ricetian  l'ardur  ne'  freddi  cori. 
Borea  d' Orùia,  e  Zcfflro  di  Uori  ? 

Tu  virtù  somma  de' superni  giri, 
Dispensier  delle  gioie  e  de'  piaceri , 
Imperator  de'  nobili  deslri, 
Illustrator  de'  torbidi  pensieri , 
Dolce  requie  de'  pianti  e  de' sospiri , 
Dolce  union  de'  cori  e  de'  voleri , 
Da  cui  Natura  trae  gli  ordini  suoi, 
Dio  delle  meraviglie,  e  cbe  non  puolS 

Siccome  tanti  qui  fiumi  che  vedi.» 
Del  mio  reame  tributar]  souo , 
Cosi  signor,  che  V  anime  possiedi , 
Tributario  son  io  del  tuo  gran  trono. 
Ond*  a  quant'  oggi  brami  e  quanto  cliiedl 
Do  questo  scettro  a  te  devoto  in  dono, 
0  gioia,  o  vita  uni  versai  del  mondo» 
Altro  che  l' eseguir  piCi  rispondo. 

Co»  dice  Nettuno,  e  cosi  detto 
Crolla  1*  asta  trisulca ,  e  11  mar  scoscende  » 
D' alpi  spumose  oltre  11  ceruleo  IcUo. 
Cumulo  \asto  iuver  le  stelle  ascende;, 
Urtanal  i  Venti  in  minaccioso  aspetto  t» 
Delle  concayo.  nubi  aniqie  orrende  ; 
E  par  che  rutto ,  o  dlstcmprato  in  gelo 
Voglia  nel  mar  precipitaro.il  delo.. 


Borea  d!  aspn^teuxo»  UronbaffnerHom 
Sfida  11  turbo  a  battaglia,,  a  la  prooaUaé 
Curva  r  arco  dipinto  Iride  arciera*, 
E  scocca  lampi  invece  di  quadrelli 
Vibra  la  spada  sanguinosa  e  Aem 
Il  superbo  Orlon  torbida  stella., 
E  il  ciel  minaccia,  ed  alle  nubi  piene 
D' acqua  iitf  iene  e  di  foco^apre  le  vene» 

Fuor  del  confin  prescritto  la  alto  poggi» 
Tumido  limar  di  gran  superbia,  e  cresce. 
Ruinosa  nel  mar  scendo  la  pioggia  « 
Il  mar  col  cielo ,  11  ciel  col  mar  si  measd» 
In  novo  stile ,  in  disusata  foggia 
L'augello  il  nuoto  impara,  il  votoli  pesce. 
Oppongonsl  elementi  ad  elementi,  [ti. 
Nubi  a  nubi,  acque  ad  acque,  eventi  a  vca^ 

Potè  (tant*alto  quasi  il  flutto  sorse) 
La  sua  sete  ammorzar  la  Cagna  estiva  ( 
E  di  nova  tempesta  a  riscliio  corse 
Non  ben  secura  in  ciel  la  Nave  argiva. 
E  voi  fuor  d'ogni  legge,  o  golid'Orse, 
Malgrado  ancor  dcila  gelosa  Diva , 
Nel  mar  vietato  i  luminosi  velli 
Lavaste  pur  delle  stellate  p^li» 

Dell  che  farai  dal  patrio  suol  lontano^ 
Misero  Adone,  a  navigar  mal  atto 7 
Vaghezza  pueril  tanto  pian  piano 
Il  mal  guidato  paUschermo  ha  tratto, 
Che  la  t(rrra  natia  sospiri  invano 
;  Dal  gran  rischio  confuso  e  soprailatto» 
Tardi  ti  penti ,  e  sbigottito  e  smorto 
Omaiv  cominci  a  disperar  dei  porto. 

Già  già  conirìen,  che  lltimido  ooocUero 
;  Air  arbitrio  del  caso  s' abbandoni.. 
Fremono  per  lo  ciel  torbido  e  nero 
Fra  baleni  ondeggianti  i  rauclii  tuoni*. 
E  tuono  aneli'  egli  11  re  dell'  acque  altero,, 
Ch'  a  SUOR  d'austri  soffianti  e  d' aquiloni 
Col  fulmine  dentato  (emulo,  a  Giove) 
Tormentando  la  terra ,  il  mar  commovc. 

Corre  la  navicella,  e  ratta. e  lleTo 
La  corrente  del  man  acco  la  porta.. 
Piega  r  orlo  talvolta  «.  e  l' onda  bew^ 
Assai  vicina  a  rinwicrae  astore. 
Più  pallido- e  più  gelido  che  nev^. 
Volgesi  Adon^  né  scorge  plù.laiSCorMSt. 
E  di  morte  si  vasU  U  fiero  aspetto 
Confonde  g|l  occhi  suoi»  spaventa  U^mUi^ 


16 


MARINO. 


Ma  mentre  privo  di  terreno  aiuto 
L*  agitalo  battei  Tacilla  ed  erra , 
Kmbo  ì  fianchi  sdrucito  e  combattuto 
Da  queir  ondosa  e  tempestosa  guerra  \ 
Quando  il  fanciul  più  si  tenea  perduto , 
Ecco  rapidamente  approda  In  terra , 
K  tra  giunchi  palustri  in  su  la  rena 
Vomitato  dair  acque ,  Il  corso  affrena. 

Oltre  r  Egeo,  là  donde  spunta  in  prima 
Il  pianeta  maggior,  che  il  di  rimena , 
Sotto  benigno  e  temperato  clima 
Stende  le  falde  un*  isoictta  amena. 
Quindi  il  superbo  tauro  erge  la  cima, 
Quinci  il  famoso  Nil  fende  l' arena. 
Ha  Rodo  Incontro ,  e  di  Soria  vicini , 
E  di  QUcia  I  fertili  confini. 

Questa  è  la  terra,che  alla  Dea  che  nacque 
Dall'onde  con  miracolo  no^ello, 
Tanto  fu  cara  un  tempo,  e  tanto  piacque, 
Che  disprezzato  il  suo  disino  ostello. 
Qui  sovente  godea  fra  1*  ombre  e  T  acque 
Con  invidia  dell'  altro  un  elei  più  bello  ; 
E  V*  ebbe  eretto  all'  immortale  esempio 
Della  sua  diva  imago  altare  e  tempio. 

Scende  quivi  il  garzon  salvo  all'  asciutto. 
Ma  pur  dubbioso  e  di  suo  stato  Incerto , 
Che  ancor  gli  par  dell*  orgoglioso  fluito 
Veder  l' abisso  orribilmonte  aperto. 
Volgesi  intomo ,  e  scorge  esser  por  tutto 
Circondato  dal  mar,  bosco  e  deserto. 
Ma  quella  solitudine  che  vede. 
Gioconda  è  sì,  che  altro  piacer  non  chiede. 

Quivi  si  spiega  in  un  sereno  eterno 
L'aria  in  ogni  stagion  tepida  e  pura, 
Cui  nel  più  fosco  e  più  cruccioso  verno 
Pioggia  non  turba  mai ,  né  turbo  oscura  ; 
Va  prendendo  di  par  l'ingiurie  a  sche^no 
Del  gelo  estremo  e  dell'  estrema  arsura , 
Lieto  vi  ride ,  né  mai  varia  stile 
Un  sempre  verde  e  gfovinetto  aprile. 

I  discordi  animali  in  pace  accoppia 
Amor,  né  l' un  dall'  altro  offeso  geme. 
Va  con  r  aquila  il  cigno  in  una  coppia , 
Ma  col  falcon  la  tortorella  insieme. 
Né  della  volpe  insidiosa  e  doppia 
Il  semplicetto' pollo  inganno  teme. 
Fede  all'amica  agnella  il  lupo  osserva, 
E  secura  col  veltro  erra  la  cerva. 


Da'  molli  campi ,  I  cui  bennati  fiori 
Nutre  di  puro  umor  vena  vivace, 
E  dolce  confusion  di  mille  odori 
Sparge  e  invola  volando  aura  predace. 
Aura  che  non  pur  là  con  lievi  errori 
Suol  tra  rami  scherzar  spirto  fugace. 
Ma  per  gran  tratto  d' acque  anco  da  lunge 
Peregrinando  1  naviganti  aggiunge. 

Va  oltre  Adone ,  e  Filomena  e  Progne 
Garrir  ode  per  tutto ,  ovunque  vanne , 
E  di  stridule  pive ,  e  rauche  brogne 
Sonar  foreste  e  risonar  capanne. 
Di  villane  sordine  e  di  sampogne. 
Di  boscherecci  zufoli  e  di  canne , 
E  con  alterno  suon  da  tutti  1  iati 
Doppiar  muggiti,  e  replicar  belati. 

Solitario  garzon  posarsi  stanco 
Vede  all'  ombra  d*  un  lauro  In  rozza  pietra; 
Ha  l'arco  a' piedi,  e  gli  attraversali  fianco 
D'un  bei  cuoio  linceo  strania  faretra. 
Veste  pur  di  cerviero  a  negro  e  bianco 
Macchiata  spoglia,  e  tiene  in  man  la  cetra. 
Dolce  con  questa  al  mugolar  de'  tori 
Accorda  il  suon  de'  suoi  selvaggi  amori. 

Di  dorato  coturno  ha  II  pie  vesiito , 
Eburneo  corno  a  verde  fascia'appende. 
Ride  il  labbro  vivace  e  colorito, 
Sereno  lampo  il  placid*  occhio  accende. 
Ha  fiorita  la  guancia,  il  crin  fiorito, 
E  fiorita  é  l'età,  che  bello  il  rende. 
Tutto  in  somma  di  fiori  é  sparso  e  pieno. 
Fior  le  ipan,  fior  la  chioma,  e  fiori  il  seno. 

Formidabii  masti  n  dal  destro  lato 
In  un  gruppo  giacer  presso  egli  scorse , 
Che  con  rabbioso  ed  orrido  latrato 
Quando  il  vide  apparir  contro  gli  corse  ; 
Ma  posto  il  plettro  in  su  1*  erboso  prato 
Il  cortese  vliian  subito  sorse , 
E  1*  indomito  can ,  perciié  ristesse , 
Fugò  col  grido  e  col  baston  corresse. 

Ubbidisce  il  superbo ,  a  pie  gli  piega 
L' irsuta  testa,  e  l'irta  coda  abbassa. 
Quegli  alia  gola  intomo  allor  gli  lega 
Con  tenace  cordon  serica  lassa. 
Poscia  il  real  donzello  Invita  e  prega. 
Che  oltre  vada  seciiro,  ed  egli  passa. 
Passa  colà,  dove  raccoglie  umile 
Famiglia  pastora!  rustico  ovile. 


L' 
Stassene  alcun  su  le  fiorite  rive 
D*  una  sorgente  cristallina  e  fresca. 
Altri  per  i*  elei  folte  all'ombre  estive 
1  vaghi  augelli  insidioso  invesca. 
Altri  ne*  verdi  faggi  intaglia  e  scrive 
D' amor  tulio  soletto  il  foco  e  V  esca. 
Altri  rintraccia  di  sua  Ninfa  V  onne. 
Altri  salta,  altri  siede,  ed  altri  dorme. 


ADONE.  17 

Vi  iia  poi  templi  ed  altari,  hawi  Amor  se- 
Simuiacri ,  olocausti  e  sacerdoti ,       [  co 
Dove  in  segno  di  onor  del  popol  greco 
Pendono  affissi  in  lunga  serie  i  voti. 
Offrono  al  Nume  farelralo  e  cieco 
Vitiime  elette  i  supplici  devoti , 
E  gli  spargono  ognor  tra  roghi  e  lumi 
Di  ghirlande  e  d'Incensi  odori  e  fumL 


Quei  con  versi  d*amor  I*aure  addolcisce 
Al  susurrar  de*  lubrici  cristalli,    [disce. 
Questi  al  tauro,  al  monton ,  che  gli  ubbi- 
Insegna  al  suon  della  siringa  i  balli. 
Qual  fiscelle  d*  ibisco ,  e  qual  ordisce 
Serti  di  fiori  o  purpuriui  o  gialli. 
Chi  torce  ali*  agne  le  feconde  poppe , 
Chi  di  latte  empie  i  giunchi,  echi  le  coppe. 

Col  bel  fanciullo,  ove  gran  d*  ombra  sten- 
Pergolato  di  mirti ,  il  pastor  siede,  [de 
Quivi  Adon  sue  fortune  a  narrar  prende, 
Della  contrada  e  di  lui  slesso  chiede. 
L' un  gli  risponde ,  e  1*  altro  in  lauto  pende 
Dal  parlar,  che  d' amore  il  cor  gli  fiedc. 
Strani ,  gli  dice ,  olir*  ogni  creder  quasi , 
Peregrino  gentil ,  sono  i  tuoi  casi. 

Ma  cangiar  patria  omal  deh  non  ti  spiac- 
Con  si  bel  loco ,  e  rasserena  il  ciglio ,  [eia 
Che  se  pur  (come  mostri}  ami  la  caccia. 
Qui  fere  avrai  senzMra  e  senz'artiglio. 
Né  creder  vo',  che  indarno  il  Ciel  ti  faccia 
Campar  da  tanto  e  sì  mortai  periglio , 
0  senz'aita  cagion  per  via  si  lunga 
Perduto  legno  a  queste  rive  giunga. 

Così  compia  i  tuoi  voti  amico  Cielo, 
E  secondi  i  desir  desira  fortuna , 
Come  fra  quanil  col  suo  pie  di  gelo 
Paesi  Inferior  scorre  la  Luna , 
Non  potea  più  conforme  a  sì  bel  velo 
Terra  trovarsi ,  o  regione  alcuna. 
Certo  con  lei ,  che  con  Amor  qui  regna, 
Sol  di  regnar  tanta  bellezza  è  degna. 

L*  isola ,  dove  sei ,  Cipro  s*  appella , 
Che  del  mar  di  Panfilia  In  mezzo  è  posta. 
La  gran  reggia  di  Amor,  vedila,  è  quella. 
Che  io  là  ti  addito  In  ver  la  destra  costa. 
Né  (  se  non  quanto  li  vuol  la  Dea  più  beila) 
Colà  giammai  profano  pie  s*  accosta. 
Scender  di  del  qui  spesso  ella  ha  per  uso; 
In  altro  tempo  il  ricco  albergo  è  chiuso. 


Qui  per  elezion,  non  per  ventura , 
Già  di  Liguria  ad  abitar  venn'  io. 
Pasco  per  l'odorifera  verdura 
I  bianchi  armenti ,  e  Clizlo  è  il  nome  mio  ; 
Del  suo  bel  parco  la  custodia  in  cura 
Diemnii  la  madre  dell'alato  Dio, 
Dov'  entrar,  fuor  che  a  Venere ,  non  lice , 
Ed  alla  Dea  selvaggia  e  cacciatrice. 

Trovato  ho  in  queste  selve  ai  flutti  amari 
Di  ogni  umano  travaglio  il  vero  porto. 
Qui  dalle  guerre  de'  civili  aflari. 
Quasi  in  sicuro  asilo ,  il  Ciel  mi  ha  scorto. 
Serici  drappi  non  mi  fur  sì  cari , 
Come  r  arnese  ruvido  che  io  porto  ; 
Ed  amo  meglio  le  spelonche  e  1  prati , 
Qie  le  logge  marmoree  e  1  palchi  aurati. 

Oh  quanto  qui  più  volentieri  ascolto 

I  susurrl  dell'  acque  e  delle  fronde , 
Che  quei  del  foro  strepitoso  e  stolto. 
Che  il  fremito  volgar  rauco  confonde! 
Un'  erba ,  un  pomo ,  e  di  fortuna  un  volto 
Quanto  più  di  quiete  in  so  nasconde 

Di  quel  che  avaro  principe  dispensa 
Sudalo  pane  in  mal  condita  mensa! 

Questa  felice  e  semplicetta  gente. 
Che  qui  meco  si  spazia  e  si  trastulla , 
Gode  quel  ben ,  che  tenero  e  nascente 
Ebbe  a  goder  sì  poco  11  mondo  in  culla  : 
Lecita  libertà ,  vita  innocente , 
Appo  il  cui  basso  stalo  11  regio  è  nulla, 
Che  sprezzare  i  tesor,  né  curar  l' oro 
Questo  é  secolo  d' or,  questo  é  tesoro. 

Non  cibo,  o  pasto  prezioso  e  lauto 

II  mio  povero  desco  orna  e  compone. 
Or  damma  errante ,  or  capriolo  incauto 
L' empie,  or  frutto  maturo  In  sua  stagione. 
Detto  talora  a  suon  d' avena ,  o  flauto 
Al  discepoli  boschi  umli  canzone; 
Serva  no,  ma  compagna  amola  greggia; 
Questa  mandra  malculta  é  la  mia  reggia. 


18 


MARINO. 


Luo^  da*  (asti  ambliioai  e  Tanl 
MièscettroU  miobaston,  porpora  il  veil«» 
Ambrosia  il  latte ,  a  cui  le  proprie  mani 
Servon  di  coppa,  e  nettara  ii  ruscello. 
Son  ministri  i  bifolcbi ,  amici  i  caiU , 
Sergente  il  toro ,  e  cortìgian  V  agnello , 
Musici  gli  augeiletii  e  1* aure  e  l'onde. 
Piume  l'erbette,  e  padiglion  le  fronde. 

Cede  aquest'  ombre  ogni  più  cbiarafnce, 
Ai  lor  silenzi  i  più  canori  accenti  ; 
Ostro  qui  non  fiammeggia  or  non  riluce , 
Di  cui  sangue  e  pailorson  gli  ornameuU. 
Se  non  ballano  i  fior,  die  il  suol  produce, 
DI  più  beir  ostro  e  più  bell'or  lucenti , 
Ck)n  sareno  splendor  spiegar  vi  suole 
Pompe  d' ostro  1*  Aurora  e  d' oro  il  Sole. 

Altro  monnorator  non  è  che  si  oda 
Qui  mormorar,  che  il  mormorio  del  rivo. 
Adulator  non  mi  lusinga  o  loda, 
Fuor  che  lo  specchio  suo  limpido  e  vivo. 
Livida  invidia,  die  altrui  strugga  e  roda 
Loco  non  vi  lia,  poiché  ogni  cor  n'  è  schivo. 
Se  non  sol  quando  in  questi  rami  eln  quelli 
Gareggiano  tra  lor  gli  emuli  augelli. 

Hanno  coIà  tra  mille  insidie  in  corte 
Tradimento  e  calunnia  albergo  e  sede, 
Dal  cui  morso  crudel  trafitta  a  morte 
É  l'innocenza  e  lacera,  la  fede. 
Qui  non  regna  perfidia ,  e  se  per  sorte 
Piccìol  ape  talor  ti  punge  e  fiede , 
Piede  senza  veleno ,  e  lo  ferite 
Con  usure  di  mei  son  risardte. 

Non  sugge  qui  crudo  tiranna  il  sangue, 
Ma  discreto  bifolco  il  latte  coglie. 
Non  mano  avara  al  poverello  esangue 
La  pelle  scarna ,  o  le  sostanze  toglie. 
Solo  all'agnel ,  che  non  però  ne  langue, 
Havvi  chi  tonde  le  lanose  s|)oglie. 
Punge  stimolo  acuto  il  fianco  a'  buoi , 
Non  desire  immodesto  il  petto  a  noi. 

Non  si  tratta  fra  noi  del  fiero  Marte 
Sanguinoso  e  mortai  ferro  pungente , 
Ma  di  Cerere  si,  la  cui  beli* arte 
Sostien  la  vita,  il  vomere  e  il  bidente. 
Né  mai  di  guerra  in  questa  o  in  quella  par- 
Furore  insano  o  strepito  si  sente,      [le 
Salvo  di  quella,  che  talor  fra  loro 
Fan  eoa  cozzi  amorosi  U  capro  e  U  toro. 


Con  landa  o  brando  mal  non  si  contrasla 
In  queste  beatissime  contrade. 
Sol  di  Bacco  talor  si  vibra  1*  asta , 
Onde  vino  e  non  sangue  hi  terra  cade. 
Sol  quel  presidio  ai  nostri  casipi  basta 
Di  tenerelle  e  verdeggianti  spade , 
Che  nate  IJI  su  le  vicine  sponde 
Stansi  tremando  aguerreggiarcon  1'  «ade. 

Borea  eoa  soffi  orribHI  ben  pole 
Crollar  la  selva  e  batter  la  foresta. 
Pacifici  pensier  non  turba  o  scote , 
Di  cure  vigilanti  aspra  tempesta. 
E  se  Giove  talor  fiacca  e  percote 
Dell'alte  querce  la  superl>a  testa. 
In  noi  non  avvieu  mai  che  scocchi  maodk 
Fulmini  di  furor  l' ira  de'  grandi. 

Così  tra  verdi  e  solitari  boschi 
Consolati  ne  meno  i  gìonii  e  g^  amiL 
Quel  Sol ,  che  scacc  la  1  tristi  orrori  e  foschi, 
Serenaanco  1  pensier,  sgombra  gli  affanni. 
Non  temo ,  o  d'orso ,  o  d' angue  artigli,  o 
Non  di  rapace  lupo  insidie  o  danni  ;  [toschi^ 
Che  non  nutre  il  terren  fere  o  serpenti , 

0  se  ne  nutre  pur,  sono  innocenti. 

Se  cosa  è  che  talor  turbi  ed  annoi 

1  miei  riposi  placidi  e  tranquilli. 
Altro  non  è  die  Amor.  Lasso,  dappoi 
Che  mi  giunse  a  veder  la  bdU  Filli , 
Per  lei  languisco ,  e  sol  per  gli  occhi  anoi 
Convien  cbe  quant'  io  viva,  arda  e  sfavilli; 
E  vo'  die  chiuda  una  medesma  fossa 
Del  foco  insieme  il  cenere  e  dell'  ossa. 

Ma  cosi  son  d*  Amor  dolci  gli  strali. 
Si  la  sua  fiamma  e  la  catena  è  lieve, 
Che  miUe  strazj  rigidi  e  mortali 
Non  vagliono  un  piacer,  che  si  riceve* 
Anzi  pur  vaga  de'  suoi  propri  mali. 
Conosciuto  veien  l' anima  beve; 
E  inquegii  occhi,  ov'  allicrgail  suodolore. 
Volontaria  prìgioii  procaccia  il  core. 

Curi  dunque  chi  vuol  delizie  ed  agi , 
Io  sol  piacer  di  villa  apprezzo  ed  ama. 
Co'  tuguri  cangiar  voglio  i  palagi. 
Altro  tesor,  che  povertà  ixm  braoM). 
Sazio  dsc'  vezzi  perfidi  e  malvagi , 
Che  han  sotto  1'  esca  dolce  amaro  l'amo, 
Qui  sol  qudla  ottener  gioia  nd  giona, 
Cile  ciascun  va  oercando  e  nessua  tiova. 


VJMUS, 


1» 


Non  ti  maravigliar,  clie  la  selvaggia 
Vita  tanto  da  me  pregiata  sia , 
Che  ancor  di  Giano  in  su  la  patria  spiaggia 
Ne  cantai  già  con  rustica  armonia  ; 
Onde  vanto  immortai  d'^iguU  o  saggisi 
Concesse  Apollo  alla  sampogna  mia , 
De'  cui  versi  lodati  in  Elicona 
Il  ligustico  mar  tutto  risona. 

Del  maestro  d' amor  gli  amori  ascolta 
Stupido  Adone  ,  ed  a'  bei  detti  intento. 
Coltti ,  poicli*  affrenò  la  lingua  sciolta , 
Fé'  da*  rozzi  valletti  in  un  momento 
Recar  copia  di  cibi ,  a  cui  la  molt^ 
Fame  accrebbe  sapore  e  condimento. 
Mei  di  diletto  e  nettare  d' amore , 
Soave  al  gusto  e  velenoso  al  core. 

Né  mai  di  loto  abbominabil  frutto. 
Di  secreta  possanza  ebbe  cotanto. 
Né  fu  giammai  con  tal  virtù  costrutto 
DI  iMvanda  circea  magico  incanto , 
Cbe  non  perdesse,  e  non  cedere  in  tutta 
Al  pasto  del  paslor  la  forca  e  il  vanto. 
Li<pior  insidioso,  esca  fallace, 
Doioa  velen,  eh'  uccida  e  non  dispiace. 

Nel  gìardin  del  Piacer  le  poma  colse 
Qizio  amoroso ,  e  quindi  il  vino  espresse, 
Ond' ebbro  in  seno  il  giovinetto  accolse 
Fiamme  sottili,  indi  s'accese  in  esse. 
Non  però  le  conobbe  e  non  si  dolse,    [  se. 
Che  fincb'  uopo  non  fu,  giacquer  soppres- 
Qual serpe  ascosa  in  agghiacciata  falda. 
Che  non  prende  vigor,  se  non  si  scalda. 

Sente  un  novo  desir,  ch'ai  cor  gli  scende, 
E  serpendo  gli  va  per  entro  il  petto. 
Ama,  né  sa  d' amar,  né  ben  intende 
Quelstto  dolce  d'amor  non  noto  efletto,  [de 
Ben  crede,  e  vuole  amar,  ma  non  compreu- 
Qual  esser  deggia  poi  V  amalo  oggetto  ; 
E  pria  si  sente  incenerilo  il  core  » 
Cbe  s'accorga  il  suo  male  essere  amore. 


Amor  eh'  alzò  la  vela,  e  mosse  1  remi 
Quando  pria  tragittollo  al  bel  paese. 
Va  sotto  l' ali  fomentando  1  semi 
Della  fiamma,  eh'  ancor  non  è  palese. 
Fa  su  la  mensa  iatanto  addur  gli  estremi 
Della  vivanda  ti  contadio  cortese. 
Adon  solve  il  digiuno,  e  1  vasi  liba, 
E  quei  segue  il  parlar,  mentr'ei  si  ciba. 

Signor,  tu  vedi  il  Sol,  ch'avventa  i  ral 
Di  mezzo  V  arco,  onde  saetta  il  giorno. 
Però  qui  riposar  meco  potrai 
Tanto  che  il  novo  di  faccia  ritorno. 
Ben  da  sincero  cor,  prometto,  avrai 
In  albergo  vìllan  lieto  soggiorno; 
Avrai  con  parca  mensa  e  rozzo  leltp« 
Accoglienze  cortesi  e  puro  affetto. 

Tosto  cbesusurrartra  U  vxUto^ììùisi^» 
Io  sentirò  l' auretia.  mattutina^ 
Teco  risorgerò,  per  far  iiassaggio 
Alla  casa  d'Amor,  di' è  qui  vicina. 
Tu  poi  quindi  prendendo  altro  viaggio. 
Potrai  forse  saldar  l' alta  ruina, 
GoDosduto  che  sii  l'unico  e  vero 
Successor  delia  reggia  e  dell*  impero. 

Benché  non  tema  il  folgorar  dd  Sole 
Tra  fatiche  e  disagi  Adon  nutrito. 
Di  quell'  oste  gentil  non  però  vole 
Sprezzar  1*  offerta,  o  ricusar  l' invito. 
Risposto  al  grato  dir  grate  parole. 
Quivi  di  dimorar  prende  partito; 
E  ringrazia  il  destin,  che  lasso  e  rotto 
A  si  cara  magion  l'abbia  condotto. 

Sceso  in  tanto  nel  mar  Febo  a  colcarsi 
Lasciò  le  piagge  scolorite  e  meste, 
E  pascendo  1  destrier  fumanti  e  arsi 
Nel  presepe  del  del  biada  edeste. 
Di  sudore  e  di  foco  umidi  e  sparsi 
Nel  vicino  Ocean  lavar  le  teste; 
E  l'un  e  r  altro  Sol  sunco  si  giacque, 
Adon  tra'ftori,ApoUo  in  grembo  all'acque. 


30 


MARINO. 


CANTO  SECONDO. 


IL  PALAGIO  D' AMORE. 


ALLEGORIA. 

Le  ricchezze  della  casa  d* Amore  e  le  sculture  della  porta  dì  essa,  contenenti  l'a- 
zioni di  Cerere  e  di  Bacco,  ci  danno  a  conoscere  le  delizie  della  sensualità  e  quanto 
l'uno  e  l'altra  concorrano  al  nutrimento  della  lascivia.  Le  cinque  torri  comprese 
nel  detto  palazzo  son  poste  per  esemplo  de'  cinque  sentimenti  umani ,  che  sono 
ministri  delle  dolcezze  amorose,  e  la  torre  principale ,  eli'  è  più  elevata  dell'  altre 
quattro ,  dinota  In  particolare  il  senso  del  tatto  in  cui  consiste  l' estremo  e  1*  eccesso 
di  simili  dilettazioni.  La  soavità  del  pomo  gustato  da  Adone  ci  insegna,  che  per  lo 
più  sogliono  sempre  1  frutti  d' Amore  essere  nel  principio  dolci  e  piacevoli.  Il  giudizio 
di  Paride  è  simbolo  della  vita  dell'uomo,  a  cui  si  rappresentano  Innanzi  tre  I>ec, 
doè  l'attiva,  la  contemplativa  e  la  voluttaria;  la  prima  sotto  nome  di  Giunone,  la 
seconda  di  Minerva  e  la  terza  di  Venere.  Questo  giudizio  si  commette  all'uomo,  a 
cui  è  dato  libero  l'arbitrio  della  elezione,  perchè  determini  qual  di  esse  più  gli  piac- 
cia di  seguitare.  Ed  egli  per  ordinario  più  volentieri  si  piega  alla  libidine  e  al  pia- 
cere, che  al  guadagno,  o  alla  virtù. 


ARGOMENTO. 


AI  palagio,  ov'Amor  chiude  ogni  gioia, 
Ne  van  Clizio  ed  Adone  in  compagnia  ; 
Clizie  gli  prende  a  raccontar  per  via, 
11  gran  giudicio  del  paator  di  Troia. 


Giunto  a  quel  passo  il  giovinetto  Alcide 
Che  fa  capo  al  cammin  di  nostra  vita. 
Trovò  dubbio  e  sospeso  infra  due  guide 
Una  via,  che  'n  due  strade  era  partita. 
Facile  e  plana  la  sinistra  el  vide, 
DI  delizie  e  piacer  tutta  fiorita; 
L'altra  vestla  l'ispide  balze  alpine 
DI  duri  sassi  e  di  pungenti  spine. 

Stette  lung'ora  irresoluto  In  forse 
Tra'  duo  sentieri  il  giovane  Inesperto, 
Alfine  il  pie  ben  consigliato  ei  torse 
Lunge  dal  calle  morbido  ed  aperto  ; 
E  dietro  a  lei,  eh' a  vero  onor  lo  scorse, 
Scelse  da  destra  il  faticoso  ed  erto. 
Onde  per  gravi  rischi  e  strane  imprese 
Di  somma  gloria  In  su  la  cima  ascese. 


E  cosi  va  chi  con  giudicio  sano 
Di  virtù  segue  l' onorata  traccia. 
Ma  cliiunque  credendo  al  vizio  vano 
Cerca  il  mal,  eh'  ha  dì  ben  sembianza  e  fac- 
Giunge  per  molle  e  spazioso  piano   [eia. 
Dove  in  mille  catene  II  piede  allaccia,  [modi 
Quante  11  perfido,  ahi  quante,  e'n  quanti 
N'  ordisce  astute  insidie,  occulte  frodi. 

Per  l'arringo  mortai,  nova  Atalanta 
L' anima  peregrina  e  semplicetta, 
Corre  veloce,  e  con  spedita  pianta 
Del  gran  viaggio  al  termine  s'affretta. 
Ma  spesso  il  corso  suo  stornar  si  vanta 
Il  senso  adulator,  eh*  a  sé  1*  alletta 
Con  r  oggetto  piacevole  e  gioconda 
Di  questo  pomo  d' or,  che  nome  ha  Mondo. 


L'AiyONE. 


Curi  Io  scampo  suo,  fugga  e  disprexil 
Le  dolci  ofTerte,  i  dilettosi  inganni. 
Né  perchè  la  lusinglii  e  l' accarezzi. 
Disperda  in  fiore  il  verdeggiar  degli  anni. 
Mille  ognor  le  propon  con  finii  Yeizl 
Per  disviarla  da'  lodati  aflTanni 
Gioie  amorose,  amabili  diporti. 
Che  poi  fruttano  altrui  ruine  e  mortL 

Da  si  fatte  dolcezze  ella  Invaghita 
Di  farsi  esca  al  focile,  e  segno  all'arco, 
Nella  cruda  magion  passa  tradita 
Di  mille  pene  a  sostener  l' Incarco; 
Gabbia  sena'  uscio,  e  career  senza  uscita. 
Mar  senza  riva,  e  selva  senza  varco, 
Labirinto  ingannevole  d'errore. 
Tal  è  II  palagio  ov'  ha  ricetto  Amore. 

Già  l'auge!  mattutin  battendo  intomo 
L'ali,  a  bandir  la  luce  ecco  s'appresta, 
E  'I  capo  e  '1  pie  superbamente  adorno 
D'aurato  sprone  e  di  purpurea  cresta. 
Delia  villa  oriuol,  tromba  del  giorno, 
Con  garriti  iterati  11  mondo  desta, 
E  sollecito  assai  più  che  non  suole, 
Gi4  licenzia  le  stelle  e  chiama  11  Sole. 

Quando  di  là,  dove  posò  pur  dianzi 
Dal  suo  sonno  riscosso,  Adon  risorge, 
Che  veder  vuoi  pria  che  'I  calor  s'avanzi, 
Se  '1  elei  di  caccia  occasion  gii  porge. 
Qizio  pastor  con  la  sua  greggia  innanzi 
Al  vicin  bosco  1*  accompagna  e  scorge. 
Là  dove  a  suon  di  rustica  sambuca 
Gonvien  sul  mezzodì,  eh'  ei  la  riduca. 

Disegna  Adon,  se  pur  tra  via  s'abbatte 
In  damma,  In  damo,  o  in  altra  fera  alcuna, 
Errando  ancor  per  quell'  ombrose  fratte 
Torcer  dell*  arco  la  cornuta  Luna. 
Quest'  armi  avea  (come  non  so)  ritratte 
In  salvo  dal  furor  della  Fortima; 
Me  so  qual  tolto  avria  fra  le  tempeste 
Più  tosto  abbandonar,  la  vita  o  queste. 

Cosi,  mentre  vagante  e  peregrino 
Scorre  l' antico  suo  paterno  regno. 
Del  crudo  arder,  del  perfido  destino 
Affretta  l'opra,  agevola  11  disegno. 
Ma  stimando  fatale  11  suo  cammino. 
Poiché  campò  gran  rischio  in  plcclol  legno. 
Spera,  quando  alcun  di  quivi  soggiorni. 
Che  lo  scettro  perduto  hi  man  gli  tomi. 


21 


Veggendo  come  per  si  straoU  via 
Dalla  terra  odorifera  sabea 
Mirabilmente  all'  isola  natia 
Pietà  d'amico  elei  scorto  l'avea, 
E  che  del  loco,  ond'ebbe  origin  pria, 
II  leggi  ttimo  stato  in  lui  cadea. 
Nel  favor  di  Fortuna  ancor  confida. 
Che  de'  suol  casi  a'  bel  progressi  arrida. 

Appunto  il  Sol  su  la  cornice  allora 
Della  finestra  d'or  levava  il  ciglio, 
Forse  per  risguardar,  s'avesse  ancora 
Nulla  eseguito  Amor  del  suo  consiglio, 
Quando  di  lei,  che  '1  terzo  giro  onora, 
Dolente  pur  del  fuggitivo  figlio. 
Vieppiù  da  lui,  che  dal  pastor  guidato. 
Giunse  presso  all'  ostello  avventurato. 

Ancorché  chiusa  sia,  com'  ognor  suole, 
L' entrata  princIpal  della  magione, 
Tanta  6  però  di  si  superba  mole 
La  luce  esterior,  eh'  abbaglia  Adone. 
La  reggia  famosissima  del  Sole 
De*  suol  chiari  splendori  al  paragone 
Fora  vile  ed  oscura,  e  '1  giovinetto 
D*  infinito  stupor  ne  colma  il  petto. 

Sorge  il  palagio,  ov'  ha  la  Dea  soggiorno, 
Tutto  d*  un  muro  adamantino  e  forte,  [no 
I  gran  chiostri,  1  gran  palchi  invidia  e  scor- 
Fanno  alle  logge  dell'  empirca  corte. 
Ha  quattro  fronti  e  quattro  fianchi  intorno; 
Quattro  torri  custodi  e  quattro  porte  ; 
E  piantata  ha  nel  mezzo  un'  altra  torre, 
Che  vien  di  cinque  il  numero  a  comporre. 

Ne'  quattro  angoli  suol  quasi  a  compasso 
Poste  le  torri  son  tutte  egualmente. 
Quella  di  mezzo  è  del  medesmo  sasso, 
Ma  dell*  altre  maggiore,  e  più  eminente. 
L' una  all'altra  risponde,  e  s' apre  li  passo 
Per  più  d' un  ponte  eccelso  e  risplendente; 
E  con  arte  assai  bella  e  ben  distinta, 
Ciascuna  delle  quattro  esce  alla  quinta. 

Sì  alto  e  sì  sottile  è  ciascun  arco. 
Che  sotto  ciascun  ponte  si  distende. 
Che  ben  si  par,  che  quel  sublime  incarco 
Per  miracol  divino  in  aria  pende. 
L'incurvatura,  ond'ogni  ponte  ha  varco, 
DI  tante  gemme  variata  splende, 
Ch'ogni  arco  al  lumi  ed  ai  color  che  veste. 
Somiglia  in  terra  un'  iride  celeste. 


32 


iTAhlNO. 


Son  fatte  in  (fMdro,  e  Mn  é*  egnat  misura, 
Tranne  la  prìMipal  IVa  Taltre  tutte, 
Gh'è  fabbrteaita  In  sferfca  figura. 
Son  dlstantf  del  pari,  e  «on  condotte 
Le  linee  a  fli  coti  vaga  arthltettura, 
E  salvo  la  maggior,  che*n  grembo  il  tiene, 
PtT  Ogni  torre  in  un  glardin  si  viene. 

Non  di  porfidi  ornaro,  o  scrpentint 
Quello  strano  «difitio  i  dotti  mastri, 
Ma  fer  di  sassi  orientali  e  fini 
Comignoli  e  comid,  arclil  e  pllasttl. 
Preziosi  crisoliti  e  rubini 
Segar  di  marmi  in  vece  e  d*  alabastri, 
E  tutte  qui  dell'  Indiche  spelonche, 
E  de'  lidi  eritrei  votar  le  conche. 

balle  vene  del  Gange  il  fabbro  scelse 
11  più  pregiato  e  Incido  metallo, 
E  dalle  rupi  deli'  Arabia  svelse 
Il  diamante  purissimo  e  *l  cristallo. 
Onde  compose  le  colonne  eccelse 
G>n  ben  dritta  misura  ed  intervallo, 
Che  su  diaspro  rilucente  e  saldo 
Ferman  le  basi,  e  1  capi  han  di  smenlldo. 

Tra  colonna  e  colonna  al  peso  altero 
Sommessi  i  busti  smisurati  e  grossi, 
Servon  d'appoggio  ai  grave  magistero 
In  forma  di  giganti  alti  colossi. 
Son  fabbricati  d*  un  berillo  intero, 
E  d'ardente  piropo  han  gli  occhi  rossi. 
Ciascun  regge  un  fcston  distinto  e  misto 
DI  saflir,  di  topazio  e  d'ametisto. 

Splende  intagliata  di  fabbril  lavoro 
La  maggior  porta  del  mirabll  tetto. 
Sovra  gangheri  d'or  spigoli  d'oro 
Volge  e  serragli  ha  d' or  limpido  e  schietto. 
È  sostegno  e  non  fregio  al  gran  tesoro 
Del  ricco  ingresso  il  calci donio  eletto. 
Soggiace  al  pie,  quasi  sprezzato  sasso, 
Nella  lubrica  soglia  11  Ikì  balasso. 

Qudl  di  mezzo  6  d' argento  e  mflle  in  esso 
Illustri  forme  Industrc  mano  indse; 
E  di  lor  col  rilievo  e  coi  commesso 
Gli  atti  e  i  volti  distinse  in  varie  guiȏ. 
Vero  II  fhito  dirà  vero  ed  espresso 
Uom,  che  v*  abbia  le  bici  Intente  e  fise. 
L* opra,  eh* opra  è  dell*  arte,  e  qittsl spira. 
Con* Opra  di  sm  ami,  Natura  aMinlra. 


In  Mia  Inatte  dèi  supei^  e  bello 
Uscio,  ch'ai  vivo  ogni  figura  esprime, 
Scolpì  Vulcan  col  suo  divin  scarpello 
L'alma  tnventrlce  delle  biade  prime. 
Fumar  Etna  si  vede,  e  Mongibelto 
Fiamme  eruttar  dalle  nevose  cime. 
Ben  sepp'egll  Imitar  del  patrio  locO 
Con  rubini  e  carbonchi  il  fumo  e  '1  foco. 

Vede^  1%  per  la  campagna  aprica, 
Tutta  vestita  di  novella  messe. 
Biondeggiar  d'oro  ed  ondeggiar  la  spica. 
Sparsa  pur  or  dalle  sue  mani  islesse. 
Scoglio  gentil  (par  che  tacendo  dica. 
Sì  ben  le  >t>cI  ha  nel  silenzio  espresse) 
Siami  fido  custode  11  tuo  terreno 
Del  caro  pegno,  ch'io  ti  lascio  In  Steno. 

Ecco  ne  vlcn  con  le  compagne  elette 
La  vergin  fuor  della  materna  soglia, 
E  per  ordir  monili  e  ghirlandette 
De'  suol  frogj  più  vaghi  il  prato  spoglia. 
Già  par  che  1  fior  tra  le  ridenti  erbette 
Apra  con  gli  occhi,  e  con  le  man  raccoglla, 
Ritrar  non  sapria  meglio  Apelle  o  Zeusi 
La  bella  figlia  della  Dea  d'Eleusi. 

Ed  ecco  aperte  le  sulfuree  grotte. 
Mentre  eh' ella  compon  gigli  e  viole, 
Dai  fondo  fuor  delia  tartarea  notte 
Il  rettor  delle  Furie  uscire  al  Sole. 
Fuggon  le  Ninfe,  e  con  querele  rotte 
l>a  rapita  Prose rpina  si  dole. 
Spuman  tepido  sangue,  e  sbuffan  neri 
Aliti  di  caligine  i  destrieri. 

Ecco  Cerere  In  Flegra  afllilta  ricde, 
Ecco  gemino  pin  succide  e  svelle, 
E  per  cercarla,  fattone  due  tede. 
Le  leva  In  alto  ad  uso  di  facclle. 
Simile  al  vero  il  gran  carro  si  vede 
Ricco  di  gemme  sfavillanti  e  belle. 
Van  con  lucido  tratto  il  ciel  fendenti 
L'ali  verdi  battendo  1  duo  serpenti. 

Dall'  altro  lato  mirasi  scolpito 
Il  giovinetto  Dio,  clic  '1  Gange  adora. 
Come  immaturo  ancor,  non  partorito 
Giove  dal  aen  materno  il  tragge  fora. 
Come  gH  è  madre  il  padre,  indi  nutrito 
Dalle  Mnfé  di  Nlsa,  I  boschi  onora. 
Stranio  parto  e  mirabile,  che  fae 
Un«  volta  concetto,  e  nacque  dui*. 


L'ADONE. 


23 


in  un  eam  di  palmiti  sedere 
Vedilo  altrove,  e  gir  subitine  e  lieve. 
Urano  il  carro  rapide  e  Icggiem 
Quattro  d' Ircaaia  generose  allieve. 
Leccano  iatinlo  il  freni' orride  fere 
Del  buon  lleor,  cbe  fa  gioii*  olii  *1  bere. 
Egli  tra  i  plausi  della  vaga  plebe 
Pa^sa  lastoso  e  trionfante  a  Tebe. 

n  non  mai  sobrio  e  Tecchlare!  Sileno 
Sovra  pigro  asinel  vien  sonnacchioso, 
Tinto  tutto  di  mosto  il  viso  e  '1  seno, 
Verdeggiante  le  chiome  e  pampinoso. 
Già  già  vacilla,  e  per  cader  vien  meno, 
Rpggon  Satiri  e  Fauni  il  corpo  annoso; 
Gravi  porta  le  ciglia  e  le  palpebre 
DI  vino  e  di  stupor  tumide  ed  ebre. 

Vulgo  dal  destro  lato  e  dal  sinistro 
Di  iandulii  e  di  Ninfe  si  confonde, 
E  par  eh' a  suon  di  crotalo  e  di  sistro 
Vibrìn  tirsi  e  corimbi  e  frasche  e  fronde  ; 
Inghirlandan  di  Bacco  ogni  ministro 
Verdi  viticci,  nve  vermiglie  e  bionde  : 
E  son  le  vi(i  di  smeraldo  fino, 
L' uve  son  di  giacinlo  e  di  rubino. 

Qniod  e  quindi  d*  intomo  ondeggia  e 
La  turba  delle  vergini  Baccanti,      [bolle 
E  corre  e  salta  infuriato  e  folle 
Lo  strepitoso  stuol  de*  Coribanti. 
Par  già  tutto  tremar  facciano  il  colle 
Buccine  e  comi  e  cembali  sonanti. 
Pien  di  tant'artc  è  quel  lavor  sublime. 
Che  nel  muto  metallo  in  suono  esprime. 

Quanto  Adon  più  d'appresso  al  loco  fossi , 
Più  la  mente  gl'ingombra  alto  stupore. 
Questo  è  il  cid  della  terra  e  quind  vassi 
Alle  beatitudini  d'Amore. 
Cosi  colà  volgendo  1  guardi  e  i  pasd, 
In  fronte  gli  mirò  scritto  di  foore. 
Tatto  d'incise  gemme  era  lo  scritto, 
Tarsialo  a  caraUerì  d' Egitto. 

Ecco  il  palagio,  ove  Ciprigna  alberga, 
Disse  allor  Qizio,  e  dov'Amor  dimora. 
Io  quando  avvlen  che  1  Sol  più  alto  s'erga, 
Menar  qui  la  mia  greggia  uso  talora, 
Né  finché  poi  neil'Ocean  s'immerga. 
La  richianùi  airovil  canna  sonora. 
Ma  poiché  Sirio  latra,  io  vo  ben  oggi 
MigiioroMbn  cercar  tra  que'  dio  poggi. 


Tra  qve'dno poggi,  cbe  non  lunge  Vedi, 
Teco  verrò  per  soKtarìe  rie. 
Poi  da  te  presi  1  debiti  congedi. 
T'attenderò  sul  tramontar  del  die, 
E  recberommi  a  gran  mercè,  sè  riwS 
A  rìcovrar  nelle  capanne  mie. 
Forse  intanto  il  tuo  legno  esposto  all'onda 
Fia  che  guidi  a  buon  porto  aura  seconda. 

Adon  disposto  di  seguir  sua  sorte, 
Cortesemente  al  contadi n  rispose. 
In  questo  mentre  Innanzi  alle  gran  porle 
Estranie  vide  e  disusate  cose. 
In  mezzo  un  largo  pian,  che  ri  fa  corte, 
Stende  tronco  gentil  braccia  ramose. 
Di  cui  non  verdeggiò  mai  sotto  il  ciclo 
Più  raro  germe  o  più  leggiadro  stelo. 

Cedan  le  ricche  e  fortunate  piante , 
Che  dispiegare  la  pomposa  chioma 
Nel  bei  giardin  dei  libico  gigante , 
Che  il  tergo  incurva  alla  stellata  soma. 
Non  so  se  là  nelle  contrade  sante , 
Carica  i  rami  di  vietate  poma, 
Arbor  nutrì  si  preziosa  e  ideila 
Quel  che  suo  Paradiso  11  mondo  appella. 

Ha  di  diamante  la  radice  e  il  fusto, 
Di  smeraldo  le  fronde ,  1  fior  d' argento. 
Son  d' oro  i  frutti,  ond'  è  mal  sempre  Odu- 
E  la  porpora  all'or  cresce  ornamento,  [sto. 
Di  contentar  dopo  la  vista  11  gusto 
Al  curioso  Adon  venne  talento. 
Onde  un  ne  colse ,  e  come  appunto  grave 
Fusse  d' ambrosia ,  il  ritrovò  soave. 

E  tutto  colmo  d' un  piacer  novello 
AI  pastor  dimandò  :  Cbe  frutto  è  questo  ? 
li  frutto  di  quel  nobile  arboscello 
Non  è,  rispose,  di  terreno  innesto  ; 
E  se  è  dolce  alla  bocca ,  agli  occhi  bello. 
Ben  di  gran  lunga  è  più  perfetto  II  resto. 
Per  la  virtù,  che  asconde  il  suo  sapone , 
S'accresce  grazia,  e  si  raddoppia  amore. 

Udito  hai  ragionar  del  pomo  ideo , 
Che  in  premio  di  beltà  Venere  oCtenno, 
Per  cui  con  tanto  sangue  II  ferro  acbco 
Fé'  il  ratto  dell'  adultera  solenne. 
Questo  poiché  di  lei  restò  trofeo , 
La  Dea  qui  di  sua  mano  a  piantar  veAUc; 
E  iriaotato  che  fu ,  volse  dotario 
DeUa  proprietà  di  cui  ti  parto. 


Deh,  gli  soggiunse  Adon^senon  ti  pesa. 
Narra  l' origìn  ^rim»^  e  in  qual  maniera 
Nacque  fra  le  tre  Dee  l' alta  contesa , 
Cbm'  ella  andò  di  si  M  pomo  altera. 
Dalle  Ninfe  sabee  n*lio  parte  intesa. 
Ma  bramo  udir  di  ciò  1*  istoria  intera. 
Così  men  malagevole  ne  fia 
L'aspro  rigor  della  malvagia  via. 


VARINO. 

Tornii  OTe  laricliiama  alla  vendetta 
Dell'alta  ingiuria  la  memoria  dura, 
E  d'astio  accesa,  e  di  veleno  infetta. 
Nel  velo  ascosa  d'una  nui>e  oscura. 
Con  la  sinistra  man  sul  desco  getta 
Dell'esca  d'or  la  perfida  scrittura. 
Questo  magico  don  tra  tante  feste 
Gettò  nel  mezzo  all'assemblea  celeste. 


Poicli'ebbe  Amor  con  tanti  lacci  e  tanti, 
Il  pastor  cominciò,  tese  le  reti , 
Che  alfio  pur  strinse  dopo  lunghi  pianti 
In  nodo  maritai  Peleo  con  Teti  ; 
Le  nozze  illustri  di  si  degni  amanti 
Vennero  ad  onorar  festosi  e  lieti 
Quanti  son  Numi  in  elei,  quanti  ne  serra 
Il  gran  cerchio  dei  mare  e  della  terra. 

Fu  di  Tessaglia  avventuroso  il  monte, 
Dove  si  celebrar  quest'imenei. 
Di  mirti  e  lauri  gli  fiorì  la  fronte  ,- 
Del  trionfo  d*  Amor  fregj  e  trofei  ; 
E  le  stelle  gli  fur  propizie  e  pronte, 
E  le  genti  mortali  e  gli  alti  Dei, 
Se  non  spargea  dissension  crudele 
Tra  le  dolci  vivande  amaro  fiele. 

Senza  Invidia  non  è  gioia  sincera, 
Né  molto  dura  alcun  felice  stato. 
Quel  gran  piacer  della  discordia  fiera , 
Madre  d' ire  e  di  liti ,  ecco  è  turbato  ; 
Che  esclusa  fuor  della  divina  schiera, 
E  dal  convito  splendido  e  beato , 
Gli  alti  diletti  e  l' allegrezze  immense 
Venne  a  contaminar  di  quelle  mense. 

All'arti  sue  ricorre,  e  col  consiglio 
Di  quella  rabbia,  chela  punge  e  rode. 
Corre  al  giardin  d' Esperia,  e  dà  dì  piglio 
Alle  piante,  ciie  il  drago  ebber  custode. 
Quindi  un  pomo  rapisce  aureo  e  vermi- 
De'cui  rai  senz'offesa  il  guardo  gode  [glio, 
Di  minio  e  d'oro  un  fulgido  baleno 
Vibra,  e  gemme  persemi  accoglie  il  seno. 

Nella  scorca  lucente  e  colorila. 
Il  cui  folgore  lieto  1  lumi  abbaglia, 
La  Diva  di  disdegno  inviperita , 
Cui  nulla  furia  in  fellonia  si  agguaglia, 
Di  propria  man  (come  il  furor  V  irrita) 
Parole  poi  sediziose  intaglia. 
Dice  il  motto  da  lei  scolpilo  in  quella  : 
Diasi  questo  bel  dono  alla  più  belici. 


Lasciaro  i  cibi ,  e  da'  fumanti  vasi 
Le  destre  sollevar  tutti  coloro , 
E  di  stupore  attoniti  rimasi , 
Presero  a  contemplar  quel  si  bell'oro. 
Donde  si  vegna  non  san  dir,  ma  quasi 
Un  presente  del  Fato  ei  sembra  loro. 
E  si  di  sé  gli  alletta  al  bel  possesso , 
Che  par  che  Amor  si  sia  nascosto  in  esso. 

Ma  sovra  quanti  il  videro,  e  il  bramaro 
Le  tre  cupide  Dee,  n' ebber  diletto, 
E  Slimolate  da  desire  avaro , 
Che  di  quel  sesso  è  naturai  difetto , 
La  sollecita  man  steser  di  paro 
Alla  rapina  del  leggiadro  oggetto, 
E  con  gara  tra  ior  non  ben  concorde. 
Se  ne  mostraro  a  meraviglia  ingorde. 

Quando  lo  Dio,  che  del  signor  d'Anfriso 
Guardò  gli  armenti,  e  che  conduce  il  gior* 
Meglio  in  esso  drizzando  il  guardo  fiso,[no. 
Vide  le  lettre  ch'avea  scritte  Intorno; 
E  lampeggiando  in  un  gentil  sorriso. 
Di  purpuree  scintille  il  volto  adorno. 
Fé'  delie  note  peregrine  e  nove 
Sculte  sulla  corteccia  accorger  Giove. 

Letta  l' iscrizion  di  quella  scorza , 
Le  troppo  avide  Dee  cessa ro alquanto, 
E  cangiar  volto,  e  in  su  la  mensa  a  forza 
Il  deposito  d' or  lasciaro  intanto. 
Cede  il  mertoal  desio,  ma  non  s'ammorza 
L'ambizione  che  aspira  al  primo  vanto. 
San ,  che  averlo  non  può,  se  non  sol  una , 
Il  vogilon  tutte,  e  noi  possiede  alcuna. 

Degli  assistenti  l' immortai  corona 
No^a  confusion  turba  e  scompiglia. 
Con  vario  disparer  ciascun  ragiona , 
Chi  di  qua ,  chi  di  là  freme  e  bisbiglia. 
Sovra  ciò  si  contende  e  si  tenzona, 
Omai  tutta  sossopra  è  la  famiglia. 
Tutta  ripiena  è  già  d' alto  contrasto 
La  gran  solennità  deluobii  pasto. 


L'ADONE» 


ts 


GiuiiMi  superba  è  sì  di  sua  grandesia, 
Che  più  dell* altre  due  degna  scappella, 
Kè  aè  eotanto  Pallade  dbpresza , 
Che  noo  pretenda  la  vittoria  anch'  ella. 
Vener^^e  è  madre  e  Dea  delia  beileasa, 
E  sa  ebe  è  destinato  alla  più  bella , 
Ridendoai  fra  sèdi  tutte  loro, 
Spera  sena*  altro  al  mirto  unir  l' alloro. 

Tatti  gli  Del  nel  caso  banno  biteresse, 
E  aoB  divisi  a  favorir  le  Dee. 
Harte  vuol  sostener  con  1*  armi  Istesse 
Cbe  II  ricco  pomo  a  Citerea  si  dee ,  { 

Apollo  di  Minerva  In  campo  ba  messe 
Le  lodi ,  e  cbiama  l' altre  Invide  •  ree. 
Giove, poicb' ascoltato  ba  ben  ciascuno, 
testale  della  moglie,  applaude  a  Giuno. 

Atto,  percbè  alcun  mal  pur  non  seguisse 
Inqueldrappel,  ch*alparagon  concorre, 
Bramoso  di  placar  tumulti  e  risse, 
E  querele  e  litigi  in  un  comporre. 
Le  cose  belle  (a  lor  rivolto  disse) 
SoD  sempre  amate,  ognun  v'anela  e  corre  ; 
Ma  quanto  altrui  più  piaceli  bello  e  il  bene 
Goo  vie  maggior  difficoltà  s'ottiene. 

Ubbidir  sia  gran  senno,  ed  è  ben  dritto, 
Cb'alla  ragion  la  passion  soggiaccia, 
E  cbe  a  quanto  si  vuole  ed  è  prescritto 
Dalla  necessiti^  si  soddisfaccia. 
Cbe  sebbcn  di  chi  regna  alcun  editto 
Talor  troppo  severo,  avvien  che  spiaccia, 
Non  ostante  il  rigor  con  cui  si  regge, 
Giusto  non  è  di  violar  la  legge. 

Parlo  a  voi,  belle  mie ,  tutte  rivolte 
Alla  pretension  d*  un  pregio  istesso. 
Pur  non  può  questo  pomo  esser  di  molte  : 
Sapete  ad  una  sola  esser  promesso. 
Or  se  beUezse  eguali  in  voi  raccolte 
Pomo  egualmente  aver  ragione  in  esso, 
Kè  voglion  l' altre  due  dirsi  più  brutte , 
CoBie  possibil  sia  contentar  tutte? 

Giudice  delegar  dunque  convfensi , 
Saggio  conoscitor  del  vostro  merto, 
A  cui  conforme  il  guiderdon  dispensi 
Con  occhio  sano  e  con  giudizio  certo. 
A  lui  quanto  di  bello  ascoso  tieiisi 
Vuobi  seni* alcun  vel  mostrar  aperto, 
Percbè  le  differenze,  onde  garrite. 
Distinguer  sappia,  e  terminar  la  lite. 


Io  rinunziò  all'  arbitrio  ;  esser  tra  voi 
Arbitro  idoneo  in  quantolhne  non  posso, 
Cile  se  ad  una  adeHsco,  lo^non  vo'poi 
L'odio  dell'altre  due  tirarmi  addosso.  ' 
Amo  di  par  ciascuna,  1  casi  suol 
Pari  lelo  a  curar  sempre  mi  ha  mosso. 
PoteaV  lo  trionfanti  e  vincitrici 
Veder  così  di  par  tutte  felici. 

Pastor  vive  tra'  boschi  In  Frigia  nato, 
Mal  sol  nei  nome,  e  nell*  ufficio  è  tale, 
Cbe  se  ancor  non  tenesse  invido  fato 
Chiuso  tra  rozze  spoglie  li  gran  natale. 
Al  mondo  tutto  il  suo  sublime  slato 
Conto  fora,  e  il  lignaggio  aito  e  reale. 
DI  Priamo  è  figlio ,  Imperador  troiano , 
Di  Gauhnede  mio  maggior  germano. 

Paride  ba  nome,  e  non  è  forse  indegno 
Ch'  egli  tra  voi  la  questlon  decida, 
Poicb'  ha  r  integrità  pari  ali'  ingegno 
Da  poter  acquietar  tanu  disfida. 
Sconosciuto  si  sta  nel  patrio  regno       « 
Dove  il  Gargara  altier  s'estolle  in  Ida. 
itene  dunque  là  ;  colui  che  porta 
L' ambasciate  del  Qel ,  vi  sarà  scorta. 

Cosi  diss'  egli,  e  con  applauso  1  detti 
Raccolti  fur  dal  gran  Rettor  superno, 
E  sentii  per  man  d'Atropo  fur  letti 
Nel  bel  diamante  del  destino  etemo , 
E  le  Dive  a  quel  dir  sedar  gli  affetti. 
Pur  di  vento  pascendo  il  fasto  in  temo 
Già  s' apprestano  a  prova  al  gran  viaggio, 
E  ciascuna  s'adorna  a  suo  vantaggio. 

L' altera  Dea,  che  del  gran  re  gè  è  moglie 
Dell*  usato  s'ammanta  abito  regio. 
DI  doppie  fila  d'or  son  quelle  spoglie 
Tramate  tutte,  e  d' oro  han  doppio  fregio 
Sparse  di  soli,  e  folgorando  toglie 
Ogni  sole  al  Sol  vero  il  lime  e  il  pregio. 
Di  stellante  diadema  II  capo  cinge, 
E  lo  scettro  genunato  in  man  si  stringe. 

Quella,  che  Atene  adora,  ha  di  bel  stami 
Di  schietto  argento,  e  semplice  la  vesta 
Ricamata  di  tronchi  e  di  fogliami 
Di  verde  olivo,  e  di  sua  man  contesta 
Tien  d'una  treccia  degi'istessi  rami 
li  llmpid'elmo  incoronalo  In  testa. 
Soslien  r  asta  la  destra,  e  il  braccio  manto 
I  Di  scudo  adamantin  ricopre  il  fianco. 

t 


26 


ìfARUIO. 


L*«lU^,wcli*haiw*lMsU  oocbl  il  JGMoafl 
D*artìlicio  labbM,  pompa  non  Toke^^iitlo, 
Mftil*  un.  Mri0».app«nsi<ftzcuffro  rolo 
La  niidUà  del^Umcbi  meaubri  IavoImm 
Color  del  mare,  «nzi£olor<dck€icla« 
Quello  .la. generò  ,•  questo  l' aceolsei 
Leggier  leggiero,  e  ehiaanMnieiOSfiHiiQ, 
Che  facea  trasparir  TaTorio  puso. 

l^ronife  Mercnrio  U  pomo,  «gUi  e  pictti 
Ponsi  alle  tempie  1  .vanni  ^  ai  Ullmni, 
E  la  Terga  lotal ,  ballando  queali.. 
Si  Baca  in  man,  die  attorti  lia  dnadr^gonl. 
Per  ben  seguirlo  l' eouiLe  celesti 
Lasdan  colombe,  e  nottule,  e  paroai^ 
Ed  è  lor  carro  un  nuvoletto  aurato 
LievcacnAe  daiZefficoiporlalOL 

J>ipinge  un  bel  seren  i*aria  ridente 
Di  TermlgUe  fiammelle  .e  d*  aurei  lampi, 
E  qual  Sol ,  die  calando  in  occidente 
Di  rosati  splendori  intorno  avvampi. 
Segnando  il  tratto  del  senticr  lucente 
Indora  e  inostra  i  suoi  ccniid  cai^>i« 
Mentre  condotta  dalla  saggia  gui<la 
La  superbia  dei  £iel  discende  in  Ida. 

i&tasscne  in  Ida  alle  fresche  ombreesti ve 
Paride  assiso  a  pasturar  le  gregge. 
Laddove  intomo  in  mille  scorze  vive 
Il  bel  nome  d' Rnon  scritto  si  legge. 
Misera  Enon ,  se  delle  belio  Dive 
Giudice  eictto  ci  la  più  beila  elegge, 
Ditexiiesia,  ch'liai  da  restar  sena*  alma? 
Ahi  die  perdita  tua  fia  T altrui  palma! 

Vogllon  coslor  la  tua  deliiia  cara 
Las  a,  rapirti,  e  il  tuo  tesor  di  braccio. 
Vanne  dunque  infelice,  e  pria  che  avara 
Fortuna  un  tanto  ardor  converta  in  gbiac- 
Quanto  gioir  sapesti,  or  tanto  impara  [ciò, 
A  dolerti  di  lui ,  ciie  scioglie  il  laccio  ; 
E  mentre  puoi,  dentro  il  suo  grembo  accol- 
Bacia  Paride  tuo  V  ultima  volta.         [ta 

Apio  d' un  antro  nel  più  denso  e  chiuso 
Siede  il  pastor,  della  stdùiga  valle,     [so) 
La  mitra  Ila  in  fronte,  e(quai  de'Fryi^iè  l' n- 
Bariaro  drappo  annoda  in  su  le  spalle. 
Lungo  il  eli  laro  Scamandroera  diffuso 
L*  armento  fuor  delle  sbarrate  stalle^ 
E  il  >erde  prato  gli  nutrisce  e  serba 
Di  rugiada  condili  i  fiori  a  r«rba. 


£f ll'gonAaMdo  iacerata 
y  *  aaconiaial«4loloe  auoii  casto* 
Per  gran  doteorra  ie  ipalpfStwe 
li  fido  cane,  enon  tontan  |^ 
Tacdnoo  inlaniea  pièdellai 
Ad  ascoiiarioie  lanose  :todraM. 
Cinti  le  coma  di  fioriae.baBcke 
OhUtanoll 


Quand'eocodeelinar  la  nuteai 
Che  il  fior  d*ognibeUetia  in  grombi 
E  rotiwÌo»coià,  idov'  egUaiaBte , 
Di  giro  in  gìro.ovvirinatai  a  lem. 
Ecolalia  \solta  sua  jdriaaano  tt  pleét 
Acdnlca  oovac'dikttosagneffia 
Le  tre  belle-Bemldie  a'eui  spiaadloii 
Biadilara  U  batno  i  «mlaelvass^oRWi. 


Jn  rimifando  alminbil 
Stringe  ie  labbraallor,  carva  ie  xlgUa, 
E  su  la  fattile  crespa  e  spaventosa 
Scolpisce  eoi  terror  la  meraviglia. 
Sovra  il  tronco  vldn  la  tesu  posa.. 
Ed  al  tronco  vicin  ai  raSaomigUa. 
Lacanaon  rompe,  «  lascia  ìnlamomuu 
Cadérsi  a  pie. la  gamila  dcula. 

Fortmiato  pastor,  giovane  illontre, 
Il  messaggio  divin  disscgli  allora. 
Il  cui  gran  lume  ascoso  in  vel  palnsUe 
Lo  stesso  Ciel ,  non  che  la  terra  onora; 
Degno  ti  fa  la  tua  prudenza  iudnstae 
Di  venture  a  mortai  non  date  ancora. 
A  te  con  queste  Dee  Giove  mi  maadi, 
E  che  tu  sia  lor  giudice  comanda. 

Vedi  <|uesto  bel  pomo  7  aHaoonleia 
Questo ,  die  fu  soggetto ,  or  premio  fia. 
Colei  l'avrà,  che  in  cosi  bdia.impaesn 
Di  bellezaa  maggior  dotata  aia. 
Donalo  pur  senza  temere  offesa 
A  chi  il  merita  più,  che  a  chi  il  desia. 
Ben  sopir  saprai  tu  discordie  tante 
Come  bd,>com'es|ìerk>,  e 


Tanto  die*  egli,  e  V  aureo  pomo  sparto 
Conscgnaal  l'altro,  il  qual  fra  gioiao4aBn 
In  udir  quel  parlar  facondo- e  scosto, 
E  in  risguardar  quella  J>eiià  suprama,, 
Il  prende,  e  tace,  c«bigottito<e amonto 
Fuor  di  sé  stesso  impallidisce  ctreiaa. 
Pur  fra  .tanto  stupor,  cbcki  coufanle, 
Moderando  i.auoi  jnoli,alfia  rispamk  : 


L'^ADOKK. 


La  conoscenla ,  che  bo  dell*  esser  mio^ 
*0  deDe  stelle  ambascUdor  felice. 
Questa  gran  novità,  clie  qui  reggMo, 
Al  mio  basso  j>ensier  creder  disdice  i 
Oloria ,  di  cui  godere  ad  alcun  Dio 
Maggior  forse  lassù  gloria  non  lice; 
Che  daltUel  venga  a  povero  pastore 
Tanto  bene  insperato  .e  tanto  onore. 

Ma  che  abbia  a  profferir  lingua  mortale 
Decreto  In  quel  che  ogni  Intelletto  eccede, 
Quanto  allo  stato  mio  si  diseguale 
Più  mi  rivolgo,  e  tanto  meno  il  crede. 
Nulla  degnar  mi  può  di  grado  tale, 
Se  non  l'alto  favor  che  mei  concede. 
Pur  se  ragion  dì  merito  mi  manca , 
Graxia  celeste  o|^i  vlltA  rinfranca. 

Può  ben  d*  umane  cose  ingegno  umano 
Talor  deliberar  senza  periglio. 
Trattar  cause  divine  ardisce  invano 
Senz'aiuto  dìvin  saggio  consiglio. 
Come  dunque  poss'io  rozzo  e  villano 
Non  che  le  labbra  aprir ,  volgere  il  ciglio 
Dove  ristessa  ancor  somma  scienza 
Non  seppe  in  elei  pronunziar  sentenza? 

Com' esser  può,  che  Tesquislta  e  piena 
Perfezion  della  beltà  conosca 
Uoro,  che  oltre  la  caligine  terrena. 
Tra  queste  verdi  tenebre  s'imbosca, 
Dove  altro  mai  di  sua  luce  serena 
Non  n'  è  dato  mirar,  che  un'  ombra  fosca? 
Certo  inabll  mi  sento  e  mi  confesso 
DI  tali  estremi  a  misurar  l' eccesso. 

Se  avessi  a  giudicar  fra  toro  e  toro , 
0  decretar  fra  l'una  e  l'altra  agnella, 
Disccrner  saprei  ben  forse  di  loro 
Qual  si  fusse  il  migliore  e  la  più  bella. 
Ma  cosi  belle  son  tutte  costoro, 
Che  distinguer  non  so  questa  da  quella. 
Tutte  egualmente  ammiro ,  e  tutte  sono 
D^ne  di  laude  egtiale  e  di  egual  dono. 

Dogliomi,  che  tre  pomi  aver  vorrei  9 
Qual  è  qucst'  un ,  oh' a  litigar  l'hamosse, 
Che  allor  giusto  il  giudizio  .io  crederei. 
Quando  comunJa  lor  vittoria  fosse. 
Aggiungo  poi,  die  degli  eterni  Dei 
Paventar  deggio pur. l'ire  e  leposse^ 
Poiché  di  questa  sdiiera  avventurosa 
Due  iQo^liejdl£iove,,,e,l^^txaJ  spoaa. 


.Ma  ida  .che  tali  «on  {gli  locdkii  aiioi« 
Forza  Immortale  11  juio.<IUeUo  «cuai^ 
Pjuxh^è  delle  ùm  xiute:alcuiia  guA 
Non  sia,  cbeiri^a  U^oppo  ardire  «fienai. 
Intanto^  oiieUe  Jle*^  sejiura  vai 
Piace,  ch'il  peso.in\pM>sto  io  non  jdausi^ 
Quel  chiaro  Sol,  che  tanta  gioriaadilMJe« 
Ritenga  il  juersoiUia  sfrenata  iiwi. 

Qui  GUlenio  s' apparta,  ediei  n^afi^i^lo 
Chiama  lutti  a  consiglio  1  suol.pensifr^ 
E  gli  fipjcti.al  gran  caso  aesouigliiiulo 
Comincia  ad aguaxari^  occhi  aesei^i, 
Giàs'jipparccchia  alia  beil'  opra,iit«nd0 
Con  atti  sgravi,  e  portamenti  aiteri 
Di  reai  -maestà,  gli  s*  avviclnc^ 
E  gU  jisande  a  parlar  ia  DeaJLtwina  : 

Poiabè  algiudUio  umana!  aottometie. 
Dalla  giustizia  tua  fatta  aicura 
La  ragion,  che  le  prime  e  più.perfette 
Meraviglie  del  del  vince  ed  oscugb  ; 
Della  beltà».eh'  eleiu  è  fra  l' dette. 
Dei  conoscer,  pastor,  la  dismismea, 
Ma  conosciuta  poi,  riconosciuta 
Convienche.sia  con  la  mercè  dovnxa. 

EiS'egK  è  vec,  che  l'eccellenaa  prima 
Possa  sol  limitar  la  tua  speranza 
Di  mal  meglio  veder,  vista  la  dm^ 
E  il  colmo  di  quel  bel  eh'  ogni  altro  avanza, 
Acciocché  r. occhio  tuo,  die  or  si  sublima 
Sovra  1*  umana  e  naturai  usanza. 
Non  curi  Qterea  più,  né  Minerva, 
In  me  rimira,  e.mie  fattezze  osserva* 

Tu  discemi  colei,  ae  me  di^cemi , 
Cui  cede  ogni  altro  Nume  1  primi  onoii, 
Imperadrioe  degli  eroi  superni , 
Consorte  al  gran  Motor,  re  de'  Motori. 
Vedi  il  più  degno  Infra  i  soggetti  eterni. 
Che  il  Cielo  ammh-i  o  che  la  terra  adori  ; 
Innanzi  ai  raggi  della  cui  beltade. 
Lo  stupor  di  atifpor  stupido  cadd. 

.L' latesio  Sol  d' idolatrarmi  eppcesc, 
Di  scorno  spesso  e  di  vergogna  Vinto; 
E  11  mio  più  volle  il  suo  fipiendore,a«cic«e, 
L'estiose.pria,  poi  ravvivolio.estinto. 
Negar  dunque  non  pi  oi  di  far  palese 
Qud  iuaie  altiui,  che  il  maggior.Uinierha 
Senzaaccusar  di  ccdiÀ  la  luae        i^hito, 
Di.jcoltti,  die  per  tuJJU>41  di  cauAiQa. 


28 


MARINO. 


Rompe  tllora  il  silenzio,  ed  apre  11  varco 
AUt  voce  il  pastorcon  questo  dire: 
Poiché  t*  suoi  cenni  col  commesso  incarco, 
Legge  di  Qd  mi  sTorza  ad  ubbidire, 
Non  Ila  ritroso  ad  onorarvi  o  parco. 
Gloriosa  relna,  Il  mio  desire, 
Del  cui  pronto  voler  vi  fari  noto 
Un  schietto  favellar  libero  il  volo. 

Io  vi  giudico  gii  tanto  perfetta, 
Che  più  nulla  mirar  spero  di  raro. 
Talché  II  merlo  di  quel  die  a  voi  s' aspetta, 
Contentar  ben  vi  può,  ciié  a  tutti  é  cliiaro. 
Senza  bisogno  alcun ,  eh*  lo  vi  prometta 
Qò  che  tor  non  vi  dee  giudice  avaro. 
Onde  così  la  speme  abbia  a  donarvi , 
Che  In  effetto  11  dover  non  può  negarvi. 

Ben  Tolontier  (se  senza  Ingiuria  altrui 
Cosi  determinar  fosse  in  mia  mano] 
Concederei  questo  bel  pomo  a  voi, 
Né  dal  dritto  giudizio  andrei  lontano. 
Ma  mi  convien  (com*  ammonito  fui 
Dal  facondo  corrier  del  Re  sovrano) 
Darlo  a  colei,  eli*  alle  altre  il  pregio  invola, 
E  voi  scesa  dal  elei  non  siete  sola. 

L'orgogliosa  mogller  del  gran  Tonante, 
Si  fatte  lodi  udir  non  si  scompiacque, 
E  senza  trionfar,  gii  trionfante. 
Attese  il  fin  di  quel  certame,  e  tacque. 
Ed  ecco  allor  colei  trattasi  avante, 
Che  senza  madre  del  gran  Giove  nacque, 
D'onestà  vlrginai  sparsa  le  gote. 
Chiede  il  pomo  al  pastor  con  queste  note  : 

Tutti  i  mortali,  e  gl'immortali  in  questo 
Sospetti  a  mio  favor  sarrebbon  forse. 
Paride  sol,  che  amico  é  dell'  onesto, 
E  dai  giusto,  e  dal  ver  giammai  non  torse. 
Degno  é  d*  ufficio  Ule,  ed  io  ben  resto 
Paga  d' un  tanto  onor,  che  il  Ciel  gli  porse. 
Poiché  non  so  da  chi  più  certo  or  io 
Mi  potessi  ottener  quanto  desio. 

Tu,  che  lume  cotanto  hai  nella  mente, 
Ed  apprezzi  valore  e  cortesia. 
Rivolgerai  neli'  animo  prudente 
Tutto  ciò  eh*  io  mi  vaglia,  e  ciò  eh' lo  sia, 
Ond*  oggi  crederò,  die  facilmente 
Vindtrice  farai  la  beltà  mia,       [gendo. 
Queir  ossequio,  e  quei  dritto  a  me  por- 
Cbe  merito,  che  bramo  e  che  pretendo. 


Non  son,  non  son  qual  credi  in  me  vedere  : 
DI  Vener  forse,,  o  di  Giunon  pensasti 
Lusinghe  Talse,  ed  apparenze  altere, 
I  risi  e  i  vezzi,  e  le  superbie  e  I  fasti  T 
Cose  tu  vedi  essenziali  e  vere. 
Vedi  Minerva,  e  tanto  sol  ti  basti. 
Senza  cui  nulla  vai  regno,  o  ricchezza, 
Fuor  del  cui  bel  difforme  é  la  bellezza. 

Virtù  son  lo,  Ci  cui  non  altro  mai 
Vide  uom  mortai,  che  una  figura,un'orma. 
A  te  però  con  cisveiati  rai 
Ne  rappresento  la  corporea  forma. 
Da  cui,  se  saggio  sei,  prender  potrai 
Della  vera  beltà  la  vera  norma, 
E  conoscer  quaggiù  fuor  d' ogni  nebbia 
Quel  che  seguir,  quel  che  adorarsi  debbia. 

Forse  mentre  tu  miri,  ed  lo  ragiono. 
Per  troppo  meritar  mi  stimi  indegna, 
E  la  vergogna  di  sì  picciol  dono 
TI  fa  parer,  che  poco  a  me  convegna. 
Ma  io  mi  scorderò  di  quel  che  sono, 
Sol  chela  palma  di  tua  mano  ottegna; 
Purch'ella  oggi  da  te  mi  sia  concessa. 
Per  amor  tuo  sconoscerò  me  stessa. 

Dalla  virtù  di  quel  parlar  ferito 
Paride  parer  cangia,  e  pcnsier  muta, 
E  dal  presente  oggetto  istupidito 
La  memoria  dell'  altro  ha  già  perduta. 
Diva,  risponde,  li  merito  infinito 
Di  cotanta  beltà  non  più  veduta  [za 

Dona  al  mio  cieco  ingegno  occhi  abbastan* 
Da  potere  ammirar  vostra  sembianza. 

10  ben  conosco  che  quel  che  oggi  appare 
In  quest'  ombroso  e  solitario  chiostro, 

È  puro  specchio,  e  lucido  esemplare 
Della  divinità,  che  a  me  s*  é  mostro. 
Ma  se  vittime  e  voti,  incensi  ed  are 
Consacra  il  mondo  al  simulacro  vostro, 
Qual  sacrificio  or  v'  offerisco  e  porgo 
lo,  che  vivo,  e  non  finto  il  ver  ne  scorgo  ? 

11  presentarvi  ciò  che  vi  conviene, 
È  dover  necessario  e  giusta  cosa; 

E  r  istessa  ragion,  che  \i  appartiene. 
Vi  fa  senza  il  mio  dir  vittoriosa. 
La  speranza  del  ben  potete  bene 
Concepire  omai  lieta  e  baldanzosa. 
Intanto  In  aspettandone  P effetto. 
Purghi  la  grazia  vostra  11  mio  difetto. 


L' 
Queste  offerte  cortesi  assai  possenti 
Furo  nei  cor  della  più  saggia  Dea. 
E  quai  più  certo  ornai  di  tali  accenti 
Pegno  i  suoi  dubbj  assecurar  potea? 
Da  parole  si  dolci  e  si  eloquenti. 
Con  cui  quasi  il  trofeo  promettea. 
Presa  rimase  e  fu  delusa  anch*  essa 
La  sapienza  e  l' eloquenza  istessa. 


AIK)NE.  29 

Faccian  prima  però  di  quanto  han  scor- 
Testlmoni  del  ver,  fede  alla  bocca,    [io, 
Acciocché  poi  sentenziando  il  torto 
Non  s'abbia  a  dimostrar  maligna,  o  sciocca. 
E  s*  è  dover  dì  giudicante  accorto 
A  ciascun  compartir  ciò  che  gii  tocca. 
Bella  colei  dichiara  Infra  le  beile. 
Che  di  beltà  sovrasta  ali'  altre  stelle. 


Ma  la  madre  d'Amor,  nei  cui  bei  viso 
Ogni  delizia  lor  le  Grazie  han  posta. 
Quel  ciglio,  che  apre  in  terra  il  paradiso. 
Verso  il  garzon  volgendo  a  lui  s'  accosta: 
E  la  serenità  dei  dolce  riso 
D'  una  gioconda  alTablIià  composta, 
La  favella  de'  cori  incantalrice 
Lusinghevole  sdoglie,  e  cosi  dice  : 

Paride*,  io  misontai,  che  nell'acquisto 
Del  disiato  o  combat:u:o  pomo. 
Senza  temer  d' alcun  successo  tristo 
Rifiutar  non  saprei  giudice  Homo. 
Te  quanto  meno,  in  cui  sovente  ho  visto 
Accortezza  e  lK>ntà  più  clie  in  altr'  uomo. 
Quanto  più  voientier  senza  spavento 
Al  foro  tuo  di  soggiacer  consento. 

In  terra,  o  In  del  tra*  più  tenaci  affetti 
Qualcosa  più  sensibile  d'  amore? 
Quai  possanza,  o  virtù,  che  abbia  ne' petti 
Più  delie  forze  sue  forza  e  valore? 
Orche  pensi?  che  fai?  che  dunque  aspetti? 
Dove,  do^-e  è  il  tuo  ardir?  dove  il  tuo  core? 
Dimmi  come  avrai  core,  e  come  ardire 
Da  poterti  difendere,  o  fuggire  ? 

Se  il  pomo,  per  cui  noi  stiam  qui  pu- 
Come  senso  non  ha  potesse  averlo,[gnando. 
Tu  lo  vedresti  a  me  correr  volando, 
Né  fora  in  tua  balla  di  ritenerlo, 
Polche  venir  non  potè,  lo  tei  dimando 
Siccome  degna  sol  di  possederlo. 
Qualunque  don  la  mia  beltà  riceve 
£  tributo  d'  onor  che  le  si  deve. 

La  vista,  il  veggio  ben,  dei  mio  bel  volto 
Ti  ha  dolcemente  1*  anima  rapita. 
Or  riprendi  gli  spirti,  e  In  te  raccolto 
U  cor  rinfranca,  e  la  virtù  smarrita. 
Qud  che  mlrabii  è,  mirato  hai  molto, 
Qimprender  non  si  può  luce  infinita. 
Gii  occhi  tuoi,  che  veduto  oggi  tropp'han- 
Ad  ogni  altro  splendor  cicchi  saranno,  [no. 


Poiché  r  istesso  dono  a  sé  mi  chiama, 
Il  dritto  il  chiede,  e  la  ragion  il  vuole  ; 
Poiché  del  senno  tuo  la  chiara  fama 
T' obbliga  ad  eseguir  quel  eh'  egli  suole; 
Se  a  quant'  oggi  da  me  si  spera  e  brama 
Non  corrisponderan  le  tue  parole, 
La  giustizia  dirò  che  ingiusta  sia, 
E  chela  verità  dica  bugia. 

Vinto  il  pastor  da  paroletta  tali, 
E  da  tanu  beltà  legato  e  preso, 
A  que*  novi  miracoli  immortali. 
Senza  spirito,  o  polso,  é  tutto  Inteso. 
Amor  gli  ha  punto  11  cor  di  dold  strali, 
E  di  dolci  faville  il  petto  acceso. 
Onde  con  sospirar  profondo  e  rotto 
Geme,  langue,  stupisce,  e  non  fa  motto. 

Paride,  a  che  sospiri  ?  o  perché  taci? 
Dove  bisogna  nien,  più  ti  confondi. 
Tu  desti  air  altre  due  pegni  efficaci 
Di  tua  promessa:  a  questa  or  che  rispondi? 
Sono  i  silenzi  tuoi  nunzi  loquaci 
D'  effetti  favorevoli  e  secondi. 
Dunque  del  tacer  tuo  s' appaghi  e  goda, 
Se  di  ciò  la  cagion  le  torna  in  loda. 

Pensa,  né  sa  di  quella  schiera  eterna 
Quai  l>elià  con  più  forza  il  cor  gli  mova, 
Che  mentre  gli  ucclii  trasportando  alterna 
Or  a  questa,  or  a  quella,  egual  la  trova. 
Là  dove  pria  s'  affida  e  il  guardo  interna, 
Ivi  si  ferma,  e  quel  che  ha  innanzi  appro>a, 
Volgesi  ali*  una,  e  l>ella  applen  la  stima  ; 
Poscia  all'altra  passando,  obblia  la  prima. 

Beila  é  Glunone,e  il  suo  candore  intatto 
Di  perla  orientai  luce  somiglia. 
Ha  leggiadro  ogni  moto,  accojrto  ogni  atto 
Del  maggior  Dio  la  bellicosa  figlia. 
Ma  tien  della  bellezza  il  ver  ritratto 
La  Dea  d*  amor  nel  volto  e  nelle  ciglia  { 
E  tutta,  ovunque  a  risguardaria  prenda, 
Dalie  chiome  alle  piante  é  seiua  emenda. 


HABIffO. 


Ì9ù  ABsor  daf  candor  mm  bendlsthito 
Varia-  hr  guancia  e  la  confonde  e  mesce. 
Il  ligOBfro  di  porpora  £  dipinto, 
LlrdbTe  manca  i'  un,  i'  altra  s'accresce. 
Or  Tinto  il  giglio  è  dalia  rosa,  or  vinto 
L*<lstn)  a  par  dairavorIo,or  fugge,  or  esce. 
Alla  neve  colà  la  fiamma  cede. 
Qui  ia  grana  coi  latte  in  un  si  fede. 

ìf  nn  nobti  quadro  di  diamante-  attera 
La  fnmte  e  clkiara  al  par  del  elei  lampeggia. 
Quivi  Amor  si  trastulla,  e  quindi  Impera 
QmBl  In  sublime  e  spaziosa  reggia. 
Gli  albori  1'  alba,  i  raggi  ogni  altra  sfera 
Da  lei  sol  prende,  e  In  lei  sol  si  vagheg- 
Il  cui  cristallo  limpido  riluce  [già, 

D*  una  serena  e  temperata  luce. 

Le  luci  vaglie  a  meraviglia  e  belle 
Senza  alcun  paragone  uniche  e  sole, 
Scorno  insieme  e  splendor  fanno  alle  stelle. 
In  lor  si  specchia,  anzi  s'abbaglia  il  Sole. 
Dall'  interne  radici  i  cori  svelle 
Qualor  volger  tranquillo  il  ciglio  suole. 
Nei  tremulo  seren  che  In  lor  scintilla 
Umido  di  lascivia  il  guardo  brilla.     , 

Per  dritta  riga  da'  begli  occhi  scende 
li  filo  d'  un  canal  fatto  a  misura, 
Da  cui  fior  che  s*  appressi,  invola  e  prende 
Più  che  non  porge  aura  odorata  e  pura. 
Sotto,  ove  r  uscio  si  disserra  e  fende 
Deli*  erario  d'  amore  e  di  natura. 
Apre  un  corallo  in  due  parti  diviso 
Angusto  varco  alle  parole,  al  riso. 

Né  di  si  fresche  rose  In  ciel  sereno 
Ambiziosa  Aurora  il  crin  s'  asperse, 
Nò  di  si  fini  smalli  il  grembo  pieno 
Iride  procellosa  al  Sole  offerse, 
Né  di  sì  vive  perle  ornato  il  seno 
Rugiadosa  conchiglia  all'  alba  aperse. 
Che  la  bocca  pareggi  ov*  ha  ridente 
Di  ricchezze  e  d'  odori  un  oriente. 

Seminate  in  più  sferze  e  sparse  in  fiocchi 
Son  van  le  fila  innanellate  e  bionde 
De*  capei  d*  or  che  a  bello  studio  sciocchi 
Lasciva  trascuraggine  confonde. 
Or  su  gli  omeri  vaghi,  or  fra'  l>egli  occhi 
Divisali  e  dispersi  errano  in  onde  ; 
E  erescon  grazia  alle  bellezze  illustri 
Ard  neglette  e  sprezzature  industri. 


Delle  Ninfe  dei  del  gH  occble  le  guance 
Considerate,  e  le  proposte  udite. 
Mentre  ancor  vacillante  in  dubbia  lance- 
Dei  concorso  divin  pende  la  lite. 
Più  non  vuole  il  pastor  favole  o  ciance , 
Più  non  cura  mirar  membra  vestite, 
Ma  più  dentro  a  spiar  di  lor  bcltade 
La  sua  curiosità  gii  persuade. 

Poiché  del  pari  in  quest' agon  si  giostra, 
Più  olire,  dice,  esaminar  bisogna. 
Nò  diflinir  ia  controversia  vostra 
Si  può,  se  il  vel  non  s'apre  alla  vergogna; 
Perchè  tal  nel  dì  fuor  bella  si  mostra. 
Che  senza  favellar  dice  menzogna. 
Pompa  di  spoglie  altrui  sovente  inganna, 
E  d' un  bei  corpo  i  mancamenti  appanna. 

Ciascuna  dunque  si  disclnga  e  spogli 
De*  ricchi  drappi  ogni  ornamento,  ogn  i 
Percliè  la  vanità  di  tali  invogli       [arte. 
Nelle  bellezze  sue  non  abbia  parte. 
Giù  non  s'  oppone  e  con  superbi  orgogli 
Ciò  far  ricusa  e  traggcsi  in  disparte. 
Minerva  ad  atto  tal  non  ben  si  piega, 
Tien  gli  occhi  bassi  e  per  mode^iia  il  nega 

Ha  la  prole  del  mar  che  ne'  cortesi 
Gesti  ha  grazia,  ed  ardir  quant'aver  potè. 
Esser  vogl'  io  la  prima  a  scior  gli  arnesi. 
Prorompe,  ed  a  scoprir  le  parli  ignote. 
Onde  cliiaro  si  veggi  a  e  si  palesi. 
Che  non  solo  ho  begli  occhi  e  beile  gote. 
Ma  che  è  conforme  ancora  e  corrisponde 
Al  bello  estcrior  quei  che  si  asconde. 

Orsù,  Palla  soggiunse,  ecco  mi  svesto. 
Ma  pria  che  scinte  abbia  le  gonne  e  i  manti. 
Fa  tu  pastor,  eh'  ella  deponga  il  cesto. 
Se  non  vuoi  pur  che  per  magia  t'incanti. 
Replicò  l'altra:  Io  non  repugno  a  questo. 
Ma  tu,  che  di  i>cltà  vincer  ti  vanti,  * 
Perchè  non  lasci  il  tuo  guerriero  elmetti, 
E  lo  spaventi  con  feroce  aspello? 

Forse  che  in  te  si  noti  e  si  rÌprenda[no7 
Degli  occhi  glauchi  il  torvo  lume  hai  scor- 
Impon  Paride  allor,  che  si  contenda 
'  Senza  celata  e  senza  cinto  intorno. 
Restò  r  aspetto  lor,  tolta  ogni  benda, 
Seni'  alcuna  ornatura  assai  più  adornou 
Sì  di  sé  slesse  e  non  d'allr'arml  altere 
Nel  grand'  arringo  entrarle  tre  guerriere^ 


L'iaNmE. 


Zi 


•léveslt  attB.qoe'  trrmMtelli 
Della  pofeiiOReebtMrikposte, 
E.di*  Ibp  carpi  iaunorUrimoite  beili 
FurtafiBrtlpià  cMuse  al  guarde  eapesle, 
Vider  tm  V  ombre  lor  lumi  noTelU 
Lecaiverne  più  obiuae  e  più  riposte  ; 
Né  pneaente  \i  fu  creata  cosa. 
Che  oca  sentisse  in  sé  forza  amorosa^ 

UM  ritemwll  eonoat  graoTiaggio, 
InutU  firtto  ad  Ulostnre  il  Mondo, 
Kenahè  lide  offuscato  ogni  suaraggio 
Da  splendor  più  sereno  e  più  giocondo. 
Volea. scendere  in  tenra  a  fargli  omaggio, 
Ambisioso  pur  d'esser  secondo^ 
Pni  tfBD  sé  si  ponti  deli'  ardimento, 
E  dhHUBirarlo  sol  restò  comento* 

teonta  la  Terra  e  fatta  degna- 
DI  abitatrici  si  beate  e  sante, 
Caa*lKlla  gratitudine  s' ingegna 
Di  rispoaden  in  parte  a  graaie  tante. 
DI  IkI  semi  d'amor  gravida  impregna, 
E  partorisce  a  qne'  begli  occhi  aTante* 
Bingioveni  Natura  e  primavera 
GeoDOgUù  d' ogn'  intorno,  ove  non  eiSi 

Gsalra  lor  naturali  aspri  costtmil 
Generar  dolci  poma  i  pini  irsuti. 
Vacqner  viole  da' pungenti  dumi, 
Fiorir  narcisi  in  su  I  ginebri  acuti. 
Scaturir  mele  e  corser  latte  1  fiuml^ 
EU  mar  n'ebbe  più  ricebi  1  suoi  tributi. 
Spaner zaffiro  i  rivi,  argento  i  fonti. 
Far  d*  ostro  i  prati  e  di  smeraldo  i  monti. 

iasda  il  canto  ogni  augel  della  foresta 
Per  pascer  gli  occhi  di  si  lieto  oggetto. 
L'aoqve  loquaci  in  quella  rupe  e  in  questa 
Fermerò  il  mormorio  per  gran  dileilo* 
Ir' aeee,.  confuso  di  dolcezaa,  arresta 
I  sosurri  deli'  acque  al  lor  cospetto. 
Iteaa  al  dolce  spettacolo  ogni  beUa, 
B  oan  atlention  tace  la  selva. 


Tasta,  se-  non  che  gli  arbori  feliot . 
AWael  della  proasima  palude,. 
Mossi  taler  da  venUceili  amici 
BisWgHavaoo  sol  all'erano  ignuda» 
E  voi  di' tanta  glocia  spettatrici 
Sentiitq  allso  veiea,  vipere  cruda; 
<Me  topnaado  ai  vostri  dolci  amorit, 
Ti  ■iitaiini  iimli  linanr  I  cori» 


Lelfaladi'laMlfv^  I  Pimii  oaoeni: 
Abbandonano  gH  antri^  eoeon  deH'nndi. 
Ciasonn  per  fir  con  gli  occhi  ai  bianelli  seni 
Qualche  furto  gentil,  presso  s^aseendeii 
Vegeta  amor  ne'  rotai  steipi**  pieni 
D'amor  ridono  1  fior,  l' erbe  e  le  fronde. 
Ai  sassi  esclusi- dal  pteeere  immenaan 
Spiace  sol  non  avere  anioW'e  acosob 


Paride  istasBo btqadle  ghiiecalreme 
Non  vive  no,  se  non  per  gli  oceUsolL 
Tanto  eocesso  di  luce,  il  miaer  teme: 
Non  la  vista  e  la  vita  in  un  gl'hivoU. 
Sguardo  non  ha  perianti  raggi  insieiBe, 
Né  cor  bastante  a  sostener  tre  SolL. 
Triplicalo  baleno  il  cor  gli  aerra. 
Un  Sola  la  delo,  e  tre  ne  .vede  in 


Oh  Dei, dlcea,  che  memviglie  veggio 7 
Chi  dell'ottimo  a  trar  m'insegna  il  megtto? 
Son  prodigi  del  Clel?. sogno  o  vaneggio? 
Qual  di  lorlascio?o  qual  fral'altre  soegUo? 
Deh  poiché  iQvan  per  far  ciò  che  fardegglo, 
l  sensi  affino  e  V  intelletto  sveglio. 
In  tanto  dubbio,  alcun  de'  raggi  voslif , 
0  beilesaa  dlvhie,  il  ver.  mi  mostri. 

Perchè  non  arni  cdolfChed'ecchl  pieno, 
La  giovenca  di  Giove  in  guardia  tenna? 
Avessi  in  fronte,  avessi  intomo  ahaeno 
Quante  luci  la  Fama  ha  nelle  penne. 
Fossi  la  notte,  o  fossi  il  del  sereno^ 
Poiché  dal  ciel  tanta  bellezza  venne. 
Per  poter  rimirar  cose  si  belle, 
Coa  tante  viste,  quanta  son  le  aleUft 

Qual  di  santa  onesta  pudico  luma 
In  quella  nobil  vergine  sravlUa? 
Quanto  di  venerando  ha  l' altro  Nome? 
Qual  d'augusto  decoro  aria  tranquilla} 
Ha  qual  vago  £anclul  batta  le  pliune- 
Intorno  a  questa?  e  che  dolcetta»  sUllaS 
Par  che  ritenga  in  sé  dolce  atlfatUM, 
Non  ao  eho.dL  rldeata  e  di  CbsUvq* 

€16  però  non  ml.basta,.ancoBWpwo 
Un  ambiguo  pensler  m'aggira  e. move t 
Blentre  or  a  questa,or  san  a  qMeila4nteao. 
Bramo  il  sommo  trovar^  né  »  bea  dflPie. 
svio  non  vo'  di  seiocehesaa  esaer  nlpaoBO, 
Conviemmi  di  veder  più  chiare  pvofei 
Fi» d'uopo  Imresiigar meglio  eiaaBUav, 
E  mlnriain  dlsparta  ad  una  ad  uau. 


32 


VARINO. 


Fa,  e<^\  detto,  allontanar  le  due, 
E  soletta  rltien  seco  Giunone, 
La  qual  promette  a  hii ,  che  se  le  sue 
Belleszealle  beir  emule  antepone. 
Prìncipe  «Icun  giammai  non  fla  né  fue, 
Più  di  scettri  posspnte  e  di  corone: 
E  che  ogni  gente  al  giogo  suo  ridutta, 
Il  fari  possessor  dell* Asia  tutta. 

Spedito  di  costei ,  Pallade  appella, 
Che  In  aspetto  ne  vien  bravo  e  \|riie, 
E  patteggiando  rIì  promette  anch*clla, 
Gloria  cui  non  fia  mal  gloria  simile  ; 
E  che  se  lei  dichiarerà  più  bella, 
Farallo invitto  in  ogni  a&saUo  ostile, 
Qiiaro  nell'armi,  e  sovra  ogni  guerriero 
Inclito  di  trofei ,  di  palme  altero. 

No  no,  cosa  in  me  mal  forza  non  ebbe 
Da  poter  la  ragion  metter  di  sotto. 
Tribunal  mercenario  il  mio  sarebbe, 
Se  oggi  a  venderla  qui  fossi  condotto. 
Giudice  giusto  patteggiar  non  debbe, 
Nèperprezxo  o  per  premio  esser  corrotto. 
Perdon  di  vero  dono  il  nome  entrambi, 
Seavvien  che  con  l'un  don  Taltro  si  cambi. 

Cosi  risponde,  e  nel  medesmo  loco 
Accenna  a  Citerea  che  vcgna  in  campo. 
Ella  comparve,  e  di  soave  focn, 
Nel  teatro  frondoso  aperse  un  lampo. 
Da  queir  oggetto,  incontr*a  cui  vai  poco 
A  qual  più  freddo  cor  difesa  o  scampo. 
Non  sa  con  pena  di  diletto  mista , 
L*  Ingordo  spettator  sveller  la  vista. 

La  qualità  di  quelle  membra  Intatte 
Qua!  descriver  saprian  pittori  industri? 
Rendono  oscuro  e  l'alabastro  e  il  latte. 
Vincono  I  gigli ,  eccedono  1  ligustri. 
Piume  di  cigno,  e  nevi  non  disfatte, 
Son  foschi  esempi  ai  paragoni  illustri.    - 
Vedesi  lampeggiar  nel  bel  sembiante, 
Candor  d'avorio,  e  luce  di  diamante. 

Eccomi ,  disse,  omal  fa  che  cominci 
A  specular  con  diligenza  II  tutto, 
E  dimmi  se  trovar  gli  occhi  de'  linci, 
Sapriano  in  l>ciià  tanta  un  neo  di  brutto. 
Ma  mentre  ogni  mia  parte  e  quindi  e  quinci 
Rimiri ,  pur  per  divenirne  Instrutlo, 
Vo'  che  gli  occhi  e  gli  orecchi  In  me  rivolti. 
Le  fattene  mirando,  i  detti  ascolti. 


So,  che  sei  tal,  che  signorìa  non  brami,* 
Nò  di  scettri  novelli  uopo  ti  face. 
Che  ad  appagar  del  tuo  desir  le  fami , 
11  gran  regno  paterno  è  lien  capace. 
Da  guerreggiar  non  hai,  poiché  i  reami, 
E  di  Frigia  e  di  Lidia  or  stanno  In  pace, 
Né  dei  tu  d'ozj  amico  e  di  riposi. 
Altri  conflitti  amar,  che  gli  amorosi. 

Le  battaglie  d' Amor  non  son  mortali , 
Kè  s'esercita  In  lor  ferro  omicida. 
Dolci  son  l'armi  sue,  son  dold  I  mali. 
Senza  sangue  le  plagile,  e  senza  strida. 
Ma  non  pertanto  ad  Imenei  reali, 
Denno  aspirar  le  villanelle  d' Ida, 
Né  dee  povera  ninfa  ardere  II  core 
A  chi  potè  obbligarla  Dea  d'amore. 

Ad  uom,  che  d' alta  stirpe  orìgin  tregge. 
Sposa  non  si  eonvien  di  bassa  sorte. 
Nulla  tero  hanno  a  far  nozze  selvagge, 
Nulla  confassi  a  te  rozza  consorte. 
Cedano  a  tetti  illustri  inculte  piagge. 
Ceda  l'umil  tugurio  all'ampia  corte. 
Curar  non  dee  di  contadini  amori, 
Pastor  fra  regi,  e  rege  infra  pastori. 

Tu,  fra  quanti  pastor  guardano  ovili. 
Sei  per  fonna  il  più  degno  e  per  etade. 
Ma  le  fortune  tue  rustiche  e  vili , 
Mi  fan  certo  di  te  prender  pleiade. 
Peregrini  costumi  e  signorili. 
Pregio  di  gioventù ,  fior  di  beltade. 
Deh  che  giovano  a  te,  se  gli  anni  verdi, 
E  te  medesmo  Inutilmente  perdi  t 

Perche  tra  boselii,e  rupl,e plante,e sassi. 
In  questa  solitudine  romita. 
Cosi  senz*  alcun  prò  corromper  lassi , 
ì^  primavera  tua  lieta  e  fiorita? 
Perchè  piuttosto  a  ben  menar  non  passi 
In  qualche  città  nobile  la  vita , 
Cangiando  In  Ietti  aurati  erbette  e  fiorì , 
E  In  donzelle  e  scudier,  pecore  e  torì? 

Giovinetta  si  bella  In  Grecia  vive. 
Che  di  bellezza  ogni  altra  donna  eccede  ; 
Né  sol  fra  le  corintie  e  fra  l' argive. 
Questo  pubblico  onor  le  si  concede, 
Ma  poco  Inferlor  tlensl  alle  Dive, 
E  quasi  In  nulla  a  me  mcdesma  cede. 
Quesu  agli  studj  miei  forte  Inclinata, 
Ama,  amica  d' amor,  d'eieere  amata. 


Laido  GtoTe  di  Leda  il  veotre  greTe 
Di  questo  novo  Sol ,  di  cui  favello. 
Quando  In  len  le  volò  veloce  e  lieve, 
Trasfiguralo  in  nobil  cigno  e  bello. 
Candida  e  pura  è  si  cum' esser  deve 
Fanciulla  nata  d' un  sì  bianco  augello. 
Molle  e  gentil ,  come  nutrita  a  covo, 
Dentro  la  scorza  tenera  d*  un  ovo. 


ADONE.  33 

Sebbene  a  si  gran  luce,  umil  farfalla. 
Il  più  di  voi  mi  taccio  e  il  mcn  n'aecenno. 
Audace  il  dico,  e  so  cbe  in  me  non  falla 
Daisentier  dritto  traviato  il  senno. 
Perdonimi  Giunon ,  scusimi  Wla, 
Gareggiar  vosco,  o  disputar  non  donno. 
Giudico,  che  voi  sola  al  mondo  siate 
L*  Idea,  non  che  la  Dea  della  beltade. 


Ha  tanta  di  beltà  fama  costei , 
Tanto  poi  dall'effetto  11  grido  è  vinto. 
Che  Teseo  il  gran  camplon  s' armò  per  lei, 
E  lasclonue  di  sangue  il  campo  tinto. 
Chiedeano  i  felicissimi  imenei , 
D'Argo  i  principi  a  prova  e  di  Corinto, 
Ma  Menelao  fra  gli  altri  il  più  gradito, 
Parve  d*  Elena  sol  degno  marito. 

Pur  se  ti  cai  di  conquistarla  e  vuol, 
Con  un  pomo  mercar  tanto  diletto. 
La  ricompensa  de*  servigi  tuoi , 
Fla  di  donna  si  bella,  il  grembo  e  il  letto. 
Al  primo  incontro  sol  degli  occhi  suoi, 
Farti  di  lei  signore  io  ti  prometto. 
Farò,  che  abbandonato  il  lido  greco, 
Dovunque  più  vorrai ,  ne  venga  teco. 

Là  di  Lacedemonia  all'alta  reggia 
Tu  te  n'andrai  per  via  spedila  e  corta. 
Ingegnati  sol  tu,  ch'ella  li  veggia. 
Lascia  cura  del  resto  alla  tua  scorta. 
In  tutto  ciò,  che  un  tanto  affar  rlchieggia. 
Amor  fido  ministro,  io  duce  accorta , 
Co'  suoi  compagni  e  con  le  serve  mie. 
La  verremo  a  dispor  per  mille  vie. 

Qui  tacque,e  fiamma  da'begli  occhi  uscio. 
Atta  a  mollir  dei  Caucaso  l' asprezza, 
Ond'egli  ogni  altro  bel  posto  in  obbllo, 
A  quell'incomparabile  bellezza. 
Sforzato  dal  poter  dì  quel  gran  Dio, 
Cbe  ogni  cor  vince,  ogni  riparo  spezza. 
Baciato  11  pomo,  e  in  lei  le  luci  affisse. 
Riverente  gliel  porse,  e  così  disse  : 

0  bella  oltra  le  belle,  o  sovra  quante 
Ha  belle  il  del ,  bellissima  Ciprigna  ; 
Foco  gentil  d'ogni  felice  amante. 
Madre  d'ogni  piacer,  stella  benigna. 
Sola  ben  degna,  a  cui  s' inchini  ava n te 
L'Invidia  stessa,  perfida  e  maligna; 
Se  nuU'a!tra  beltà  la  vostra  agguaglia. 
Ragion  è  ben  cbe  sua  ragion  prevaglia. 


Basta  ben,  ch'alia  gloria  a Tol concessa, 
Fu  lor  dato  poggiar  pur  col  pensiero  ; 
Né  fu  lor  poco  onor,  cbe  fusse  messa 
La  certezza  In  bilancia,  il  dubbio  Ui  vero, 
Ora  di  bocca  la  giustizia  Istessa, 
Pubblica  il  suo  parer  chiaro  e  ducerò. 
L'obbligo  suo  per  la  mia  mano  offerto. 
Questo  pomo  presenta  al  vostro  merlo. 

Atteggiata  di  gioia,  ebbra  di  fasto, 
Venere  il  prende,  indi  volgendo  1  lumi , 
Cedetemi  l'onor  del  gran  contrasto. 
Disse  ridente  ai  duo  scornati  Numi: 
Confessa  pur,  Giunon, eh' io  ti  sovrasto, 
E  che  a  torto  pugnar  meco  presumi. 
Né  spiaccia  a  te,  Bellona,  a  vincer  usa, 
Di  chiamarti  da  me  vinta  e  confusa. 

Pensò  l'una  di  voi  di  superarmi , 
Per  esser  forse  in  elei  somma  reina. 
E  crede  l'altra  con  sue  lucid'  armi, 
DI  spaventar  la  mia  beltà  divina. 
Ma  poco  vi  giovò,  per  quanto  parml , 
Opporsi  al  ver,  eh'  al  paragon  s'affina. 
E  si  possenti  Dee  vieppiù  m'aggrada. 
Senza  scettro  aver  vinte  e  senza  spada. 

Venite,  Grazie  mie,  venite,  Amori, 
Vigorose  mie  forze,  Invitte  squadre. 
Incoronale  de'  più  verdi  allori , 
La  vostra  ornai  vittoriosa  madre. 
Ite  cantando  in  versi  alti  e  sonori , 
E  rispondano  al  suon  1*  aure  leggiadre. 
Viva  Amor,  viva  Amor,  che  in  cielo  e  In  ter- 
Della  pace  trionfa  e  della  guerra,      [ra. 

Mentre  Intento  II  pastore  ascolta  e  mira 
La  bella,  a  cui  li  bel  pregio  è  tocco  in  sorte, 
Le  due  sprezzate  Dee  ver  lui  con  ira , 
Volgon  le  luci  dispettose  e  torte. 
Orgoglio  ogni  lor  atto  e  sdegno  spira , 
Quasi  mina  minacciante  e  morte  ; 
Giunon  però  dissimular  non  potè 
La  rabbia  si,  che  non  la  sfoghi  in  note  : 


•• 


34 


«ARma. 


ttisero,  e  come  def  suo  proprio  relo 
n  cieco  arcier,  dlcea,  gli  occhi  l*  involse, 
Sicché  della  ragion  perduto  il  lelo, 
Il  bel  lumQ  del  ver  scorger  ti  toise  ? 
Te  dunque  scelse  11  gran  rettor  del  cielo? 
Te  deputar  per  giudice  ne  volse^ 
Quasi  un  uomo  il  miglior  dell*  universo. 
Perchè  poi  si  scoprisse  il  più  perverso? 

Viepplì^  che  gloriosa  a  te  funesta 
Sarà,  sii  certo,  cleslon  si  fatta. 
E  sappi  pur,  che  quest*  onore  e  questa 
Gloria,  che  m'abbi  il  tuo  giudizio  tratta, 
Il  vitupero  sia  delle  tue  gesta, 
ET  infamia  immortai  delia  tua  schiatta. 
Queir islessa  bella  malvagia  e  ria. 
Che  fu  il  tuo  premio,  il  tuo  supplizio  sia. 

Queir  impudica  e  disonesta  putta. 
Che  dee  con  dolce  incendio  arderti  il  core. 
Ancor  sarà  della  tua  patria  tutta , 
E  di  tulio  il  tuo  regno,  uliimo  ardore. 
Caduto  Ilio  per  te,  Troia  distrutta 
(  Così  ferisce  e  cosi  scalda  Amore } , 
Sarà  dell*  armi  e  delle  fiamme  gioco. 
Campo  di  sangue,  e  Mongibel  di  foco. 

Tempo  verrà,  che  detestando  il  Fato, 
Pcrch*abbi  1  rai  dei  Sol  goduti  e  visti, 
li  scn  bestemmierai,  che  t'ha  portato^ 
E  Torà  e  il  punto  clic  alta  luce  uscisti. 
Il  rimorso  e  il  dolor  dell'  esser  nato, 
Fia  il  minor  mal ,  che  la  tua  vita  attristi. 
Dell'aver  sostenuto  un  sì  vii  pondo, 
Sarà  sol  la  memoria  infame  al  mondo. 

Le  stelle  che  tal  peste  hanno  concetta, 
L*aure,  che  al  suo  natal  nutrita  l' hanno, 
Quelle  congiureransi  alla  vendetta , 
Queste,  il  proprio  fallir  sospireranno. 
Natura,  che  per  te  fia  maledetta, 
T'abborriràcon  rabbia  e  con  affanno;. 
E  farà,  che  nel  fine  albergo  e  fossa , 
Neghi  ali*  anima  il  elei ,  la  terra  ali*  ossa. 

Dopo  la  Dea  di  Samo,  a  lui  si  volta,* 
Con  cruccioso  parlar  l'altra  più  casta, 
Né  la  superbia  e  l*lra  In  petto  accolta. 
La  modestia  dei  viso  a  coprir  basta. 
Lingua  bugiarda,  temeraria  e  stolta, 
Dice  con  fiera  man  crollando  1*  asta , 
Ben  si  conforma  il  tuo  decreto  Iniquo, 
Al  cor  fellone  ed  al  pensiero  obDquo. 


Ah  cosi  ben  distriìniiscl  f  premi , 
Preso  a  vii  esca  di  fallaci  inganni  T 
Cosi  mi  paghi  i  gloriosi  semi 
Ch'io  t* infusi  nel  cor  fin  da*  prlm'anni^?' 
Che  la  lascivia  esalti,  e  li  valor  premi , 
E  il  vizio  abbracci,  e  la  virtù  coodauid^? 
E  per  sozza  mercè  di  molli  vezsi, 
Onor  rifiuti ,  e  castità  disprezzi  ? 

Ha  per  codesta  tua  data  In  mal  punto 
Sentenza  detestabile  e  proterva. 
Non  vicn  già  la  mia  stima  a  mancar  punto, 
Ch*  io  per  tutto  sarò  sempre  Minerva. 
Se  perdo  il  pomo,  in  un  medcsmo  punto 
Ti  merlo  e  la  ragion  mi  si  conserva , 
A  te  il  danno  col  biasmo,  e  fia  ben  pronta 
L*occasion  di  vendicar  quest'onta. 

Sarà  questo  tuo  pomo  empio  e  nefando. 
Seminario  di  guerre  e  di  mine. 
Che  farai?  che  dirai,  misero,  quando 
Cotante  li  vedrai  stragi  vicine? 
Pentito  alfin,  piangendo  e  sospirando, 
T*  accorgerai  con  lardo  senno  alfine, 
Quanf  erra  quei ,  che  dietro  a  scorte  in  fide. 
La  ragion  repulsando,  al  senso  arride. 

Al  parlar  della  coppia  altera  e  vaga , 
L' infelice  pastor  trema  qual  foglia, 
E  dell'  audacia  sua  pentito,  paga 
Il  passato  piacer  con  doppia  doglia , 
La  qual  ne'  suoi  sospir  par  che  presaga, 
Strani  infortuni  annunziargli  voglia. 
Ma  partite  le  due,  Venere  bella. 
Soavissimamente  gli  favella  : 

Paride  caro,  e  qual  timor  t* assale? 
Se  è  tcco  Amor,  di  che  temer  più  del  7 
Non  sai,  che  in  su  la  punta  del  suo  strale, 
Tutti  1  trionfi  stan,  tutti  i  trofei? 
Che  appo  il  vaior,che  sopra  ogni  altro  vaio. 
Sono  impotenti  I  più  potenti  Ddf 
E  che  del  fuoco  suo  l' invitta  forza 
Di  Giove  Isiesso  le  saette  ammorza? 

Quell'unica  beltà,  ch*io  già  ti  dlssi^ 
Ti  farà  fortunato  infra  le  pene. 
Le  chiome,  che  indorar  potrian  gli  abissi, 
Fian  dell'anima  tua  dolci  catene. 
Quel!c,  possenti  a  rischiarar  gli  eclissi 
(Idoli  del  tuo  cor),  luci  serene, 
TI  faranno  languir  di  tal  ferirai 
Che  avrai  sol  per  morir  cara  la  vita. 


t"àJùiSMXf 


U 


Sì  ben  d*  ogni  bellezza  In  quel  bel  volto 
Epilogato  il  cumulo  s'unisce, 
E  il  perfettamente  insieme  accolto 
Quanto  ha  di  bel  la  terra.  In  M  lioriBer, 
Cbe  ristessa-beltà  vinta  di  molto, 
Il  paraggio  ne  teme  e  n*  arrossisce; 
E  d*  aver  lavorato  un  si  bel  TeUv, 
Pngnin  tra  loro  e  la  Natura  e  il  Qelo. 

Or  non  può  sola  immaginata  l'ombra 
Della  figura,  che  t'accenno  or  io. 
Con  qaeli'  idea,  che  nel  pensier  t'adombri-, 
Felicitar  per  sempre  il  tuo  desio  7 
Si  al,  sostien  l'alta  speranza,  e  sgombra 
Dal  petto  ogni  timor,  Ibride  mio, 
Sipcndo^  che  d^Amor  la  genitrice,. 
Di  tutto  il  suo  poter  t' è  debilriceb 

A  quest'  ultimo  motto,  ancelle  e  paggi, 
Qraaie  ed  Anwri,  intorno  alci  s' uuiro, 
E  il  carro  dnto  di  purpurei  raggi. 
Spalmando  per  lo  sferico  lalBros 
La  portar  da  que'  luoghi  ermi  eselvaggi^ 
Sofvra  l'ali  de'  cigni  al  terao  giro, 
E  di  par  con  gli  augei  bianchi  e  canori, 
Scn  gir  cantando  e  saettando  fiori. 

Qual  meraviglia  poi,  che  alcuno  avvezzo 
1  piati  a  giudicar  de'  cittadini, 
Real  oiinistro,  per  lusinga  o  prezzo. 
Dalla  via  del  dover  talor  dedini. 


Se  in  virtù  sol  d'un  amoroso  vezzo, 
Costui  trapassa  i  debiti  confini? 
E  d' un  futuro  e  tragico  piacere, 
n  pronetso  guadagno  li  fa  cadere? 

Che  non  potran  la  face  e  l'arco  d'oro? 
fliaalcar  non  fia  dalle  lor  forze  oppresso, 
Se  il  sacro  olivo  e  il  sempiterno  alloro. 
Inducono  a  sprezzar  Paride  istesso? 
E  l'umii  mirto  ei  preferisce  loro. 
Anzi  piuttosto  11  funeral  cipresso, 
Poiché  il  suo  nome,  onde  si  canta  e  scrive. 
Per  taute  morti  immortalato  vive? 

Tenea  Torecchle ilbelI'Adone  Intente, 
Le  Iodi  ad  ascoltar  di  Qterea, 
E  si  già  figurando  entro  la  mente, 
La  bella  ancor  non  conosciuta  Dea» 
Ha  giunti  al  loco,  ove  del  di  cocente, 
Clizio  sottrarsi  al  gran  calor  desf'ea. 
Dal  benigno  pastor  tolta  licenaa. 
Con  penaier  di  tornar,  fece  partenza^ 

Tolto  appena  commiato,  uncaBO eslCMO 
(Mercè  d'Amor  che  lo  scorgea)  gU  awea». 
Prese  un  cervo  a  seguir,  che  per  quel  piano 
Parve  in  fuggendo  aver  ne'  pie  le  penne; 
E  poiché  assai  seguito  ei  l'ebbe  invano, 
Stanco  il  passo  e  smarrito  alfin  ritenue, 
Là  dove  molto  da  villaggi  e  case, 
£  da  gregge  e  pastor  lunge  rimase. 


M 


MARINO. 


CANTO   TERZO. 


L' INNAMORAMENTO. 


ALLEGORIA. 


In  Amore,  che  ferisce  li  cuore  alla  madre,  si  accenna  che  questo  irreparabile  affetto 
non  perdona  a  chi  che  sia.  In  Venere,  che  s' innamora  d' Adone  addormentato  si  dinota 
quanto  possa  in  un  animo  tenero  ia  bellezza,  eziandio  quando  ella  non  è  coltivali. 
Nella  medesima,  che  volendo  guadagnarsi  l^affezion  d*  Adone  cacciatore,  prende  ia 
sembianza  della  Dea  racciatrice  e  d*  impudica  si  trasrorma  in  casta,  s*  inferisce,  che 
chiunque  vuole  adescare  altrui,  si  serve  di  quel  mozzi,  ai  quali  conosce  essere  incli« 
nato  r animo  di  colui  che  disegna  di  tirare  a  sé.  E  che  molle  volte  la  lascivia  vien 
mascherata  di  modestia,  né  si  trova  femmina  così  sracclata,  che  almeno  In  su  1  prin- 
cipi non  si  ricopra  col  velo  dell'onestà.  Nella  rosa  tinta  del  sangue  di  essa  Dea  ed  a 
lei  dedicata,  si  dimostra,  che  1  piaceri  venerei  son  fragili  e  caduchi;  e  sono  il  più 
delle  volte  accompagnati  da  aspre  punture,  o  di  passione  veemente,  o  di  pentimento 
mordace. 


ARGOMENTO. 


Mentre  che  stanco  Adon  dorme  in  sul  prato 
I.a  bella  Ciierea  n'arde  d'anioro. 
Egli  hi  desta  e  pien  di  pari  ardore 
Vassene  sccu  in  ver  l'o&tei  bealo. 


PerAdo  è  ben  Amor,  chi  n*arde  il  sente, 
a  chi  è  che  noi  senta,  o  che  non  arda  7 
Eppur  la  cieca  e  forsennata  gente  [guarda 
Segue  il  suo  peggio,  e  il  proprio  mal  non 
Fascino  dilettoso,  ond'uom  sovente 
Pasce ,  credulo  agnello ,  esca  bugiarda. 
Vede  tese  le  reti ,  e  non  le  fugge , 
Né  Yorria  non  voler  quei  che  lo  strugge. 

Corre  vaga  farfalla  al  chiaro  lume. 
Solca  incauto  nocchier  le  plarid'onde; 
Quella  nel  fiero  incendio  arde  le  piume. 
Questo  assorbon  talor  V  acque  profonde. 
Spesso  arsenico  in  oro ,  e  per  costume 
Rigido  tra  bei  fiori  angue  s*  asconde  ; 
E  spesso  in  dolce  pomo ,  ed  adorato 
Suol  putrido  abitar  verme  celato» 


Cosi  spada  lucente ,  arco  dipinto 
Con  la  pittura,  e  con  la  luce  allctta  ; 
Ma  se  r  una  è  trattala ,  e  1*  altro  è  spinto , 
L*una  trafigge  poi ,  1*  altro  saetta. 
Cosi  nuvolo  ancor  di  raggi  cinto 
Fiamme  nel  seno ,  e  fulmini  ricetta  ; 
E  con  dorato  e  luminoso  crine 
Minaccia  empia  cometa  alte  ruine. 

Sirena,  lena,  che  con  falsa  voce, 
E  con  canto  mortale  altrui  tradisce  ; 
Foco  coverto,  che  assecura  e  coce; 
Aspe  che  dorme,  eli  tosco  in  sen  nutrisce; 
Spietato  lusinghier,  che  allctta  e  noce; 
Pietoso  micidial,  eh*  unge  e  ferisce  ; 
Cortese  carcerier,  che  a*  rei  di  morte  [te. 
Quando  chiusi  gli  ha  in  ceppi,  apre  le  por- 


L' 

Dm  lesfe,  se  l^ge  esser  paò  dove 
Oppressa  It  ragion ,  regna  la  voglia , 
B  Talma  folle  In  strane  guise  e  nove 
Per  Testirsi  d' altrui ,  di  sé  si  spoglia. 
Crudo  signor,  che  a  fona  i  sensi  moTe 
A  proeaociarsi  sol  iomiento  e  doglia. 
Fere  come  la  merle,  e  non  perdona 
Seoxa  distinguer  mal  stato  o  persona. 


ADONE.  97 

Mentre  che  pur,  dov'egU  arresti  11  passo. 
Parte  cerca  più  fresca  e  meno  aprica. 
Ode  strepito  d' acque  a  pie  d' un  sasso, 
Vede  dìiusa  valletta  al  Sol  nemica. 
Or  questo  il  corpo  a  sollevar  gìA  lasso, 
E  travagliato  assai  dalla  fatica. 
Seggio  si  sceglie,  e  slima  util  consiglio 
Qui  depor  l'armi,  e  dar  ristoro  al  ciglio. 


0  del  Mondo  tiranno  e  di  Natura, 
Se  del  materno  duol  gioisci  e  godi ,  [ra 
Qual  llacheschermo,o  scampo  almasecu- 
Abhia  dalle  tue  fone,  o  dalle  frodi  T 
Lasso,  e  di  me  che  fla,  che  in  prigion  dura 
Vivo, e  scioglier  del  cor  non  spero  i  nodi, 
Rnchè  quel  nodo  ancor  non  si  discioglia. 
Che  tien  legau  1*  anima  alla  spoglia? 

Erra  nella  stagion ,  che  il  can  celeste 
Fiamme  esala  latrandole  Tarla  boIl<*,  [ste 
0nd*arde clangne  in  quelle  parti  e  in  que- 
n  flore,  e  l'erba,  e  la  campagna,  e  il  colle, 
E  11  pastor  per  spelonche  e  per  foreste 
Rifugge  all'ombra  fresca,  all'  onda  molle. 
Mentre  che  Febo  all' animai  feroce, 
Che  fu  spoglia  d' Alcide,  il  tergo  coce. 

L*olmo,  il  pino,  l'abete,  il  faggio  e  l'orno 
Gii  le  braccia,  e  le  chiome  ombrosi  e  spes- 
Che  dar  sui  fin  del  più  cocente  giorno  [si. 
Agli  armenii  si>iean  grati  recessi , 
Appena  or  nudi,  e  senza  fronde  intomo 
Fanno  col  proprio  tronco  ombra  a  sé  stessi; 
E  mal  secura  dall'  eterna  face 
Ricovra  agli  antri  suoi  l'aura  fugace  ; 

Già  varcata  ha  del  di  la  mezza  terza 
Su  il  carro  ardente  il  luminoso  Auriga , 
E  1  volanti  corsier,  ch'ei  punge  e  sferza, 
Tranno  al  mezzo  del  ciel  l'aurea  quadriga. 
Tepidetto  sudor.  che  scriie  e  scherza , 
Al  bell'Aden  la  bella  fronte  irrigai 
E  tal  vive  perle  e  liquide  disciolto 
Cristallino  niscel  stilla  dal  >olto. 

Sotto  l'arsura  dell'estiva  lampa, 
Che  dal  più  aito  punto  il  suol  percote , 
Tutto  anelante  il  garzonetto  avvampa, 
E  il  grave  incendio  sostener  mal  potè. 
Purpureo  foco  gli  colora  e  stampa 
DI  più  dolce  rossor  le  belle  gote. 
Che  il  Sol,  che  secca  i  fiori  In  ogni  riva. 
Io  quel  prati  d'Amor  vieppiù  gU avviva. 


Fontana  vi  ha,  cui  stende  Intorno  oscura 
L'ombra  sua  protettrice  annosa  ploppa, 
Dove  larga  nutrice  empie  Natura 
Di  vivace  licor  marmorea  coppa. 
Latte  fresco  e  soave  è  l'onda  pura. 
Un  antro  il  seno  ed  un  cannon  la  poppa. 
A  ber  sugli  orli  I  distillati  umori 
Apron  r  avide  labbra  erbette  e  fiori. 

L' arco  rallenta,  e  dell*  usato  pondo 
Ai  fianco  ingiurioso,  il  fianco  alleggia , 
Eli  volto  accesole  il  crin  fumante,  e  biondo 
Lava  nel  fonie,che  in  sul  marmo  ondeggia. 
Poi  colà  dove  il  rezzo  è  più  profondo, 
E  d' umido  smeraldo  il  suol  verdeggia , 
All'erba  in  grembo  si  distende,  e  l'erba 
Ride  di  tant'onor  lieta  e  superba. 

Il  gorgheggiar  de'  garruletti  augelli , 
A  cui  da' cavi  alberghi  eco  risponde; 
li  mormorar  de' placidi  ruscelli. 
Che  van  dolce  nel  margoa  romper  l'onde; 
Il  vcntiiiar  de' tremuli  arboscelli. 
Dove  fan  l'aure  sibillar  le  fronde. 
L'allettar  si,  che  in  su  le  sponde  erbose 
In  un  tranquillo  obbiio  gli  occhi  compose. 

Non  lunge  è  un  colle,che  l'ombrosa  fron- 
Di  mirti  intreccia  e  il  crin  di  rose  infiora,  [te 
E  del  Nilo  fecondo  il  chiuso  fonte 
Vagheggia,  esposto  alla  nascente  Aurora. 
E  quando  rosseggiar  fa  l'orizzonte 
L' aureo  carro  del  Sol,  che  1  poggi  indora. 
Sente  all'aprir  del  mattutino  Eoo 
D*Eto  1  primi  nitriti,  e  di  Piroo. 

A  pie  di  questo  1  suoi  giardini  ha  Qori, 
E  qui  la  Dea  d'Amor  sovente  riede 
A  corre  I  molli  e  rugiadosi  odori 
Per  far  tepidi  bagni  al  bianco  piede. 
Ed  ecco  sovra  un  talamo  di  fiori 
Qui  giunta  a  caso  il  giovinetto  vede. 
Ma  meotr'ellaln  Adon  rivolge  il  guardo, 
Amor  crudele  In  lei  rivolge  11  dardo. 


MlflNGT. 


nr  ptlcirnqmt  féfocv  anftno  irsttr 
Venere  sua,  che  al  par  deglf  occM  rama, 
CSon  Fesca  in  man  d*iro  plcdofgtoljo aurato 
Gonflb  (il  vento,  a  sé  da  lun^  il  ciiiama. 
Tosto  elle  Tede  II  vagabondo  alato 
La  pallad'or,  di  possederla  brama, 
Per  poter  pof  con  essa  in  eliinso  loco 
Sfiìlar  Mercurio  e  Ganimede-  a  gioca. 

Votesi  ratta,  e  In  spashisa  rotr 
CSIl  omeri  dibattendo,  omleggia  ed  erra, 
Solca  11  ctef  con  le  piume,  In  arfa  nuota, 
Or  r  apre  e  spiega,  or  le  ripiega  e  serra. 
Or  il  suol  rade,  or  ver  la  pura  e  vota 
Più  alta  regiott  s'erge  da  terra. 
Alflu  colà  dove  Ciprigna  stassl 
Orina  rapido  l'ali,  e  drizza  f  passi. 

Ella  11  richiama,  egli  rifegge,  e  poi 
Toma,  e  intorno  le  schfn-za  alto  so  i  vanni. 
Anime  incaute  e  semplicette ,  o  voi , 
Non  sia  chi  credi  a  que'  soavi  inganni. 
Fuggite f  oimè,  gii  allettamenti  suol. 
Insidie  1  vezzi ,  e  son  gli  scherzi  affanni , 
Sempre  là  dov*el  ride,  è  strazio  acerbo. 
0  Dio  quanto  è  crudel,  quanto  è  superbo  I 

Questa  dolce  magia ,  che  per  usanza 
L'anime  nostre  a  vaneggiar  sospinge. 
Tal  in  sé  di  piacer  rttien  sembianza , 
Che  quasi  in  amo  d'or  le  prende  e  strìnge. 
Or  se  tanta  han  d' Amor  forza  e  possanza 
Soli  gli  effetti,  allor  che  inganna  e  finge, 
Deh  che  fora  a  mirar  viva  e  sincera 
DI  quel  corpo  inmortai  la  forma  vera? 

Di  splendor  tanto ,  e  sì  sereno  ognora 
Quel  bel  corpo  celeste  rntomo  è  sparso , 
Che  perderebbe  ogni  altro  lume,  e  fora 
(Senza  escluderne  it  Sol)  debile  e  scarso. 
Stupor  non  fla,  se  Psiche  (e  chiusi  ancora 
Aveagliocehidal  sonno)  Il  cor  n'ebbe  arso, 
E  \ide  Innanzi  a  quella  luce  etema 
Vacillando  languir  l' aurea  luceraa. 

Oh  se  nel  Tosco  e  torbido  InteHettD 
Di  queffa  luce  una  scintilla  avessi , 
Si  che,  come  scolpito  il  chiudo  in  petto, 
Cosi  scoprtrìoagH  occhi  altrui  potessi; 
Farei  veder  nel  suo  giocondo  aspetto 
Di  bellezze  divine  estremi  eccessi  ; 
Onde  scorgendo  hi  lui  tanta  belfezza, 
Railnn  la  madre  ha  bec,  se  V  accarezaa. 


RoifAr  tcstk',  oodH  Miàiufì  e  bruno  ci- 
Bocca  ridente,  e  feccia  ha  dtlicata  ,[j;ll6. 
Né  su  la  guancia,  ove  rosseggia  If  glgU<r« 
Spanta  ancor  lar  lanugine  dorata; 
Rome  d'oro,  di  bianco  e  di  vermlgtfo 
Quinci  e  quindi  su  gli  omeri- dilatar; 
Ed  ha' come  pavon  le*  penne  beHe* 
Tntve  fregiate  d'occhi  di  donzelle. 

Molti  d'ambrosfa  e  di  nigfadà  ha  sptrte 
Le  chioma  e  Tali,  e  hngarzonisce  appena; 
Bendato-,  e  senza  spoglie,  il  copre  ht  parte 
Sol  una  fascia ,  che  di  cori  ò  piena. 
Arma  la  man  con  infalli bìl  arte 
D*  arco ,  di  strai ,  di  face  e  di  catena. 
L'aceompagna  in  ogni  atto  il  riso,  il  giocor, 
E  somiglia  al  color  porpora  e  foco. 

Gorre  ingordo  all'i  nvlto,e  colmo  un  lem- 
Dl  ioretii,  e  di  fronde  in  prima  coglie,  [bo 
Poi  poggia  in  aria,  e  sul  materno  grembo 
Ih  colorita  grandine  lo  scioglie  ; 
Ed  ei  nei  nM)lle  ed  odorato  nembo 
Chiuso,  e  tra'  fiori  involto,  e  tra  le  foglie 
Piover  si  lassa  leggermente,  e  sowa 
La  bellissima  I>ea  posa  e  ricovra. 

-  Tal  df  donna  real  delizia  e  cnra 
Picciolo  can,  che  le  sta  sempre  innansl, 
E  delle  dolci  labbra  ha  per  ventura 
Di  ricevere  I  baci ,  e  ber  gli  avanzf , 
Se  con  cenno,  o  con  cibo  rassicura 
La  b?lla  man ,  clie  Io  scacciò  pur  dianal. 
Scote  la  coda,  e  saltellando  ricde 
Umilemente  a  ri  lambirle  il  piede. 

Pargoleggiando  il  bianco  collo  abbraccia. 
Baciali  bel  volto,  e  le  mamnirlle  ignnde. 
Ride  per  ciancia,  e  la  vcmirglla  focchr 
DentroiM'arcodHpettoascondeechiude. 
Eìila,  eh*  ancor  non  sa  qual  le  minaccia 
L*  alto  vezzoso  acerl>e  piaghe  e  crude , 
Colma  di  gioia  tutta ,  e  di  trastullo 
Si  stringe  in  grembo  il  lushìgiiier  fanchillo. 

Stretto  in grenrbo  si  tien  la  Dea  ridente 
Il  doh;e  peso  entro  le  braccia  assiso. 
Sul  glnocciiio  li  solleva,  e  lievemente 
L'agita,  il  culla,  e  se  P accosta  al  viso. 
Or  degli  occhi  ribacia  H  raggio  ardente. 
Or  deHa  bocca  il  desiato  riso  ; 
Né  sa,  che  gonfia  di  mortai  vefeno 
Una  serpe  erndel  al  nutre  hi  seno. 


VAWBfZ. 


hi  eoloTtte  pfunie  «  le  AeTT'aff , 
de  ir  fofo  seoinptgffò,ratira  disperse, 
E  le  cbioine  fncomposte  e  diseg uatf 
Mtef  eolfe  man  morbide  e  terse. 
Ma  Tareo  tfadltor,  gf  Infidi  strali , 
Onde  tfnre  fator  piaghe  sofferse , 
ntfrs'arrlsdila  a  toccar,  che  sa  ben  élIa[Ta. 
ffttaf  eontasfo  htimo  hi  iè  Taspre  quadre!- 

8bco  però,mentreche  In  braccio  II  tiene, 
Di  alquanto  divisar  pur  si  compiace. 
Figlio,  dimmi,  dicea,  polche  conviene , 
Cf  esser  tra  noi  non  dcggla  altro  che  pace, 
Fercbè  prendi  piacer  dell*  altrui  pencT 
Carne  sei  si  proteno  e  tanto  audace , 
Che  <^or  con  l*anni  tue  turbi  e  molesti 
La  quiete  del  Ciel  e  de*  celesti  t 

Madre,  risponde  Amor,  s*erro  tafora. 
Ogni  crror  mio  per  ignoranza  accade. 
Tu  vedi  ben  che  son  fanciuITo  ancora, 
Condona  i  falli  air  immatura  eiade. 
Tu  fanciul?  replicò  Venere  allora. 
Gli  sì  stollo  pensler  ti  persuade? 
Coetaneo  dei  tempo,  e  nato  avante 
ADe  stelle  ed  al  ciel,  Cappelli  liifanteT 

Porse,  perchè  non  hai  canute  chiome, 
Te  stesso  in  ciò  semplicemente  inganni? 
E  ti  dai  pur  di  pargoletto  11  nome. 
Quasi  l'astuzia  poi  non  vinca  gli  anni. 
Eqnal  mìa  colpa,  Amorsogglunse,ocome 
Altri  da  me  riceve  offese  o  danni  7 
Perchè  denno  blasmar  T inique  genti, 
Sol  di  gioia  ministre,  armi  innocenti? 

fn  che  pecco  qualora  alimi  mostralo 
Le  cose  belle?  0  che  gran  mal  commetto? 
Non  accusi  alcun  farco  o  II  foco  mio^ 
Ma  sé  medcsmo  sol ,  ch'erra  a  diletto. 
Se  il  tuo  gran  padre,o  qualunquealtro  Dìo, 
Si  lagna  alle  mie  forze  esser  soggetto  « 
Dì ,  che  il  dolce  non  curi ,  lì  bel  non  brami , 
E  chi  d*amor  non  vuol  languir,  non  ami. 

Ed  ella  :  Or  tn ,  che  ognor  tante  e  sì  noYo 
Spieghi  superbo  In  elei  palme  e  trofei  » 
Tu ,  che  con  alte  e  disusate  prove 
Puoi  tutti  a  senno  tuo  domar  gli  Del. 
Tu ,  che  non  pur  del  sommo  Istesso  GIoTe 
Vittorioso  e  trionfante  sei, 
Ma  de'  tuoi  strali  ancor  pungenti  e  duri, 
Me,  che  ti  general,  non  assecurl. 


Diimiit  ond*aTTfeir,  dn^  sol  por  coinè 
Abbi  la- foce  e  la  faretra  tota,  [spenta 
Contro  Minerva  è  la  tua  ann  sì  lenta. 
Che  non  Tarda  giannnal ,  né  la  percotar? 
Che  soffra  tanti  un  cor  piaghe  non  senti. 
Che  gli  sia  la  tua  fiamma  in  tutto  Ignota, 
SoflHr  non  posso; o  le  facetle  e  1  dardi 
Depon  per  tutti ,  o  lei  ferisci  ed*  ardh 

Ed  egli  :  Girne ,  costei  dì  A  treotendb 
Sembiante  arma  la  fW>nfe  e  sì  severo , 
Che  qualor  per  ferirla  Io  V  arco  tendo  « 
Temo  r  aspeuo  suo  virile  e  fiero. 
Poi  del  grand* elmo  ad  or  ad  or  scotendo 
fi  minaccioso  ed  orrido  cimiero , 
Di  si  fallo  terror  suole  ingombrarmi , 
Che  alla  stupida  man  fa  cader  TarmL 

Ed  ella  a  lui  :  Pur  Marte  era  più  molu> 
Feroce  e  formidabile  di  questa  ; 
Da*  tuoi  lacci  però  non  n'andò  sciolto, 
Blalgrado  ancor  della  tcrribil  cresta. 
Ed  egli  a  lei  :  Marte,  Il  rigor  del  volto 
Placa  sovente,  e  mi  fa  gioco  e  festa, 
Bi*  in^  ita  ai  vezzi ,  ad  abbracciarmi  corre  ; 
L*alira  sempre  mi  scaccia  e  sempre  aborre» 

Talor,  che  osai  d'^avvIcFnarmi  alquanto. 
Giurò  per  quel  Signor  che  regge  il  mondo, 
0  con  Pasta  o  col  pie  rollo  ed  infranto 
Precipitarmi  ali*  Èrebo  profondo,  [quanto 
D'angui  chiomato  ha  poi  nel  petto,ahl. 
Squallido  in  vista,  un  tesciiio  e  furibondo. 
Del  cui  ciglio  uscir  suol  tanto  spavento. 
Che  in  mirarlo  agghiacciar  tutto  mi  sento. 

Odi ,  dic*^elta,  odi  sagace  scusa. 
Sì  certo,  sì  :  dunque  paventi  e  tremi 
Nel  sen  di  Palla  a  risguardar  Medusa, 
Eppur  di  Giove  II  folgore  non  temi? 
Ha  dimmi,  or  perchè  lì  cor  d'alcuna  Musa 
Non  mai  del  fuoco  tao  riceve  i  semi? 
Queste ,  sguardo  non  han  rigido  e  erodo, 
Né  del  Gorgone  11  Mostruoso  scudo. 

Tero  dirotti,  egD  ripiglia,  io  queste 
Non  temo  no,  ma  riverente  onoro. 
Accompagnata  da  sembianze  oneste 
Yirginal  pudicizia  lo  scorgo  (n  loro. 
Poi  sempre  Intente  al  bel  cantar  celeste 
0  in  studio  altro  occupato  è  n  sacro  coro; 
Talché  non  mai,  se  non  ne*  molli  versta 
Da  conversar  tra  lortarco  m'apersi. 


40 


MARINO. 


Ed  ella  allor  :  Polche  ritieni  a  freno 
Tanto  furor,  qui  zelo.  Ivi  paura  « 
Vorrei  saper,  perchè  Diana  almeno 
Dalle  quadrella  tue  vItc  sccura? 
Né  di  costei ,  risponde ,  il  casto  seno 
Vaglio  a  ferir,  rivolta  ad  altra  cura. 
Fugge  per  monti  «  né  posar  concede 
SI  cb*  Olio  mai  la  signoreggi  al  piede. 

Ben  ho  quel  chiaro  Dio,  che  di  Latona 
Seco  nacque  In  un  |iarto,arciero  anch'esso, 
Dico  quel ,  che  di  foco  11  crin  corona , 
Piagato,  e  d'altra  fiamma  acceso  spesso. 
Così  mentre  con  lei  selleria  e  ragiona , 
n  tratto  studia ,  e  le  si  stringe  appresso  ; 
E  tuttavia  dialogando  seco 
Coglie  il  tempo  a  colpir  l'occhiuto  cieco. 

Dal  purpureo  turcassojl  qual  gran  parte 
Delle  canne  pungenti  in  sé  ricetta 
(Pane  caso  improvviso,  e  fu  bell'arte}. 
La  punta  usci  della  fatai  saetta. 
Punge  il  fianco  alla  madre,  indi  in  disparte, 
Tìroldetto  e  fugace  il  volo  affretta. 
In  un  punto  medesmo  il  fier  garzone 
Ferule  il  core  ed  addllolle  Adone. 

Gira  la  vista  a  quel  che  Amor  gli  addita, 
Che  scorgerlo  ben  può,  sì  presso  ei  giace. 
Ed  olmo,  grida ,  oimè  eh'  io  son  tradita  ! 
Figlio  ingrato  e  crudel ,  figlio  fallace. 
Ahi,  qual  sento  nel  cor  dolce  ferita? 
Ahi ,  qual  ardor,  che  mi  consuma  e  piace? 
Qual  beltà  nova  agli  occhi  miei  si  mostra? 
Addio  Marte,addio  ciel,non  son  più  vostra. 

Pera  quell'arco  tuo  d*  Inganni  pieno. 
Pera, iniquo  fanciui,  quel  crudo  dardo, 
Tu  prole  mia?  no  no,  di  questo  seno. 
No  elle  mai  non  nascesti,  empio  bastardo  ; 
Né  mi  sovì  ien  tal  foco  e  tal  veleno. 
Concetto  aver,  per  cui  languisco  ed  ardo  : 
Ti  generò  di  Garberò  Megera , 
0  dell'  oscuro  Caos  la  notte  nera. 

SI  svelle  in  questo  dir  con  duolo  e  sdegno 
Lo  strai,  eh'  è  nel  bel  fianco  ancor  confitto. 
E  tra  le  penne  e  il  ferro  In  mezzo  al  legno, 
Trova  11  nome  d*Adon  segnalo  e  scritto. 
Volto  alia  piaga  poi  l' occhio  e  V  ingegno, 
Vede  profondamente  li  sen  trafitto, 
E  sente  per  le  vene  a  poco  a  poco 
Serpeodo  gir  licenzioso  foco. 


Ben  egli  è  ver,  che  quella  fiamma  è  tale, 
Che  non  senza  piacer  langue  e  sospira; 
E  vaga  pur  del  non  curato  male. 
Mille  in  sé  di  pensier  macelline  aggira. 
Orsi  rivolge  al  velenoso  strale. 
Or  l'esca  del  suo  ardor  lunge  rimira; 
E  In  questi  accenti  alle  confuse  voglie. 
Con  un  ahi  doloroso  il  gruppo  scioglie. 

Ahi ,  ben  d'ogni  mortai  femmina  vile 
Omai  lo  stato  invidiar  mi  dcggio  : 
Poiché  di  furto  e  con  insidia  ostile. 
Da  chi  meno  il  dovria,  schernirmi  veggio. 
Mi  ferisce  il  suo  strai ,  m' arde  il  focile , 
Né  delle  mie  sventure  é  questo  il  peggio; 
Che  alfin  le  fiamme  sue  son  tutte  spente. 
Se  la  madre  d'Amore,  amor  non  sente. 

Ma  eh*  lo  soggiaccia  a  si  perversa  sorte. 
Che  le  bellezze  mie  si  goda  un  fabbro? 
Un  aspro,  un  rozzo,  un  ruvido  consorte , 
Incolto,  irsuto,  afi'umicato  e  scabro? 
E  che  legge  ininiortal,  peggior  che  morte, 
Mi  costringa  a  baciari*  ispido  labbro? 
Labbro,  assai  più  neiro/ride  fornaci 
Atto  a  soffiar  carbon ,  che  a  porger  baci  ? 

Un,  clic  al tro  unqua  non  sa,  che  col  mar- 
Tempestando  r  incudini  infernali ,    [tello 
Le  caverne  assordar  di  MongibcUo 
Per  temprar  del  mio  padre  i  fieri  strali , 
Che  ^  an  cadendo  In  questo  lato  e  in  quello. 
Vano  spavento  ai  semplici  mortali, 
E  del  maestro  lor sembianti  espressi, 
Com'  é  torlo  il  suo  piò,  son  torti  ancii'essi. 

Deh  quante  volte  audacemente  accosta 
Importuno  alla  mia  l'adusta  faccia, 
E  quella  man ,  che  ha  pur  allor  deposta 
La  tanaglia  e  la  lima ,  in  son  mi  caccia; 
Ed  io,  malgrado  mio,  son  sottoposta 
Ai  nodi  pur  dell' abborritc  braccia, 
Ed  a  sofl'rìr,  che  mentre  el  mi  lusinga , 
La  fuligine  e  il  fumo  ognor  nd  Unga. 

Pallade,  o  saggia  lei ,  quantunque  meco 
Non  s' agguagli  in  beltà,  ne  fé*  rifiuto. 
Né  Giove  il  >oÌse  in  del ,  ma  nel  più  cieco 
Fondo  il  dannò  d'un  baratro  perduto; 
Onde  piombando  in  quel  ardicelo  speco 
L' osso  s' infranse ,  e  zoppicò  caduto , 
E  pur  zoppo  ne  venne  entro  li  mio  letto 
L*  altrui  pace  a  turbar  col  suo  difetto. 


PIÙ  non  mi  è  già  di  mente  ancor  usdu 
La  rimembranza  dcir  indegne  offese. 
Altamente  nel  cor  mi  sta  scolpita 
L'insidia  che  sì  perfida  mi  tese. 
Quando  alla  rete  di  diamante  ordita, 
Questo  sozzo  Tillan  nuda  mi  prese. 
Follemente  scoprendo  ai  Numi  eterni 
Delle  mie  membra  1  penetrali  interni. 


ADONE.  41 

Voi ,  Grazie,  voi,  che  dolcemente  avete 
Nel  nettare  del  elei  le  labbra  infuse, 
E  ne*  lavacri  più  riposti  siete 
Nude  le  sue  bellezze  a  mirar  use  ; 
Voi  snodar  lamia  lingua,  e  voi  potete 
Narrar  di  lei  ciò  che  non  san  le  Muse. 
Intelletto  terreno  al  cici  non  sale. 
Né  fa  volo  dlvin  penna  mortale. 


Un  rabbioso  dispetto  ancor  sent*  io 
Del  grave  oltraggio  onde  delusa  io  fui , 
Polche  die  con  sua  infamia  e  biasmo  mio, 
Vergognosa  materia  al  rìso  altrui. 
Or  non  si  dolga  no  chi  mi  schernio. 
Se  Tonta  che  mi  fé*  ricade  in  lui. 
S*el  volle  cancellar  corno  con  scorno, 
lo  saprò  vendicar  scorno  con  corno. 

L'Aurora  Innanzi  di  si  cala  In  terra 
Per  abbracciar  d'Atene  li  cacciatore. 
La  Luna  a  mezzanotte  il  elei  disserra 
Per  vagheggiar  l' arcadico  pastore. 
Io  perchè  no?  se  U  mio  deslr  pur  erra. 
Quella  somma  beltà  scusa  ogni  errore,  [to, 
Vo',  che  il  garzon  ch'io  colà  presso  ho  scor- 
Sla  vendetta  air  ingiuria,  emenda  al  torto. 

Qui  tace,  e  poi  qua)  cacciatrice  al  guado. 
Colà  correndo  all'alta  preda  anela. 
Vesta  di  lieve  e  candido  zendado 
Le  membra  assai  più  candide  le  vela , 
Che  com' opposto  al  Sol  leggiero  e  rado 
Vapor,  le  copre  si ,  ma  non  le  cela. 
Vola  la  falda  Intorno  abile  e  crespa , 
Zeffiro  la  raccorcia  e  la  rincrespa. 

Sudata  dall'  artefice  marito 
SuH' omero  gentil  fìbbia  di  smalto 
Con  branche  d'oro  lucido  e  forbito 
Sospende  ad  un  zafSr  l' abito  in  alto. 
L'arco,  onde  suole  ogni  animai  ferito, 
Mercè  della  man  bella  ambir  l'assalto 
Con  la  faretra,  che  al  bel  Hanco  scende , 
Ozioso  e  dimesso  al  tergo  pende. 

Sotto  il  confln  della  succinta  gonna 
(Salvo  ii  bel  pie,  che  ammanta  aureocalza- 
Dell'  una  e  l' altra  tenera  colonna ,      [re, 
L' alabastro  spirante  Ignudo  appare. 
Non  vide  il  mondo  mai  (se  la  mia  donna 
Non  1*  uguaglia  però}  forme  sì  care. 
Da  lodar,  da  ritrar  corpo  sì  bello. 
Tradì  canto  non  ha,  Grecia  pennello. 


Pastor  di  Troia ,  0  te  felice  allora. 
Che  senza  vel  tanta  bvltà  mirasti  ; 
E  saggio  te,  quanto  felice  ancora. 
Che  il  pregio  a  lei  d'ogni  beltà  donasti. 
Beltà,  che  gli  occhi  e  gli  animi  innamora. 
Diva  delle  bellezze,  e  tanto  basti. 
Se  non  fuss'ella  Qlerea ,  direi 
Che  Qtereas*  assomigliasse  a  leL 

Non  osa  al  bell'Adon  Venere  Intanto, 
Il  vero  aspetto  suo  scoprir  si  tosto. 
Ma  vuol  per  tome  gioco  innanzi  alquanto. 
Che  sia  sotto  altra  immagine  nascosto. 
Nov*  (io  non  saprei  dir  con  qual  incanto) 
Simulacro  mentito  lia  già  composto  ; 
E  già  si  ben  di  Qnzia  arnesi  e  gesti 
Fmge,  che  in  tutto  lei  la  crederesti. 

Va  come  Qnzia ,  Inculta  ed  inomata  1 
E  veste  gonna  di  color  d*  erbetta. 
Tutu  in  un  fascio  d'or  la  chioma  aurata, 
Le  cade  sovra  l' omero  negletta. 
Nulla  industria  però  ben  ordinata, 
Tanto  con  1*  artifìcio  altrui  diletta , 
Quanto  al  bel  crin,  ch'ogni  ornamento 
Accresce  ogni  disordine  bellezza,  [sprezza 

Tien  duo  veltri  la  destra,  al  lato  manco 
Pende  ad  aurea  catena  indico  dente. 
D*  argento  in  fronte  immacolato  e  bianco 
Vedesi  scintillar  luna  lucente. 
Lasciasi  l'arco  e  la  faretra  al  fianco. 
Prende  d' acuto  acciar  spiedo  pungente. 
Talché  al  cani,  agli  strali,  ai  corno,air  asU, 
La  più  lasciva  Dea  par  la  più  casta. 

Non  sol  per  suo  diletto  ella  usar  vote, 
Ma  per  Infamar  l'emula  quest'arte , 
Perchè  temendo,  se  la  vede  il  Sole , 
Non  l'accusi  a  Vulcano,  ovvero  a  Marte; 
Vuol  ch'egli  o  qualche  SaUro,  che  suole 
Da  lui  fuggire  in  quell'ombrosa  parte, 
A  Pan  piuttosto  11  riferisca  e  dica: 
Che  ancor  Diana  sua  non  è  pudica. 


«2 


VftRIIVD. 


I%rpf(l  spedito  ageroltrat  tlcallfe 
L*  aureo  cotorno  si  disfibbia  e  scalia  «. 
Poi  dell' obliqua  ed  inUicata  ralfe 
Premeodo  va  la  discoscesa  balza. 
Verbe  dal  Sole  impallidite  e  gialla 
Verdeggian  tutte,  ogni  fior  s'apre  ed  alza. 
Sotto  il  pie  peregrin  dei  bosco  inculto, 
Ogni  sterpo  fiorisce ,  ogni  virgulto. 

Ed  ecco  audace  e  temeraria  spina , 
Ma  qvanto  temeraria ,  anco  fdtcc , 
Che  la  tenera  pianta  alabastrina- 
Ptingeln  passando,  e  il  sangue  fuor  n'elice, 
E  Tien  di  quella  porpora  divina- 
Ad  ingemmar  la  cima  impiagatrice  ; 
Ma  colorando  i-fior  dei  proprio  stelo, 
Scolora  i  fior  della  beltà  del  cielo. 

Pallidetla  s'arresta  e  dolorosa 
Que'  begli  ostri  a  stagnar  col  bianco  Uno, 
E  intanto  folgorar  vede  la  rosa, 
GIÀ  di  color  di  nere,  or  di  rubino. 
Ma  per  doppia  ferita  ancor  non  posa, 
Nò  della  traccia  sua  lascia  il  cammino. 
Vinta  la  doglia  è  dal  desire ,  e  cede 
Alla  plaga  del  cor,  quella  del  piede. 

Or  giunta  sotto  il  solitario  monte, 
Dove  raro  uman  pie  stampò  mai  l'orme, 
Trova  colà  sul  margine  del  fonte, 
Adonche  in  braccio  ai  fior  s'adagia  e  dor- 
Ed  or  che  già  della  serena  fronte    [me. 
Gli  appanna  il  sonno  le  celesti  forme, 
E  tien  velato  il  gemino  splendore, 
Veracemente  egli  rassembra  Amore. 

Rassembra  Amor,  qualor  deposta  e  sclol- 
Laface,  e  gli  aurei  strali,  e  l'arco  fido,  [ta 
Stanco  di  saettar  posa  talvolta 
Su  ridallo  frondoso  o  in  vai  di  Gnido, 
E  dentro  1  mirti,  ove  tra  l'ombra  folta, 
Han  canori  augelletti  opaco  nido, 
Appoggia  il  capo  alla  faretra,  e  quivi , 
Carpisce  il  sonno  al  mormorar  de'  rivi. 

Siccome  sagacissimo  seguso, 
Polche  raggiunta  ha  pur  tra  fratta  e  fratta, 
Vaga  fera  talor,  col  guardo  e  II  muso. 
Esplorando  li  covll  Termo  s'appiatta  ; 
E  in  cupa  maccliia  rannlcciilato  e  chiuso, 
Pkr  che  voce  non  oda,  occhio  non  batta, 
Mentre  il  varco  e  la  preda,  ov'ella  sia. 
Immobilmente  insidioso  spia  ; 


Così' la  Oéa  d'Amor,  poicflè'  soietta 
Giunge  a  mirar  l'angelica  sembianza. 
Che  alle  gioie  amorose  il  bosco  aUelta, 
E  del  suo  elei  le  meraviglie  avanza. 
Resta  Immobile  e  fredda,  e  in  su  l'erbetUi 
Di  stupor  sopraffatta  e  di  speranza  ; 
Siede  tremante,  e  il  bel  che  l'innamora. 
Stupida  ammira,  e  reverente  adora. 

In  atto  sì  gentil  prende  rl]>oso. 
Che  tutto  leggiadria  spira  e  dolcezza; 
E  il  sonno  Istesso  In  si  begli  occhi  ascoso. 
Abbandonar  non  sa  tanta  bellezza. 
Anzi  par  che  di  lor  fatto  geloso  « 
Di  starsi  ivi  a  diletto  abbia  vaghezza; 
E  con  nido  si  bel  non  le  dispiaccia. 
Cangiar  di  Pasitca  l'amate  braccia. 

Placido  figlio  della  Notte  bruna, 
li  Sonno  ardea  d'amor  per  Pasltea; 
E  perchè  questa  delie  Grazie  cr'una. 
L'ottenne  in  sposa  alfin  da  Citerea. 
Or,  mentre  che  di  lor  sen  già  ciascuna 
L'erbe  scegliendo  per  lavar  la  Dea, 
Scherzando  intorno  ignudo  spirto  alato, 
Partir  non  si  sapea  dai  vicin  prato. 

Vanno,  ove  Flora  I  suol  tappeti  stende. 
Le  Grazie  a  cor  qual  più  bc!  fior  germoglia. 
Qual  dalla  spina  sua  rapisce  e  prende 
La  rosa,  e  qual  del  giglio  il  gambo  spoglia. 
Quella,  al  balsamo  ebreo  la  scorza  fende. 
Questa,  all'indica  canna  iicrin  disfoglia. 
Altra,  ove  suol  vibrar  lingue  di  foco. 
Ricerca  di  Cilicia  il  biondo  croco. 

Or,  il  tranquillo  Dio,  mentre  che  move 
Invisibii  tra  tori*  ali  sue  chrte. 
Posar  veggendo  il  beli' A  don  là  dove, 
Tesson  notte  di  fronde  ombre  scerete. 
Per  piacer  alla  figlia  alma  di  Giove, 
GII  pone  agii  occhi  il  ramosccl  di  Lete; 
Talché  ben  potè,  oppresso  in  quella  gufsa. 
Star  quanto  vuole  a  contemplarlo  assisa. 

Tanta  In  lei  gioia  dal  bel  viso  fiocca, 
E  tal  da'  chiusi  lumi  incendio  appiglia;, 
Che  tutta  sovra  lui  pende  e  trabocca,. 
Di  desir,  di  piacer,  di  meraviglia. 
E  mentre  or  della  guancia,  or  della  bocca. 
Rimira  pur  la  porpora  vermiglia. 
Sospirando  un  oimè,  svelle  dai  petto. 
Che  non  è  di  dolor,  ma  di  diletto. 


t'AOfHfE. 


Qual'indastre  plttbr,  che  fistento  eflso 
tn  M  ritratto  ad  emuldir  natura, 
TiìtXù  il  Oor,  tatto  M  bel  d*un  vaga  risa» 
Celàument^  Investigando  fiira; 
0«r  dolce  sguardo  e  del  soave  rìso, 
PHai*binbra  ignuda  entro  il 'pensler  figura, 
Poi  con  la  man  dlscepola  delPart», 
Di  leggiadri  colbr  la  veste  tn  carte  ; 

Tal  efla,  qnasi  con  pennel  flirtilo. 
L'aria  involando  dell'oggetto  amato, 
BoTe  con  occhio  cupido  e  lascivo. 
Le  bellezze  del  volto  innamorato  ; 
Indi  dell*  Idol  suo  verace  e  vivo, 
Forma  l'esemplo  con  lo  strale  aurato, 
E  con  lo  strai  medesimo  d'Amore, 
Se  rinchiuda  e  configge  in  mezzo  al  core. 

A  pie  gli  siede,  e  studia  attentamente, 
Come  la  bella  imago  in  scn  si  stampi. 
In  lui  si  specchia,  ed  ali*  Incendio  ardente, 
Tragge  nov'esca,  onde  più  forte  avvampi. 
Ma  delle  stelle  Incclissate  e  spente, 
Suscitati  veder  vorrebbe  i  lampi  ; 
E  consumando  va  tra  lieta  e  trista, 
la  quel  dolce  spettacolo  la  vista. 

Benché  il  favor  de'  rami  ombrosi  e  densi, 
Dal  Sol  difenda  il  giovane  che  giace. 
Pur  l'aria  Impressa  di  vapori  acccnsl, 
E  ripercossa  dall'  estiva  face, 
E  quel  che  lega  dolcemente  I  sensi, 
E  sopisce  1  pensier,  sonno  tenace, 
II  volto  insieme  ed  umidetto  ed  arso. 
Di  fiamme  tutto  e  di  sudor  gli  bau  sparso. 

Onde  la  Dea  pietosa,  or  della  vesta 
Il  lembo,  or  un  suo  vel  candido  e  lieve 
In  lui  scotendo,  a  lusingar  s'appresta 
Della  (h>nte  e  del  crin,  1*  ambra  e  la  neve. 
E  mentre  1*  aria  tepida  e  molesta 
Move  e  scaccia  il  calor  noioso  e  greve, 
Con  r  aure  vane  a  vaneggiar  intesa, 
Sfoga  ih  sosplr  l'Interna  fiamma  accesa. 

Aore,  oaure,dÌcea,  vaghe  e  vezzose, 
Peregrine  dell'arhi,  aure  odorare. 
Voi  che  di  questa  selva  infì*a  l'ombrose, 
Cime  sonore  a  stuol  a  stuol  volate. 
Voi,  cui  de'  miei  sospir  Taure  amorose, 
Doppian  forza  alle  piume,  aure  beate. 
Voi,  dall' estivo  ingiurioso  ardore. 
Deh  difendete  n  nostro  amato  amore. 


Cosi  di  verno'  mai,  coiA  dI'geDi', 
Ira  nemica  non  vi  offènda  o  tocchi  ; 
E  quando  I  monti  bau  più  canuto  il  pdb. 
Dolce  dalle  vostr'all  ambrosia  flocchi; 
E  securo  vi  presti  II  bosco  e  II  cielo. 
Schermo  dal  vivo  Sol  di  que'  begli  occhi  ; 
E  molle  abbiate  e  di  salute  piena. 
Ombra  sempre  tranquilla,  aria  serena. 

fndl  ai  fiorito  e  verdeggiante  prata. 
Letto  del  vago  suo,  rivolta  dice  : 
Terreno  al  par  del  cìei  sacro  e  beato. 
Avventurosi  fiori ,  erba  felice. 
Cui  sostener  tanta  bellezza  è  dato. 
Cui  posseder  tanta  ricchezza  lice. 
Che  deir  idolo  mio  languido  e  stanco. 
Siete  guanciali  al  volto,  e  piume  al  fianco  ; 

Sia  quel  raggio  d'Amor,  che  vi  percote. 
Di  Sole  invece  a  voi,  fiori  ben  nati. 
Ma  che  veggio?  che  veggio?  or  che  non  potè 
La  virtù  de'  begli  occhi  ancor  serrati? 
Dal  bei  color  delle  divine  gote. 
Dal  puro  odor  dì  que'  celesti  fiati. 
Vinta  la  rosa,  e  vergognoso  il  giglio, 
L'una  pallida  vien,  l'alti'O  vermiglio. 

Volgcsi  agli  occhl,e  dice:  Un  degli  ardenti 
Vostri  lampi,  occhi  cari,  or  mi  consoli. 
Occhi  vaghi  e  leggiadri ,  occhi  lucenti. 
Occhi  de*  miei  pensieri,  e  porti,  e  poli. 
Occhi  dolci  e  sereni,  occhi  ridenti. 
Occhi  de'  mici  desiri,  e  specchi,  e  Soli, 
Finestre  dell'Aurora,  usci  del  die. 
Possenti  a  rischiarar  le  notti  mie. 

Occhi  ove  Amor  sostien  lo  scettro  e  il  re- 
Ov'egli  arrota  i  più  pungenti  artigli,  [gno, 
Voi  sol  potete  11  mio  battuto  ingegno. 
Campar  dalle  tempeste  e  da'  perigli , 
Non  men  che  stanco  e  travagliato  legno, 
Soglian  di  Leda  1  due  lucenti  figli. 
Già  parml  In  voi  veder,  veggio  pur  certb, 
Tra  due  chiuse  palpebre  un  cielo  aperto. 

Ma  perchè  non  v'aprite  Te  I  dolci  ral 
Non  volgete  a  costei,  che  umil  v'Inchina? 
Aprili,  neghittoso,  e  sì  vedrai 
A  qual  ventura  il  Fato  or  ti  destina. 
Rendi  ai  sensi  11  vigor,  richiama  ornai 
L*  anima  da*  bei  membri  peregrina. 
Ah  non  gli  aprir,  che  chiuso  anco  li  bel  d- 
Splra  Tardor  del  mio  spietato  figlio,  [gllo, 


44 


MARINO. 


Sonno,  DM  tu,  s*  egli  è  pur  ver  che  sei, 
Vi?a  e  verace  Immagine  di  morte, 
Anzi  di  qualità  slmile  a  lei. 
Suo  germano  t'appelli,  e  suo  consorte. 
Come,  come  potesti  a  danni  miei, 
Entrar  del  cicl  nelle  brate  porte? 
Con  che  licenza  oltre  1*  usato  ardita. 
Puoi  negli  occhi  abitar  della  mia  vita? 

E  se  sei  pur  dell'ombre  e  degli  orrori 
Oscuro  flgilo  e  gelido  compagno. 
Come  1  cocenti  raggi,  e  1  dliiarì  ardori 
Soffri  di  quel  bel  viso,  ond'io  mi  lagno? 
Fuggi  il  riscliio  mortai.  Semplici  cori 
Fan  tra  I  vezzi  d' Amor  scai  so  guadagno. 
Vanne  vanne,  lontan ,  vattene  In  loco , 
Dove  tanto  non  sia  splendore  e  foco. 

Ma  se  stender  vuol  pur  le  brune  piume 
Sovra  li  novello  autor  de*  miei  tormenti, 
Deb  porgi  all'ombre  tue  tanto  di  lume. 
Che  r  immagine  mia  gli  rappresenti , 
La  qnal  siccome  dolce  lo  mi  consume 
Gli  mostri  in  atll  supplici  e  dolenti , 
Onde  nel  pigro  cor,  mentre  giac'egll 
Sonnacchioso  dormendo.  Amor  si  svegli. 

Appena  ha  queste  note  ultime  espresse, 
Che  l'amico  Morfeo,  ciie  gli  è  vicino, 
Fabbrica  d'aria  e  di  vapori  inlesse 
Simulacro  leggiadro  e  peregrino. 
Di  tal  forine  si  veste,  e  scopre  In  esse 
Di  celeste  beltà  lume  di \  ino. 
Donna,  eh' è  tutta  luce,  e  foco  spira. 
Nel  teatro  del  sonno  Adone  ammira. 

Corona  tal,  che  altrui  la  vista  offende , 
Cerchia  la  fronte  lucida  e  serena , 
E  di  gemme  stellata  avvampa  e  splende, 
E  di  stelle  gemmata  arde  e  balena. 
£  dal  (itolo  suo  ben  si  comprende. 
Che  non  è  chi  la  tieucosa  terrena, 
HavvI  scritto  dintorno  In  lettre  aurate  : 
Madre  <f  Amore,  e  Dea  delta  heltate. 

Mentre  d'alto  stupore  Adonvien manco 
Glàpargli  già  la  beila  iarva  udire. 
Che  stendendo  una  man  d'avorio  bianco, 
Adon, dammi  il  tuocor,gii  prendeadire. 
E  fu  quasi  un  sol  punto  aprirgli  il  flanco, 
Dispiccarglielo  a  forza,  e  disparire. 
Sognando  II  bel  garzon,  si  dole  e  geme. 
Sì  che  la  vera  Dea  ne  langue  Insieme. 


E  traendo  un  sospir  piano  e  sommesso 
Tempra  il  novo  marti r,  che  la  tormenta, 
E  languisce  e  gioisce  a  un  tempo  Istesao, 
Spera, teme,arde,agghiaccia, osa  e  paventa. 
La  mano,  elisen  s'empie  di  (lori,  e  spesso 
Sul  viso  un  nembo  al  l)el  fauclul  ne  avventa. 
Indi  (che  lui  dcsu  non  vuol)  s'inchina 
Dolcemente  a  baciar  1'  erba  vicina. 

Poscia  il  bel  riso  entro  le  labbra  accolto. 
Che  In  carcere  di  perle  s'imprigiona. 
Contempla  attentamente,  e  del  bel  volto 
Vagheggiando  la  bocca,  a  lei  ragiona  : 
Urna  di  gemme,  ov'è  il  mio  cor  sepolto, 
A  te  medesma  11  mio  fallir  perdona, 
S*  lo  troppo  ardisco,  orche  tu  taci  e  dormi, 
L' alma,  che  mi  rapisti,  io  vo'  ritorml. 

Che  fo,  seco  dicca,  che  non  accosto 
Volto  a  volto  pian  piano,  e  petto  a  petto? 
Vola  il  Tempo  fugace,  e  seco  tosto 
Seguito  dal  dolor,  fugge  il  diletto. 
Ahi  quel  diletto,  a  cui  non  vlcn  risposto 
Con  bel  cambio  d*  amor,  non  è  perfetto  ; 
Né  con  vero  piacer  bacio  si  prende  ; 
Cui  r  amala  beltà  bacio  non  rende. 

Qual  dunque  tregua  attendo  a*  miei  mar- 
Se  occaslon  sì  bella  oggi  iralasso        [tiri 
Ma  se  avvien,  che  si  svegli,  e  che  s'adiri. 
Dove  rivolgerò  confusa  il  passo? 
Moveranno  il  suo  cor  pianti  e  sospiri , 
Purché  non  abbia  f  anima  di  sasso. 
Non  r  avrà,  s*egli  é  bel.  Cosi  dubbiosa 
Per  baciarlo  s'abbassa,  e  poi  non  osa. 

Come  resta  il  villan,  se  alle  fresch'ondc 
Quando  più  latra  in  ciel  Sirio  rabbioso 
Corre  per  bore,  e  vede  in  sulle  sponde 
La  vipera  crudel  prender  riposo; 
0  come  il  cacciator,  che  fra  le  fronde 
Cerca  di  Filomena  il  nido  ascoso , 
E  ficcando  la  man  dentro  la  cova. 
Invece  dell' augcl ,  l' aspe  vi  trova  ; 

Così  lieta  in  un  punto ,  e  timldetta 
Trema  costei  quanto  pur  dianzi  ardia. 
L'affligge  la  beltà,  che  la  dileiu, 
11  troppo  stimolar  la  fa  restia. 
Brama  quel  che  l'offende,  ed  è  costretta 
Tuitavolta  a  temer  quel  che  desia, 
Pentesl,  che  tant' oltre  erri  11  deslre, 
E  si  pente  ancor  poi  del  suo  pentire. 


L'ADONE. 


45 


Tre  Tolte  al  lievi  e  dolci  flati  appressa 
La  bocca  e  il  bacio,  e  tre  si  arresta  e  cede, 
E  sprone  insieme,  e  Tren  Tatta  a  sé  stessa 
Vuole  e  disvuole,  orsi  ritragn^e,  or  riede. 
Amor  che  pur  sollecitar  non  cessa. 
La  sforza  alfine  alle  soavi  prede, 
Si  che  ardisce  libar  le  rugiadose 
Dì  celeste  llcor  purpuree  rose» 

Al  suon  del  bacio,  ond'ella  ambrosia 
L*  addormentato  giovane  deslossi,  [bebbe 
E  poiché  alquanto  in  sé  rinvenne,  ed  ebbe 
Dal  grave  sonno  I  lumi  ebbri  riscossi  ; 
Tanto  a  quel  vago  oggetto  In  lui  si  accrebbe 
Stupor,  che  immoto  e  tacito  reslossi  ; 
Indi  da  lei,  che  all'improvviso  11  colse. 
Per  fuggir  sbigottito  11  pie  rivolse. 

Ma  la  Diva  importuna  II  tenne  a  freno  ; 
Perché,  disse,  mi  fuggi? ove  nevai? 
Mi  volgeresti  il  bel  guardo  sereno, 
Se  sapessi  di  me  ciò  che  non  sai. 
Ed  egli  allora  abbarbagliato  e  pieno 
D*  infinito  diletto  a  Unti  rat , 
A  tanti  rai,  che  un  sì  bel  Sol  gli  offerse. 
Chiuse  le  luci,  faidl  le  labbra  aperse  ; 

Ed  :  0  qual  tu  ti  sia ,  che  a  me  ti  mostri 
Tutta  amor,  tutta  grazia,  o  donna,  o  diva 
Diva  certo  immortai,  da  sommi  chiostri. 
Scesa  a  bear  questa  selvaggia  riva. 
Se  van,  disse,  tant'  alto  i  preghi  nostri , 
Se  riverente  aflTetto  il  Ciei  non  schiva, 
Spiega  la  tua  condizion,  qual  sei , 
0  fra  gli  uomini  nata,  o  fra  gli  Dei. 

Alla  madre  d' Amor,  che  altro  non  vole, 
Che  aver  le  luci  a  quelle  luci  aflftsse , 
Parve,  che  aprendo  1*  uno  e  l'altro  sole 
De*  duo  begli  occhi ,  il  paradiso  aprisse. 
E  le  calde  d*amor  dolci  parole. 
Che  a  lei  tremando  e  sospirando  disse, 
Le  furo  soavissime  e  vitali 
Fiamme  al  cor,lacci  aU*alma,al  petto  strali. 

Ma  pur  dell'esser  suo  celando  11  vero, 
Mentitrice  favella  intanto  forma  : 
Così  poco  conosci,  incauto  arderò, 
Lei,  che  non  solo  il  primo  cielo  informa, 
Che  ha  nel  centro  infemal  non  solo  impero. 
Ma  da  cui  queste  selve  han  legge  e  norma? 
Eppur  m'imiti  e  segui  a  tutte  l'ore; 
Poco  men  che  non  diasi,  e  mi  ardi  il  core. 


Io  men  venia,  siccome  soglio  spesso 
Quando  l'estivo  can  ferve  e  sfavilla, 
In  questo  bosco,  a  meriggiarla  presso 
In  riva  all'onda  lucida  e  tranquilla, 
Che  una  bolla  vivente  aperta  In  esso , 
Di  cavernosa  pomice  distilla , 
E  forma  un  fonticel ,  che  alle  vidne 
Odorifere  erbette  imperla  il  crine. 

Quando  il  mio  pie  che  per  l'estrema  arsu- 
Siccome  vedi,  é  d'ogni  spoglia  ignudo,  [ra, 
Con  repentina  e  rigida  pyntura 
Ago  trafisse  Ingiurioso  e  crudo. 
E  bench*  uopo  non  sia  medica  cura 
Per  farmi  incontro  al  duol  riparo  e  scudo. 
Colsi  quest'  erbe,  il  cui  vigore  affrena 
11  corso  al  sangue  e  può  saldar  la  vena. 

Ma  perché  ogni  mia  Ninfa  erra  lontano, 
E  chi  tratti  non  ho  l' aspra  ferita, 
Porgimi  lu  con  la  cortese  mano 
(A  te  ricorro,  In  te  ricovro)  alta. 
Qui  del  trafitto  pie,  del  cor  non  sano 
L'una  piaga  nasconde  e  l' altra  addita , 
E  scioglie,  testimon  de* suol  martiri, 
Un  sospiro  diviso  in  duo  sospirL 

Non  era  Adon  di  rossa  cote  alpina. 
Né  di  libica  serpe  al  mondo  nato. 
Ma  quando  fosse  ancor  d' adamantina 
Selce  e  di  crudo  tosco  un  petto  armato, 
Ogni  cor  duro ,  ogni  anima  ferina 
Fora  da  si  bel  Sol  vinto  e  stemprato. 
Né  meraviglia  fia  qualora' accosta. 
Che  arda  fiamma  vorace  esca  disposta. 

Reverenza ,  pietade,  amore  e  tema 
Fan  nel  dubbioso  cor  fiera  contesa; 
Ma  perché  deve  ogni  fortuna  estrema 
Subitamente  esser  lasciata,  o  presa, 
Non  ricusa  il  favor,  ma  gela  e  tema 
Mentre  s' appresta  a  sì  soave  impresa*. 
In  quel  gesto  pietoso,  ed  attrattivo 
Con  cui  ride  languendo  occhio  lascivo. 

Santo  Nume,  dlcea,  cui  Qnto,  e  Delo 
Porge  voti,  oflTre  incensi,  altari  infiora. 
Vostra  grande  In  abisso,  in  terra  e  in  cielo 
Virtù,  chi  non  conosce  e  non  adora? 
Scusate  il  cor  se  con  perfetto  zelo 
Celebrar  non  vi  sa,  quanto  vi  onora, 
E l' ardir  della  man  prendete  In  pace. 
Che  in  sì  degn'  opra  é  d' ubbidini  audace. 


AÙ 


UÀRmù. 


Deb  qual  ventura  mal,  guai  propdo 
D*  infelice  mortai  Unt'  alto  giunse  ?  [merto 
Ben  ho  da  benedir  questo  deserto, 
Che  le  fide  da  voi  serve  disgiunse, 
E  quei,  per  cui  mi  è  tanto  bene  offerto. 
Spinoso  stel,  che  il  bianco  pie  vi  .punse; 
E  vo' segnar  per  tante  glorie  mie 
Con  pietra  lesbia  un  si  felice  die. 

Scinlillan  tante  fiamme  e  tanti. raggi 
Nel  sembiante  eh*  lo  scorgo,  altero  e  beHo, 
Che  dar  potriano  Invidia  e  fare  oltraggi 
Al  vostro  ardente  e  lucido  fratello. 
Onde  non  gi^  de*  boschi  aspri  e  selvaggi, 
Ma  Dea  de'  cori  e  degli  amor  vi  appello  ; 
Che  s'io  mi  a£Bso  in  voi,  di  veder  parmi 
ÀI  iLOlto  Citerea,  Diana  ali*  armi* 

Con  questo  Bagianar,  del  pie  gentile 
Si  reca  in  grembo  l' animato  latte, 
E  poscia  che  con  vel  bianco  e  sottile 
N'  ha  le  gelate  stille  espresse  e  tratte, 
Delia  destra  vi  accosta  assai  simile. 
Quasi  in  Ji>el  paragon,  le  nevi  intatte. 
Disse  Amor,  che.uon  era  indi  lontano, 
Non  volea  si  bel  pie  men  iìclla  mano. 

Tasta  la  cicatrice  e  terge  e  tocca 
Morbidamente  i  sanguinosi  avori, 
£  mentre  un  rio  di  nettare  vi  fiocca 
Fra  cento  erbe  salubri  e  cento  odori , 
Fan  con  occhio  loquace  e  muta  bocca 
Eco  amorosa  i  tormentati  cori, 
Dove  invece  di  voce  il  vago  sguardo 
Quinci  e  quindi  risponde,  ardi  eh' io  ardo. 

Dicea  r  un  fra  suo  cor:  Deh  quali  io  miro 
Strani  prodigi  e  meraviglie  nove? 
Il  del  d'amor  dal  cristallino  ^iro 
Di  sanguigne  rugiade  un  nembo  piove. 
Quando  tra  gli  alabastri  unqua  s'udirò 
Nascer  cinabri  in  cotal^uisa,odoveì 
Da  fonte  eburneo  uscir  rivi  vermigli., 
Dalle  nevi  xoralli,  ostti  dai  gigli? 

Sangue  puro  e  divin,  che  a  poco.apoco 
Fai  sovxa  il  latte  scaturir  le  rose. 
Vorrei  da  te  saper,  sei  sangue,  o  foco , 
Che  tante  accogli  in  te  faville  ascose? 
0  non  mai  più  vedute  in  alcun  loco 
Gemme  mie  peregrine  e  preziose^ 
Di  si  nobll  miniera  usciste  for<e, 
Che.Jbea.ai  «endca  tanto.pcezzo  un.cone. 


E  tu  candido, piede  insanguinato 
Che  di  minio  si  fino  asperso  sei , 
E  ricca  .pompa  fai  cosi  smaltato 
De'  tesori  d'amore  agli  occhi  mìei  ; 
Quanto  più  del  mio  cor. sci  fortunato, 
Del  mio  cor,  che  trafitto  è  da  costei? 
Langue  ferita  e  di  ferir  pur  vaga 
Impiagato  mi  ha  11  cor  con  la  sua  plaga. 

A  te  fasciato  pur  di  bianco  invoglio 
Efficace  Ucor  rimedio  serba. 
Senaa  fasce  ei  si  dole^  al  suo  cordoglio 
Non  giova  industria  d'arte,  o  virtù  d'erlia. 
Consenta  pure  Amor,  che  s'io  mi  doglio, 
Trovi  ristoro  alnien  hi  doglia  acerba  ; 
E  strinj;endomi  il  fianco  in  dolce  taceio. 
Se  mi  ferisce  il  piè«  mi  sani  il  braccio. 

Chi  più  giammai  di  me  felice  fia, 
S'egli  avverrà,  che  questa  bella  esangue, 
Che  al  chiuder  della  sua  la  piaga  mia 
Apre  cosi,  che  il  cor  ne  geme  e  langue , 
Di  omicida  crudel ,  medica  pia,     [gue  ? 
Mi  asciughi  il  pianto,  ov'io  l'asciugo  il  san- 
Si  elle  tra  noie  e  gioie  e  guerre  e  paci 
Quante  mi  dà  ferite,  io  le  dia  baci? 

Lassa ,  l'altra  dlcca,  che  dolce  pena. 
Questa  che  la  mia  piaga  annoda  e  cinge  l 
Non  è  fascia,  anzi  è  ceppo ,  anzi  è  catena. 
Che  mentre  il  pie  mi  lega,  il  cor  mi  strìnge. 
Questo  purpureo  umor,  che  In  larga  vena 
Di  vivace  rossor  mi  verga  e  tinge  [pressa 
Ahi  eh'  è  l' anima  mia ,  che  in  sangue  es- 
Vuole  a  costui  sacrificar  sé  stessa. 

Erbe  felici,  che  alle  mie  ferute 
Dolor  recale  e  refrigerio  insieme, 
Benché  d'alto  valor,  quella  virlute 
Che  vive  in  voi,  non  è  virtù  di  seme. 
Vien  dalla  bella  man  la  mia  salute, 
Da  quella  man,  che  vi  distilla  e  preme. 
Emula  de'  begli  occhi  e  del  bei  viso , 
Che  aanandonii  il  corpo  ha  il  core  ucciso. 

0  bella  mano,  ond'  è  che  curar  vuoi 
La  piaga  del  mìo  pie  conlanto  affetto? 
Forse  sol  per  poter  farmene  poi 
Mille  più  larghe  e  più  profonde  al  petto? 
Forse  è  desti n,  che  fuorché  ai  co)pi  tuoi 
Non  dee  corpo  celeste  esser  soggetto. 
La  palma  che  di  me  morte  non  ebbf^ 
Aie.ael  Ai  concedei  a  te  si  dfibbe. 


L'ADQMS. 


lUcbe  più  tardoadUvelar  qucsfombn, 
Cbe  tiene  il  mio  splendor  di  nube  cinto? 
S*or  che  le  mie  l)ellezsein  parte  adombra 
Magica  benda,  il  mio  avversario  è  ^into, 
Cile  Ila  quando  ogni  nebbia  In  tutlo  aigom- 
Verri  clie  ccdaal  vero  oggetto  il  finto!  ^bra 
Disse  e  sguarciando  le  fallaci  lane 
In  propria  effigie  al  gioTanetto  appane. 

Qual  vergine  talor  semplice  e  pura 
Se  arvien,  che  astuta  mano  alzi  e  discopta 
Drappo,  ch'alcuna  in  sé  sacra  figura 
Effigiata  ad  arte  abbia  di  sopra^ 
Ma  secreta  nasconda  altna  piltus^, 
DI  lascivo  penncl  piacevoloprj^ 
Tingendo  il  bel  candor  di  .grana  fin^ 
DaU*  inganno  confusa,  1  lumi  inchina. 

Tal  al  smarrisce  Adon.  quando  scoverto 
Della  Dea  gli  si  mostra  il  lume  intero.; 
E  tanto  più  pur  di  sognar  incerto, 
D^  alta  confusion  colma  il  pensiero,; 
Perchè  conosce  espressamente  aperto 
Del  sogno  suo  nella  vigilia  il  verx) , 
Rivedendo  colei,  che  poco  dianzi 
Rnbatrice  del  cor,  gii  apparve  InnanzL 

Al  bel  garzon,  che  stupefatto  resta 
Veduto  il  primo  aspetto  in  aria  sciolto. 
La  beila  Dea  discopre  e  manifesta 
In  un  punto  mcdesmo  il  core  e  il  volto. 
Benmto,  dicea,  quai  meraviglia  è  questa. 
Che  tra  dubbj  pensier  li  tiene  involto? 
Quel  traveder,  che  ti  fa  star  dubbioso , 
Fu  di  mia  Deità  scherzo  amoroso. 

Or  non  più  m  i  nascondo.  Io  mi  son  quella, 
Per  cui  d' amore  il  terzo  ciel  s' accende. 
Quella  son  io,  la  cui  lucente  stella 
Innanzi  al  Sole,  emula  al  Sol  risplende. 
Taccio,  che  dal  mio  bei  qualunque  bella 
Bella  è  detta  qua{;giù,  bellezza  prende; 
Taccio,  die  figlia  son  dui  sommo  Padre, 
Dirò  sol  ch'amo  e  che  d'Amor  son  madre. 

Quando  ben  fosse  a  tua  notizia  ignoto 
"Quel  che  t' abbaglia  insolito  splendore, 
Qual  è  dima  si  ioospilo  e  remoto. 
Alma  qua!  è,  che  non  conosca  Amerei 
Che  se  pur  poco  agii  altri  sensi  è  noto. 
Malgrado  suo,  ne  lia  conoscenza  il  cora. 
Se  ti  piace  d'Amor  dunque  il  piacere, 
Dinuni  il  tuo  stato  e  dammi  il  tuo  volere. 


47 


Si  diate  e  Plto  U  persuasele  vioat. 
Ch'entro  le  labbra  della  Deaai  ascoM. 
Plto  ministra  sua  d' ambrosia  Intinw 
Quelle  faconde  ed  animate  rase. 
Plto  in  leggiadri  articoli  disUnae 
Le  note  accorte  e  il  iwl  padar  ^'^-jp^^^. 
Plto  dalla  dokissima  Xavella 
Sparse  catene.ed  avventò  Quadrdla* 

Fosse  la  gran  soavità  di  queste 
Voci,  che  il.glovenil  petto, percosse, 
0  del  bel  cinto,  ond'ella  il  fianco  v^tte 
Pur  la  virtù  miracolosa  fosse  ; 
Dal  dolce  suon  del  ragionar  celeste 
Invaghito  il  fanciul  tutto  si  mosse  ;  [saasa^ 
Ma  quel  die  in  lui  più  eh'  altro  ebbcypos- 
Fu  la  divina  joltramortal  aemi»lanxa. 

Un  diadema  Ciprigna  avea  genunanle, 
Genuneposaenti  a  concitare  amore. 
V  era  la  pietra  illustre  e  folgorante, 
Ch'  hadaUaLuna  il  nome  e  lo  splendore. 
La  calamita,  ch*  è  dei  ferro  amante^ 
E  in  giadnto,  chea  Cinzie  accesa  il  core; 
Bfa  la  virtù  de*  lucidi  gioicUi 
Fa  nulla  appo  Tardor  degli  ocdii  hellL 

.La  destra  ella  .gli  stese  e  il  vq^o  line 
Scorciò,  che  nascondea  la  neve  pura , 
Onde  implicato  in  un  cerchietto  fino. 
Che  con  mista  di  gemme  aurea  scultura 
Facea  maniglia  al  gomito  divino 
Rigido  di  barbarica  ornatura, 
(Fosse  arte  o  caso]  delicato  e  bianco 
Fece  li  fuso  veder  dd  braccio  manco. 

Tenea,  com*  lo  dicea,  le  membra  belle 
Appannate  d' un  vel  candido  e  netto, 
E  qual  d'Adria  veggiam  donne  e  donzelle 
Infin  sotto  le  poppe  ignudo  il  petto. 
Fé'  vista  allor  tra  il  seno  e  le  mammelle 
Voler  groppo  annodar  non  ben  ristretto 
E  più  leggiadra  e  più  secreta  parte 
Fingendo  di  coprir,  acoverse  ad  arte. 

Mentre  languia  1*  innamorata  Dea, 
Adon  con  fise  ciglia  in  lei  rivolto. 
Tutto  rapito  a  contemplar  godea 
Le  meraviglie  del  celeste  volto, 
E  quivi  in  vista  attonito  scorgea 
H  bei  dd  bello  in  breve  spazio  accolto. 
Fra.i  detti  Intanto  e  fra  gli  sguardi  amore 
tyll  entrò  perj^li  oochl^perrorcccbiealcore. 


48 


VARINO. 


Neirudlr,  nel  mirar  8*accew  ed  arse 
Di  non  sentite'  ancor  fiamme  novelle, 
E  del  foco  del  cor  l'incendio  sparse 
Su  per  le  guance  delicate  e  belle. 
Inchinò  a  terra  onestamente  scarse 
Vergognosetio  le  ridenti  stelle, 
Poi  fcrso  lei  con  un  sospir  le  volse, 
Alfin  lo  spirto  In  queste  vod  «dolse  : 

0  Dea  cortese,  o  s'altro  è  pur  fra  noi 
Titol ,  cir  a  maestà  tanta  convegna , 
Qual  può  mai  cosa  offrir  vii  servo  a  voi , 
La  cui  pietà  di  coUl  grazia  il  degna  t 
Lo  scettro  no,  poiché  ne*  regni  suoi 
Povero  dìredato  or  più  non  regna. 
La  Tita  no,  che  da  voi  Dei  fauii 
Il  vivere  e  il  morir  pende  a*  mortali 

Voi  siete  Ul ,  eh*  altri  non  può  mlrarrl, 
Che  n^irando  d* amor  non  se  n'accenda, 
Ma  non  può  alcuno  accendersi  ad  amarvi, 
Che  amando  non  vi  oltraggi  e  non  vi  offen- 
Offesa  vi  è  servirvi  ed  adorarvi ,  [da. 
Vi  oltraggia  uom  vii,  che  cotanl'alto  Inten- 
Perchè  con  quel  ch'ogni  misura  passa,  [da, 
Proporaion  non  ha  scaia  si  hassa. 

Non  dee  tanto  avanzarsi  umano  ardire, 
Che  presuma  d' amar  bellezza  etema, 
Ma  cunar  le  ginocchia  e  reverire 
Con  devota  umiltà  chi  il  del  governa. 
ti  ben  ver,  che  qualora  entra  in  desire 
D'inferior  natura  alma  superna, 
Quella  bontà,  quella  virtù  sublime 
Nell'amato  soggetto  il  merto  imprime. 

Quel  merto  eh'  esser  suol  d' amor  caglp- 
In  noi  mortali  è  in  voi  celesti  efletto,    [ne 
Sicché  quando  alcun  Dio  d*  amar  dispone 
Uom  terreno  e  caduco,  il  fa  perfetto; 
Che  benché  diseguale  sia  1*  unione , 
L*nn  dell'altro  però  sgombra  il  difetto; 
E  d'ogni  indignità  purgando  11  vile, 
Ciò  che  è  per  se  vUian ,  rende  gentile. 

Amor  di  voi  m'Innamorò  per  fama 
Pria  che  a  veder  vostra  beltà  giungessi , 
E  da  lunge  vi  amai  non  men  che  si  ama 
Oggetto  bei ,  eh'  ingorda  vista  appressi. 
Or  che  quanto  li  mio  cor  sospira  e  brama 
Son  condotto  a  mirar  con  gli  occhi  Istessi, 
E  eh*  oltre  li  rimirarvi ,  altro  mi  é  dato , 
Vo'  contentando  voi ,  far  me  bealo. 


Quanto  darvi  mi  lice  e  quanto  è  mio 
Vi  sacro  e  dell'ardir  chiedo  perdono. 
Se  degno  son  di  voi ,  vostro  son  io, 
E  se  il  cor  vi  fia  in  grado ,  il  cor  vi  dono. 
Se  mendica  è  la  man ,  ricco  è  il  desio , 
Siete  donna  di  me  più  eh'  io  non  sono. 
I  Né  fuor  che  l'amor  vostro,  amar  potrei. 
Né  potendo  voler,  poter  vorrei. 


Il  mio  volere  al  voler  vostro  è  presto 
Tanto,  che  quasi  In  me  nulla  n'avanzi. 
Lo  stato  mio,  se  a  tutti  è  manifesto. 
Come  a  voi  di  celarlo  avrei  baldanza? 
Mirra ,  dirolio ,  il  cui  nefando  incesto 
La  vergogna  rinnova  alia  membrania , 
Fu  la  mia  genitrice  e  da  colui , 
Che  generolla ,  generato  lo  fui. 

Ed  or  selvaggio  cacdator  ramingo, 
Sagittario  di  damme  e  di  cervette, 
L'arco  per  mio  trastullo  incocco  e  stringo, 
Ed  impenno  la  fuga  alle  saette. 
Felice  error,  che  per  l' orror  sollngo 
Di  quest*  ombre  beate  e  benedette 
Fuor  di  via  mi  tirò ,  né  ciò  mi  dole , 
Poiché  perdo  una  fera  e  trovo  un  Sole. 

Ne'  bel  vostri  occhi,  per  col  vivo  e  moro. 
L'anima  omai  depositar  mi  piace; 
Ma  perché  il  cor  sacrificato  In  loro 
Già  sento  già,  che  in  vivo  ardor  si  sface, 
E  perché  a  quella  bocca,  ov'é  il  tesoro 
D'Amor,  non  é  d'avvicinarsi  audace; 
Ecco  con  questo  bacio,  ancorché  indegno, 
A  te  candida  mano ,  lo  la  consegno. 

Ed  ella  allor  :  Che  tu  ti  sia,  mia  vita. 
Esperto  arder,  saettatore  accorto , 
Altra  prova  non  vo',  che  la  ferita. 
Che  in  mezzo  ai  petto  immedicabil  porto. 
Ma  d' aver  tal  beltà  mai  partorita 
Mirra ,  credilo  a  me ,  si  vanta  a  torto , 
Perché  fra  l'ombre  11  Sol  non  si  produce. 
Né  può  la  notte  generar  la  luce. 

Ella  il  padre  ingannò  di  notte  oscura, 
E  tu  porti  negli  occhi  un  di  sereno. 
Ella  di  scorza  aipestra  il  corpo  indura, 
E  tu  più  che  di  latte,  hai  molle  II  seno. 
Ella  amara  e  spiacente  é  per  natura , 
E  tu  sei  tutto  di  dolcezza  pieno. 
Elia  distilla  iagrlmosi  umori, 
E  tu  fai  lagrimar  l'anime  e  i  cori. 


Sol  quelle  luci  tue  rapaci  e  ladre. 
Che  Infoiando  da*  petti  i  cori  vanno. 
Parto  furtivo  di  furtiva  madre 
T*  aocuaaii  nato  e  con  furtivo  inganno. 
Or  se  membra  si  beile  e  si  leggiadre 
Fur  concetto  di  furto  e  furar  sanno , 
hoD  ti  maravigliar,  se  voglio  anch'  lo. 
Che  chi  mi  fura  il  cor,  sia  furto  mio. 


ADONE.  49 

Poi  le  luci  girando  al  vlcln  colle. 
Dov'era  il  cespo,  che  il  bel  pie  trafisse, 
Fermossi  alquanto  a  rimirarlo  e  volle 
Il  suo  fior  saiutar  pria  che  partisse; 
E  vedutolo  ancor  stillante  e  molie 
Quivi  porporeggiar,  cosi  gli  disse  : 
Salviti  il  Ciel  da  tutti  oltraggi  e  danni , 
Fatai  cagion  de'  miei  felici  affanni. 


Non  pur  gli  occhi  e  le  mani  a  tuo  talento, 
La  bocca  e  il  sen  U  è  posseder  concesso, 
Ma  ti  apro  il  proprio  fianco  e  ti  presento 
In  cambio  del  luocore,  il  core  istesso.  [to, 
Vedrai,  che  queir  amor,  che  al  core  io  sen- 
Ti  ha  sculto  no ,  ma  trasformato  in  esso. 
Che  sei  de'  miei  pensieri  unico  oggetto, 
E  che  altro  cor  che  te  non  ho  net  petto. 

Con  tal  lusinghe  il  lusinghiero  amante 
La  lusinghiera  Dea  lusinga  e  prega. 
Ella  arditeita  poi  la  man  tremante 
Gli  stende  al  collo  e  dolcemente  il  lega. 
Qui ,  mentre  Amor  superlx)  e  trionfante 
L'amoroso  vessillo  in  aito  spiega. 
Strette  a  groppi  di  braccia  ambe  le  salme, 
Ammutiscon  le  lingue  e  parlan  l' alme. 

Dolce  de'  baci  il  fremito  rimbomba , 
E  furandone  parte  invido  vento , 
Degli  assalti  d'Amor  sonora  tromba. 
Per  la  selva  ne  mormora  il  concento  ; 
A  cui  la  torlorella  e  la  colomba 
Rispondon  pur  con  cento  baci  e  cento. 
Amor  de*  furti  lor  dal  viciii  speco 
Occulto  spettaior,  sorrise  seco. 

Fu  cosi  stretto  il  nodo,  onde  si  avvinse 
L'avventurosa  coppia,  e  si  tenace. 
Che  non  più  Torte  vite  olmo  mai'strlnse, 
Smilace  spina ,  o  quercia  edra  seguace. 
Vaga  nube  d' argento  ambo  riclnse. 
Quivi  gli  scorse  e  chiuse  Amor  sagace. 
La  cui  perfidia  vendicando  1*  onta 
Con  mlUe  piaghe  una  sferzata  sconta. 

La  bella  Dea,  che  insanguinò  la  rosa. 
Benché  trafitta  il  sen  di  colpo  acerbo , 
Contro  il  figliuoi  non  si  mostrò  S4Ìegnosa 
Per  non  farlo  più  crudo  e  più  superbo. 
Ma  premendo  nei  cor  la  piaga  ascosa , 
Si  morse  il  dito  e  disse  :  lo  te  la  serbo. 
Per  questa  volta  con  1*  altrui  cordoglio 
Tanta  mia  gioia  bitorbidar  non  voglio. 


Rosa  riso  d*  Amor,  del  Qel  fattura , 
Rosa  del  sangue  mio  fatta  vermiglia. 
Pregio  del  Mondo  e  fregio  di  Natura , 
Della  Terra  e  del  Sol  vergine  figlia , 
D'ogni  Ninfa  e  pastor  delizia  e  cura, 
Onor  dell'odorifera  famiglia; 
Tu  tien  d'ogni  beltà  le  palme  prime, 
Sovra  il  vulgo  de'  fior  donna  sublime. 

Quasi  In  bel  trono  Imperatrice  altera 
Siedi  colà  su  la  nativa  sponda. 
Turba  d'aure  vezzosa  e  lusinghiera 
Ti  corteggia  dintorno  e  ti  feconda; 
E  di  guardie  pungenti  armata  schiera 
Ti  difende  per  tutto  e  ti  circonda. 
E  tu  fastosa  dei  tuo  regio  vanto 
Porti  d'or  la  corona  e  d'ostro  il  manto. 

Porpora  de'  giardln ,  pompa  de'  prati. 
Gemma  di  primavera ,  occhio  d' aprile , 
Di  te  le  Grazie  e  gii  Amoretti  alati 
Fan  ghirlanda  alia  chioma ,  al  sen  monile. 
Tu  qualor  torna  agli  alimenti  usati 
Ape  leggiadra,  o  Zcfliro  gentile. 
Dai  lor  da  bere  in  tazza  di  rubini 
Rugiadosi  licori  e  cristallini. 

Non  superbisca  ambizioso  11  Sole 
Di  trionfar  fra  le  minori  stelle , 
Che  ancor  tu  fra  i  ligustri  e  le  viole 
Scopri  le  pompe  tue  superbe  e  belle. 
Tu  sei  con  tue  bellezze  uniche  e  sole 
Splendor  di  queste  piagge,  egli  di  quelle. 
Egli  nel  cerchio  suo,  tu  nel  tuo  stelo, 
Tu  Sole  in  terra,  ed  egli  rosa  in  cielo. 

E  ben  saran  tra  voi  conformi  voglie. 
Di  te  fla  li  Sole  e  tu  del  Sole  amante. 
Ei  deli'  insegne  tue,  delie  tue  spoglie 
L  Aurora  vestirà  nei  suo  levante. 
Tu  spiegherai  ne*  crini  e  nelle  foglie 
La  sua  livrea  dorata  e  fiammeggiante, 
E  per  ritrario  ed  imitarlo  appieno , 
Porterai  sempre  un  piccoi  Soie  In  seno. 

9 


50 


itkìmo. 


E  perebèame  d'un  tal  serrtffo  «Mora 
Qualche  grata  mercè  render  s'aspetta , 
Tu  sarai  sol  tra  quanti  fióri  Ila- Flora 
La  favorita  niia^  la  mia  diletta* 
E  qua)  donna  più  bella  il  Mondo  onora 

10  to',  che  tanto  soi  bella  sia  detta, 
Quanto  ornerà  dei  tuo  color  vivace 
E  le  gote  e  le  labbra.  E  qui  al  tace. 

Il  palagio  d'Amor  ricco  e  pomposo- 
Da  quel  bosco  lontan  non  era  guari , 
Ma  di  ciò  che  tenea  nel  grembo  ascoso 
Degni  giammai  non  fece  occhi  volgari. 
Non  mollo  andar,  che  di  flii  or  squamoso 
Vider  lampi  vibrar  fulgidi  e  chiari 

11  tetto,  onde  facea  mirabilmente 
L' edifizio  sublime  ombra  lucente. 

Qndla  casa  magnifica,  che  raro 
All'altrui  vista  1  suoi  secreti  aperse. 
Al  novo  comparir  d' oste  sì  caro 
Quanto  di  bello  avfa,  tutto  gli  offerse; 
E  non  sol  di  quel  loco  illustre  e  chiaro 
La  gloria  incomparabile  scoverse. 
Ma  rattuffò  nel  pelago  profondo 
Di  quante  ha  gioie  e  meraviglie  il  Mondo. 

Nella  torre  primiera  a  destra  mano 
Entrando  il  ÌHtW  Adon  le  pianto  mosse, 
E  si  trovò  dentro  un  cortile  cslrano. 
Il  più  ricco,  11  più  bel,  clic  giammai  fosse. 
Quadro  è  il  cortili*,  e  spazioso  e  piano. 
Ed  ha  dì  pietre  il  suol  candide  e  rosse. 
Par  che  il  pavese  un  lavolicr  somigli    [gli. 
Scaccheggiato  a  quariier  blandii  e  vermi- 

Torreggiarne  nel  mezzo  ampia  e  sublime 
Sorge  lumaca,  onde  si  scende  e  po<;);ia. 
Quattr'arclii  clieescon  fuor  delle  sue  cime 
Fanno  una  croce  che  ai  balcou  s'appoggia, 
A  cui  congiunte  sou le. stanze  prime, 
Onde  scorrer  si  può  dì  loggia  in  loggia. 
Si  che  una  scala  abbraccia  e  signoreggia 
Per  quattro  corridoi  tutta  la  reggia. 

Ne'qnattroquarti  Intorno,  onde  iloorti- 
Dalla  crooe  diviso  si  comparte,  [le 

Hawi  intagliate  da  scaipel  fabbrile* 
Quattro  illustri  fontane,  ima  per  parte, 
Di  lavor  si  stupendo  e  si  sottile. 
Che  ben  si  scorge  che  divina  è  l' arte* 
Due  d'alabastro  e  d' atpta  scolpite ,. 
Una  di  corniola ,  un.>  tV  ofitc. 


Nettuno  è  In  nna ,  In  atto  efligfato 
Di  ferir  col  tridente  un  scoglio  alpino, 
E  ne  fa  scaturir  per  ogni  lato 
Fiume  d'acqua  lucente  e  cristallino. 
Sta  sovra  un  nicchio  da  Dclfln  tfratb*, 
Vomita  ancor  cristallo  ogni  Delfino. 
Quattro  Tritoni  in  tomo  in  mille  rivi 
Versan  per  le  lor  trombe  argenti  vW. 

Nell'altra  entro  una  pila  incisi  e  scolti, 
Che  a  colonnetta  piccola  fii  tetto, 
Stan  tergo  a  tergo  l' un  l'altro  rivolti 
Piramo  e  Tisbe  con  la  spada  al  petto  ; 
E  spruzzan  fuor  molti  ruscelli  e  molti 
Perla  piaga  mortai  di  riuo  schietto , 
Onde  viene  a  cader  per  doppia  canna 
Dentro  il  vaso  maggior  purpora  manna. 

Tfen  r  altra  fonte  In  una  conca  tonda 
Seno  a  seno  congiunto  e  bocca  a  bocca 
Ermafrodito  In  su  la  fresca  sponda, 
Che  la  bella  Salmace  abbraccia  e  tocca  ; 
Rd  a  questa ,  ed  a  quello  in  guisa  d'onda 
Dalle  membra  e  da*  crini  ambrosia  fiocca  ; 
E  su  i  lor  capi  una  grand*  urna  piena 
Piove  nettare  puro  in  larga  vena. 

La  quarta  esprime  Amor,  che  sovra  un 
Quasi  dormendo,  si  riposa  in  pace,  [sasso 
Le  Grazie  sotto  lui  slan  più  da  basso. 
Come  per  custodir  l' arco  e  la  face. 
Sparge  balsamo  fuor  per  lo  turcasso 
L'orbo  fanciul,  che  somiaccliioso  giace; 
E  r  amorose  sue  vaghe  donzelle 
Stillan  r  istcsso  umor  per  le  mammelle. 

Per  r  alloggio  d*  Adon  tra  quelle  mura 
Va  in  volta  la  sollecita  famiglia; 
Ma  mentre  che  la  Dea  mimila  cura 
Degli  affari  domestici  si  piglia , 
Col  fìi^lìoa  risguanlar  r  alta  struttura 
In  disparte  il  garzon  trattien  le  ciglia; 
E  chi  sia  della  fabl>rica,  che  vede. 
Il  possessor,  l' abitator  gli  chiede. 

Questo  (con  un  sospiro  Amor  risponde  ) 
Che  cotante  in  sé  chiude  opre  snblimi , 
È  il  mio  diletto  albergo,  ed  ho  ben  donde 
Pregiarìo  sì ,  che  sovra  il  elei  lo  stimi. 
Qui  già  le  dolci  mie  piaghe  profbnde , 
Qui,  lasso,  incominciar  gì' Incend)  primi. 
Qui  per  colei ,  che  preso  ancorml  tiene. 
Fu  li  principio  fatai  delle- mie  penf. 


L'ADONI. 


Si 


Non  ené»  Uàt  che  Uten  wn  vadtv 
Dalle  foTM  amorose  alme  divina  ^ 
Che  a  bramar  quel  placer^cbe  tantoagirt» 
Forte  desir  naturalmente  Indille.     [ da, 
Che  a  questa  legge  soUogiaceia  e  eada 
Anco  il  Re  de'  celesti,  il  Ciel  destina^ 
Ed  io,  pur  io,  dalla  cai  mano  isteas» 
Piove  i^ia  e  dolor,  pasaai  per  eaaa» 

NonreftaidÌlangnir,'pereh*  io  possegga 
La  face  etema,  Insupcrabii  Dio, 
E  tratti  l'arco  onnipotente,  e  regga 
Gli  elementi ,  e  le  stelle  a  Toler  mio. 


E  aernf  ascDUeraf,  to'  che  tu  Tegii, 
Glie  fui  dal*  proprio  strai  ferito  anch' fo, 
E  ehe  del  proprio*  foco  acceso  il  eoK 
Ed  arse-  e  piwse  innamorato-  Anwre. 

Cosi  l'arcier,  clie  df  (Uprlgna  nacque , 
Venia  di  Mirra  al  bel  flgfiuol  parlando; 
E  perche  assai  d*  udirlo  el  si  compiacque , 
Alle  sue  noie  attcnzion  mostrando, 
11  dir  riprese  e  poiché  alquanto  tacque, 
Non  però  già  di  passeggiar  lasciando, 
Nel  graaieso  Adon  gii  occhi  conTerse*, 
E  in  pia  lungo  parlar  le  labbra  aperse. 


CANTO  QUARTO. 


LA  NOVELLETTA. 


ALLEGORIA. 

La  favola  di  Psiche  rappresenta  lo  stato  deli'  uomo.  La  città  dove  nasce  dinota 
il  Mondo.  Il  re  e  la  reina  clie  la  generano,  significano  Iddio  e  la  Materia.  Questi 
hanno  tre  figliuole,  cioè  la  Carne,  la  Libertà  dell* arbitrio  e  l'Anima;  la  qtial  noni 
per  altro  si  finge  per  giovane,  se  non  perchè  vi  si  infonde  dentro  dopo  l' organizza- 
mento del  corpo.  Descrivesi  anche  più  bella,  perciocché  è  più  nobile  della  Carne, 
e  superiore  alla  Libertà.  Per  Venere,  che  le  porta  invidia,  s' intende  la  Libidine. 
Costei  le  manda  Cupidine,  cioè  la  Cupidità,  la  quale  ama  essa  Anima  e  si  congiunge 
a  lei,  persuadendola  a  non  voler  mirar  la  sua  faccia ,  cioè  a  non  volere  attenersi  ai 
diletti  della  Concupiscenza,  né  consentire  agi' incitamenti  delle  sorelle  Carne  e  Li- 
bertà. Ma  ella  a  loro  instigazione  entra  in  curiosità  di  vederlo  e  discopre  la  lucerna 
nascostai  cioè  a  dire  palesa  la  fiamma  del  desiderio  celata  nel  petto  La  lucerna,  che 
sfavillando  cuoce  Amore,  dimostra  l' ardore  della  Concupiscibile,  che  lascia  sempre 
stampata  nella  carne  la  macchia  del  peccato.  Psiche  agitala  dalla  Fortuna  per  diversi 
pericoli  e  dopo  molte  faiiche  e  persecuzioni  copulata  ad  Amore,  è  tipo  della  Istessa 
Anima,  che  por  neszo  di  molti  travagli  arriva  finalmente  al  godimento  perfetto. 


ARGOMENTO. 

Giunto  all'albergo  de'  vezzosi  inganni 
Il  bull'  Adon  laddove  Amor  s'annida, 
Gli  conta  Amor,  clic  lo  conduce  e  guida, 
be  fortune  di  Psiche  e  i  propri  alTiinDi. 


fi  di  dura  battagHft  aspro  confillto 
Questa  che  vita  ha  nome,  umana  morte, 
Dove  ognor  l' uom  con  mille  mail  afflitta 
Vien  eombattuto  da  nemica  sorte. 
Ma  fra  T  ingiurie,  e  fra  I  contrasti  Invitto 
Non  peiè  sbigottisce  animo  forte. 
Anzi  contro  ogni  assalto  iniquo  e  erode 
S' arma  e  difende,  e  sa»vlrtA  gli  è  seudb. 


Talor  ne  tocca  la  patema  verga. 
Ma  il  suo  giusto  rigor  non  è  crudele  ; 
Anzi  perchè  la  polvere  disperga 
Ne  scote  1  panni  e  porta  in  cima  il  mele. 
Non  difiperi  mai  si,  che  si  sommerga 
Chi  per  quest'  Ocean  spiega  le  vele, 
Ma  de'  flutti  e  dc*  venti  al  fiero  orgoglia 
Facda  un' aita  coslanfa  ancora  e  «caglio, 


53 


HARmO. 


Sembra  il  flaget,  che  correggendo ariisa 
Anima  neghittosa,  amaro  in  vista. 
Ma  di  salubre  pur  calice  in  guisa     [sta. 
La  purga  e  giova  altrui,  mentre  che  altri- 
Vite  dal  potator  tronca  e  recisa 
Fecondità  dalle  sue  piaghe  acquista. 
Statua  dallo  scalpel  punta  e  ferita 
Ne  diventa  più  bella  e  più  polita. 

Selce  che  auree  scintille  in  seno  asconde. 
Il  lor  chiuso  splendor  mostrar  non  potè, 
Se  dair  interne  sue  vene  profonde 
Non  le  tragge  il  focll  che  la  percote. 
Corda  sonora  a  dotta  man  risponde 
Con  arguta  armonia  di  dolci  note, 
E  il  vantaggio  che  trae  di  tal  offesa. 
Quanto  battuta  è  più,  viepiù  palesa. 

Rotta  la  conca  da  mordace  dente. 
La  porpora  real  si  manifesta. 
Né  del  gran,  né  del  vin  si  gusta  o  sente 
L'eccellenxa  e  il  valor,  se  non  si  pesta. 
Stuxzicato  carbon  vien  più  cocente. 
Soffiata  fiamma  più  si  accende  e  desta. 
Palla  a  terra  sospinta  al  ciel  s' inalza, 
E  sfenaio  paleo  più  forte  sbalza. 

La  fatica  e  il  travaglio  è  paragone, 
Dove  provarsi  suol  nostra  finezza; 
Ifè  senz'  affanno  e  duol ,  premj  e  corone 
Può  di  gloria  ottener  vera  fortezza. 
Dell*  amica  d'Amor  tei  mostri  Adone 
La  tribolata  e  misera  bellezza, 
Or  eh'  egli  i  tanti  suoi  strani  accidenti 
Ti  prende  a  raccontar  con  tali  accenti. 

In  real  patria  e  di  parenti  regi 
Nacquer  tre  figlie  d'ogni  grazia  uniate. 
Natura  le  arricchì  di  quanti  pregi 
Possa  in  un  corpo  accumular  beltatc. . 
Va  versò  de'  suoi  doni  e  de'  suoi  fregi 
Copia  maggior  nella  minore  etate, 
Perocché  la  più  giovane  sorella 
Era  dell'altre  due  troppo  più  bella. 

Le  prime  due  quantunque  accolta  in  esse 
Fusse  d'alte  bellezze  immensa  dote, 
Tal  non  eran  però  che  non  potesse 
Umana  lingua  esprimerla  con  note. 
Va  l' ultima  di  loro  a  cui  concesse 
Quanto  di  bello  il  Ciel  conceder  potè, 
Tanto  d'ogni  beltà  passava  i  modi, 
Che  era  in  tutto  maggior  del  l'altrui  lodi. 


Per  alpestri  sentler  stampando  l' orme 
Nazioni  peregrine  e  genti  estrane, 
Per  veder  se  era  al  grido  il  ver  conforme. 
Vi  concorreano  da  region  lontane. 
E  giunte  a  contemplar  sì  belle  forme 
Dico  quel  fior  delle  bellezze  umane. 
Si  confessa van  poi  tutti  costoro 
Obbligati  per  sempre  agli  occhi  loro. 

Dai  desir  mossi  e  dalla  fama  tratti 
Or  quinci ,  or  quindi  artefici  e  pittori , 
Per  fabbricarne  poi  statue  e  ritratti 
Veniano  e  con  scalpelli  e  con  colorì. 
E  sospesi  in  mirarla  e  stupefatti , 
Immobili  non  men  de'  lor  lavori , 
Dall'attonita  mano  e  questi  e  quelli 
Si  lasclavan  cader  ferri  e  pennelli. 

Quel  divin  raggio  di  celeste  lume[strutto 
Che  avrebbe  il  ghiaccio  stesso  arso  e  di- 
Rlsplendea  sì,  che  qual  terrestre  Nume 
Adorata  era  omai  dal  popoi  tutto  ; 
Il  qual  della  gran  Dea,  che  dalle  spume 
Prodotta  fu  del  rugiadoso  fluito , 
Tutti  gli  onor,  tutte  le  glorie  antiche 
Pubblicamente  attribuiva  a  Psiche. 

Sì  di  Psiche  la  fama  intomo  spase 
(Tal  era  il  nome  suo)  celebre  il  grido , 
Che  questa  opinion  si  persuase 
Di  gente  in  gente  in  ogni  estremo  lido. 
Pafo  d' abiiator  vota  rimase. 
Restò  Citerà  abbandonata  e  Gnido  ; 
Nessun  più  vi  recava  ostia,  né  voto 
Orator  fido ,  o  passeggier  devoto. 

Manca  il  concorso  al  frequentati  altari. 
Mancano  1  doni  alla  gran  Diva  offerti  ; 
Non  più  di  fiamme  d'or,  lucenti  e  chiari, 
Ma  son  di  fredde  ceneri  coverti. 
Da' simulacri  venerati  e  cari 
Omal  non  pendon  più  corone,  o  serti. 
Lasciando  d' onorar  più  Citerea , 
Sacrifica  ciascuno  a  questa  Dea. 

Crede  ciascun ,  che  stupido  s' affisa 
DI  que' begli  occhi  ai  luminosi  ral. 
Novo  germe  di  stelle  in  nova  guisa 
Veder,  non  più  quaggiù  veduto  mal  ; 
E  dalla  terra  e  non  dai  mar  s*  avvisa 
Esser  più  degna  e  più  gentile  assai 
Pullulata  altra  Venere  novella , 
I  Casta  però,  modesta  e  verginella. 


L' ADONE. 


53 


La  vera  I>ea  d' amor,  che  dal  ciel  mira 
Cotanto  Insolentir  donna  mortale, 
E  Tede  pur,  che  indegnamente  aspira 
A  divin  culto  una  bellezza  frale; 
Impaziente  a  sostener  più  V  ira , 
Dassi  in  preda  ai  furori  in  guisa  tale. 
Che  crollando  la  fronte  e  il  dito  insieme, 
Questi  accenti  fra  sé  mormora  e  freme  : 

Or  ecco  là  chi  da*  confusi  abissi 
L' universo  costrusse  e  il  ciel  compose  ; 
Per  cui  dbiinto  in  bella  serie  aprissi 
L'antico  seminario  delle  cose; 
Colei,  che  accende  I  lumi  erranti  e  i  fissi, 
E  ne  fa  sfavillar  fiamme  amorose  ; 
Di  quanto  è  nato  e  quanto  pria  non  era 
La  madre  prima  e  la  nutrice  vera. 

Con  la  mia  deità  dunque  concorro 
Un  corpo  edificato  d'elementi? 
Soffrirò,  che  ogni  vanto  a  me  di  torre 
Creatura  caduca  ardisca  e  tenti? 
Che  sovra  l' are  sue  vittime  a  porre 
Sprezzando  i  tempj  miei,  vadan  le  genti? 
Che  11  sacro  nome  mio  con  riti  insani 
In  soggetto  mortale  or  si  profani? 

SI  si  soffriam  vche  con  oltraggio  indegno 
Nostra  compagna  pur  costei  si  dica  ; 
Che  comune  abbia  meco  il  Nume  e  il  regno 
Lamia  vicaria  in  terra,  anzi  nemica. 
Ancor  di  più  dlssimuliam  lo  sdegno. 
Che  Siam  dntte  io  lasciva,  ella  pudica  ; 
Ond*loceda  in  tal  pugna  e  far  non  basti. 
Che  non  mi  vinca  ancor,  non  che  contrasti. 

Dehche  mi  vai,  già  figliaal  gran  Tonante, 
Posseder  d' ogni  onor  le  glorie  prime  ? 
E  poter  della  \ia  bianca  e  stellante 
A  mio  senno  varcar  1'  eccelse  cime?    [te 
Qual  prò  che  ogni  altroDio m'assorga  avan> 
Come  a  Dea  tra  le  Dee  la  più  sublime  ? 
E  che  quantunque  il  Sol  vede  e  cammina 
MI  conosca  e  confessi  alta  regina? 

Lassa,  son  pur  colei,  che  ottenni  in  Ida 
Titolo  di  beltà  sovra  le  belle, 
E  il  litigato  d'or  pomo  omicida 
Trionfando  portai  meco  alle  stelle  ; 
Che  fu  principio  a  cosi  lunghe  strida; 
Ed  esca  dell'  argoliche  fiammelle  ; 
Onde  sorser  tant*  armi  e  tanti  sdegni , 
Per  cui  già  d'Asia  incenerirò  I  regni. 


Ed  or  fia  ver,  che  In  temeraria  impresa 
La  palma  una  vii  femmina  mi  tolga? 
Attenderò,  che  fino  in  cielo  ascesa 
L'orbe  mio,  la  mia  stella  aggiri  e  volga? 
Ah  di  divina  maestade  offesa 
Giusto  fia  ben,  che  omaisi  penta  e  dolga, 
Che  r  ingiuria  in  colui  che  tempo  aspetta , 
Cresce  col  differir  delia  vendetta, 

Qual  qual  si  sia  l' usurpatrice  ardita 
Del  grado  aliicr,  di  si  sul)lime  altezza, 
Non  molto  gioirà,  non  impunita 
N'  andrà  lunga  stagion  di  sua  sciocchezza. 
Yo*  che  s' accorga ,  alfln  tardi  pentita , 
Glie  dannosa  le  fu  tanta  bellezza. 
Stolta  dell'alte  Dive  emula  audace. 
Io  ti  farò....  Qui  tronca  i  detti ,  e  tace. 

Il  carro  ascende  e  d*  impiegar  disegna 
Del  figlio  inquesi'affar  le  forze  e  l'armi, 
Maconvicn,  che  1  suoi  cigni  a  fren  ritegna, 
Che  dubbiosa  non  sa  dove  trovarmi. 
Per  le  belle  contrade  ov'ella  regna. 
Di  lido  In  lido  invan  prende  a  cercarmi , 
Poiché  quivi  e  per  tutto  in  terra  e  in  ciclo 
Come  e  quando  mi  piace  altrui  mi  celo. 

Prendo  qual  forma  voglio  a  mio  talento, 
E  con  1*  acque  e  con  l' aure  io  mi  confondo. 
Talor  grande  così  mi  rappresento. 
Che  visibil  mi  faccio  a  tutto  il  mondo. 
Talvolta  poi  si  picciolo  divento,  [condo. 
Cb'  entro  il  giro  d' un  occhio  anco  m*  as- 
Infin  son  tal,  che  benché  m*  abbia  In  seno, 
Qii  più  mi  sente  mi  conosce  meno. 

Lascia  la  Grecia  e  prende  altri  sentieri. 
Vaga  d' udir  novelle  ov'  io  mi  sia: 
Né  più  neir  Asia  entro  i  famosi  imperi 
Delle  vestigia  mie  la  traccia  spia; 
Ma  stimolando  i  musici  corsieri , 
Verso  le  piagge  italiche  s'invia  : 
Che  sa  ben  quanto  in  quo'  fioriti  poggi 
Viepiù  che  altrove  io  volentieri  alloggi. 

Giunge  in  Adiia  la  bella  e  quivi  intese, 
Che  vi  albergava  il  mio  nemico  onore, 
E  beltà  cruda  ed  onestà  cortese. 
Nobiltà ,  maestà ,  senno  e  valore. 
Passò  poscia  a  Liguria  e  vi  comprese 
Apparenza  d'amor  viepiù  che  amore, 
Gli'  io  ne'  begli  occhi  e  ne'  leggiadri  aspetti 
Sol  vi  soglio  abitar,  ma  non  ne'  petti. 


Sì 


MARiMO. 


Vide  |»oÌ  la  Marreccbia  e  11  Sereliioeil  Varo, 
La  Brenta,  H  Brembo,  la  Livenza  ;  e  il  Sìle, 
E  r  Adda,e  rOglio  e  il  BacchigUone  al  paro, 
Superbo  il  Mincio  e  il  picciol  Reno  umile. 
Il  Tanaro,  il  Tesin ,  la  Parma  e  ti  Taro , 
£  la  Dora,  che  d' or  rìvesle  aprile , 
E  Stura  e  Sesia  e  di  fresche  ombre  opaco 
Da  foce  aurata  scaturir  Benaco. 

Quindi  al  gran  trono  degli  erculei  regi 
Sul  Po  volando  i  bianchi  auge!  rivolse. 
Dove  ricca  sedea  d*  illustri  fregi 
La  città,  che  dal  ferro  il  nome  tolse  ; 
Male  fu  detto,  che  fortuna  i  pregi , 
Di  cui  fiorir  solea ,  sparse  e  disciolse. 
Mille  già  V  'ebbi  un  tempo  e  palme  e  prede, 
Poi  tra  Secchia  e  Panara  io  cangiai  sede. 

Non  lunge  dal  maggior  fiume  Toscano 
Vide  r  Arbia  con  l'Ombro,  indi  il  Mctauro, 
E  con  l'Isapl  suo  minor  germano 
Presso  il  Ronco  e  il  Monton  correr  l'Isauro, 
E  il  Tremiscn,  laddove  il  verde  piano 
Vermiglio  diverrà  del  sangue  mauro , 
E  dal  freddo  Appennin  discender  Trebbia, 
Genitor  di  caligine  e  di  nebbia. 

Tra  i  campi  arrivò  poi  fertili  e  molli. 
Dove  del  Tebro  il  mormorio  risona, 
E  de' suoi  sette  trionfanti  colli 
Il  gran  capo  del  Lazio  s*  incorona, 
Ma  seppe  qiii\i  furiosi  e  folli 
Piuttosto  soggiornar  Marte  e  Bellona; 
E  con  perfidia  e  crudeltà  tra  loro 
Baccar  scie  di  sangue  e  fame  d' oro. 

Posciachè  quindi  le  lombarde  arene 
Ha  tulle  scorse  e  quanto  irrida  1'  Arno, 
E  quinci  di  Clituuno  e  d'Anicne, 
E  d' altri  fratri  lor  le  rive  indarno  ; 
A  visitar  dal  Garigli^n  ne  viene 
Grati,  Liri,  Volturno,  Aufido  e  Sarno, 
E  vede  irne  tra  lor  pomposo  e  lieto 
Degli  onori  di  Bacco  il  bel  Scbcto. 

Quivi  tra  Ninfe  amorosctte  e  iielle 
Trovommi  a  conquistar  spoglie  e  trofei , 
E  sebben  tempo  fu,  ch'io  fui  di  quelle 
Già  prigionier  con  mille  strazi  rei , 
Alme  però  non  ha  sotto  le  stelle, 
Ghe  aien  più  degni  oggetti  ai  colpi  miei; 
Né  80  trovare  altrove  in  terra  loco , 
Dove  più  nobilesche  abbia  li  mio  foco. 


AHor  mi  «trìng«  entro  le  braccia  e  rnHle- 
Groppi  mi  porge  d'Infocati  baci. 
Poi  per  r  oro  immorial,  per  le  faville 
Delle  quadrella  mie,  delle  mie  faci , 
Quanto  può  mi  scongiura ,  e  vive  stille 
Mesce  di  pianto  a  suppliche  efficaci. 
Che  senza  vendicarla  io  non  sopporti 
Più  lungamente  1  suoi  dispregi  e  i  torti. 

Della  beila  rubella  in  voce  amara 
L'orgoglio  e  il  fasto  a  raccontar  mi  prende, 
E  come  seco  in  baldanzosa  gara 
Contumace  beltà  pugna  e  contende. 
Distinto  alfine  in  suo  dcsir  dichiara, 
K  quanto  brama  ad  eseguir  m*  accende, 
Vuol,  che  di  strai  villano  il  cor  le  punga, 
E  che  a  sposo  infelice  io  la  congiunga. 

Uom,  che  povero  d*or,  colmo  di  mali, 
E  da  natura  e  da  fortuna  oppresso. 
Sia  cadavere  vivo  infra  i  mortali,  [stesso, 
Siccir  abbia  invidia  ai  morti,  odio  a  sé 
E  senza  esempio  di  miserie  eguali 
Tutto  voti  Pandora  il  vaso  in  esso  ; 
Che  a  tal  consorte,  in  tal  prigion  la  stringa 
Mi  comanda,  mi  prega  e  mi  lusinga. 

Scorgeml  intanto  al  loco,  ove  mi  addita 
La  meravnglia  delle  cose  lielle, 
Che  circondala  intorno  e  custodita 
Da  vago  stuol  di  leggiadrclte  ancelle, 
Par  tra  le  spine  sue  rosa  fiorita. 
Par  la  Luna,  anzi  il  Sole  infra  le  stelle. 
Mira  colà,  quella  è  la  rea,  mi  dice, 
Delle  bellezze  mie  competitrice. 

Dal  carro,  che  con  morso  aureo  l'affre* 
Scioglie,  ciò  dello,  le  canute  guide,  [na, 
E  d'un  delfino  in  sull'arcuta  schiena 
Solca  le  vie  de'  pesci  e  il  mar  divide. 
Cosi  di  Cipro  alla  nativa  arena 
Torna,  che  lieta  al  suo  ritorno  arride. 
Ed  io  rimango  a  contemplar  soletto 
Quel  sovruraan,  so^radi^ino  oggetto. 

Veggio  doppio  oriente  e  veggio  dui 
Cieli,  che  doppio  Sol  volge  e  disserra. 
Dico  quei  lumi  perfidi,  che  altrui 
Uccidon  prima  e  poi  bandiscon  guerra,. 
Sicché  mirando  un  cor  quel  belio,  a  cui 
Paragon  di  beltà  non  ha  la  terra, 
Quando  pensa  al  riparo  il  malaccorto 
E  vuol  chieder  mercè,  9l  trova  morto. 


L' ADONE. 


iU> 


Né  delle  guance  la  vermiglia  aurora 
Al  sol  degli  occhi  di  belieua  cede  ; 
1  cui  candori  un  tal  rossor  colora, 
Quale  JD  non  collo  ancor  pomo  si  Tede. 
Ombra-fioave,  che  ogni  cor  ristora, 
Un  rìlìevo  vi  Ta^  che  non  eccede, 
E  con  divorzio  d'intervallo  breve 
Distingue  in  due  conlin  l'ostro  e  la  neve. 

Somigiia  intatto  fior  d'acerba  rosa, 
Gli*  apra  le  labbra  delle  fresche  foglie 
L'odorìfera  bocca  e  preziosa,        [coglie 
Che  un  tal  giardino,  un  tal  gemmato  ac- 
Cbe  l'India  non  dirò  ricca  e  famosa. 
Ma  il  Cicl  nuila  ha  di  bel  se  a  lei  noi  toglie. 
Se  parla,  o  tace,  o  se  sospira,  o  ride, 
(Che  farà  poi  baciando?]  1  cori  uccide. 

In  reticella  d'or  la  chioma  involta,  [da 
Più  che  ambra  molle  e  più  che  elettro  bion- 
0  stretta  in  nodi,  o  in  vaghe  trecce  accolta, 
0  sugli  omeri  sparsa  ad  onda  ad  onda  ; 
Tanto  tenace  più,  quanto  più  sciolta, 
Tra  procelle  dorate  i  cori  affonda. 
L'aure  imprigiona,  se  taiorsi  spiega, 
E  con  auree  catene  1  venti  lega. 

Che  dirò  poi  del  candldctto  seno, 
Morbido  Ietto  del  mio  cor  languente  7 
Che  a' bei  riposi  suoi  qualor  vien  meno. 
Duo  guanciali  di  gigli  ofifrc  sovente  ? 
Di  neve  in  \ista  e  di  pruine  è  pieno. 
Ma  neir  efletto  è  foco  e  fiamma  ardente  ! 
£  l'incendio,  clic  in  lor  si  nutre  e  cria 
Le  salamandre  incenerir  potria. 

Quand'  ebbi  quel  miracolo  mirato. 
Dissi  fra  me ,  da  me  quasi  diviso  : 
Sono  in  elei?  sono  in  terra?  il  ciel  traslato 
£  forse  in  terra?  o  ciclo  è  quel  bel  viso? 
Si  si,  aon  pur  lassù,  son  pur  beato 
Tuttavia  (come  soglio)  in  paradiso. 
Veggio  la  gloria  degli  eterni  Dei. 
La  bella  madre  mia  non  è  costei  ? 

No  che  non  è,  vaneggio,  il  ver  confesso, 
Venere  da  costei  vinta  è  di  molto,  [tesso. 
Ahi  che  il  pregio  alla  madre  a  un  punte  i«- 
Ed  al  figlio  egualmente  il  core  ha  tolto. 
Chi  può  senza  morir  mirar  l'eccesso 
Di  si  begli  occhi ,  oimè ,  di  sì  bel  volto. 
Vadane  aìicora  poi,  vada  e  s' arrischi 
A  mirar  pur  sicuro  1  basilisclii. 


0  maeeUi  de'  cori,  occhi  s])ictati. 
Di  chi  morir  non  potè  anco  omicidi. 
Voi  voi  possenti  a  soggiogare  i  fati 
Siate  le  sfere  mie,  siate  itmiel  nidi, 
In  voi  l'ardo  ripongo  e  i  dardi  aurati. 
Che  se  poi  contro  me  saranno  infidi. 
Più  cara  (in  tali  stelle  è  la  mia  sorte) 
Dell'  immortalità  mi  fia  la  morte. 

Veggiola,  mentre  parlo,  in  atti  mesti 
Starsi  sola  in  disparte  a  trar  sospiri; 
Che  quantunque  le  sue  più  che  celesti 
Forme  ben  degne  dcgU  altrui  desiri. 
Da  mille  lingue  e  da  quegli  occhi  e  questi 
Vagheggiate,  e  lodate  il  mondo  ammiri. 
Alcun  non  v'  ha  però  di  genti  tante, 
Cile  cbicggia  il  letto  suo,  cupido  amante. 

Le  suore,  ancor  che  fossero  appo  tei 
Vie  più  d'età,  che  di  beltà  fomile, 
A  grandi  eroi  con  nobili  imenei 
Per  giogo  maritale  erano  unite. 
Ma  Psiche,  unico  sol  degli  occhi  miei, 
Parea  dall' olmo  scompagnala  vite, 
E  ne  menava  in  dolorosi  aflanni 
Sterili  e  senza  frutto  1  più  verd'anni. 

II  mlscr  genitor,  mentre  ella  geme 
L' inuiil  solitudine  che  passa, 
Perchè  l' ira  del  Ciel  paventa  e  tenie,[sa, 
Qic  spesso  ai  maggior  re  l'orgoglio  abbas- 
Pensoso  e  tristo  infra  sospetto  e  speme. 
La  cara  patria  e  il  dolce  albergo  lassa, 
E  va  per  esplorar  questo  secreto 
Dall'  oracolo  antico  di  Milcto. 

Laddove  giunlo  poi,  porge  umilmente 
Incensi  e  preghi  al  cliiaro  Dio  crinito. 
Da  cui  supplice  chiede,  e  reverente 
Ali'  infeconda  sua  nozze  e  marito. 
Ed  ecco  intorno  rimbombar  si  sente 
Spaventoso  fragor  d'  alto  muggito, 
E  col  muggito  alfìu  voce  nascosta 
Dalie  cortine  dar  questa  risposta  : 

La  fanciulla  conduci  in  scoglio  alpino 
Cinta  d' abito  bruno  e  funerale. 
Nò  genero  sperar  dal  tuo  destino 
Generato  d'origine  nioitale; 
Ma  feroce,  crudele  e  viperino. 
Che  arde,  uccide,  distrugge  e  batte  l'ale, 
E  sprezza  Giove  ed  ogni  Nume  eterno. 
Temuto  in  terra,  in  cielo  e  nell'  inferno. 


&G 


MARINO. 


Pensa  tu  qua!  rimase,  e  qual  divenne 
II  sovra  ogni  altro  addolorato  Teccliio. 
Pensa  qual  ebbe  il  cor,  quando  gli  venne 
La  sentenza  terribile  air  orecchio. 
Torna  ne*  patrii  tetti  a  far  solenne 
DI  quelle  pompe  il  tragico  apparecchio, 
Accinto  ab  ubbidir,  quantunque  afflitto. 
Del  decreto  d'Apollo  al  sacro  editto. 

Del  vaticinio  infausto,  e  dell*  avversa 
Sorte  nemica  si  lamenla  e  lagna, 
E  con  r  amare  lagrime  che  versa, 
Delle  rughe  senili  i  solchi  bagna; 
E  la  stella  accusando  empia  e  perversa 
L'  antica  moglie  i  gemiti  accompagna, 
E  pietoso  non  nicn  piango  con  loro 
Delle  figlie  dolenti  il  flebil  coro. 

Ha  del  maligno  incvitabil  fato 
Il  tenor  violento  è  già  maturo. 
Deir  influsso  crudel  già  minaccialo 
Giunto  è  r  idol  mio  caro  ai  passo  duro. 
Raccoglie  già  con  querulo  ululato 
La  bella  Psiche  un  cataletto  oscuro, 
La  qual  non  sa  fra  tanti  orrendi  oggetti 
Se  il  talamo,  o  se  II  tumulo  Taspetti. 

Di  velo  avvolti  tenebroso  e  tetro, 
E  d'arnesi  lugubri  in  veste  nera 
Van  padre  e  madre  il  nuzial  feretro 
Accompagnando  e  le  sorelle  in  sclilera. 
Segue  la  bara  il  parentado,  e  dietro 
Vien  la  città,  vicn  la  provincia  intera, 
E  per  tale  sciagura  odesi  intanto 
Del  popol  tutto  un  pubblico  compianto. 

Ma  più  d*  ogni  altro  lì  re  meschin  pian- 
Sfortunato  s'appella  ed  infelice,   [gendo 
E  gli  estremi  da  lei  baci  cogliendo 
La  toma  ad  abbracciar  mentre  gli  lice. 
Così  dunque  da  te  congedo  io  prendo? 
Cos\,  figlia,  mi  lasci?  (egli  le  dice) 
Son  questi  1  fregi,  oi me,  la  pompa  è  questa, 
Che  al  tuo  partire  il  patrio  regno  appresta? 

In  esequie  funebri  inique  stelle 
Cangian  le  nozce  tue  liete  e  festanti? 
Le  chiare  tede  in  torbide  facelle  ? 
Le  tibie  In'squilie  e  l'allegrezze  in  pianti? 
Sono  I  crotali  tuoi  roche  tabelle.? 
Ti  son  gl'inni  e  le  preqj  applausi  e  canti? 
E  la<ldove  H  dcstin  crudo  ti  mena 
Reggia  11  lido  ti  fla,  letto  l'arena? 


0  troppo  a  te  contrarlo,  a  me  nemico, 
Implacabil  rigor  d'avari  Cieii! 
Te  del  tuo  bel,  me  del  mio  ben  mendico 
Perchè  deiino  lasciar  fati  crudeli  ? 
Qual  tua  gran  colpa,  o  qual  mio  fallo  antico 
Cagion  che  tu  t*  afiligga,  io  mi  quereli. 
Te  condanna  a  morire,  ed  a  me  serba 
In  si  matura  età  doglia  si  acerba  ? 

Ad  eseguir  quanto  lassù  si  vole 
Dura  necessità,  lasso,  m'affretta, 
E  viepiù  eh'  altro  mi  tormenta  e  dole, 
Glie  a  sì  malvagio  sposo  lo  ti  commetta. 
Ch'  lo  deggia  in  preda  dar  I*  amata  prole 
A  mostro  tal,  che  Tunivcrao  infetta. 
Questo  so  ben,  che  II  fii  sarà  più  corto 
Che  fu  da  Qoto  alia  mia  ìiia  attorto. 

Ma  poiché  pur  la  Maestà  superna 
Così  di  noi  disporre  or  si  compiace. 
Cancellar  non  si  può  sua  legge  eterna. 
Ma  convien ,  figlia  mia ,  darsene  pace. 
De'  consigli  di  lui,  rhc  ne  governa, 
È  l'umano  saper  poco  capace. 
Poiché  i  giudizi  suoi  santi  e  divini 
Son  ordinali  a  sconosciuti  fini. 

Benché  a  sposar  Io  struggitor  del  mondo 
Ti  danni  Apollo  in  suo  parlar  confuso. 
Chi  sa  s'altro  di  meglio  in  quel  profondo 
Archivio  impenetrabile  sta  chiuso? 
Spesso  effetto  sortì  lieto  e  giocondo 
Temuto  male,  ond'  uom  restò  deluso. 
Servi  al  Clel,  soffri  e  taci.  E  con  tal  note 
Verga  di  pianto  le  lanose  gote. 

La  sconsolata  e  misera  donzella 
Vede  ch'eì  viva  a  seppellir  la  porta, 
E  tal  solennità  ben  s*  accorg' ella. 
Che  a  sposa  no,  ma  si  conviene  a  morta  ; 
Magnanima  però  non  mcn  che  bella. 
L'altrui  duol  riconsola  e  riconforta, 
E  I  dolci  umori  onde  il  bel  viso  asperge. 
Coi  >el  purpureo  si  rasciuga  e  terge. 

Che  vai  planger?dicca,chèpiù  versale 
Lagrime  intempestive  e  senza  frutto? 
A  che  battete  1  petti  ed  oltraggiate 
Di  livore  e  di  sangue  il  \iso  brutto? 
Ah  non  più,  no  ;  di  lacerar  lasciate 
La  canizie  del  crin  con  tanto  lutto, 
Offendendo  con  doglia  inefficace 
E  la  vostra  vecchieaza  e  la  mia  pace. 


L' ADONE. 


67 


Fu  gii,  quando  la  gente  a  me  porgea 
(AIGìel  dovuto)  onor  profano  ed  empio, 
Quando  qitasl  d*anior  più  bella  Dea 
Ebbi  (toÌ  permettenti)  altare  e  tempio, 
Allor  fu  da  dolersi,  allordoTea 
Pianger  ciascuno  il  mio  mortale  scempio. 
Or  è  il  pianto  a  voi  tardo,  a  me  molesto  ; 
IH  mia  vana  bellezza  11  fine  è  questo. 

L*  Invidia  rea,  che  l'ai  trui  ben ,  pur  come 
Suo  proprio  male,  abborre,  allor  mi  vide, 
lo  so  pur  ben ,  che  l'usurpato  nome 
Della  celeste  Venere  m'uccide. 
Cbebado?Andianne  pur;  quest'auree  chlo' 
Con  vii  ferro  troncate,  ancelle  fide,    [me 
Quel  si  temuto  ornai  consorte  mio, 
Già  di  veder,  già  d'abbracciar  desio. 

Qui  tace,  e  già  d'una  montagna  alpestra, 
Eccola  intanto  giunta  alla  radice, 
CbealSol  volge  le  terga,  e  piega  a  destra 
Sotto  li  gran  giogo  1*  ispida  cervice. 
Quindi  di  sterpi  e  selci,  aspra  e  silvestra. 
Pende  sassosa  e  rigida  pendice. 
Rigida  si,  die  appena  si  assecura 
Di  abitarvi  Torrorcon  la  paura. 

Il  mar  sonante  a  fronte  lia  perconflne. 
Da'  fianchi  acute  pietre  e  sclieggie  rotte, 
Dirupali  macigni  e  rocche  alpine, 
Oscure  tane  e  cavernose  grolle. 
Precipizi  profondi,  alte  mine. 
Dove  riluce  il  dì,  come  la  notte. 
Dove  inospitl  sempre,  e  sempre  foschi , 
Dilatan  l' ombre  lor  baratri  e  boschi. 

Ecco  l'infausto  monte  ove  a  fermarsi 
Ne  venne  il  Tuneral  tragico  e  mesto. 
Quivi  ha  (quantNignun  crede)  a  consumarsi 
li  maritaggio  orribile  e  funesto. 
Onde  al  fieri  imenei  da  celebrarsi, 
Scelto  già  per  teatro  essendo  questo. 
Dopo  lagrime  molte  al  vento  sparte, 
La  mestlsaima  turba  alfin  si  parte. 

Partissi  alfin ,  polche  tesor  el  caro. 
Depositò  nel  destinato  loco. 
Lasciando  nel  partir  col  pianto  amaro, 
Delle  fiaccole  sacre  estinto  il  foco. 
Ai  reg)  alberghi  I  genitor  tornaro, 
E  la  luce  vltal  curando  poco, 
Dannerò  gli  occhi  a  lunga  notte  escura, 
E  il  chiusero  vivi  In  sepoltura. 


Restò  la  giovinetta  abbandonala 
Sulla  deserta  e  solitaria  riva. 
Sì  tremante,  si  smorta  e  si  gelata. 
Che  appena  avea  nel  cor  l'anima  viva. 
Veder  quivi  languir  la  sventurata. 
Quasi  di  senso  e  movimento  priva. 
Dell*  onde  esposta  al  tempestosaorgogllo, 
Altro  già  non  parca,  che  scoglio  in  scoglio. 

Le  man  torcendo,  e  in  venniglletti  giri 
Dolcemente  Incun'ando  1  mesti  lumi. 
Con  che  lagrime,  o  Dio,  con  che  sospiri, 
SI  scioglie  inacqua  e  si  distempra  in  fumi  ! 
Va  raccogliendo  il  mar  tra  suoi  zaflQri, 
Delle  stille  cadenti  i  vivi  fiumi. 
Ambizioso  e  cupido  d'averle, 
Le  serba  in  conche,  e  le  trasforma  In  perle. 

Con  le  man  sui  glnocchiojn  terra  assisa. 
Filando  argento  da  begli  occhi  fore, 
China  al  petto  la  fronte,  e  in  colai  guisa. 
Tra  sé  slessa  consuma  il  suo  dolore. 
Poi,  mentre  ai  salsi  flutti  il  guardo  afiisa, 
Sfoga  parlando  l'angoscioso  core, 
E  perde,  apostrofando  al  mar  crudele, 
Tra  gli  strepili  suol,  queste  querele: 

Deh  piaca,omare,i  tuoi  furori  alquanto, 
Pietoso  ascoi  la  tor  dei  miei  cordogli, 
E  di  quest'occhi  il  tributario  pianto. 
Che  in  larga  vena  a  le  sen  corre,  accogli. 
Teco  parlo,  or  tu  m' odi,  e  fa  che  intanto 
Ai)bian  quest'onde  tregua  equesti  scogli; 
Né  sen  portino  in  lutto  invidi  1  venti , 
Come  fer  le  speranze,  anco  i  lamenti. 

Nacqui  agli  scettri,  e  in  sui  reali  scanni , 
Più  di  me  fortunata  altra  non  visse. 
Bella  fui  detta,  e  fui,  se  senza  inganni 
Lo  mio  specchio  fedele  il  ver  mi  disse. 
Ora  a  quel  fin  sul  verdeggiar  degli  anni 
Corro,  che  11  Fato  al  viver  mio  prescrisse, 
Abbandonando  In  sull'età  fiorita. 
La  bella  luce  e  la  serena  >ita. 

Di  ciò  non  mi  dogi'  io,  né  mi  lamento 
Della  bugiarda  adulalrice  speme  i 
Né  del  colpo  fatai  prendo  spavento. 
Che  mi  porti  si  tosto  all'ore  estreme. 
Chi  sol  vive  al  dolore  ed  al  tormento, 
E  suol  vita  abborrir,  morte  non  teme; 
A  chi  mal  vive.  Il  viver  troppo  è  greve, 
Chi  vive  in  odio  il  Ciel ,  viver  non  deve. 


sg 


MARINO. 


*  Lassa  di  quel  eh*  io  soffro  aspro  roarliro, 
Vie  maggiore  «  più  grave  è  il  mai  che  afr- 

tendo, 
Cb*Ìodeggia  entro  il  mio  seno,  oimè,  nutri- 
.•^^Jn  moslro  abbominevoie  ed  orrendo  ;  [re 
Questo,  Innanai  al  morir,  mi  fa  morire, 
Questo,  morte  spreizar  mi  fa  morendo. 
Dell  dammi,  pria  clie  un  tanto  mai  succeda, 
Padre  Nettuno,  alle  tue  fere  in  preda. 

Se  provocò  del  Ciel  V  ira  severa 
Da  me  commesso  alcun  peccato  immondo, 
E  da  te  deve  uscir  i*  orrida  fera 
Che  me  divori  e  clie  distrugga  il  mondo  ; 
Fia  ventura  miglior,  ciie  assorta  io  pera 
Da  questo  ingordo  pelago  profondo. 
Piuttosto  il  ventre  suo  tomba  mi  fia, 
E  lavin  l'acque  tue  la  macchia  mia. 

Ma  s'egli  è  ver,  che  pure  a  torto  e  senza 
Colpa,  incolpata  e  condannata  io  mora, 
E  se  Nume  è  lassù,  che  l' innocenza 
Curi  e  prego  devo  lo  oda  talora  : 
Da  lui  chieggio  pietà,  spero  clemenza  : 
E  quando  ii  reo  ilestin  fia  fermo  ancora, 
Venga,e  il  suo  nero  strale  in  me  pur  scocchi 
Morte  per  sempre  a  suggellar  quest'occhi. 

Più  altro,  eh*  io  ridir  né  so,  né  posso, 
Parlava  la  dolente  al  sordo  Ilio, 
Che  avria  qual  cor  più  perfido  commosso, 
Anzi  il  porfido  stesso  hitenerito. 
Il  cavo  scoglio  mormorar,  percosso. 
Per  gran  pietà  fu  d'ogn*  intorno  udito; 
E  rispondendo  in  roche  voci  e  basse 
Parca  che  de'  suoi  casi  11  mar  parlasse. 

Per  risguardar  chi  sia,  che  si  consuma 
In  note  pur  sì  dolorose  e  meste. 
Rompendo  in  spessì  circoli  h  spuma, 
Motte  Ninfe  e  Tritoni  alzar  le  teste. 
Ma  Tinti  da  quel  Sol  che  T  aeque  alluma, 
B  tocchi  li  freddo  sen  d'ardor  celeste, 
Per  fuggir  frettolosi,  i  bei  cristalli 
Seminaro  di  perle  e  di  coralli. 

Mentre  laddove  il  vertice  il  celoHe 
Dell'erta  rupe,  è  posta  in  tale  itato, 
Novo  sente  spirar  di  lungo  il  colle, 
DI  mlH'aiire  sabee  mitCo  odoralo. 
Indi  d'uà  aeredilicato  e  molle. 
Sibilar,  nworrar  pladdo  flato, 
Glie  doloemente  rincrespando  Tondo; 
Fa  tremar  1'  «mbne,  e  sfrasoolar  k  fronde. 


EraZefSfO  f  uesU.  lo  già,  ehe  Intento- 
Altrove  non  avea  l' occhio  e  il  pensiero, 
Volsi  far  quel  benigno  amico  vento, 
Delie  mie  gioie  esecutor  corriero. 
Gonfia  lamobtl  gonna,  e  piano  e  lento 
Gol  suo  trancino  spirito  leggiero. 
Dalla  scoscesa  e  ruinosa  balza, 
Senz' alcun  danno  ei  la  solleva -ed  alzo. 

£  colà  preaso,  ove  di  fior  dipinta 
Fa  sponda  al  mar  quella  valletta  erbosa  , 
E  di  giovani  allori  intorno  è  cinta. 
Soavissimamente  alfin  la  posa. 
Qui  da  novo  stupor  confusa  e  vinta. 
Sul  fiorito  pratcl  siede  pensosa. 
Glie  fresco  insieme  e  morbido  le  serba. 
Tetto  di  fronde,  e  pavimento  d'erba. 

Poiché  il  dolor, che  dc'suoi  sensi  é  donno, 
Satollato  ha  di  pianti  e  di  lamenti, 
Stanca  ornai  sì ,  che  le  palpebre  poano 
Appena  sostener  gii  occhi  cadenti  ; 
Viensene  ii  sonno  a  torla  in  braccio,  ilsoO' 
Tranquillità  delie  turbate  menti.       [no. 
Dal  sonno  presa  al  fremito  dell'acque. 
Sul  verde  smalto  addormentossi  e  giacque. 

Negli  epicicli  lor  duo  Soli  asooai, 
I  begli  occhi  parean  della  mia  Psiche, 
Dove  clùusi  traean  dolci  riposi. 
Dall'amorose  lor  lunghe  fatiche. 
Duo  padiglioni  lievemente  ombrosi. 
Le  velavan  le  luci  alme  e  pudtehe. 
Le  ÌMslie  luci,  onde  languisco  e  moro. 
Legate  eran  dal  sonno,  ed  io  da  loro. 

Vedesti  «Ha  «tagion,  quando  le  aploe 
Fioriscon  tutte  di  novella  prole. 
Sparso  di  fresche  perle  e  mattutine. 
Piantato  la  riva  al  mar,  nascosto  al  Sole, 
Spiegare  fi  molle  e  giovinetto  crine, 
Glardinelto  di  gigli  e  di  viole  f 
Dirai  ben  tal  sembianza  assai  conforme 
Alla  leggiadra  vergine  che  donne. 

Goiltioiava,«  vidi  a  un  lenpolileflMi, 
Liev'aura,  aura  vezzosa,  aura  tentile, 
Scberiaffle  intorno,  e  ventllarie  apawo 
I!  crespo  della  chioma,  oro  aoldle. 
Per  badarla  talor  si  fiioea  preano 
A  quella  bocca,  ov'è  perpetuo  apilK 
Ma  tinddetu  poi ,  quanto  lasciva. 
Da'  respiri  reepinta,  olla  fuggiva. 


L'ADONE. 


69 


lo  non  so  gii,  se  Zef&ro  cortese 
Fu,  che  spetUcol  dolce  allor  m'offene, 
C3ie  la  tremula  veste  alto  sospese, 
E  delle  glorie  mie  parte  m'aperse. 
So  ben,  che  con  sua  neve  11  cor  m*  accese, 
Quando  il  confin  del  bianco  pie  scoverse. 
Scoverse  il  piede,  e  dell'ignuda  carne 
Quanto  a  casta  beltà  lice  mostrarne. 

Poiché  assai  travagliato  e  poco  queto, 
In  più  pcszi  ha  carpilo  un  sonno  corto. 
Destasi,  e  da  quel  loco  ameno  e  lieto. 
Piover  si  sente  al  cor  novo  conforto. 
Sorge  dair  odorifero  roseto, 
E  qua  ne  vien  dove  il  mio  albergo  Iia  scorto. 
Questo  istesso  palagio,  ove  ora  sei, 
Come  raccoglie  le,  raccolse  lei. 

Nel  Umlnar  della  gemmata  soglia. 
Mette  le  piante  e  va  mirando  intorno. 
Mira  il  tiel  muro,  e  di  pomposa  spoglia 
Difuigid*  oro  il  travamento  adorno,  [glia). 
Siche  può  far  (quantunque  il  Sol  non  vo- 
Coi  proprio  lume  a  sé  medesmo  il  giorno. 
Mira  gli  ardii,  le  statue  e  le  altre  cose. 
Che  senza  prezzo  alcuno  son  preziose. 

Senza  punto  inchinar  le  luci  ai  basso 
Del  tetto  ammira  le  mirahil  opre. 
Ma  pur  del  tetto  il  rilucente  sasso, 
La  superbia  del  suol  chiara  le  scopre. 
Stupisce  il  guardo,  e  si  trattiene  il  passo 
Ai  i>el  lavor,  che  il  pavimento  copre; 
Perché  tante  ricchezze  hi  terra  vede. 
Che  di  calcarle  si  vergogna  il  piede. 

Ella  rapita  da  si  ricchi  oggetti, 
EnlEa,  e  d'alto  siupor  più  si  confonde, 
Poich'alia  maestà  di  tal  ricelti. 
Ben  la  gran  suppellettile  risponde. 
Ecco  dove  al  cantar  degU  augelletti 
Fermossi;  ivi  spiegò  le  trecce  bionde  ; 
Qui,  poiché  intorno  a  spaziar  si  mise. 
Respirò  dolcemente,  e  qui  s' assise. 

Quel  che  più  Hempic  U  cor  di  meravij^ia, 
È  che  negletto  é  qui  quanto  si  gode. 
Casa  si  signoril  non  ha  famiglia. 
Abitante  non  vede,  ostier  non  ode. 
Castaldo  alcun  di  lei  cura  non  piglia* 
Nelli  tanto  tcsor  trova  custode. 
Vagacon  gU  occhi,  e  il  vago  pie  raggira. 
Tolta  &a  somma  possiedef  e  nessun  minu 


Voce  incorporea  intanto  ode,  che  dice  : 
Di  che  stupisci  ?  o  qual  thnor  t'ingombrai? 
Sappi  cauta  esser  si,  come  feline, 
Omai  dal  petto  ogni  sospetto  sgombia. 
Non  bramar  di  veder  quei  che  noaliee. 
Spirito  astratto  ed  impalpabil  ombnu 
Gli  altri  beni  e  piacer  tutti  son  tuoi. 
Ciò  che  qui  vedi,  o  che  veder  non  puoi. 

Da  non  veduta  man  sentesi  in  queata 
D'acque  stillate  in  tepida  lavanda 
Condur  pian  piano,  indi  spogliar  la  vesta, 
E  i  bei  membri  mollir  per  ogni  banda. 
Dopo  i  bagni  e  gli  odor,  mensa  s' appresta 
Coverta  di  finissima  vivanda  ; 
E  sempre  ad  operar  pronte  e  veloci 
Son  sue  serve  e  ministre  ignude  voci. 

Dato  al  lungo  dì  gì  un  breve  ristoro 
Con  cibi,  che  del  ciel  foran  ben  degni. 
Entra  pure  alla  vista  occulto  coro, 
Sccso  quaggiù  da' mìei  beati  regni. 
Concordando  lo  sili  dolce  e  canoro 
Alla  facondia  degli  arguii  legni. 
Benché  né  di  canlor,  né  di  stromenti 
Scorga  immagine  alcuna,  ode  gli  accenti. 

Già  r  Obblio  taciturno  esce  di  Lete, 
Già  la  notte  si  chiude  e  il  dì  vien  manco, 
E  le  stelle  cadenti  e  l'ombre  chete 
Persuadono  il  sonno  al  mondo  stanco. 
Onde  disposta  alfine  di  dar  quiete 
Al  troppo  dianzi  affaticato  fianco , 
Ricovra  a  letto  in  più  secreto  chiostro , 
Piumiito  d'oro,  incortinato  d'ostro. 

Allor  mi  movo  al  dolce  assalto  e  tosto 
Che  cn  irò  la  sunza,  ogni  lumiera  è  spenta, 
Invisibile  amante,  a  lei  m'accosto. 
Che  dubbia  ancor,  ciò  che  non  sa  paventa. 
Ma  se  l'aspetto  mio  tengo  nascosto. 
Le  scopro  almen  l' ardor  ciie  mi  tormenta, 
E  da  lagrime  rotte  e  da  sospiri 
Le  narro  l  miei  dolcissimi  martiri. 

Ciò  che  al  buio  tra  noi  fusse  poi  fatto, 
(Più  bel  da  far  che  da  contar)  mi  taccio. 
Lei  consolata  alfin,  me  soddisfatto,  [ciò. 
Basta  dir,  die  ambeduo  ne  strinse  un  lac« 
Della  vlsu  il  difette  adempie  il  tatto. 
Quei  che  cerca  con  l'occhio  accoglie  in 

braccio 
S'appaga  di  toccar  quel  che  non  vede , 
Quanto  ali*  un  senso  nega,  all'  altro  oredc. 


1  I 


60 


MARINO. 


Ma  sul  bel  carro  appena  in  oriente 
Venne  dell'ombre  a  trionfar  l' Aurora, 
E  isuoi  destrier  con  Tayto  lucente 
Fugate  non  avean  le  stelle  ancora, 
Quando  al  beli*  idei  mio  taciumente 
Uscii  di  braccio  e  sorsi  innanxi  1*  ora. 
Innanzi  che  del  Sol  l'aurato  lume 
Spandesse  i  raggi  suoi,  lasciai  le  pium*. 

Toman  da  capo  alla  mcdesma  guisa 
L'ascose  ancelle  ed  aprono  i  balconi, 
E  della  sua  Tìrginitadc  uccisa 
Motteggian  seco,  ed  ecco  i  canti  e  1  suoni. 
Si  leva  e  la > a,  ed  ode  a  mensa  assisa 
Epitalami  in  vece  di  canzoni , 
E  le  son  pur  non  conosci ule  «enti 
Camerieri,  coppier,  scalchi  e  sergenti. 

Cosi  dall'uso  assecurata  e  fatta 
Più  coraggiosa  omal  dalla  fidanza , 
Già  già  meco  e  co'mici  conversa  e  tratta 
Con  minor  pena  e  con  maggior  baldanza. 
E  leggiadra  e  gentil,  scbiien  s'appiatta. 
Immaginando  pur  la  mia  sembianza. 
Dal  suono  incerto  delia  voce  udita, 
Prende  trastullo  alla  solinga  vita. 

Ma  quant'  ella  però  contenta  vive. 
Tanto  menano  i  suoi  vita  scontenta; 
E  di  tal  compagnia  vedove  e  prive 
Più  d' ogni  altro  le  suore  il  duol  tormenta. 
Vigilando  il  pensier  lor  la  descrive, 
Dormendo  il  sogno  lor  la  rappresenta  ; 
Onde  alfin  per  saper  ciò  che  ne  sia , 
Laddove  la  lasciar  prcndon  la  via. 

Io,  come  soglio,  in  sulla  notte  ombrosa 
Seco  in  tal  guisa  il  ragionar  ripiglio  : 
Psiclie ,  caro  mio  cor.  dolce  mia  sposa. 
Fortuna  ti  minaccia  allo  periglio , 
Laddove  uopo  ti  fia  d'arte  Ingegnosa, 
Di  cautela  sottile  e  di  consiglio. 
Ignoranti  dei  ver,  le  tue  sorelle 
Di  te  piangendo  ancor  cercan  novelle. 

Su  quei  sassi  colà  ruvidi  ed  erti , 
Onde  campata  sei ,  son  già  tornate. 
Io  farò,  se  tu  vuoi,  per  compiacerti. 
Che  sieno  a  te  da  Zefilro  portate. 
Ma  ben  ti  esorto,  a  quanto  dico  avverti , 
Fuggi  le  lor  parole  avvelenate. 
Nel  resto  io  ti  concedo  interamente, 
Che  le  lasci  da  te  partir  contente. 


Ve',  che  del  petti  lor  l'avare  fami 
Satolli  a  piena  m^  d*  argento  e  d' oro. 
Non  ti  lasciar  però,  se  punto  m'ami, 
Persuader  dalle  lusinghe  loro. 
Non  le  ascoltar;  se  d'ascoltarle  brami, 
Pen^  ascoltar  delle  sirene  il  coro. 
Dai  cui  dolce  cantar  tenace  e  forte 
Mascherata  di  vita  esce  la  morte. 

E  se  pur  troppo  credula  vorrai 
Prestar  fede  alla  coppia  iniqua  e  ria , 
In  ciò  ti  prego  almen  non  l' udir  mal , 
In  cercar  di  saper  qual  io  mi  sia. 
Con  un  tardo  pentjr,  se  ciò  non  fai, 
Ti  sovverrà  deli'  avvertenza  mia. 
A  me  sarai  cap;ion  di  grave  affanno. 
Ed  a  te  porterai  l' ultimo  danno. 

Taccio,  ed  ella  ascoltanto  i  miei  ricordi 
Promette  d'osservar  quanto  desio. 
Di  me  stessa,  dicea,  fia  che  mi  scordi 
Pria  che  gli  ordini  tuoi  ponga  in  oi)blio  ; 
A'  tuoi  fian  sempre  i  miei  desir  concordi; 
Tu  sei, qualunque  sei,  lo  spirto  mio; 
Abbine  di  mia  Tè  pegno  securo. 
Per  me,  per  te,  per  Giove  stesso  il  giuro. 

Già  dando  volta  al  bel  limon  dorato, 
E  de' monti  indorando  omal  le  cime, 
Il  carro  di  Lucifero  rosato 
Dalle  nubi  vermiglie  il  giorno  esprime; 
Quando  a  quel  dir  svanitole  da  lato. 
Volo  per  Taurc  e  fo  portar  sublime 
L'indegna  coppia  innanzi  alla  mia  vita 
Dal  bel  signor  della  stagion  fiorila. 

Le  incontra  e  bacia  e  in  dolci  atti  amorosi 
Fa  lor  liete  accoglienze,  ossequj  cari. 
Le  introduce  alla  reggia  ov' entro  ascosi 
Servon  senza  scoprirsi  i  famigliari. 
Tra  ricchi  arnesi  e  tra  tesor  pomposi 
Trovan  cibi  e  lavacri  eletti  e  rari , 
Si  eh'  elle  a  tanto  cumulo  di  bene 
Già  nutriscon  l' invidia  entro  le  vene. 

Le  dimandan  chi  sia  di  cose  tante 
Signor,  di  che  fattezze  è  il  suo  diletto. 
Ella  fino  a  quel  punto  ancor  costante 
Non  obbliaiido  II  maritai  precetto, 
S'infinge  e  dice  :  Il  mio  gradito  amante 
È  più  ch'altro  leggiadro  un  giovinetto; 
Ma  r  avete  a  scusar,  che  agli  occhi  vostri 
Occupato  alle  cacce,  or  non  si  mostri. 


L'ADONE. 


61 


Qò  detto  le  ribada  e  le  rimanda 
Colme  di  gemme  e  di  monili  il  seno» 
Ai  cari  genitorsi  raccomanda, 
Poi  le  consegna  al  ventlcel  sereno , 
Cile  presto  ad  eseguir  quanto  comanda, 
Rapido  più  elle  strale,  o  che  baleno. 
Con  vettura  Innocente  in  braccio  accolte 
Le  riporta  allo  scoglio,  onde  1*  ha  tolte. 

Elie  di  quei  velen  tutte  bollenti , 
Che  sorbito  pur  diami  avea  ciascuna, 
Borbottavan  tornando,  e  in  tali  accenti 
Con  l'altra  il  suo  furor  sfogava  1*  una. 
Or  guata  cieca,  ingiusta  e  dalle  genti 
Forsennata  a  ragion  detta  Fortuna, 
Tal  de* meriti  umani  ha  cura  e  scio? 
E  tu  tei  Tedi  e  tu  tei  soffrì,  o  Cielo? 

Figlie  d*un  ventre  Istessoal  mondo  nate 
Perchè  denno  sortir  sorli  diverse? 
Noi  le  prime  e  maggior  mal  fortunate 
Tra  le  sciagure  e  ie  miserie  immerse  ; 
Ed  or  costei,  che  in  sull'estrema  ctaie 
Gii  stanco  in  luce  il  sen  materno  aperse, 
Se  fu  del  nostro  ben  trista  pur  dianzi , 
Lieta  del  nostro  mal  fla  per  l' innanzi. 

Un  marito  divln  chi  né  godere. 
Né  conoscer  sei  sa,  gode  a  sue  voglie. 
Vedesti  tu  per  quelle  stanze  altere 
Quante  gemme,  quanl'  oro  e  quali  spoglie? 
S*  egli  è  pur  ver,  cito  con  cgual  piacere 
Giovane  così  fresco  in  braccio  accoglie, 
E  di  tanta  lieltà,  quant*ella  dice, 
Più  non  vive  di  lei  donna  felice. 

Altri  certo  non  può,  che  Dio  celeste 
Esser  l'autor  di  meraviglie  uli; 
E  s' el  pur  I*  ama,  come  appar  da  queste, 
La  porrà  tra  le  Dee  non  più  mortali. 
Non  vedi  tu  che  ad  ul)bi(liria  preste 
Insensibili  forme  e  spirìuli 
Quasi  vili  scudier,  move  a  suo  senno? 
Comanda  al  venti,  ed  è  servita  a  cenno? 

Misera  me,  cui  sempre  11  letto  e  11  fianco 
Ingombra  inutilmente  un  freddo  gelo, 
Impotente  fanciullo  e  vecchio  bianco, 
Uom,  che  vetro  ha  la  Iena  e  ne>e  il  pelo. 
Né  sposo  alcun  siccome  infenno  e  stanco, 
PIÙ  spiacente  e  geloso  é  sotto  il  ciclo, 
Che  custode  importo n  la  casa  tiene 
Sempre  di  ferri  dota  e  di  catene. 


EdiOfTaltra  soggiunge,  un  ne  sostegno 
Impedito  dal  morbo  e  quasi  attratto , 
E  calvo  e  curvo  e  men  che  sasso,  o  legno 
Ai  congressi  amorosi  abile  ed  atto  ; 
Cui  più  serva,  che  moglie  esser  convegno. 
Con  le  cui  ritrosie  sempre  combatto  ; 
Conviemmi  ognor  curarlo  e  In  tali  affahnl 
Vedova  e  maritata  io  piango  gli  anni. 

Ma  tu ,  sorella,  con  ardir  ti  parlo , 
Con  cor  troppo  servii  soffri  i  tuoi  torti. 
Io  non  posso  per  me  dissimularlo. 
Né  più  oltre  sarà  che  mei  sopporti. 
Mi  rode  il  petto  un  sì  mordace  tarlo , 
Che  non  trovo  pensier,  che  mi  conforti. 
Animo  generoso  aiiborre  e  sdegna 
Tal  ventura  caduta  in  donna  indegna. 

Non  ti  sovvien  con  qual  superbia  e  quanto 
Fasto,  quantunque  a  non  curarla  avvezze , 
Poiché  n*  accolse,  ambizioso  vanto 
Si  die  di  tante  sue  glorie  e  grandezze  ? 
Eppure  a  noi,  benché  n*  al)bondi  tanto. 
Poca  parte  donò  di  sue  ricchezze  ; 
E  poiché  fastidita  ne  rimase , 
Subito  ne  scacciò  dalle  sue  case. 

Quando  a  farla  pentir  di  tanto  orgoglio 
Vogii  tu,  come  credo,  unirti  meco. 
Esser  detta  mai  più  donna  non  voglio. 
Se  a  mortai  precipizio  io  non  la  reco. 
Per  or,  tornando  ai  solitario  scoglio. 
Nulla  diciam  d*  aver  parlato  seco. 
Non  facciam  motto  dei  suo  lieto  stato, 
Per  non  farlo  col  dir  viepiù  beato. 

Assai  noi  stesse  pur  visto  n'  abbiamo, 
E  di  troppo  aver  visto  anco  ne  splace , 
A  que*  poveri  alberghi  omai  torniamo. 
Dove  mai  non  si  gode  ora  di  pace. 
Là  consiglio  miglior  vo'  che  prendiamo, 
A  punir  di  costei  l'infamia  audace. 
Onde  s*  accorga  alfln  d' aver  sorelle, 
Suo  malgrado  più  degne,  e  non  ancelle. 

Tal  accordo  conchiuso,  a  qudla  parte. 
Le  scellerate  femmine  sen  vanno, 
E  con  guance  graffiate  e  chiome  sparte, 
Pur  1*  usato  lamento  a  prova  fanno. 
I  ricchi  doni  lor  celano  ad  arte. 
Tra  sé  ridendo  dell'ordito  inganno. 
Cosi  con  finti  pianti  e  finti  modi, 
Van  macchinando  le  spietate  frodi 


HÀBIKO. 


Tosto  che  la  slagioD  serena  e  foaca« 
L*aere  abbraccia  d*  intorno,  io  rati  spiego, 
E  quai  velen ,  quelle  due  furie  attosca. 
Racconto  alla  mia  Psiche,  e  la  riprego 
A  voler  (benché  appien  non  mi  conosca) 
Contentarsi  del  più,  se  il  nien  le  nego. 
Le  scopro  il  cor,  coprendole  il  sembiante, 
E  può  veder  V  amor,  se  non  l'amante. 

Le  mostro,  che  soverchio  è  voler  poi , 
Investigar  la  mia  vietala  faccia. 
Poiché  però  non  crescerà  tra  noi 
Quel  grand*  amor,  che  1*  uno  e  V  altro  allac- 
L' esorto  clie  non  guasti  i  piacersuoi  [eia, 
Per  un  lieve  desio,  ma  goda,  e  taccia: 
Quanto  può*  giusto  sdegno  io  le  rammento, 
E  la  fede  promessa  e  il  giuramento. 

Le  fo  saper,  che  nel  bel  sen  fecondo. 
Un  fortunato  infante  lia  già  concetto. 
Che  fia  divino  ed  iauuortalc  al  mondo, 
Se  s'asterrà  dal  mio  con  toso  aspetto. 
Ma  se  vorrà  mirar  quel  che  le  ascondo, 
A  morte  io  farà  nascer  soggetto. 
L'ammonisco  a  scili var  tanta  ruina 
Al  fanciul  sovrastante,  a  lei  vicina. 

£Uagittraescongiura,e  in  somma  volc 
Pur  riveder  quella  sorella  e  questa; 
E  la  con  lagrime  ite  e  con  parole. 
Un  i)ado  interccssor  della  richiesta. 
Ed  io  col  proprio  erio,  mentre  si  dote. 
Rasciugando  le  vo  la  guancia  mesta. 
Lasso,  che  non  potrà,  se  in  me  puòtanlo^ 
L'amorosa  eloquenza  del  bel  pianto? 

Nulla  alfln  so  negarle,  e  tosto  quando 
S'apre  il  del  mattutino  ai  primi  albori , 
Risorgo,  e  lieve  in  sullo  scoglio  mando 
Il  padre  feoandiasimo  de'  fiori. 
GU  reaipie,che  stan  purqui  vi  aqKtUDdo, 
Dello  spirto  gentil  senton  gli  odori  ;  | 
Ed  ei  pur  quasi  a  fona  in  sulle  spalle 
Le  filragitta  alla  fioriu  valle. 

Txovan  la  bella,  e  sotto  lieta  froaU 
Coprono  U  ùeì  clic  il  corXeiloBe  asconde. 
EUb  con  atti  pur  cortesi  «  pronti 
Alla  Beniita  aflesion  riiiMUMlei. 
Caldi  vapori  d'odorale  fonU 
In  CQodie  d'oro  ai  lassi  memlvi  infonde, 
E  lo  ricchi  seggi  infra  deiiaielmmeiiie. 
Degne  le  fa  delle  beale; 


Comanda  poscia  agli  •organi  aooaali , 
Chiama  al  concerto  le  canore  ved , 
E  i  ministri  invisibili  volanti 
Ai  primo  cenno  suo  vengon  veloci. 
Ma  quella  melodia  di  suoni  e  canti. 
Che  placherebbe  gli  aspidi  ferod , 
Delie  serpi  infernali  (ancor  che  dolce) 
Li  perfidia  crudel  punto  non  molce. 

Ansi  con  lo  stupor  tanto  più  fiera 
Cresce  l' invidia ,  die  le  morde  e  lima; 
Onde  la  prcgan  pur,  che  cliiara  e  vera 
Dei  vago  suo  la  quaiitade  esprima. 
La  semplicelta  garrula  e  leggiera. 
Cui  non  sovvien  ciò  ciie  lor  disse  in  prima. 
Perchè  accusar  dei  Callo  il  ver  non  vole, 
A>  viluppa  e  compon  novelle  e  fole. 

Dice ,  che  ricco  d' or  per  varie  strade 
Con  varie  merci  a  trafficare  intende , 
E  che  la  neve  della  fredda  date 
Già  già  le  tempie  ad  imbiancar  gii  scende. 
Poi,  perchè  raito  alle  natie  contrade 
Le  riconduca,  a  Zeffiro  le  rende. 
Che ,  come  suole ,  alle  paterne  spiagge 
Di  nuovi  doni  onuste  indi  le  tragge. 

Deh  che  ti  par  delle  menzogne  insane 
(  L*  una  ali*  altra  dicea  )  di  questa  sciocca? 
Cacciator  dianzi ,  dalie  prime  lane 
Quel  sue  non  avea  pur  la  guanda  tooca. 
Or  mercando  scn  va  per  rive  estraae  ; 
E  la  bruma  seidl  sul  crin  gli  fiocca. 
0  che  fmge ,  o  che  mente ,  o  eh*  ella  stessa 
Non  sa  di  ciò  la  verttade  espressa. 

Tempo  è  (comunque  sia)  da  far  cedere 
Tutte  le  gioie  sue  disperse  e  rotte. 
Con  si  fatto  pensier  vanno  a  giacere, 
E  in  vigilia  crudel  passan  la  notte. 
Col  favor  di  Favonio  indi  leggiere 
A  Psiche  in  sul  mattìa  aon  ricùadette , 
Che  gode  pur  d*  accarezaar  le  due 
(Sorette  a/m  dirò)  vlj^ere  sue. 

Ciiuite,espriiBendo  a  fona  in  lar^keve- 
Lagrime  fuor  degli  uiuidetti  rai,       [ne 
Che  sempre  (e  dir  non  ao  deve  lelieue} 
Qud  aesso  a  voglia  sua  n'iu  pura  assai; 
Dolce  (presero  a  dirle) amata  speae« 
Tu  aecura  qui  siedi  e  lieta  stai; 
E  mal  cauta  al  periglio  e  traacuraUv 
L' IgnoraBaa  dei  mai  ti  £a  lieata. 


L'  ikiM)NE. 


noi ,  noi  che  soUecile  alla  cara 
Della  salute  tua  slam  sempre  Intente , 
Gonvien  che  a  parte  d' ogni  tua  sciagura 
Abbiam  del  comun  danno  11  cor  dolente. 
Sappi,  che  quel ,  che  in  sulla  notte  oscura 
Giacer  teco  si  suole  è  un  fier  serpente; 
Un  serpente  crudele  esser  per  certo 
Quei  che  teco  si  giace,  abbiam  scoverto. 

VMd  più  d*  un  pastor  non  senza  rìschio, 
Quando  a  sera  taior  tornò  dal  pasto , 
Guadare  il  fiume  e  variato  a  mischio 
Trarsi  dietro  gran  spazio  il  corpo  vasto, 
Intorno  a  sé  dal  formidabll  fischio 
Lasciando  il  elei  contaminato  e  guasto  ; 
Con  lunghe  spire  per  1*  immonde  arene 
(Se  vederlo  sapessi)  a  te  ne  viene. 

Yiensene  in  più  volubili  volumi 
Divincolando  il  flessuoso  seno , 
Da'  minacciosi  e  spaventosi  lumi 
Esce  strano  fulgor,  che  arde  il  terreno  ; 
E  di  nebbia  mortai  torbidi  fumi 
Infetti  di  pestifero  veleno; 
Sbuffando  intorno,  allato  a  te  si  caccia, 
E  fa  la  cova  sua  fra  le  tue  braccia. 

Far  che  oltre  a  sé  sporga  e  in  sé  rlentre, 
E  nei  lubrici  tratti  onda  somiglia , 
E  fuggendo  e  seguendo  il  proprio  ventre , 
Lascia  sé  stesso  e  sé  stesso  ripiglia.. 
Poi  chiude  i  giri  in  mi  sol  groppo  e  mentre 
In  mille  obliqui  globi  si  attortiglia. 
Di  ben  profondo  solco,  ove  si  accampa. 
Quasi  vomere  acuto,  il  prato  stampa. 

Quando  del  cupo  suo  nativo  bosco 
IMUa  fame  ad  uscir  per  forza  é  spinto, 
D' an  verde  bruno  e  d'un  ceruleo  fosco 
Mostra  l'ali  fregiate  e  il  dorso  thito. 
Squàllido  d*oro  e  turgido  di  tosco, 
DI  macchie  il  collo  a  più  ragion  dipinto , 
Seopre  di  quanti  al  Sol  varj  colorì 
L' arco  suo  rugiadoso  Iride  Infiori. 

kh\  4Ae  tgnra  rirtyomhwBda  e  sena, 
Se  talor  per  lo  pian  Blende  le  atrtoce, 
E  polche  ToniftaU  4ia  dalla  stroaaa 
Ownt  di  «ome «Gelsa ol  la  lamMscet 
0  9e4al  aangve,  che  mai  tempre  togona, 
Awien,  Che  II  tergo  «  HpettoalSolsIllsee, 
Il  tergo  e  II  poMa,  amuto  a  piastre  e  wMf 
DldopplMMflhM^litfMileMi^.  [fl^ 


Livido  foco ,  che  le  selve  appaila , 
Spira  la  gola  ed  aliti  nocesti. 
Vibra  tre  lingue  e  nelle  fauci  aguzza 
Un  tripartito  pettine  di  denti. 
Sanguigne  schiume  dalla  bocca  spruzza , 
Ed  ammorba  co'  flaU  gli  elementi  ; 
L'aure  corrompe,  mentre  l'aria  lecca. 
Strugge  1  fior,rerbe  uccide  e  i  campi  secca. 

Guarditi,  o  suora,  il  Clel  daHasua  stizza» 
Scampiti  Giove  pur  da  quella  peste , 
Qualor  per  ira  si  contorce  e  guizza , 
E  sbarra  le  voragini  funeste , 
La  superba  cervice  in  alto  drizza. 
Erge  del  capo  le  spietate  creste , 
E  ribattendo  le  sonore  squamme, 
Mongibello  animato ,  avventa  fiamme. 

Perché  con  tanta  industria  e  secretezza 
Credi  la  propria  effigie  ci  tenga  ascosa; 
Se  non  perché  sua  naturai  bruttezza 
Agli  occhi  tuoi  manifestar  non  osa? 
Ma  sebbene  or  ti  adula  e  t*  accarezza 
Sotto  quel  dolce  titolo  di  sposa , 
Pensi  però ,  che  la  sua  cruda  rabbia 
Lungo  tempo  digiuna  a  tener  abbia T 

Aspetta  pur,  che  del  tuo  ventre  cresca 
(Come  già  va  crescendo)  il  peso  in  tutto» 
Lascia ,  che  venga  con  più  stabtl  esca 
Di  tua  pregnanza  a  maturarsi  11  frutto. 
Atlor  vedrai,  sii  certa,  ove  riesca 
Il  sozzo  amor  d'un  animai  sì  brutto. 
Allor  fia,  chi  noi  sa  ?  che  fuor  d*  inganni  ^ 
(Preda  a  suo  modo  opima)  el  ti  tracanni. 

Se  a  noi  non  credi  (ed  oh  queste  parole 
Sparse  sien  pure  al  vento  e  non  al  vero) 
Credi  a  quel,  die  mentir  né  può,  né  suole» 
Dell'oracol  febeo  presagio  fiero, 
n  presagio  In  obblio  por  non  si  vuole. 
Che  Immaghìandol  pur  trema  11  pensiero. 
Che  esser  ti  eonvenla  moglie  d' un  angue. 
Morte  e  strage  del  mondo  e  foco  esangue. 

GholhndihmqueToeol  tnoscampoanoi 
Conaentlrai  d'ogni  sospetto  sdoltat 
0  tanto  attenderai ,  che  tu  sia  poi 
Nelle  ferine  visoere  sepoHaT 
Se  4b  tal  guisa  nutrir  phrttoalo  mol 
(!>ion  so  «*  io  dica  o  pertinace  ,i»  atolta) 
L'empia  Ingordigia  delP  osceno  moatro , 
i  Adempito  abblaaiDoir  «nido  nostro. 


64 


MARUiD. 


Ma  se  non  vuol  delle  voraci  brame 
Cibo  venir  di  sì  vii  bocca  indegno, 
Pri|  che  alfin  saxia  la  lascivia  Infame , 
Teco  trangugi  l'Innocente  «pegno. 
Della  fera  crudel  tronchi  lo  stame 
Senz'altro  indugio  un  generoso  sdegno, 
E  prendi  a  un  colpo  d*  estirpar  consiglio 
Il  proprio  esizio  e  il  pubblico  periglio. 

Sentesi  Psiche  a  quel  parlar  d'orrore 
Tremare  i  polsi  ed  arricciare  1  crini , 
Sudan  l'estremità,  palpita  il  core, 
Spariscon  dai  bel  volto  ostri  e  rubini , 
Gelan  le  fibre  e  di  gelato  umore 
Lucidi  canaletti  e  cristallini 
Stilla  esangue  la  fronte  appunto  quali 
Suole  aurora  d' aprii  rugiade  australi. 

Contrarie  passion ,  tra  cui  si  aggira. 
In  quel  semplice  cor  fan  guerra  interna. 
D'amore  e  d'odio  e  di  spavento  e  d' ira 
Gran  tempesta  la  volge  e  la  governa. 
Nave  rassembra ,  a  cui  nieniro  ostro  spira. 
Or  garbino,  or  libeccio  i  soffi  alterna. 
Pur  dopo  molti  alfin  pensier  diversi 
Nel  fondo  d'ogni  mal  lascia  cadérsi. 

Dimenticata  già  d'ogni  promessa, 
Tutto  il  secreto  a  buona  fé  rivela. 
Del  furtivo  marito  il  ver  confessa, 
E  che  fugge  la  luce  e  die  si  cela. 
Rapita  dal  timor,  dal  duolo  oppressa , 
Geme,  fremo,  si  adliggc  e  si  querela  ; 
E  mancandole  in  ciò  saldo  discorso, 
Di  pietà  le  rlprega  e  di  soccorso. 

Contro  11  tenero  core  allor  si  scaglia 
Delle  donne  nialvage  il  furor  crudo, 
E  con  aperta  e  libera  battaglia 
Stringon  già  della  fraude  il  ferro  ignudo. 
Fuorché  il  partito  estremo,altro  che  vaj^lia 
Non  hanno  i  casi  estremi  o  schermo,  o  scu- 
Air intrepide  genti  e  risolute  [do. 

La  disperazion  spesso  è  salute. 

Ti  puoi  della  salute  il  calle  aprire 
(Se  la  speme  non  mente)  assai  spedito. 
Né  scemar  deve  in  te  punto  l' ardire 
Biasmo  di  fellonia  con  ul  marito. 
Chi  t' inganna  Ingannar  non  è  tradire , 
Giusto  è  che  sia  lo  scherni tor  schernito; 
Che  quando  a  opra  rea  vien  clie  consenta, 
La  fede  sccUeragglne  diventa. 


Sotto  il  letto  vogllam  che  tu  oasoonda 
Un  ferro  acuto  ed  una  luce  acoesa , 
E  come  pria  la  creatura  immonda 
Nell'usato  covil  si  sia  distesa < 
E  nel  colmo  dell'ombra  alta  e  profonda 
Sarà  dal  maggior  sonno  avvinta  e  presa  ; 
Sorgi  pian  piano  e  tuo  ministro  e  duce 
Sprigiona  11  ferro  e  libera  la  luce. 

La  luce  11  modo  allor  fia  che  ti  scopra. 
Ben  opportuna  e  consigliera  e  guida. 
Non  temer  no,  cliè  d*ambe  noi  nell'opra 
Avrai  (se  uopo  ti  fia)  l'alu  fida. 
Senza  alcuna  pietà,  giuntagli  sopra. 
Fa  che  del  fier  dragone  11  capo  Incida , 
Perchè  con  bestia  si  feroce  e  strana 
Qualunque  umanità  fora  inumana. 

E  cosi  detto  l'una  e  1*  altra  prende 
Commiato  e  parte ,  ella  riman  soletta , 
Se  non  sol  quanto  agitatrici  orrende 
Seco  le  furie  in  compagnia  ricelta. 
Ma  sebben  risoluta  all'opra  intende, 
E  la  macchina  appresta  e  il  tempo  aspetta; 
Pur  con  aflTetli  varj  in  tanta  impresa 
Litigando  tra  sé ,  pende  sospesa. 

Ancor  dubbia  e  pensosa  ed  ama  e  teme. 
Or  confida,  or  diffida,  or  vile ,  or  forte. 
Quinci  e  quindi  inun  punto  11  cor  le  preme 
Ardimento  d'amor,  terror  di  morte. 
In  un  corpo  mcdcsmo  insieme  insieme 
Abbonisce  il  serpente,  ama  11  consorte, 
E  stan  pugnando  in  un  istesso  loco 
Tra  rispetto  e  sospetto  il  ghiaccio  e  il  foco. 

Già  ncir  Occaso  i  suoi  corsier  chiudea 
Giunto  a  colcarsi,  Il  gran  pianeta  errante, 
E  già  vicin,  mentre  nel  mar  scendea. 
Sentiva  il  carro  d'or  stridere  Atlante; 
Quand'  io  che  cicco  in  tenebre  vivea 
Dal  mio  terrestre  sol  lontano  amante. 
Per  far  giorno  al  mio  cor,  dall'alto  polo 
Mcn  venni  ingiù  precipitando  il  volo. 

Psiche  mia  con  lusinghe  mi  riceve, 
L*  apparecchio  crudel  dissimulando. 
Ma  poiciiè  allato  a  lei  mi  vengo  in  breve. 
Stanco  dai  primi  assalti,  addormentando, 
Mentre  piacevolmente  il  sonno  greve 
Sto  con  leggieri  aneliti  soffiando, 
Sorge  e  sospinta  da  pensier  maligni 
Del  sacrilegio  ano  prende  gli  onllgni. 


L' AftONE. 


6& 


DeUe  pria  care  e  poscia  odiate  piume 
Vietisi  accostando  inver  la  sponda  manca. 
Nella  destra  ha  il  coltel,  neli*  altra  il  lume, 
D'orrore  agglii.iccìa  e  di  paura  imbianca. 
Ma  per  farle  eseguir  quanto  presume 
Sdegno  il  suo  debii  animo  rinfranca, 
E  la  forxa  del  fato  ali*  atto  fiero 
Arma  d'audacia  li  femminil  pensiero. 

Fa  la  scorta  per  tutto  e  in  sulla  porta 
Della  stanza  si  ferma  e  guata  pria. 
Sporge  innanzi  la  mano  e  la  fa  scorta 
AJ  pie  che  lento  al  talamo  s*  invia. 
Tende  1*  orecchie  e  so vr' avviso  accorta 
Ogni  strepito  e  moto  osserva  e  spia. 
Sospende  alto  le  piante  e  poi  leggiere 
Le  posa  in  terra  e  non  l' appoggia  intere. 

Quando  ladov'io  poso  ò  giunta  appresso, 
Voce  non  forma,  nccento  non  esprime  ; 
Di  tirar  non  s'arrisciiia  il  flato  istesso, 
E  se  spunta  un  sospir,  tosto  il  reprime. 
Caldo  desio  rinvigorisce  11  sesso. 
Freddo  timor  le  calde  voglie  opprime  ; 
Brama,  e  s'arretra,  ardisce,  si  ritiene, 
BoUon  gli  spirti ,  e  gelano  le  vene. 

Ha  non  sì  tosto  il  curioso  raggio 
Del  lume  esplorator  venne  a  mostrarse, 
Dal  cui  chiaro  splendor  del  cortinaggio, 
Ogni  latebra  illuminata  apparse. 
Che  sbigottita  dell'ingiusto  oltraggio, 
Stupì  repente,  e  di  vergogna  n*arse. 
Kon  sa  se  è  sogno,  o  ver,  che  quando  crede 
Vedere  un  drago,  un  garzonelto  vede. 

Gran  villania  le  parve  aver  commessa, 
E  di  tanta  follia  forte  le  increbbe. 
Spegner  la  luce  perfida,  e  con  essa 
L'arrotato  colici  celar  vorrebbe. 
Fu  per  celarlo  In  sen  quasi  a  sé  stessa, 
E  senza  dubbio  alcun  fatto  l'avrebbe. 
Se  dalla  man  tremante  11  ferro  acuto. 
Non  le  fuase  in  quei  punto  ai  suol  caduto. 

Mentr'ella  in  atto  tal  si  strugge  e  langue, 
Di  toccar  rami!  mie  desio  la  spinge, 
E  con  man  palpitante  e  core  esangue. 
Le  prcndee  tratta,  e  le  tasteggia  e  stringe. 
Tenta  uno  strale,  e  di  rosato  saugue. 
L'estremità  del  pollice  si  tinge. 
Mirasi  punto  Incautamente  11  dito, 
E  il  aenltln  un  punto  11  cor  ferito. 


Così  si  stava,  e  romper  non  ardiva 
La  mia  quiete  piatlda  e  tranquilla. 
Ed  ecco  aiior  la  liquefatta  oliva         ^ 
Dell*  aureo  luciA'nier  scoppia  e  sfavilla, 
E  vomitando  dalla  fiamma  viva 
Di  fervido  licor  pungente  stilla; 
All'  improvxiso  con  tormento  atroce 
Sull'ala  destra  l'omero  mi  coce. 

Desto  in  un  tratto  io  mi  risento  e^lo 
Fuor  della  cuccia,  ed  ella  a  me  s'apprende. 
M'abbraccia  i  fìanciii,  e  con  vezzoso  assalto 
Per  vietarmi  il  partir  pugna  e  contende. 
Mi  afferra  il  pie  fugace,  lo  meco  in  allo 
La  tragico  a  volo,  ed  ella  meco  ascende. 
Così  pendente  per  l'aeree  strade 
Mi  segue  e  tiene,  al  fin  mi  lascia  e  cade. 

Da  me  spiccata  amaramente  al  suolo 
Ululando  e  piangendo  ella  si  stese. 
Io  mi  volsi  a  quei  pianti  e  del  suo  duolo 
In  mezzo  all'  ira  la  pietà  mi  prese. 
Onde  1*  ali  arrestai,  fermando  il  volo« 
A  sì  tristo  spettacolo  sospese, 
E  mi  posi  a  mirarla  inlento  e  fiso 
D*  un  cipresso  vicin  tra  1  rami  assiso. 

Ingrata,  a  dirle  indi  proruppi,  ingrata. 
Sì  tosto  in  Lete  un  tanto  ardore  è  spento? 
Così  dalla  memoria  smemorata 
L'avviso  mio  ti  cadde  in  un  momento? 
Questo  è  l'amor?  questa  èia  fé  giurata? 
Dunque  tu  paglia  ai  foco,  io  foco  al  vento? 
Tu  dunque  onda  allo  scoglio,io  scoglio  all' 

10  stabil  tronco  e  tu  voiubil  fronda?  [onda? 

Io  della  madre  mia  posto  in  non  cale 
L*  ordin,  cui  convonia  pur  che  ubbidissi, 
Quanio  d'ogni  sventura  e  d'ogni  male 
Seppellir  li  volea  sotto  gli  abissi, 

11  cor  per  tua  cagion  col  proprio  strale, 
Inavvedutamente  mi  trafissi. 

Per  te  trafitto  e  per  tuo  bene  ascoso 
Volsi  ad  onta  del  Ciel  farmili  sposo. 

E  tu,  sleal,  pur  come  fusse  poco 
D*  invisibii  ferita  il  cor  piagarmi. 
Volesti  me,  che  era  tua  gioia  e  gioco, 
Quasi  serpe  crudel,  ferir  con  l'armi. 
E  non  contenta  d'amoroso  foco 
Co'  tuoi  begli  ocelli  l' anima  Infiammarmi, 
Hai  voluto  con  arte  empia  e  malvagia 
Ardermi  ancora  il  corpo  in  viva  bragia. 


06  MA&INO. 

Gli  più  volte  predetto  il  ver  ti  tue. 
Né  frenar  ben  sapesti  un  van  destre, 
Ka  quelle  egregie  consigliere  tue 
La  pena  pagberan  del  lor  fallire, 
Giusto  flagel  riserbo  ad  ambedue. 
Te  sol  con  la  mia  fuga  io  vo'  punire. 
Rimanti,  addio  ;  da  te  cercato  invano 
E  coi  corpo  e  col  cor  già  m*alloutano. 

Tanto  le  dissi;  ed  ella,  a  cui  più  dolse 
Che  la  caduta  sua,  la  mia  salita, 
Pofcliè  gran  tratto  d*aria  alfìn  le  tolse 
L'amata  immago,  in  apparir  sparila; 
Per  lung*  ora  di  là  sorger  non  volse, 
Dove  attonita  giacque  e  tramortita. 
Poi  la  fronte  levando  afllilta  e  bassa, 
Tra  sospiro  e  sospir  ruppe  un  alii  lassa! 

Lassa,  dicca,  tu  m*  abbandoni  e  vai 
Da  me  lontano  e  fuggitivo  Amore. 
Fuggisti  Amor.  Cbe  più  mi  resta  omai, 
Se  non  sol  di  me  stessa  odio  ed  orrore? 
Ben  dalla  vista  mia  fuggir  potrai. 
Ma  non  già  dal  pciisicr,  non  già  dal  core, 
Se  il  Ciel  dagli  occhi  miei  pur  ti  dilegua, 
Fia  che  col  core  e  col  pcnsicr  ti  segua. 

Si  per  poco  ti  sdegni  ?  e  tocco  appena 
Da  piccola  scintilla  t'addolori? 
Quest'  alma  or  che  farà  d'incendio  piena? 
Che  farà  questo  cor  fra  tanti  ardori? 
Cosi  dolcasi  e  copiosa  vena 
Versando  intanto  d'angosciosi  umori, 
Sommersi  dalle  lagrime  cadenti, 
in  bocca  le  morir  gli  ultimi  accenti. 

Dopo  molto  lagnarsi  in  pie  risorge. 
Ratto  poi  drizxa  al  vicin  prato  il  passo, 
Cile  con  corso  pacifico  vi  scorge 
Torcersi  un  fiumicel  tra  sasso  e  sasso. 
Va  sull*  estremo  margine,  clie  sporge 
L*  orlo  curvo  e  pendente  al  fondo  basso, 
E  disperata  e  dal  dolor  trafitta 
Precipitosamente  in  giù  si  gitla. 

^  Ma  quel  cortese  e  mansueto  rio 
0  che  a  me  compiacer  forse  volesse. 
Ricordevole  pur,  che  son  queir  io. 
Che  so  fiamme  destar  tra  V  acque  istcsse; 
0  che  con  gli  occhi,  ove  arde  il  foco  mio, 
Rasciutle  un  sì  bel  Sol  l'onde  gli  avesse, 
Dell'altra  riva  in  sulle  spiagge  erbose 
Con  innocente  vomito  l' espose. 


Vede,usdta  del  rischio,  all'ombraaitiso 
D'Arcadia  il  rozzo  Dio,  che  ivi  sogglonit; 
Tutto  d' ebuli  e  mori  ha  tioto  il  viso, 
E  di  pelle  tigrina  il  fianco  adorna. 
Fa  d*cdra  fresca  un  ramoscel  reciso 
Ombroso  impaccio  all'  onorate  corna; 
E  tien  con  l'edra  incatenando  il  faggio, 
Impedito  di  fronde  il  crin  selvaggio. 

Mentre  le  capre  sue  vaghe  e  lasci ve^ 
Pendon  dall'erta  con  gli  amici  agnelli, 
E  del  fiume  vìcin,  lungo  le  rive, 
Tondono  i  verdi  e  teneri  capelli, 
Egli  alle  canne,  che  fu  rossa  vive 
Dilei.che  gli  arse  il  cor  con  gli  occhi  belli. 
Inspira  dallo  spirto  innamoralo. 
Voce  col  suono,  ed  anima  col  fiato. 

Sette  forate  e  stridule  cicute. 
Con  molle  cera  di  sua  man  composte, 
Bella  varietà  di  voci  argute 
Formano  in  disegnai  serie  disposte  ; 
Onde  il  silenzio  delle  selve  mute. 
Impara  ad  alternar  dolci  risposte, 
Ed  alle  note  querule  e  canore. 
Fa  la  Ninfa  degli  antri  aspro  tenore 

Questi,  veduta  allor  la  meschine 
Languida  starsi,  e  sconsolata,  e  sola, 
Pietosissimamente  a  sé  l'appella, 
E  con  dolci  ragion  poi  la  consola. 
Rustico  mi  son  io,  giovane  bella. 
Ma  dotto  assai  nell'amorosa  scola; 
E  di  quel  mal ,  che  in  te  conosco  aperto. 
Per  lunga  età,  per  lunga  prova  esperto. 

Il  piò  tremante,  il  pallidetto  volto. 
Quegli  umid' occhi  eque'  sospiri  accesi. 
Mi  dan  pur  chiaro  a  diveder,  che  molto 
Hai  dal  foco  di  Amor  gli  spirti  offesi. 
Odimi  dunque,  e  V  impeto  sì  stolto. 
Frena  dei  tuoi  desiri  a  morte  intesi; 
Ni*  più  voler,  dell'  opre  lor  più  beile. 
Omicida  crudel ,  tentar  le  stelle. 

11  mal,  che  ben  si  porta,  è  lieve  male, 
E  vince  ogni  dolor  sa<;gio  consiglio, 
E  nello  stato  misero  mortale, 
È  maggior  gloria,  ov'è  maggior  perìglio. 
Mi  son  noli  i  tuoi  casi,  e  so  l>en  quale 
Sia  delia  bella  Dea  l'alato  Ciglio. 
Non  ti  doler,  citò  sebbene  or  ti  fugge. 
So  che  non  mcn  di  te,  per  te  si  strugge. 


L' ADONE. 


6T 


L*ife  ^gH  tmitorfidi  e  rerecl, 
Moovoii,  se  non  d'Amor  mantici  e  venti, 
Che  dei  freddi  desir  destan  le  faci , 
E  le  Bamme  dei  cor  fan  più  cocenti; 
Onde  le  risse  alfin  tornano  in  paci, 
E  in  gioie  a  terminar  vanno  i  tormenti. 
Giova  poi  la  memoria,  ed  è  soave 
A  rimembrar  quel  che  a  soffrir  fu  grave. 

Or  del  cor  tempestoso  acqueta  i  moti, 
E  eessa  il  pianto,  ciie  i  begli  ocelli  oscura, 
Né  voler  con  guastar  le  proprie  doti, 
Far  torto  al  Cieìo,  ed  oltraggiar  Natura, 
Umil  piuttosto  con  preghiere  e  voli. 
Quel  sì  possente  Dio  placar  procura, 
Il  qual,  credimi  pur,  fia  ciie  a'  tuoi  preghi. 
Ogni  sdegno  deposto,  alfin  si  ptegiii. 

Ringrazia  Psiche  il  satiro  pietoso, 
Che  si  ben  la  conforta  e  la  lusiiìga. 
Poi  si  accommiata,  e  senza  alcun  riposo, 
Per  traverse  remote  erra  soiinga. 
Alfin  laddove  domina  lo  sposo 
Della  suora  maggior,  giunge  raminga. 
Giunta,  l'altra  T abbraccia  e  la  saluta, 
E  ehiede  la  cagìon  di  sua  venula. 

La  già  schernita,  a  vendicarsi  accinta, 
8eco  d'amor  le  dimostranze  alterna , 
E  d'allegrezza  astutamente  infinta, 
Vestendo  il  volto  e  V  apparenza  esterna  ; 
Dal  tuo  consiglio  stimolata  e  spinta. 
Presi  il  ferro ,  le  dice ,  e  la  lucerna,  * 
Per  uccider  colui  che  di  marito 
Usurpalo  s'avea  nome  mentito. 

Tacitamente  a  mezza  notte  io  sorsi, 
Ed  avendoa  ferirstrettoil  coltello,  [scorsi, 
Lassa ,  che  un  mostro ,  è  vero ,  un  mostro 
Ma  mostro  di  l>cltà  pur  troppo  beilo. 
Quel  lume  spettator,  che  innanzi  io  sporsi, 
A  quanto  narro  in  testimonio  appello. 
Che  quando  un  tale  oggetto  a  mirar  ebbe. 
Raddoppiando  splendore  ardore  accrebbe. 

Alil,  non  senza  sospir  me  ne  rimembra. 
Che  contemplando  quel  leggiadro  velo. 
Dico  il  corpo  di\in ,  che  certo  sembra 
Meraviglia  del  mondo,  opra  del  Ciclo, 
All' armi,  all'ali ,  alle  purpuree  membra, 
Ond*  uscia  foco  da  stemprare  il  gelo, 
M'accorsi  alfin,  che  quel  che  ivi  giacca, 
Era  11  vero  flgliuol  di  Citerea. 


Ma  quel  perfido  lume  e  maledetto, 
Accusator  delle  beHezze  amate. 
Non  so  se  invido  pur  del  mio  diletto, 
0  vago  di  baciar  tanta  beliate. 
Al  sonnacchioso  arcier,che  ignudo  in  letto, 
Le  palpebre  tenea  forte  serrate. 
Con  acuta  favilla  il  tergo  cosse. 
Sicché  all'aspra  puntura  ei  si  riscosse. 

E  veggendomi  armata  in  sì  fier  atto, 
Scacciommi,  e  non  fé'  più  meco  dimora. 
Vanne,  disse,  crudel,  vattene  ratto, 
E  dal  mio  petto  e  dal  mio  letto  fora. 
Io,  tutti  i  miei  pcnsier  per  tal  misralto. 
Volgo  in  tua  vece  alia  nia;;gior  tua  suora. 
Ella,  e  t'espresse  a  nome,  io  vo' che  sia 
E  di  me  donna,  e  della  reggia  mia. 

Disse,e  fuor  del  suo  albergo  all'altra  riva, 
Sofliar  mi  fé'  dal  portator  volante. 
Va  dunque,occupainoco,ond'ioson  priva. 
Godi  quel  ch'io  perdei,  celeste  amante. 
A  me,  che  più  non  spero  infin  eh*  io  viva, 
Romper  la  stella  mia  dura  e  costante  ; 
Chieder  conxicn  tributo  a  tutte  l'ore, 
Ui  pianto  agli  occhi,  e  di  sos|)iri  al  core. 

Appena  ella  ha  di  dir  fornito  questo. 
Che  queir  invida  Arpia  le  piante  affretta, 
E  giunta  in  sui  fatai  monte  funesto, 
Dove  andar  suole  il  vento,  il  vento  aspetta* 
Vienne  Zeffiro,  >ìen  veloce  e  presto, 
Angel  di  primavera,  amica  aiiretta; 
Vienne,  dicea,  tu  condotticr,  tu  scorta, 
Preda  ben  degna  al  mio  signor  mi  porta. 

Sente  allora  spirar  di  sulla  cima 
Dell'aita  costa  un  ventolin  soliilc, 
Onde  fuor  d' ogni  dubbio  attende  e  stima, 
Che  a  lei  ne  venga  il  precursor  d'aprile. 
Scagliasi  a  piombo,  e  gravemente  all'  ima 
Parie  del  poggio,  il  corpo  immondo  e  vile« 
Ruinoso  tral)occa,  e  tra  quc'  sassi , 
Misera,  in  cento  pezzi  a  franger  vassi. 

Con  l'arte  istessa  ancor  poco  dappoi. 
Ingannò  l'altra  giovane  meschina. 
Che  pur  fede  prestando  a  detti  suol , 
Salse  anelante  in  sulla  rupe  alpina, 
E  similmente  inimaginar  ben  puoi , 
Se  dal  monte  balzando  alla  marina. 
Lasciò,  condegno  premio  alle  sue  colpe. 
Lacerale  le  viscere  e  le  polpe. 


68 


MARINO. 


Tra  le  pietre  medtaie,  ah!  8etii|iicetu, 
Lasciò  le  membra  dissipate  e  sciolte. 
Cosi  for  con  egual  giusta  vendetta 
Le  due  pesti  maligne  al  mondo  tolte, 
E  cosi  chi  di  fraude  si  diletu 
Ne*  propri  lacci  suoi  cade  alle  volte. 
Volse  farle  ambedue  Tato  consorte 
Come  complici  al  mal,  compagne  in  morte. 

Ma  Psiclie  or  quinci  or  quindi  errante  e 
Ricercando  di  me,  le  vie  scorrea  ;   [vaga 
DI  me,  che  per  dolor  di  doppia  piaga 
Sulle  piume  materne  egro  giacca; 
E  benché  di  sue  ingiurie  alquanto  paga, 
Pur  tra  duri  martir  l' ore  traca, 
Spendendo  i  giorni  in  gemiti  dirotti, 
E  consumando  in  lagrime  le  notti. 

Stavasi  intanto  la  mìa  bella  madre 
Nel  profondo  Oceano,  ove  già  nacque, 
Quelle  membra  a  lavar  bianche  e  leggiadre, 
Ond*ella  agli  occhi  tuoi  cotanto  piacque. 
Ed  ecco  a  lei  dalle  volanti  squadre 
Un  maritimo  augel,  che  abita  Tacque, 
Sotto  Tonde  atluflando  allor  le  penne, 
Tutto  li  successo  a  rivelar  le  venne. 

Le  prende  a  raccontar  T  Iniquo  mergo 
E  le  mie  nozze  e  il  già  concetto  pegno. 
Scopre  ch'io  porto  nell'adusto  tergo 
Di  grave  cicatrice  impresso  segno. 
Narra  che  ascoso  entro  T  usalo  albergo 
Languisco  in  amorsozzo,  in  ozio  indegno. 
Conchiude  alflne  il  relator  loquace, 
Che  il  mondo  tutto  a  biasmo  suo  non  tace. 

0  qual  nel  cor  di  Venere  s'aduna 
Fiamma  di  sdegno  allor  fervida  e  vìva! 
Dimanda  al  messo  in  vista  oscura  e  bruna 
Chi  sia  l'amica  mia,  chi  sia  la  Diva, 
Se  sia  del  popoi  dr^lle  Ninfe  alcuna, 
0  delle  Dee  nel  numero  s'ascriva. 
Se  tolta  io  l'abbia  e  qual  scelta  di  loro, 
0  delle  Muse,  o  delle  Graxle  al  coro. 

Risponde  non  saper  di  questa  cosa 
L'alato  ambasclator  quanto,  né  come, 
Se  non  che  strugge  Amor  fiamma  amorosa, 
E  che  egli  ama  una  tal,  che  Psiche  ha  nome. 
Sembra  la  Dea  non  Dea,  Furia  rabbiosa 
A  quell'annunzio,  e  con  discinte  chiome 
Esce  dei  mar  correndo  e  in  sulle  soglie 
Giunta  della  mia  stanza,  Il  grido  scioglie. 


Così  dunque  ubbidisci  al  detti  miei, 
Quant*  io  t' impongo  ad  eseguire  accinto? 
Ilo  In  tal  guisa  a  vendicarmi  sei  ? 
Ed  hai  di  Psiche  11  tant' orgoglio  estinto  1 

0  degne  palme,  o  nobili  trofei,  [vinto. 
Ecco  il  forte  campion,  che  il  mondo  ha 
L' arderò  egregio,  il  feritore  invitto. 

Or  da  donna  mortai  langue  trafitto. 

Ecco  quel  grande  e  generoso  duce. 
Per  cui  soffre  ogni  cor  tormento  e  pena; 
E  con  infamia  tanta  or  si  riduce 
A  lasciarsi  legar  con  sua  catena  ; 
E  in  vii  trionfo  prigionier  l'adduce 
Bellezza  currottibiic  e  terrena. 
Quei  buon  figlio  leal,  che  un  van  diletto 
Suole  anteporre  al  maternal  precetto. 

E  forse  ch'io  minisira  anco  non  fui 
Di  questa  scelleraggìne  e  mezzana, 
Quando  diedi  priniicr  notizia  a  lui 
Delia  malvagia  femmina  profana? 
CiT  io  deggia  sopportar  crede  costui 
Una  nuora  volgar  di  stirpe  umana, 
E  die  venga  anco  in  cielo  a  farmi  guerra 
L'emula  mia,  la  mia  nemica  in  terra. 

Pensi  tu,  che  11  mio  ventre  insterilito 
Concepir  più  non  possa  un'altro  Amore  ? 
Vedrai  s' io  saprò  ben  prender  partito, 
E  figlio  generar  di  te  migliore. 
Anzi  per  farti  più  restar  schernito, 
Voglio  un  servo  degnar  di  questo  onore. 
Un  de'  alletti  miei  voglio  adottarmi. 
Dargli  tutti  i  tuoi  fregi  e  tutte  Tarmi. 

Lui  vestirò  de'  colorati  vanni. 
Egli  avrà  l'arco  d'or  che  tu  possiedi. 
Gli  strali  ond'  escon  sol  ruine  e  danni, 
E  la  fiaccola  ardente,  e  gli  altri  arredi  ; 

1  quali  a  te  fellon,  mastro  d'inganni, 

A  quesL'  uso  malvagio  io  già  non  diedi  ; 
Nò  gli  hai  già  tu  d'eredità  paterna. 
Ma  beni  son  della  mia  dote  etema. 

Fin  dai  prlm'  anni  tuoi  veracemente 
Fosti  licenzioso  e  mal  avvezzo. 
Sei  contro  I  tuoi  maggiori  irreverente. 
Né  vai  teco  adoprar  minaccia,  o  vezzo. 
Anzi  qual  vedovella  orba  sovente 
La  propria  madre  tua  togli  in  disprezzo  ; 
Dico  me  stessa,  onde  alimento  prendi. 
Spesso  oltraggiasti  ed  ogni  giorno oATendi. 


Né  pur  del  forte  tuo  terribil  Dio 
Temi  l'inni  guerriere  e  vincitrici, 
Ausi  talor  per  maggior  scorno  mio 
Concubine  gli  trovi  e  meretrici. 
Ma  di  si  fatti  sclierzi  so  ben  lo 
Come  far  l' ire  mie  vendicatrici. 
Vo*  ciie  tante  follie  ti  costin  care, 
E  queste  noxxe  tue  ti  sieno  amare. 


L' ADONE.  69 

Sai  b«i  cb'el  non  àifriù  tenero  in  erba. 
Fon'  è  che  al  foco  pur  staccenda l'esca. 
Se  tu  rimiri  alla  sembianxa  acerba, 
0  vuoi  forse  aspettar,  di*  egli  più  cresca. 
Tal  nella  guancia  sua  vagliezza  serba, 
Sempre  ignuda  di  pelo  e  sempre  fresca. 
Sì  tlcn  con  la  statura  il  tempo  occulto. 
Che  ti  parrà  bambin,  quantunque  adulto. 


Deh  che  far  deggto  7  o  come  all'  insolenza 
Di  questo  sfrenatel  stringere  li  morso T 
Mi  conrien  pur  malgrado  all'  Astinenza, 
Mia  nemica  mortai,  chieder  soccorso. 
Per  dargli  al  fallo  egual  la  penitenza. 
Forza  è  pur  che  a  costei  rivolga  il  corso, 
Costei,  benché  da  me  sempre  abborrita, 
Fia  che  mi  porga  alla  vendetta  alta. 

Ella  di  quest*  altier,  che  sì  presume. 
Domi  le  forze  e  suoi  pensier  perversi. 
Io  iin  che  quei  criu  d' or,  che  per  costume 
Più  d'una  volta  inanellando  tersi. 
Per  me  tronco  non  veggia  e  quelle  piume 
Che  in  questo  sen  di  nettare  gU  aspersi, 
Di  mia  man  non  gli  snella,  unqua  non  fla, 
Che  soddisfaccia  all'alta  ingiuria  mia. 

Con  questo  dir  da'  suoi  furor  rapita 
Vapor  fare  al  mio  core  oltraggio  e  danno, 
E  Cerere  e  Giunon  trova  all'  uscita. 
Che  le  van  contro  e  compagnia  le  fanno 
E  reggendola  afflitta  e  scolorita, 
Dimandan  la  cagion  di  tanto  affanno. 
Ella  di  quel  dolor  la  somma  spiega, 
E  sue  ragioni  ad  alutar  le  prega. 

Se  mi  siete,  dicea,  fldate  amiche, 
Se  é  l'amor  vostro  ali*  amor  mio  conforme, 
Datemi  in  man  la  fuggitiva  Psiche, 
Usate  ogni  arte  a  ricercarne  l'orme. 
L'accorte  Dee,  già  mie  seguaci  antiche. 
In  cui  sopito  il  foco  mio  non  dorme. 
Dell'arrabbiato  cor  l'ire  feroci 
S'ingegnan  mitigar  con  queste  voci  : 

E  qual  gran  fallo ,  qual  peccato  grave 
11  tuo  figlio  commise,  o  Dea  cortese. 
Se  lo  sguardo  piacevole  e  soave 
D'una  vaga  fanciulla  il  cor  gli  accese? 
Amorosa  e  di\lna  alma  non  ave 
Onde  sdegnarsi  per  si  lievi  offese. 
Fora  certo  piuttosto  il  tuo  dovere 
Amar  dO  die  ama  e  dò  che  vuol  volere. 


Or  tu,  che  dei  piacer  sei  dlspenslcra. 
Tu,  che  pur  madre  sei,  che  sei  prudente, 
Vorrai  ritrosa  ognor  dunque  e  severa 
Spiar  gli  affari  suol  sì  sottilmente? 
Clii  fla,  che  non  t'appelli  ingiusta  e  fiera 
Se  tu,  che  seminando  infra  la  gente 
A  tutte  r  ore  vai  fiamme  ne'  cori. 
Vuoi  dalla  casa  tua  scacciar  gli  amori? 

Così  parlando  a  mio  favor  le  due 
Scusan  la  colpa  e  prendon  l'ira  a  gioco. 
Temendo  ior  non  sia,  come  già  fue, 
Ferito  il  petto  di  pungente  foco.  ^ 

Ella  sdegnando,  che  l'ingiurie  sue 
Passino  in  riso,  e  sien  curale  poco, 
Le  lascia ,  ed  a  sfogar  la  rabbia  altrove , 
Velocissimamente  1  passi  move. 

Intanto  Psiche  mia  per  varie  strade 
Inquieta  d*  errar  giammai  non  cessa, 
E  discorsi  or  di  sdegno  or  di  pietade 
Volge  incerta  e  dubbiosa  infra  sé  stessa. 
Or  dal  grave  timor  battuta  cade. 
Or  le  sorge  nel  cor  la  speme  oppressa. 
Teme,  spera,  ama.  brama  e  si  consuma 
Come  a  fenido  Sol  gelida  bruma. 

Di  me  novelle  Investigando  Invano 
Quasi  smarrita  e  saettata  cerva. 
Fugge  per  boschi  a  più  poter  lontano 
Dell'  orgogliosa  Dea  i'  ira  proterva  ; 
Vorrla,  punita  sol  dalia  mia  mano, 
Tito],  se  non  di  sposa  almon  di  serva, 
E  l'amaro  addolcir  eh*  io  cliiiido  in  seno. 
Se  non  con  vezzi,  con  ossequi  almeno. 

Tempio,  che  d'arte  ogni  ediJIcIo  avanza, 
Sovra  la  sommità  d'un  monte  mira; 
E  vaga  di  saper,  se  v'  abbia  stanza 
L'occulta  Deità,  per  cui  sospira; 
Tosto  lo  stanco  piò,  dalla  speranza 
Rinvigorito,  a  queihi  parte  gira, 
E  in  Slilla  cima  dopo  l'erta  strada 
Trova  faKi  di  gran,  mucchi  di  biada. 


70 


MARlNOb 


In  quella  guitta  die  dopo  la  masse 
Ventilale  e  baiuite,  alcun  Tha  viste 
Giacer  sull'aia,  accumulate  e  spesse 
Stavan  sossovra  le  mature  ariste  ; 
E  falci  e  rastri  e  vomeri  con  esse, 
E  vanghe  e  marre,  in  un  confuse  e  miste, 
E  pale  e  zappe  e  cribri,  e  quanti  arnesi 
Usa  il  culuur  nei  più  cocenti  mesi. 

Devota  allor  con  umiltà  profonda. 
Sceglie,  compon,  dispon  le  sparse  spicbe. 
Quando  si  mostra  a  lei  la  Dea  feconda  : 
Che  fai,  dicendo,  o  poverella  Psiche? 
Tu  qui  spargi  oziosa  e  vagabonda. 
In  vane  cure  inutili  fatiche; 
£  Citerea,  che  morte  li  minaccia. 
Va  con  cupida  inchiesta  alla  tua  traccia. 

Innanzi  al  divin  piede  allor  si  stende, 
E  con  larghe  fontane  il  lava  tutto, 
E  col  bel  crin,che  fino  a  terra  scende. 
Scopando  a  un  punto  il  suolo  il  rende  asci  ut- 
Deh  per  le  ceremonie,  a  dir  le  prende  [to  : 
E  i  lieti  riti  dei  tuo  biondo  frutto. 
Per  gli  occulti  secreti  e  venerandi 
Dell'  auree  ceste,  onde  i  tuoi  semi  spandi  ; 

Per  le  rote  volanti,  e  per  le  faci. 
Perii  dragoni,  che  il  tuo  carro  imbriglia; 
Per  le  glebe  fruttifere  e  feraci, 
Onde  Sicilia  ancor  si  meraviglia; 
Per  la  rapina  dei  dcstricr  fugaci; 
Per  gli  oscuri  imenei  della  tua  figlia; 
E  per  quant*  altre  cose  uniiic  ancora, 
Me*  suol  sacri  silenzi  Eleusi  onora  ; 

Sovvien ,  prodiga  Dea,  pregoti,  a  questa 
Perseguitata  e  misera,  sovvieni. 
Sotto  le  spiche  della  folla  testa. 
Soltanto  ascosa  per  pietà  mi  tieni , 
Che  di  colei,  che  le  mie  paci  infesta. 
Passi  alquanto  il  furor.  Tira  s*airrcni, 
E  con  breve  quiete  almcn  ristori 
Le  membra  stanche  da  si  lunghi  errori. 

Mover  polca  con  questi  preghi  un  scoglio. 
Ha  da  Ccrer  però  trovossi  esclusa. 
Che  non  osando  inacerbir  l'orgoglio 
Deir  altera  cognata,  alfin  si  scusa> 
Onde  doppiando  al  cor  tema  e  cordogli». 
Quindi  dal  suo  sperar  parte  delusa  ; 
Né  ben  scorge  il  cammin ,  si  spesso  e  tanto 
Le  piove  agii  occhi  e  l'abbarbaglia  il  pianto. 


Vede  un'altra  loa  lunge  eceela^mole, 
Che  par  che  fiso  al  elei  s*  estolla  ed  or|fi« 
Scritte  mostran  sull'  uscio  auree  parole 
Del  Nume  il  nome,  che  là  dentro  alberviL 
Per  supplicar  la  Dea,  che  ivi  al  cole, 
S*  asciuga  i  fiumi,  onde  la  guancia  vergi. 
E  poiché  dentro  s* avvicina  e  passa. 
Gli  ocelli  solleva,  e  le  ginocchia  abbana. 

Ed  abbracciando  reverente  e  cl»ifla> 
L*  aitar  di  sacro  sangue  ancor  fumante, 
0,  dice,  delle  Dee  degna  reina. 
Germana  e  moglie  del  sovran  Tonanti  ; 
0  che  Samo  t'accolga,  a  cui  bambina- 
Desti  i  primi  vagiti  ancor  UiUantn^ 
0  di  Carlago  la  beata  sede. 
Che  spesso  assisa  in  sul  leon  ti  vedtt> 

0  che  d' Inaco  pur  tra  !  verdi  cliio0trl, 
Cerchi  di  Giove  l' amorose  frodi , 
0  che  intesa  a  guardar  dai  ciel  ti  mnsttl 
Le  mura  argive,  onde  hai  tributi  e  lodi; 
Tu,  che  Lucina  sei  detta  dai  nostri , 
Che  alma  con  alma  in  maritaggio  annodi , 
Deh  propizia  ai  miei  voti  or  me  ritogli 
Al  vicin  rischio,  e  in  tua  magione  accogli. 

Glunon ,  mentr'ella  prega  e  l'ara  abbrac- 
Le  appare  in  vista  umana  e  mansueta;  [cia^ 
Ma  per  non  consentir  cosa  che  spiacela 
Alla  motrice  del  gentil  pianeta. 
Le  nega  albergo,  e  con  tal  dir  la  scaccia  : 
Servo  fugace  ricettar  si  vieta. 
A  quest'altra  repulsa  aspra  e  severa, 
Di  sua  salute  in  tutto  ella  dispera. 

Con  cor  tremante,  e  con  trcmantepiedc 
Fugge  la  tapinella,  e  non  sa  dove, 
In  ciò  che  intorno  ascolta,  in  ciò  che  vede, 
Vede  di  novo  orror  sembianze  nove. 
Lieve  arbosccl ,  cui  debil  aura  fiede. 
Lieve  augellin ,  che  geme  o  che  si  move. 
Lieve  foglia,  che  cade  o  clic  si  scote, 
Di  terror  doppio  il  dubbio  cor  percote. 

E  per  deserti  inospiti  friggendo,. 
Cosi  coi  suoi  pensler  tra  sé  discorM, 
Or  qual  suffragio  in  sì  grand*  uopo  attendo. 
Se  il  Cielo  istesso  I  miei  lamenti  ablMrrftt 
Se  la  forza  divina^  ancor  volendo. 
Aiutar  non  mi  può,  chi  mi  soccorre t 
Chi  mi  difenderà,  se  anco  li  Dei, 
Non  mi  voglion  sciwruir  contro  costei  T 


L'ADONE. 


71 


fn  qnal  grotta  ^  fosca  o  sì  profonda, 
Chiiidernildeggio?  Odore  andar  sì  lunge. 
Che  agli  occhi  inevitabili  m'asconda 
DiGterea,clie  in  ogni  parte  giunge? [da, 
Fia dunque  il  meglio,  clie  al  destin  rispoiir 
E  il  corso  affretti,  ot*  ei  mi  sferza  e  punge. 
Che  tardoT  un  franco  ardir  tronchi  ogn*  in- 
EF  altrui  crudeltà  sia  mio  refugio.  [dugio, 

Coli  n*  andrò  dove  ella  alberga  e  regna, 
In  prigion  volontaria  a  farmi  ancella. 
Forse  quellMra  alfln  del.  Cielo  indcgnay 
Pietosa  deporrà,  siccome  bella. 
Forse  ancor  fia,  che  i\i  trovar  mi  avvegna, 
Chi  m*  avventò  nei  cor  fiamme  e  quadrella  ; 
E  che  con  lieta  o  con  infausta  sorte, 

0  m*  Impetri  perdono  o  mi  dia  morte. 

Mentre  ella  In  guisa  tal  s*  aggira  ed  erra, 
Driziando  i  passi,  ove  di  gir  propone, 
E  per  ottener  pace  a  tanta  guerra^ 
Gli  argomenti  tra  via  studia  e  compone  ; 
Stanca  Ciprigna  di  cercarla  in  terra, 

1  rimedj  del  Ciel  tentar  dispone. 
Rivolge  il  carro  in  ver  le  stelle  ,e  poggia[gIa. 
Su*  chiostri  empirci  ove  il  gran  Giove  allog- 

Quivi  Mercurio  con  preghiere  astringe, 
Che  la  bandisca  e  sappia  ove  si  cela. 
Gli  narra  la  cagion ,  che  a  ciò  la  spinge, 
Promette  di  premiar  chi  la  rivela. 
Dichiara  il  nome,  e  le  fattezze  pingc. 
Aggiungendo  gì'  indizi  alla  querela, 
Acciocchès*  egli  avvien,  che  alcun  la  trovi, 
Scusa  poi  d'ignoranza  altrui  non  giovi. 

L' una  a  casa  ritorna,  e  l*a1tropiomba 
Veloce  in  terra  a  promulgar  l'editto. 
Qualsivoglia  mortale  (a  suon  di  tromba 
Pubblicato  per  lui  dice  lo  scritto}  : 
Psiche,  degna  di  carcere  e  di  tomba, 
Rubella  e  rea  di  capital  delitto, 
Fia  che  a  Venere  bella  accusi  e  scopra, 
Ricompensa  ben  degna  avrà  dell'  opra. 

Vengala  tra  le  piagge  a  lei  dilette, 
Dove  il  tempio  de'  mirti  erge  Quirino, 
Che  dalla  Dea  benigna  avrà  di  sette 
Baci  soavi  un  guid<^rdon  divino  ; 
E  più  dolce  fra  gli  altri  uo  ne  promette. 
In  cui  lingueggi  il  tenero  rubino. 
In  cui  labbro  con  labbro  il  dente  strìnga, 
E  di  nettare  e  mei  si  bagni  e  tinga. 


Questo  grido  tra  i  popoli  diffuso,. 
Alletta  tutti  alia  mercè  proposta. 
Onde  non  trova  alcun  loco  sì  chiuso. 
Che  non  v'  entri  a  spiar,  se  v'  è  nascosta. 
Elia  con  pie  smarrito  e  cor  confuso, 
Già  della  Diva  alla  maglon  s' accosta^ 
Dalle  cui  porte  incontro  a  lei  s*  avanaa 
Una  ministra  sua,  che  è  detta  Usania. 

Pur  ne  venisti,  ad  alta  voce  esclama. 
Schiava  sfacciata,  ove  il  gastigo  è  certo. 
0  non  t' è  forse  ancor  giunta  la  faau. 
Di  quanto  in  te  cercando  abhiam  sofferto? 
Giungi  a  tempo  a  pagarlo,  e  già  ti  diiam» 
Giustissimo  supplicio  al  proprio  merto. 
Tra  le  fauci  dell'Orco  alfin  pur  desti, 
Perchè  l'orgoglio  tuo  punito  resti. 

Così  parlando  le  cacciò  le  mani 
De*  capei  d'oro  entro  le  bionde  masse, 
E  con  motti  oltraggiosi,  e  con  villani 
Scherni,  volesse  o  no,  seco  la  trasse. 
Giunta  alla  Dea,  con  tanti  strazj  strani 
Rotta,  con  viso  chino  e  luci  basse, 
Le  ginocchia  abbracciolle,  innanzi  al  piede 
Le  cadde  a  terra,  e  le  gridò  mercede* 

Con  un  riso  sprezzante  a  lei  rivolta, 
Dice  Venere  allor  :  Sei  tu  colei, 
Che  alle  Dee  di  beltà  la  gloria  hai  tolta? 
Che  hai  domo  il  domator  degli  altri  Dei? 
Ecco  pur  la  tua  suocera  una  volta 
Degnata  alfin  di  >lsi(ar  ti  sci  ? 
0  vien  forse  a  veder  l' egro  marito. 
Che  ancor  per  tua  cagion  langue  ferito? 

Or  io  ti  raccorrò,  vivi  secura. 
Come  buona  raccor  nuora  conviene  : 
Su  suso,  ancelle  mie.  Tristezza  e  Cura, 
Date  a  costei  le  meritate  pene. 
E  tosto  a  far  maggior  la  sua  sventura, 
Ecco  duri  flagelli,  aspre  catene. 
Daltendola  con  rigide  percosse. 
La  fiera  coppia  ad  ubbidir  si  mosse. 

La  rimenano  avanti  al  suo  cospetto. 
Poiché  ambedue  IMian  tormentata  forte, 
Speltacol  da  commovere  ogni  petto. 
Se  non  di  lei,  che  la  disama  a  morte. 
DI  corruccio  sfavilla  e  di  dispetto, 
E  dalie  luci  allor  traverse  e  torte, 
Girando  obliquo  11  guardo  all'  infelice, 
f  Aspramente  sorride,  e  così  dice  : 


72 


MARINO. 


E  par  mi  voglia  ancor  col  peso  Immondo 
Del  suo  tumfdo  ventre  indur  pietate, 
E  mi  prometta  già,  tronco  fecondo, 
Gloriose  propaginl  e  iMite. 
Felicissima  me,  che  avola  il  mondo 
M'appellerà  nella  più  verde  etate, 
E  il  figlio  d' una  vii  serva  impudica 
Fla  che  nipote  a  Venere  si  dica. 

Ma  perchè  tanio  onor?  DI  nozze  tali 
Figlio  nascer  non  può,  spurio  più  tosto, 
Sono  illecite,  ingiuste  ed  ineguali, 
Fur  di  furto  contratte  e  di  nascosto  ; 
Onde  quel  clie  trarrà  quindi  i  natali. 
Tra  gì*  infami  illegittimi  sia  posto, 
Se  però  tanto  altcnderem,  clie  ai  Sole 
Esca  11  bel  parto  di  si  degna  prole. 

No  no  far  non  possMo  ciie  rompre  il  freno 
Sofferenza  irritata  alfin  non  dcggia. 
Vo*  di  mia  man  da  quel  nefando  seno 
Trar  l' eterno  disnor  della  mia  reggia. 
Pace  mal  non  avrò  tanto  che  appieno 
E  lei  sbranata  e  me  sbramata  io  veggia. 
Sazia  mai  non  sarò  finché  abbia  presa 
Giusta  vendetta  dell'ingiusta  oflesa. 

Tace  e  le  dà  di  piglio  e  dagl'inrerml 
Membri  tutte  le  squarcia  e  vesti  e  pompe. 
La  misera  sei  soffre  e  non  fa  schermi, 
Né  pure  in  piccol  gemito  prorompe. 
Vadan  pur  fra  tiranni  I  corpi  inermi. 
L'armi  però  del  cor  forza  non  rompe, 
La  costanza  virii,  die  è  ne*  tormenti 
Lo  scudo  adamantin  degl'innocenti. 

Poi  di  varj  granelli  accolti  insieme 
Confuso  un  monte,  alla  fanciulla  impera, 
Che  prenda  a  separar  seme  da  seme, 
E  sia  Topra  spedita  innanzi  sera. 
Vassene  alla  gran  cena  e  fuor  di  speme 
Sola  la  lascia  e  pensa  in  quai  maniera 
Psiche  potrà  nei  tempo  a  lei  concesso 
Agevolarsi  il  gran  iavor  commesso. 

Psiche  atterrita  dal  crudel  comando, 
Stupisce  e  Uce  e  d'ubbidir  diffida. 
Che  l'assegnato  cumulo  mirando. 
Non  sa  come  lo  scelga,  o  Io  divida. 
Tenta  indamo  ogn'  industria  e  paventando 
La  rigorosa  Dea,  che  non  i*  uccida. 
Di  non  poter  distinguere  si  dole 
Quella  incomposta  inestricabil  mole. 


Quando  In  soccorso  suo  corse  veloce 
L*agricoltrÌce  e  provvida  formica. 
Quella  ciie  suol  quando  più  i*aria  coce 
Dai  campi  aprici  depredar  la  spica. 
Questa  l)iasmando  delia  Dea  feroce 
L' atto  e  mossa  a  pietà  di  sua  fatica. 
Dalie  vicine  allor  vaili  e  campagne 
Tutto  il  popol  chiamò  delle  compagne. 

Concorre  tosto  In  numerose  schiere 
Con  sollecita  cura  e  diligente 
Rigando  il  verde  pian  di  linee  nere 
Il  lungo  stuol  delia  minuta  gente; 
E  la  mistura,  ove  1*  uman  sapere 
Manca  e  per  cui  la  donna  è  sì  dolente. 
Con  sommo  studio  e  con  mlrabil  arte 
Ordinata  e  partita,  alfin  si  parte. 

La  notte  intanto  i  rai  d' Apollo  spense, 
E  già  con  1*  ombre  Arpocrate  sorgea, 
E  1  balli  suoi  per  Talte  logge  immense 
Tra  le  Ninfe  del  Ciei  Cinzia  traea; 
Quando  tornò  dalle  celesti  mense 
Di  balsamo  e  di  vin  colma  la  Dea, 
E  tutta  cinta  d* odorate  rose. 
Terminate  trovò  1*  imposte  cose. 

Non  tua,  né  di  tua  man  (se  non  m*  inganno 
Fu  già  quest'opra,  o  scellerata,  disse, 
Opra  fu  di  colui,  che  per  tuo  danno 
Di  te  volse  il  dcstin,  che  s'invaghisse. 
Ma  godi  pur,  che  all'  un*,  e  ali*  altra  stanno 
Le  dovute  da  me  pene  prefisse. 
£  partendo  da  lei  poiché  ha  ciò  detto 
Consente  al  sonno  e  si  ritragge  in  letto. 

Neil*  ora  poi,  che  fa  dal  mar  ritorno 
L'Alba  e  colora  il  ciel  di  rosa,  e  giglio, 
E  in  suli*  aureo  balcon.  che  s*apre  al  giorno 
Rasciuga  al  primo  Sole  il  vel  vermiglio. 
Dal  ricco  strato  e  di  bei  fregi  adorno 
La  pigra  fronte  e  il  sonnacchioso  ciglio 
Sollevando  Ciprigna,  alia  donzella 
Sdegnosa  tuttavia  cosi  favella  : 

Vedi  quel  bosco,  le  cui  ripe  rode 
Precipitoso  e  rapido  ruscello. 
Pecorelle  colà  senza  custode 
Pascon  lucenti  di  dorato  vello, 
lo  vo*  veder,  se  pur  con  nova  frode 
T  ingegnerai  di  ritornar  da  quello. 
Vattene  dunque  e  delle  spoglie  loro 
Recami  Incontanente  un  fiocco  d*oro. 


Risoluta  di  cedere  al  destino, 
Va  Psiche  per  sommergersi  in  queir  onde  : 
Ma  verde  canna,  che  del  rio  vicino. 
Vive  sulle  palustri  e  Tresche  sponde, 
Animata  da  spirito  divino, 
E  mossa  da  leggiere  aure  feconde , 
Ode  con  dolce  e  musico  concento, 
Susurrar  questo  suon  tremulo  e  lento  : 


L'ADONE.  *13 

Da  queiralpestra.e  ruvida |nontagna. 
Che  al  raggio  orientai  volge  le  spalle,  * 
Fiume,  clie  d'acque  brune  I  sassi  bagna, 
Scorrer  vedrai  nella  vicina  valle. 
Questo  senza  sboccar  nella  campagna. 
Esce  di  Stige  per  occulto  calle, 
E  in  quella  nera  e  fetida  palude. 
Dopo  lungo  girar  s'Ingorga  e  chiude. 


0  da  tanti  travagli,  e  si  diversi, 
Esercitata  per  sì  lunghe  vie. 
Deh  non  volere  1  bei  cristalli  tersi, 
Macchiar  col  sangue  tuo  dell'  acque  mie  ; 
Né  contro  i  mostri  andar  crudi  e  perversi. 
Che  abitan  queste  spiagge  infami  e  rie. 
Fere,  che  han  di  fin  or  la  pelle  adoma. 
Ma  sasso  hanno  la  fronte,  acciar  le  coro». 

Tocche  dal  Sol,qualor  più  forte  avvampa, 
Entrano  in  rabbia  ininioderata  orrenda, 
Dal 'cui  dente  crudel  morte  non  scampa, 
Chiunque  11  morso  avvelenato  offenda. 
Aspetta  pur  che  la  più  chiara  lampa, 
A  mezzo  il  cielo  in  sul  meriggio  ascenda. 
Nel  centro  allor  dell*  ampia  selva  ombrosa. 
La  greggia  formidabile  si  posa. 

E  tu  di  quel  gran  platano  nascosta 
Sotto  1  frondosi  e  spaziosi  rami, 
Finché  l'ira  dormendo  abbia  deposta, 
Potrai  tutto  eseguir,  quantunque  brami, 
E  secura  carpir  quindi  a  tua  posta. 
Dell'auree  lane  i  preziosi  slami. 
Che  rìmangon  negli  arbori  che  tocca. 
Implicati  e  pendenti  a  ciocca  a  ciocca. 

Con  questi  accenti  il  calamo  sonoro. 
Psiche  gentil  di  sua  salute  informa, 
Che  bene  Instrulta,  e  intesa  al  bel  tesoro, 
Attende  che  ogni  pecora  si  dorma  ; 
E  poiché  ha  da  quei  tronchi  il  solili  oro 
Rapito  alfin  della  lanosa  torma. 
Con  esso  in  grembo  a  Citerea  sen  riede, 
Che  veggendola  viva,  appena  il  crede. 

Con  tor^'O  ciglio  e  grosso  cor  la  mira. 
Né  cessa  l'odio,  anzi  s'avanza  e  poggia, 
E  viepiù  cresce  esacerbala  l'ira. 
Siccome  In  calce  suol  foco  per  pioggia. 
In  nova  occasion  la  mente  gira, 
E  d'affliggerla  pensa  in  altra  foggia. 
So  ben  l'autor,  dlcea,  di  questa  prova, 
Ma  vo*  vederne  esperienza  nova. 


.    j 


Se  spavento  il  tuo  petto  or  non  occupa. 
Ed  hai  pur,  come  mostri,  animo  ardito, 
Là  nel  più  alto  colmo,  onde  dirupa 
L' acqua,  iiai  tosto  a  salir  con  pie  spedito  ; 
E  dalla  scaturigine  più  cupa 
Del  fonte,  che  rampollo  é  di  Cocìto, 
Tentando  il  fondo  dell'  interna  vena, 
Trarmi  di  sacro  umor  quest'  urna  piena. 

Dopo  questo  parlar  la  fronte  crolla. 
Intorbidando  de*  begli  occhi  il  raggio,^ 
Né  ben  di  perseguirla  ancor  satolla. 
Par  la  minacci  di  più  grave  oltraggio. 
Presa  da  lei  la  cristallina  ampolla, 
Psiche  al  gran  monte  accelera  11  viaggio. 
Sperando  pur,  che  a  tante  sue  mine. 
Un  mortai  precipizio  Imponga  fine. 

Ma  come  arrha  alle  radici  prime 
Del  poggio  allcr,che  volge  al  Sol  la  schiena. 
Vede  r  erta  sì  aspra  e  si  sublime. 
Che  volarvi  gli  augel  possono  appena. 
Inaccessi  recessi,  aguzze  cime. 
Dove  non  tuona  mal,  nò  mai  balena. 
Poiché  ai  verno  maggior  le  nubi  e  11  gelo. 
Gli  fan  dai  mezzo  In  giù  corona  e  velo. 

Lubrico  é  il  sasso,  e  dalle  fauci  aperte 
Vomita  11  fiume  oscuro  In  viva  cote. 
Che  per  latebre  tortuose  incerte, 
E  per  caverne  concave  ed  ignote 
Serpe,  e  tra  pietre  rotte,  ispide  ed  erte, 
Con  rauchi  bombi  i  margini  perente. 
I  Caduto  sugna  e  si  diffonde  in  laghi. 
Dove  fischiano  intorno  orridi  draghi. 

Raccoglie  la  vallea  dell'acqua  stlgla. 
Tutta  la  piena  nel  suo  ventre  intemo. 
Riga  l'onda  il  terren,  pallida  e  bigia, 
Orribil  sì,  che  poco  é  più  I*  inferno. 
Quivi  raro  uman  pie  segnò  vestigia, 
Né  la  visita  mal  raggio  superno; 
Anzi  le  nevi  in  sul  bolHr  dell'anno, 
I  A  dispetto  del  Sol  sempre  vi  stanno. 

4 


MABINO. 


Quel  flumeancorcbècnido  «bbepletatc 
M  veder  speoU  si  sereni  rei  « 
E  parea  dir  eoo  Tonde  innamorate^ 
Fuggi,  mira  ove  sei,  guarda  che  fai. 
Deh  non  lasciar  perir  tanta  beltate« 
Toma,  tornati  indietro,  ove  ne  Tal? 
i  follia  più  cbe  senno  e  più  che  sorte, 
Sema  risorsa  alcuna  esporsi  a  morte. 

Psiche  presso  la  foce,  onde  deriva 
U  torrente  infernal,  di  sasso  muto 
Resta  quasi  cangiata  in  statua  viva, 
Quel  giogo  insuperabile  veduto, 
Sì  d*ogni  moto  e  d'ogni  senso  priva, 
Che  il  conforto  del  pianto  anco  ha  perduto. 
Ha  qual  cosa  mortale  è  che  non  scerna 
U  tuo  grand'  occhio,  Provvidenza  etema  7 

Spiegò  Taugcl  real  dal  ciel  le  penne. 
Forse  ingrato  al  mio  Nume  esser  non  voUÌe, 
Che  dell'antico  ossequio  gli  sovvenne, 
Quando  il  frigio  coppier  tra  V  unghie  aecol- 
Questì  rapidamente  a  lei  ne  venne,    [se. 
E  in  si  fatto  parlar  la  lingua  sciolse  : 
Spera  dunque,  o  malcauta,  il  tuo  desio 
Stilla  attinger  giammai  di  questo  rio? 

Fatale  è  il  rio  che  vedi ,  e  son  quest*  acque 
A  Giove  Istesso  orribili  e  temute, 
E  i  giuramenti  suoi  fermar  gli  piacque 
Inviolabilmente  in  lor  virtute. 
Ha  dammi  pur  cotesto  vetro.  E  tacque, 
E  preso  il  vaso  entro  le  grlnfe  acute. 
Volando  sovra  l'apice  del  monte. 
L'empiè  dell'onda  del  tartareo  fonte. 

Qò  fatto  la  guastada  in  man  le  porge , 
E  toma  al  ciel  per  via  spedita  e  corta. 
Psiche  che  del  licor  colma  la  scorgo, 
Volentier  la  riprende  e  la  riporta; 
E  fra  tante  sciagure  in  lei  risorge 
Speme  che  la  rinfranca  e  la  conforta  ; 
Qiè  Ila  sotto  Ignudo  petto  armato  core 
Forte,  se  non  di  ferro,  almen  d'amor*. 

Chi  può  dir  ciò  che  disse  e  ciò  che  feo 
La  Diva  allor  di  Pafo  e  d' AmatunuT 
Non  freme  sì  dal  cacciator  rifeo 
Barbara  tigre  saettata  e  punta, 
0  dagli  austri  sfersato  il  vasto  Egeo, 
Come  monnortt  e  sbuffa  alla  sua  giunta. 
Non  sa  come  sfogar  T  astio  erodete, 
E  la  d  gonfia  di  gran  rabbia  il  fiele. 


Ben  ti  mostri,  dlcea,  come  esser  devi, 
DI  malizie  maestra  e  di  malie  ; 
Poiché  sapesti  in  tante  Inprese  grevi 
Sì  ben  tutte  adempir  le  voglie  mie. 
Far  certo  un  tal  miracolo  potevi 
Sol  per  arte  d' Incanti  e  di  magie, 
Ha  cosa  non  minor  forse  di  questa, 
Beila  mia  pargoletta,  ancor  ti  resta. 

Prendi  questo  vasel,  ch'io  ti  appresen  lo. 
Discendi  a  Dite  e  subito  ritorna. 
Là  dove  a  comandar  pena  e  tormento 
1^  regina  dell'  Èrebo  soggiorna. 
Dì  che  mi  mandi  dei  suo  fino  unguento. 
Che  la  pelle  ammollisce  e  11  viso  adorna. 
Ha  convientl  spacciar  tosto  la  via, 
Perchè  al  pasto  di  Giove  a  tempo  lo  sia. 

Psiche  senza  far  motto,  a  terra  fissi 
"Hen  qtie'  bei  lumi,  ond'  io  sospiro  e  gemo. 
Che  ben  s'accorge  andando  inver  gli  abissi 
D'esser  mandata  all'  infortunio  estremo. 
Pensa  qual  mi  fess'io,  qual  mi  sentissi. 
Quando  solo  in  narrarlo  ancor  ne  tremo. 
Vederìa  astretta  allor  col  proprio  piede 
A  girne  in  parte,  ond'uom  giammai  non 

[rlede. 

Poco  oltre  va ,  che  trova  eccelsa  rocca , 
E  là  rivolge  disperata  I  passi  : 
Perchè  pensa  tra  sé ,  se  Indi  trabocca , 
Poter  girne  in  tal  guisa  ai  regni  bassi. 
La  torre ,  o  meraviglia ,  apre  la  bocca , 
E  discioglic  la  lingua  ai  muti  sassi. 
Che  non  potrà  chi  potè  il  cor  piagarmi , 
Se  può  dar  senso  agi*  insensati  marmi  t 

Lascio  di  raccontar  con  qual  consiglio 
Scese  d'abisso  alle  profonde  conche , 
Con  qual  tributi  scnz' alcun  periglio 
Passò  di  Pluto  ail'inthne  spelonche, 
E  dei  mostri  d*  A  verno  al  fiero  artiglio 
Le  forze  tutte  rintuzzate  e  tronche. 
Pervia,  che  indietro  mai  non  riconduce. 
Ritornò  salva  a  riveder  U  luce» 

E  taccio  come  poi  le  venne  audace 
DI  quel  belletto  d'Ecate  desio. 
Indi  il  pensier  le  riuscì  fallace , 
Che  11  sonno  fuor  del  bossoletto  uscio  ; 
Onde  d' atra  caligine  tenace 
Le  velò  gli  occhi  nn  repentino  obblio, 
E  da  grave  letargo  oppressa  e  vinta 
Cadde  immobile  a  terra,  e  quasi  estinta. 


Io  sano  già  della  ferita,  «  molto 
Da  ^  lunga  prigion  staneato  omat , 
Pier  un  plcool  bàloon  Ubero  e  sciolto 
Fuor  Mia  chiusa  camera  vokri  : 
E  vago  pur  di  riveder  quel  volto 
Rramato,  amato  e  sospirato  assai , 
Parvi  battendo  le  veloci  piante 
Stella  cadente ,  o  folgore  volante. 


V  ADONE.  75 

L*anio ,  noi  nego,  e  Ila  che  In  me  si  scio- 
Prima  11  nodo  vltal ,  che  I*  amoroso,  f  glia 
E  sebben  fui  pur  dianzi  al  vento  foglia , 
Onde  al  cospetto  suo  tornar  non  oso. 
Più  giammai  perder  fede,  o cangiar  voglia 
Non  mi  vedrà ,  slami  nemico ,  o  sposo , 
Tanto  che  il  Sole  a  questi  occhi  dolenti 
Porti  l'ultimo  di  de* miei  tormenti. 


La  dove  senza  monte ,  e  senza  moto 
Giace  mi  calo ,  ed  a  begli  occhi  volo  ; 
He  tergo  li  sonno ,  e  nell*  avorio  voto 
DI  novo  11  dihido,  e  ben  n*ha  sdegno  e  duo- 
Con  Taurea  punta  dello  stra  1  la  scuoto,  [lo. 
Pria  la  riprendo ,  e  poi  la  riconsolo. 
Talché  con  lieta  speme  al  cor  concetta. 
Porla  il  dono  infernale  a  chi  l' aspetta. 

Giunse  le  palme  umile  in  atto ,  e  fuori 
Tal  note  espresse  :  Andai  sotterra,  e  venni, 
Eccomi  fuor  del  sempiterni  orrori, 
E  il  licor  di  Proserpina  ne  ottenni. 
Imponml  puir  difficoltà  maggiori , 
Nulla  ricuserò  dì  quanto  accenni  ; 
Che  una  devota  affczion  tuli*  osa , 
E  la  potere  ogni  impossibil  cosa. 

Bh  non  fia  mal  quel  di ,  lassa ,  eh*  lo  speri 
Piccola  requie  alla  penosa  vita? 
Quando  vedrò  di  quei  begli  occhi  alteri , 
Che  innamorano  il  Ciel  V  ira  addolcita  t 
Se  fenno  è  pur,  eh*  io  fra  tanti  odj  fieri 
D' ogni  calamità  sia  calamita , 
Fa  di  tua  man,  che  il  fiato  ond*  oggi  lo  spl- 
Sta  deHa  morte  11  precursor  sospiro.    [  ro 

Deh  donde  avviene,  o  Dea  pietosa  e  santa. 
Che  tu  meco  in  tal  guisa  Incrudelisca? 
Se  pure  è  ver,  che  in  questa  che  m' amman- 
Spoglia  mortai,  qualche  beltà  fiorisca,  [  la 
Già  non  è  in  me  temerità  cotanta , 
Che  d*  emularti ,  o  di  sprezzarti  ardisca. 
Dei  tu ,  che  reggi  l' amorosa  stella , 
Odiarmi,  perchè  il  Qel  mi  fece  bella? 

Perfida  lo  già  non  fui.  Se  forse  errai , 
Colpevol  son  d' Involontario  errore. 
Un  scusabil  fallir  perdona  ornai. 
Se  pur  fallo  può  dirsi  amare  Amore  ; 
Colui ,  dalie  cui  forze  (e  tu  tei  sai  ) 
Difenderai  non  vale  ardito  core. 
Dwique  t'adlreral,perchè  abbia  amato  [to? 
Quel  die  pur  del  tuo  grembo  al  mondo  è  aa- 


Non  chieggto  il  lettosuo,  né  nd  si  debbe; 
So  ben ,  che  di  tal  grazia  indegna  sono , 
Malo  quel  bel  seno,ond*eg1i  nacque  e  creb- 
Spero  trovar  pietà  non  che  perdono.    [  be 
Più  oltre  ancor  continovato  avrebbe 
Delle  sue  note  addolorate  il  suono , 
Ma  la  doglia  nel  cor  le  abbondò  tanto. 
Che  die  fine  al  parlar,  principio  al  pianto. 

La  Dea  l' ascolta ,  e  di  stupore  impetra, 
Che  in  tanti  rischi  indomita  la  trova. 
Ma  il  petto  a  quel  parlar  1*  apre  e  penetra 
Un  non  so  che  di  tenerezza  nova. 
11  diamante  del  cor  pietà  le  spetra. 
Onde  a  forza  con>len  clie  si  commova. 
Ella  noi  mostra,  e  col  suo  sdegno  ha  sdegno 
Che  cede  vìnto  all'  avversaria  il  regao» 

In  questo  mezzo  io  pur  temendo  In  vero 
Il  minacciato  mal ,  con  tanta  fretta 
Rivolo  Inverso  il  elei ,  che  men  leggiero 
Di  mal  pieghevol  arco  esce  saetta. 
Quivi  ai  monarca  dei  celeste  impero 
Espongo  ogni  ragion  che  a  me  s' aspetta. 
Narro  di  lei  gì*  ingiusti  oltraggi ,  e  come 
Grava  ognor  Psiche  d'Indiscrete  some. 

Prego,  lusingo  il  suo  gran  Nume  eterno, 
E  gli  fo  del  mio  cor  la  fiamma  nota. 
Sorrise  Giove ,  e  con  amor  paterno 
Mi  prese  il  mento ,  e  mi  baciò  la  gota. 
Sebben, disse,  il  tuo  ardircon  tanto scUer- 
Sovente  incontro  a  me  gli  strali  arrota,  [no 
Siche  a  tor  forme  indegne  anco  m*  hamos- 
A  tuoi  pregili  però  mancar  non  posso,  [so. 

Gli  Dei  convoca,  e  questo  aflar  censi- 
E  le  mie  nozze  celebrar  comanda.    [  glia , 
Esorta  a  contentarsene  la  figlia. 
Poscia  il  suo  fido  nunzio  in  terra  manda. 
Rapita  già  tra  l' Immortai  famiglia. 
Gusta  li  cibo  divino  e  la  bevanda , 
E  meco  dopo  tante  aspre  fatiche. 
Nel  teatro  del  elei  sposata  è  Psiche. 


le 


MARINO. 


L*Ore  spogliando  de'  lor  fregi  i  prati , 
Tutto  di  rose  imporporaro  il  cielo. 
Sparser  le  grazie  aromati  odorati. 
Cantar  le  Muse  la  mia  face  e  il  telo. 
Le  corde  d' oro  e  i  calami  cerali 
Toccar  lo  Dio  d'Arcadia  e  quel  dlDeio, 
Besse  Imeneo  la  danza,  e  volse  in  essa 
Ballar  con  V  altre  Dee  Venere  istessa. 

Cosi  di  tanti  affanni  a  riva  giunsi,  [si, 
E  per  sempre  il  mìo  bene  in  braccio  accol- 
Con  cui  mentre  che  alfin  mi  ricongiunsi , 
Tanto  mi  trastullai ,  quanto  mi  dolsi  ; 


Né  dair  amato  sen  più  mi  disgiunsi , 
Né  dal  nodo  gentil  più  mi  disciolsi  ; 
E  del  mio  seme  entro  il  bel  sen  concetto 
Nacque  un  figliuol,  che  si  chiamò  Diletto. 

Amor  così  ragiona ,  e  l' altro  intanto 
Il  suo  parlar  meravigliando  ascolta  ; 
E  per  pietà ,  d'affettuoso  pianto 
Qualche  perla  gentil  stilla  talvolta. 
Ma  con  le  faci  e  le  faville  accanto 
Sente  avvampar  nel  cor  la  flamma  accolta. 
La  fiamma  che  il  pastor  con  sue  vivande 
Gr  infuse  al  cor,  già  si  dilata  e  spande. 


CANTO  QUINTO. 

LA  TRAGEDIA. 


ALLEGORIA. 

Per  Mercurio,  che  mettendo  Adone  in  parole,  gii  persuade  con  diversi  esempi  a 
i)en  amar  Venere ,  si  dimostra  la  forza  d' una  lingua  cflQcace ,  e  come  le  esortazioni 
de'pcnersi  ruffiani  sogliono  facilmente  corrompere  un  pensier  giovanile.  Ne* favolosi 
avvenimenti  di  quei  giovani  da  esso  Mercurio  raccontati ,  si  dà  per  lo  più  ad  inten- 
dere la  leggerezza  ed  incostanza  puerile.  In  Narciso  è  disegnata  la  vanità  degli 
uomini  morbidi  e  deliziosi,  i  quali  non  ad  altro  intesi,  che  a  compiacersi  di  sé  me- 
tlesimi,  e  disprezzalori  di  Eco,  clie  è  figura  della  immortalità  de' nomi,  alla  fine 
si  trasformano  in  fiori ,  cioè  a  dire ,  che  se  ne  muoiono  miseramente  senza  alcun 
pregio ,  polche  ninna  cosa  più  di  essi  fiori  è  caduca  e  corruttibile.  In  Ganimede 
fatto  coppier  di  Giove ,  vicn  compreso  11  segno  di  Aquario ,  il  quale  con  larghissime , 
e  copiosissime  piogge  dà  da  bere  a  tutto  11  mondo.  PerCiparisso  mutato  In  cipresso, 
siamo  avvcrliti  a  non  porre  con  ismoderamento  la  nostra  affezione  alle  cose  mortali , 
itcciocchè  poi  mancandoci ,  non  abbiamo  a  menar  la  vita  sempre  in  lagrime  e  In 
iloiori.  ila  (come  accenna  l'importanza  della  voce  greca)  non  vuol  dir  altro  che 
Selva ,  ed  è  amato  da  Ercole ,  percioccliè  Ercole  come  cacciatore  di  mostri ,  era 
solito  di  frequentar  le  foreste.  Alide  infuriato  prima ,  e  poi  divenuto  pino  per  opera 
<li  Cibele ,  ci  discopre  quanto  possa  la  rabbia  della  gelosia  nelle  donne  attempate , 
quando  con  {sproporzionato  maritaggio  si  ritrovano  a  giovane  sposo  congiunte.  La 
rappresentazione  di  Attenne  ci  dà  ammaestramento  quanto  sia  dannosa  cosa  il  volere 
irreverentcmentc ,  e  con  soverchia  curiosità  conoscere  de' secreti  divini  più  di  quel 
che  si  conviene  :  e  quanto  pericolo  corra  la  gioventù  di  essere  divorata  dalie  proprie 
passioni ,  seguitando  gli  appetiti  ferini. 


ARGOHENTO. 

Entra  il  g&rzon  per  dilettosa  strada 
Nel  bel  palagio  infra  delizie  nove, 
Seco  divisa  il  messaggier  di  Giove, 
IS)i  con  scene  festive  il  tiene  a  bada. 


L' umana  lingua  è  quasi  fren  che  regge 
Velia  ragion  precipitosa  il  morso. 
Timon,  che  è  dato  a  regolar  con  legge 
Delia  nave  dell*  alma  11  dubbio  corso. 


Chiave  che  apre  i  pensier,  man  che  correg- 
Della  mente  gli  errori .  e  del  discorso.  [  gè 
Penna,  e  pennello,  che  con  note  vive, 
E  con  vivi  color  dipinge  e  scrive. 


L' ADONE. 


7T 


Istroneoto  sonoro ,  or  grati ,  or  grsTi , 
Or  di  latte ,  or  di  mei  sparge  torrenti. 
Son  del  suo  dire  in  un  fieri  e  soavi 
Tuoni  le  voci,  e  fulmini  gli  accenti. 
Accoppia  In  sé  dell*  api  e  gli  aghi  e  i  Tafi, 
Atti  a  ferire,  a  raddolcir  possenti. 
Divin  sttggei ,  che  mentre  esprime  i  detti , 
Imprime  altrui  negli  animi  1  concetti. 

Ha  come  spada ,  che  difende ,  o  fere , 
Se  avrien ,  che  hene ,  o  male  oprata  sia , 
Secondo  li  divora* uso,  in  più  maniere 
Qualità  cangia ,  e  divlen  buona ,  o  ria. 
E  dal  diritto  suo  fuor  del  dovere 
In  malvagio  sermon  torta  travia. 
Trafigge,  ncclde,  e  del  mordace  dente 
(  Benché  tenera  e  molle  )  é  più  pungente. 

Sebben  però ,  qualor  saetta ,  o  tocca 
Stampa  sempre  in  altrui  piaghe  mortali , 
Non  fa  colpo  maggior,  che  quando  scocca 
In  petto  giovenli  melali  strali. 
Versa  catene  d*or  faconda  bocca, 
Che  molcendo,  e  traendo  I  sensi  frali, 
Tesson  legame  al  cor  dolce  e  tenace , 
Che  Imprigiona  e  lusinga,  e  noce  e  piace. 

Un  meoano  eloquente,  un  scaltro  messo, 
Paraninfo  di  cori  innamorati , 
Che  viene  e  toma,  e  patteggiando  spesso 
DeHe  compre  d'  Amor  tratta  1  mercati , 
Con  le  parole  sue  fa  queir  Istesso 
Nei  rosai  petti  e  nei  desir  gelati , 
Che  suol  ne*  ferri  far  la  cote  alpina , 
Che  non  ha  tagUo,  e  le  coltella  afllna. 

0  vi  iìilmhii  il  ael,  v' assorba  Dite, 
infernali  imenei ,  sosai  oratori , 
Corrieri  infami,  all'anime  tradite 
DI  scellerati  annunxi  ambasdatorl  ; 
Che  con  ragioni  esortatrici  ardite 
DI  stimolare  1  semplicetti  cori , 
Corrompendo  i  pensier  con  dolci  ingannL 
Qual  ufiicio  più  vii  fa  maggior  danni? 

Qua!  maraviglia ,  se  del  sommi  eroi 
L' interprete  Immorul ,  1*  astuto  araldo , 
Possente  ad  espugnar  co*  detti  suol 
Ogni  voler  più  pertinace  e  saldo, 
Sul  fiore ,  o  MV  Adon ,  degli  anni  tuoi 
Il  tuo  tenero  cor  rende  si  caldo  ? 
Virtù  di  quel  ministro ,  il  qual  per  prova 
Nella  casa  d' Amor  sempre  si  trova. 


Somiglia  Adone  attonito  villano 
Uso  in  selvaggio  e  poverel  ricetto , 
Se  talora  a  mirar  vien  di  lontano 
Pompa  real  di  cittadino  tetto. 
Somiglia  il  domator  dell'  Oceano 
Quando  d'alto  stupore  ingombro  il  petto. 
Vide  primiero  In  region  remote 
Meraviglie  novelle  e  genti  ignote. 

Volge  a  tergo  lo  sguardo,  e  mira  e  spia 
Se  calle  v'  ha  per  rinvenir  l' uscita. 
Ma  la  porta  superba ,  ond*  entrò  pria , 
Con  sue  tante  ricchezze  é  già  sparita , 
Né  sa  guado  veder,  né  trovar  via 
Per  Indietro  tornar,  che  sia  spedita; 
E  quasi  verme  di  bei  stami  cinto , 
Va  tessendo  a  sé  stesso  il  labirinto. 

Tosto  che  egli  colà  pose  le  piante , 
Ben  d' Amor-prigioniero  esser  s'accorse. 
Ma  fra  delizie  si  soavi  e  tante 
Dalla  cara  catena  11  pie  non  torse; 
Anzi  spontaneo  e  volontario  amante 
AI  ceppo  il  piede ,  al  giogo  il  collo  porse  ; 
E  poiché  ha  di  tal  carcere  ventura , 
Servaggio  apprezza ,  e  libertà  non  cura. 

Non  manca  quivi  a  corteggiarlo  accinta 
Di  festevoli  Ninfe  accorta  schiera. 
Né  con  piuma  qual  d' oro ,  e  qual  dipinta 
Vago  drappel  di  gioventute  arciera; 
Che  al  bel  (anciul ,  da  cui  fu  presa  e  vinta 
La  bella  Dea,  che  in  queir  albergo  impera. 
Stanno  In  guisa  d'  ancelle  e  di  sergenti , 
Diversi  uffici  a  ministrare  intenti. 

Chi  d' ambrosia  gì*  impingua  II  crln  sottile. 
Chi  di  rosa  l' implica,  e  clii  di  persa. 
Chi  di  pomposo  e  barbaro  monile 
La  liella  gola  e  candida  attraversa. 
Altri  all'  orecchie  di  lavor  slmile 
Gemma  gli  appende  folgorante  e  tersa; 
Talché  tutto  si  vede  Intorno  Intorno 
Di  molli  arnesi  e  femminili  adomo. 

Incantato  dai  vezzi ,  e  tutto  Inteso 
A  cose  Adon  si  disusate  e  nove , 
Parte  d'  alto  stupor  che  1'  ha  sorpreso 
Vinto ,  bocca  non  apre ,  occhio  non  move. 
Parte  sovra  pcnsler,  seco  sospeso 
Volge  suo  slato ,  e  con  cui  siasi ,  e  dove  ; 
E  sparso  intanto  d'  un  gentil  vermiglio 
Baùo  tien  per  vergogna  a  terra  il  cigUo» 


78 


BfABim. 


Qui  presente  d' Atlante  era  il  nipote. 
Perchè  non  pur  la  sua  natia  CUleoe 
Lascia  talor,  ma  dall*  eterne  rote 
i^er  sdierzar  con  Amor  spesso  ne  viene. 
Questi  al  garson  s' accosta  «  e  si  lo  scote, 
Cile  aliar  gii  fa  le  luci  alme  e  serene. 
Favoleggiando  poi  dolce  il  consiglia, 
K  con  modi  piacevoli  il  ripiglia  : 

0  damigel,  elie  sotto  umano  velo 
Di  consorzio  divin  sei  fatto  degno. 
Della  tua  sorte  invidiata  in  cielo 
Ecco  eh'  io  teco  a  rallegrar  mi  vegno. 
Così  il  tuo  foco  mai  non  senta  gelo. 
Come  a  curar  non  bai  del  patrio  regno , 
Quando  di  sé  lo  scetiro,  e  del  suo  stato 
La  regina  de'  regi  in  man  t' lia  dato. 

Ma  perché  muto  veggi oti ,  e  pensoso, 
Sia  peusier,  sia  rispetlo,  o  sia  cordoglio, 
(Consolar  mesto,  assecurar  dubbioso. 
Consigliar  sconsiglialo  oggi  ti  voglio. 
Del  bel  per  cui  ne  vai  forte  fastoso. 
Ab  non  ti  faccia  insuperbire  orgoglio. 
Però  che  è  fior  caduco ,  e ,  se  noi  sai , 
Fugge ,  e  fuggito  poi ,  non  toma  mai. 

E  ti  vo'  raccontar,  se  non  t*  aggrava , 
Qò  che  addivenne  al  misero  Narciso. 
Narciso  era  un  fauci ul ,  che  innamorava 
Tutte  ie  beile  Ninfe  di  Ceflso. 
La  più  bella  di  lor,  che  s' appellava 
Eco  per  nome ,  ardea  del  suo  bel  viso , 
Ed  adorando  quel  Bivio  sembiante 
Parea  fatta  idolatra ,  e  non  amante. 

Era  un  tempo  costei  Ninfa  faconda , 
E  note  sovra  ogni  altra  ebbe  eloquenti, 
Ma  da  Giunon  crucciosa  ed  iraconda 
Le  fur  lasciati  sol  gli  ultimi  accenti. 
Pur  sebben  la  sua  pena  aspra  e  profonda 
Distmgner  non  sapean  tronchi  lamenti, 
Supplia,  pace  cliicdendo,  ai  gran  martiri 
Or  con  sguardi  aoMMrosi ,  or  con  sospiri. 

Ma  r  ingrato  garzon  chiuse  le  porte 
Tien  di  pietade  al  suo  mortai  dolore. 
Porta  negli  occhi  e  neiia  man  la  morte. 
Delle  fere  nemico ,  e  più  d'amore. 
Arma  crudo  non  men,  che  belio  e  forte, 
D*  asprezza  il  volto,  e  di  fierezza  li  core. 
Di  sé  si  appaga,  e  lascia  indubbio  altrui. 
Se  grazia,  o  ferità  prevaglia  in  lui. 


Aaior,  dlcean  le  verginelle  —  ■  ■  ■ , 
0  da  questo  sord'  aspe  Amor  sciiemllo, 
Dov'  è  r  arco  e  la  face,  onde  ti  vanii  ? 
Perchè  non  ne  rimane  arso  e  ferito  7 
Deh  fa,  signor,  che  con  sospiri  e  pianti 
Ami  invaa  non  amato,  e  non  gradito. 
Come  più  tant*  orgoglio  ornai  sopporti  t 
Vendica  i  propri  scorni,  e  gii  altrui  torli. 

A  quei  caldo  pregar  rorecchie  pone  [co 
L'arcier  contro  il  cui  strai  schermo  vai  po- 
E  il  cacdator  superbo  un  giorno  scorse 
Tutto  soletto  in  solitario  loco. 
Stanco  egli  di  seguir  cinghiali  ed  orse. 
Cerca  riparo  dal  celeste  foco. 
Tace  ogni  augello  al  gran  calorcbe  esala. 
Salvo  la  roca  e  stridula  cicala. 

Tra  verdi  coli!  in  guisa  di  teatro 
Siede  rustica  vallee  boschereccia, 
Falce  non  osa  qui ,  non  osa  aratro 
Di  franger  gleba,  odi  tagliar  corteccia* 
Foiuicel  di  beli'  ombre  algente  ed  atro. 
Inghirlandato  di  fiorila  treccia. 
Qui  dal  Sol  si  difende,  e  si  traluce , 
Che  al  fondo  cristallin  l'occhio  con  duce. 

Sulla  sponda  leial  di  questo  fonte , 
Che  i  circostanti  fior  di  perle  asperge, 
E  fa  limpido  specchio  al  cavo  monte. 
Che  lo  copre  dal  Sol,  quanto  più  s' erge. 
Appoggia  il  petto  e  l' affannata  fronte. 
Le  mani  attoffa,  e  1*  arse  labbra  immerge. 
E  quivi  Amor,  mentr'  egli  a  bers'  inchina. 
Vuoi  che  impari  a  schernir  vhrtù  divina. 

Ferma  nelle  bell'onde  il  guardo  intento 
E  la  propria  sembianza  entro  vi  vede. 
Sente  di  strano  amor  novo  tormento 
Per  lei ,  che  finta  immagine  non  crede. 
Abbraccia  V  ombra  nel  fugace  argento, 
E  sospira  e  desia  ciò  che  possiede. 
Quel  che  cercando  va,  porta  in  sé  stesso 
Miser,  nèpnò  trovar  quel  che  hada presto. 

Corre  por  refrigerio  ali'  onda  fresca, 
Bla  maggior  quindi  al  corsele  gli  sorge. 
Ivi  sveglia  la  fiamma,  accende  l' esca. 
Dove  a  temprar  1'  arsura  il  pie  lo  scorge. 
Arde,  e  perchè  1'  ardor  viepiù  s' accresca, 
La  sua  stessa  beltà  forza  gli  porge, 
E  nell'  incendio  d*  una  fredda  stampa 
Mentre  il  viso  si  bagna,  il  petto  avvampa. 


L'ADONE. 


19 


La  coBCcmpIa  e  nlnti  e  tragge  (ahi  folio) 
Da  mentito  aembianta  affanno  vero. 
Egli  amante,  egli  amato,  or  gela,  or  iMHe, 
Fatto  strale  e  l>erBaglio,  arco  ed  arciere. 
Invidia  a  quell'umor  liquido  e  molle 
La  forma  vaga  e  il  simulacro  altero, 
E  geloso  del  bene  ond'  egli  è  privo. 
Suo  rivai  suila  riva  appella  il  rivo. 

Hancaiido  alAn  lo  spirto  ali*  Infelice, 
Troppo  a  sé  stesso  di  piacergli  spiacque. 
Depose  al  pie  dell'  onda  ingannatrice 
La  «ita,  e  morto  In  carne,  In  fior  rinacque. 
L' onda,  che  già  l' uccise,  or  gli  è  nutrice, 
Perchè  ogni  suo  vigor  prende  dair  acque. 
Tal  fu  il  desti  n  del  vaneggiati  te  e  vago 
duella  sua  vana  immago. 


E  cosi  feee  il  Qd  del  grave  oltraggio 
Della  sprezzata  Ninla  alu  vendetta. 
Ma  tu  (credo ben  io)  se  sarai  saggio, 
Abborrir  non  vorrai  quel  che  diletta, 
E  sgombro  il  sen  d'  ogni  rigor  selvaggio, 
Godrai  V  età  fiorila  e  giovinetta. 
Idolo  d'una  Dea ,  dal  cui  bei  viso 
Impara  ad  esser  bello  il  paradiso. 

Di  quella  Dea,  percui  strugger  si  sente 
Lo  Dio  del  foco  in  maggior  foco  li  petto, 
E  da  martcl  più  duro  e  più  possente 
Battere  U  cor,  d'  amore  e  di  sospetto. 
QueUa ,  che  i  danni  deli'  offesa  gente 
Vendica  sol  col  mansueto  aspetto. 
Che  se  il  folgore  suo  percote  altrui , 
Un  sol  guardo  di  lei  trafigge  lui. 

Di  quella  Dea,  che  può  col  seno  igiuido 
Vincer  l' invino  Dio  d*  armi  guernito. 
Lo  qual  non  può  si  forte  aver  lo  scudo. 
Glie  non  ne  resti  il  ferìtor  ferito, 
Nò  di  si  salde  tempre  il  ferro  crudo. 
Che  tempri  il  mal  da  que'  begli  cecili  uscito; 
Quella  che  può  bear  1*  ahnc  beate. 
Beltà  del  cielo,  e  cicl  d'  ogni  belute. 

Giovane,  il  mondo  in  altra  età  qual  ebbe 
Amato  mai  da  Deitadc  alcuna, 
E  qual  cotanto  al  Cielo  in  grazia  crebbe. 
Glie  possa  pareggiar  la  tua  fortuna? 
Non  querli  a  te  paragonar  si  debtw. 
Che  accese  il  cor  della  gelata  Lama. 
Non  r  akro,  che  in  sui  bel  carro  fiorito 
Fu  dalia  bionda  Aurora  in  elei  rapito. 


Mille  di  mila  Dee ,  di  mille  Dei , 
Che  quaggiù  di  lassù  spiegare  li  voto. 
Amori  annoverar  qui  ti  potrei , 
Ma  lascio  gli  altri,  e  te  ne  scegUo  un  solo. 
Oso  di  dir,  che  più  feUee  sei 
Di  quel  che  piacque  al  gran  Rettor  del  polo. 
Non  so  se  ti  sia  nota ,  o  forse  oscura 
Del  troiano  donzei  1*  alta  ventura. 

Dal  sovrano  inleon  rivolto  a^ea 
11  Motor  delle  stelle  a  terra  il  ciglio, 
Quando  mirò  giù  nella  valle  idea 
Del  re  di  Frigia  il  giovinetto  figlio. 
Mlrollo,  e  u'  arse.  Amor,  che  l' acoeodea^ 
L' armò  di  cuno  rostro  e  curro  artiglio. 
Gli  prestò  l' ali ,  e  gli  destò  vaghezza 
Di  rapir  la  veduta  alta  bellezza. 

La  maestà  di  un  si  sublime  amomo 
Bramoso  d' involar  cqrpo  si  bello. 
Della  ministra  sua  prese  sembiante, 
Cbè  non  degnò  cangiarsi  In  altro  augello; 
Perocché  tutto  il  popolo  volante 
Più  magnanimo  alcun  non  ha  di  quello* 
Degno  da  che  portò  tanta  beltate 
D' aver  di  stelle  in  eie!  l' ali  gemmato» 

Bello  era,  e  non  ancor  gli  uscla  sul  mento 
L'ombra  che  aduggia  il  fior  de'più  begH  att- 
iva tendendo  a  rozze  prede  intento   [  ni» 
AI  cervi  erranti  insidiosi  inganni. 
Ed  ecco  II  predator,  che  in  un  momeaCo 
Falcate  l' unghie  e  dilauti  1  vanni , 
In  alto  11  trasse ,  e  per  lo  del  sostenne 
L'  amato  incaroo  In  sulle  tese  penne. 

Mira  da  lungo  stupido  e  deluso 
Lo  stttol  dei  seni  il  vago  augel  rapace. 
Seguon  latrando  e  rlsguardandQ  Insuao 

I  cani  la  volante  ombra  fugace. 

II  volo  obMia  d'  aito  piacer  confuso 
Giove ,  e  di  gioia  e  di  deslr  si  sface. 
Gli  occhi  fiso  volgendo  e  le  parole, 
Aquila  fortunau ,  al  suo  bei  Sole. 

Fanciul,  dlcea,  che  piagni  ?  a  chepavnnti 
C^jinglarcol  cielo  (ah  semplicetto)  i  Itoschl  7 
Con  i'  auree  sfere  e  con  le  stelle  ardenti 
Le  tane  alpestri  e  gli  antri  ombrosi  e  lo*» 
E  con  gii  Dei  benigni  ed  innocco li  [schlt 
Le  fere  armate  sol  d' ire  e  di  toschi? 
Fatto,  mercè  di  lui  che  il  tutto  move, 
DI  rozio  cacciaior,  coppler  di  Giove? 


80 


MARINO. 


Son  Gloveistesso.  Amor  m'ha  giunto  a  tale, 
Non  prestar  fede  alle  mentUe  piume. 
Aquila  Tatia  son;  ma  che  mi  vale, 
Se  aquila  ancor  mi  abbaglio  a  tanto  lume? 
Io  quel,  queir  io,  che  col  fulmiueo  strale 
Tonar  sovra  1  giganti  ho  per  costume , 
Si  son  pungenti  i  folgori  che  scocchi , 
Saettato  son  già  da  tuoi  begli  occhi. 

Qual  prò  ti  fia  per  balze  e  per  caverne 
Seguir  de'  mostri  orribili  la  traccia  ? 
Vlentene  meco  alle  delizie  eterne , 
Maggior  preda  sia  questa  e  miglior  caccia. 
E  se  avvien,  che  colà  nelle  superne 
Piagge  i  ìmI  membri  esercitar  ti  piaccia, 
Trarrai  per  le  stellate  ampie  foreste 
Dietro  all'  Orse  del  polo  il  Can  celeste. 

Lascia  omai  più  di  ricordar,  rivolto 
Alle  selve,  agli  armenti ,  Ida,  né  Troia. 
Sei  celeste  e  felice  ;  avrai  raccolto 
Tra  gii  etenil  conviti  etema  gioia. 
E  neir  aspra  staglon,  quand' Austro  sciolto 
L*  aria,  la  terra  e  il  mar  turba  ed  annoia. 
Visitata  dal  Sol,  lucida  e  beUa 
Scintillerà  la  tua  feconda  stella. 

.    Così  gli  parla ,  e  intanto  al  sommo  regno, 
Della  gente  Immortai  patria  serena. 
Non  però  senza  scorno,  e  senza  sdegno 
Della  gelosa  Dea,  lo  scorge  e  mena. 
Dove  del  nobil  grado  il  rende  degno. 
Che  sempre  in  ogni  prandio,  In  ogni  cena 
A  mensa  In  cavo  e  lucido  diamante 
Porga  II  neture  etemo  al  gran  Tonante. 

Ebe  e  Vulcan^  che  poco  dianzi  quivi 
Delia  gran  tazza  il  ministero  avlcno 
Già  rIflHtati ,  e  dell'  ufficio  privi 
Cedono  al  novo  avventurier  terreno. 
Ei  rama  si,  che  innanzi  a  Dive  e  Divi 
Quando  li  sacro  teatro  è  tutto  pieno. 
Ancor  presente  la  ritrosa  moglie , 
Da  Ganimede  suo  mai  non  si  scioglie. 

Non  gli  reca  il  garzon  giammai  da  bere. 
Che  pria  noi  baci  il  Re  die  in  elei  coman- 
E  trae  da  quel  baciar  maggior  piacere  [da. 
Che  dalla  sua  dolcissima  bevanda. 
Talvolta  a  studio,  e  senza  sete  avere 
Per  ribaciarlo  sol,  da  ber  dimanda,  [toppa. 
Poi  gli  urtai!  braccio,  o  in  qualche  cosa  in- 
Spande  li  licore,  o  fa  cader  la  coppa. 


I      Quando  toma  a  portar  V  amato  paggio 
11  calice  d'  umor  stillante  e  greve. 
Rivolti  in  prima  i  cupid'  occhi  al  raggio 
De'  bei  lumi  ridenti ,  egli  11  riceve , 
E  col  gusto  Icggier  fattone  un  saggio. 
Il  porge  a  lui,  ma  mentr'ei  poscia  il  beve. 
Di  man  gliel  toglie,  e  le  reliquie  estreme 
Cerca  nel  vaso,  e  beve  e  bacia  insieme. 

Ma  che  ?  Tu  sovra  questo  e  sovra  quanti 
Più  pregiati  ne  furo  unqua  tra  noi , 
Darli  bene  a  ragion  titoli  e  vanti 
Di  avventuroso  e  fortunato  puoi , 
Poiché  il  più  bei  dei  sette  lumi  erranti 
Hai  potuto  invagliir  degli  occhi  tuoi, 
E  por  te  stesso  in  signoria  di  quella, 
Che  influisce  ogul  grazia,  amica  stella. 

E  però  ti  consiglio  e  ti  ricordo. 
Che  di  tanto  favor  ringrazi  il  Fato. 
Non  essere  al  tuo  ben  cieco ,  né  sordo , 
Sappi  gioir  di  si  felice  stato. 
Né  cagion  lieve ,  o  van  deslrc  ingordo 
Partir  ti  faccia  mai  dal  fianco  amato; 
Perché  cose  s'inconirauo  sovente. 
Onde  quando  non  vale  altri  si  pente. 

La  fanciullesca  età  tenera  e  molie 
È  quasi  incauta  e  semplice  fanciulla. 
Lo  cui  desir  precipitoso  e  folle 
Corre  a  ciò  che  l' alletta  e  la  trastulla. 
Or  plange,or  ride,  e  mentre  ondeggiae  boi- 
Suole  Immenso  dolor  tragger  di  nulla,  [le, 
E  procacciar" non  senza  gravi  affanni, 
Da  leggieri  accidenti  eterni  danni. 

Troppo  talvolta  a  vani  oggetti  Intenta 
Quel  che  rileva  più  sprezza  ed  obblia, 
E  cosi  pargoleggia  e  si  lamenta 
Se  avvien  che  perda  poi  ciò  che  desia. 
Un  esempio  n'avrai ,  se  ti  rammenta , 
Degno  che  a  mente  ognor  certo  ti  sia. 
Per  cui  l' alma  anzi  tempo  usci  divisa 
D'una  spoglia  leggiadra,  odi  in  che  guisa. 

Vezzoso  ceno  si  nutriva  In  Cca, 
Di  cui  più  bei  non  fu  daino ,  né  damma , 
Sacro  alla  casta  e  boschereccia  Dea , 
Più  vivace  e  leggier,  che  vento,  o  fiamma. 
Quando  appena  lasciato  il  nido  avea. 
D'una  ca|)ra  poppò  l'ispida  mamma. 
Onde  conforme  all'alimento,  ch'eblie, 
j  Qualità  prese,  e  mansueto  crebbe. 


«: 


y  ADONE. 


81 


É  canuto  qiial  cigno ,  e  il  pelo  ha  bianco 
Più  che  latte  rappreso,  o  neve  alpina; 
Sol  di  purpuree  macchie  il  petto  e  il  fianco 
Sparso  a  guisa  di  rose  in  sulla  brina. 
Con  le  Ninre  conversa,  e  talor  anco 
in  udir  chiamar  Qnzia,  egli  s'inchina, 
Pur  come  a  riverir  nome  si  degno 
Umano  ^irto  11  mova,  umano  ingegno. 

Tra  Fauni  e  Driadi  li  dì  spazia  e  soggiorna 
In  aperta  campagna ,  o  in  chiuso  ovile , 
Che  per  fregiargli  le  ramose  corna 
Van  delle  pompe  sue  spogliando  Aprile. 
D*  orol'  orecchie ,  e  d*  or  la  fronte  adorna , 
Gii  circonda  la  gola  aureo  monile , 
Che  un  tal  breve  contien  :  Ninfe  e  pastori, 
Di  Diana  sono  io,  ciascun  m'onori. 

\je  Ninfe  fontaniere  e  le  montane 
Nella  stagion ,  che  al  cervo  il  corno  casca, 
Onde  povero  ed  orbo  ei  ne  rimane 
Per  più  corsi  di  Sol  pria  che  rinasca , 
Gli  componeano  in  mille  forme  e  strane 
Sulla  vedova  fronte  ombrosa  frasca, 
E  con  bell'arte  il  rifacean  cornuto, 
Quel  che  già  per  natura  avea  perduto. 

Tra  quanti  il  favorirò  e  1*  ebber  caro 
Fu  Ciparisso,  un  pellegrin  donzello. 
Per  cui  languiva  il  gran  signor  di  Claro, 
Che  non  vide  giammai  viso  più  bello. 
L'età  con  la  bellezza  iva  di  paro, 
Che  era  degli  anni  ancor  sol  fior  novello, 
E  del  suo  bel  mattin  1*  Alba  amorosa 
Le  guance  gli  spargea  di  fresca  rosa. 

Questo  fanclul ,  da'  cui  begli  occhi  acceso 
Più  che  dai  propri  raggi  ardeva  Apollo , 
Sempre  a  seguirlo ,  a  custodirlo  inteso 
in  pregio  V  ebbe,  e  sovra  ogni  altro  amollo. 
Gli  avea  di  propria  man  fatto  ed  appeso 
DI  squillette  d'argento  un  serto  al  colio. 
Perchè  qualor  da  lunge  il  suon  n*  udiva 
Lo  potesse  trovar  se  si  smarriva. 

Erra  il  giorno  con  lui ,  la  sera  riede 
Là  *ve  d'erbe  e  di  fior  letto  raccoglie. 
Spesso  io  braccio  gli  corre,in  grembo  siede 
E  prende  di  sua  man  or  acque ,  or  foglie. 
Orgoglioso  ei  ne  va,  che  lo  possiede, 
Umll  r  altro  ubbidisce  alle  sue  voglie. 
E  con  serico  fren  pronto  e  leggiero 
SI  lascia  maneggiar  come  un  destriero. 


Era  nel  tempo  delle  bionde  spiche. 
Quando  il  pianeta  fervido  di  Delo 

I  raggi  a  piombo  in  sulle  piagge  aprlclie 
Non  vibra  no ,  ma  fulmina  dal  cielo. 

II  bel  garzon  fra  molte  querce  antiche. 
Che  tessean  di  folt' ombra  un  verde  velo^ 
Dopo  lungo  cacciar  stanco  ne  venne , 

E  il  domestico  suo  dietro  gli  tenne» 

Or  mentre  il  cervo  pasce ,  ed  egli  porge 
Riposo  ai  membri  in  mezzo  alla  foresta. 
Erger  vago  faglan  non  lunge  scorge 
Fuor  d'una  macchia  la  purpurea  testa. 
Prende  Tarco  pian  pian ,  dall' erba  sorge, 
E  il  miglior  strai  della  faretra  appresta. 
Tende  prima  la  corda,  indi  l'allenta, 
E  la  canna  ferrala  innanzi  avventa. 

Dove  r arder  rinvia  lo  strai  protervo. 
Ma  dove  ei  non  vorrebbe,  i  vanni  affretta. 
Dopo  quel  cespo  il  suo  diletto  cervo 
Erasl  posto  a  ruminar  l'erbetta. 
Onde  scagliato  dal  possente  nervo , 
Il  fianco  inerme  al  misero  saetta. 
Pensati  tu ,  se  alla  mortai  ferita 
Cade,  e  In  vermiglio  umor  versa  la  viial 

V  accorre  il  suo  signor,  volgendo  dritto 
Verso  il  flebil  muggito  il  guardo  pio. 
£  quando  vede  (ahi  cacciatore  afflitto) 
In  cambio  dell'  augel ,  quel  die  ferio  > 
E  gemer  sente  il  poverel  trafitto , 
Che  par  gli  voglia  dir  :  Che  t' lio  fatt'  lo? 
Stupisce  e  tremale  da  gran  doglia  oppressa 
Vorria  passarsi  il  cor  col  dardo  istesso. 

Scende  colà  lo  Dio  chiomato  e  bionda 
Dal  suo  carro  lucente  ed  immortale , 
E  gli  dimostra  con  parlar  facondo 
Come  quel  che  1*  affligge  è  picdol  male. 
Ma  nessuna  ragion ,  che  porti  al  mondo, 
A  consolar  lo  sconsolato  vale. 
Del  cadavere  freddo  il  collo  amato 
Abbraccia  e  bacia,  e  vuol  morirgli  allato. 

Sfoga  con  1*  innocente  arco  infelice 
Il  suo  rabbioso  e  disperato  sdegno. 
Spezza  r  empie  quadrella ,  ed  ornai ,  dice. 
Non  suggerete  voi  sangue  mcn  degno. 
Ma  te  del  fiero  colpo  esecutrice 
Mano  ingrata  e  crudel ,  perchè  sostegno? 
Perchè,  s*  hai  con  lo  strai  commesso  errore 
Non  l'emendi  col  ferro  In  questo  core? 


82 


MARINO. 


Poiché  perfido  io  stesso  e  malaccorto 
Di  propria  man  d' ogni  tesor  m' lioprivo , 
E  perduta  ogni  gioia  ogni  conforto, 
Lieti  oggetti  e  giocondi  abljorro e  schivo; 
Fa ,  prego ,  o  Ciei ,  senza  il  mio  l)en ,  che  è 
ChMo  Tra  tanto  dolor  non  resti  vivo,  [morto 
Fa  eh'  io  non  senta  almeno  e  che  non  miri, 
Se  non  feretri  e  lagrime  e  sospiri. 

Appena  egli  ha  vigor  d*  esprimer  questo, 
Che  la  pelle  gr  indura,  e  11  busto  ingrossa. 
Sorge  piramidal  tronco  funesto, 
Rozzo  legno  si  fan  le  polpe  e  l' ossa,  [sto 
Verdeggia  il  crin  frondoso,  e  quanto  alre- 
Totla  da  lui  l'antica  forma  6  scossa. 
Funeral  pianta  e  tragica  diviene , 
E  quanl'uom  desiava,  arbore  ottiene. 

Se  un  amante  divin  più  che  una  fera 
(Come  ragion  chiedea)  curato  avesse, 
Forse  non  avrìa  questi  in  tal  maniera 
Dato  campo  al  desti  n,  che  poi  l'oppresse. 
Or  tu  non  fare ,  che  occasion  leggiera 
T' involi  a  lei ,  che  suo  signor  t' elesse , 
Perchè  lontan  da  chi  n'  ha  zelo  e  cura 
Scompagnata  beltà  non  va  secura. 

So  che  sovente  per  le  selve  errando , 
Dove  strani  animali  hanno  ricetto , 
Di  girne  ardito  e  intrepido  cacciando 
0  con  spiedo ,  o  con  strai  prendi  diletto. 
Deh  non  voler,  tanto  piacer  lasciando, 
Tra  i  perigli  de*  boschi  entrar  soletto. 
Se  al  viver  tuo  troncar  non  vuoi  le  Ola , 
Sovreugati  talor  del  caso  d'Ila. 

Era  scudier  del  generoso  Alcide 
Ila ,  il  vago  figlìuol  di  Teodamante. 
Più  bei  crin,  più  begli  occhi  il  Sol  non  vide, 
Più  bel  volto  giammai ,  piò  bel  sembiante. 
Con  la  tenera  man  l'armi  omicide 
Spesso  stringea  del  bellicoso  amante, 
E  dell'  Immensa  e  smisurata  clava 
Fedelmente  l' Incarco  in  sé  portava. 

Quando  al  fier  Gerion,  quando  ad  Anteo 
Tolse  il  forte  campion  la  vita  e  l'alma, 
Quando  dell'  Idra  e  del  leon  nemeo , 
Del  cinghiale  e  del  tauro  ebbe  la  palma,  ' 
Fu  sempre  a  parte  d*ogni  suo  trofeo. 
Né  lasciar  volse  mal  la  cara  salma , 
Seguendo  pur  con  pronte  voglie  amiche 
Dell* Invitto  signor  l'alte  fatiche. 


S'armaro  intanto  per  portar  dell'oro 
La  ricca  preda  i  naviganti  audaci , 
Del  primo  sprezzator  d'Austro  e  di  Coro 
Quando  a  Coleo  passò ,  fidi  seguaci. 
Vi  andar  di  Leda  i  figli ,  andò  con  loro 
Teseo ,  andovvl  il  cantor  dei  boschi  traci  ; 
E  fra  gii  altri  giierrier  dello  stuol  greco 
Il  gran  figlio  d*  Almena,  ed  Ila  seco. 

Sorse  di  M isia  da  buon  Tento  scorta 
Tra  i  verdi  lidi  la  famosa  naTc, 
Dove  ferma  suU'  ancora  ritorta 
Depose  de' suol  duci  il  peso  grave. 
Procaccia  qui  la  gioventude  accorta 
Per  l' amene  campagne  ombra  soave. 
Chi  le  mense  apparecchia  in  sulle  sponde. 
Chi  fa  letto ,  o  sedil  d' erbe  e  di  fronde. 

Ila  dal  caldo  e  dalla  sete  adusto 
Cerca  ove  empir  di  geiid'onda  un  vaso , 
Onde  d*  urna  dorata  il  tergo  onusto 
Colà  s' imbosca ,  ove  lo  porta  II  caso. 
Crescer  l'ombre  fa  già  del  folto  arbusto 
li  Sol,  die  omai  declina  Inver  l'Occaso; 
Ed  ei  per  tutto  spia ,  se  d'acqua  sente 
Alcuna  scaturìgine  cadente. 

Ed  ecco  giunge,  ove  di  musco  e  feloe 
Tutta  vestita,  e  d'edera  selvaggia, 
Pendente  costa  di  scabrosa  selce 
Gran  parte  adombra  dell' aprica  spiaggia. 
Quinci  l' omo  e  la  quercia  e  l' alno  e  l'elee 
Scacciano  il  Sol,  qualor  più  caldo  Irraggia, 
Spargendo  intorno  dalla  chioma  oscura 
Opacata  di  fronde  alta  frescura. 

Quasi  cor  della  selva  ,un  fonte  ombroso 
Mormorando  nei  mezzo ,  il  prato  arvim , 
Ed  offre  al  percgrin  fresco  riposo 
Chiuso  dal  verde,  alla  stagione  estt^a. 
Dal  sen  profondo  del  suo  fondo  erboso 
Spira  spirto  vltal  d'aura  lasciva , 
E  porge  all'erbe,  agli  arboscelH,  al  fiori 
Per  cento  vene  1  nutritivi  umori. 

Sotto  questa  fontana  a  chiome  sciolte 
Sul  bd  fitto  meriggio  aveano  usami 
Le  Napee  del  bel  loco  In  cerchio  aooolte 
Vaghe  carole  esercitare  in  danza. 
Come  Ila  in  lor  le  luci  ebl>e  rivolte, 
D' inflammarie  tra  l' acque  ebbe  possami. 
Onde  ne]  viro  e  lucido  eristalh) 
Rotto  nel  mezzo  tbbandoaaro  il  btHo; 


L' 
Come  stella  nel  mar  divelta  cade 
Dall' auurro  aereN  del  cielo  estivo, 
O  qua!  strisciando  per  oblique  strade 
Fende  il  notturno  vel  raggio  festivo , 
Cosi  la  rara  e  singoiar  beltade 
Rapida  ingiù  dentro  quel  gorgo  vivo , 
Precipitando  tra  le  chiare  linfe 
Trovoasi  in  luraccio  alle  gelate  Ninfe. 


ADONE.  83 

So  die  il  ben  si  dilTonde  e  si  diletta 
Comunicarsi  altrui  per  sua  natura. 
Ma  clii  giunge  a  goder  beltà  perfetta 
Non  deve  esca  cercar  di  nova  arsara. 
Alma  gentile  In  nobil  laccio  stretta 
Di  pubblico  giardin  frutto  non  cura. 
Perchè  volgare  e  prodiga  belletza 
Posseduta  da  moHl  è  vii  ricchem. 


Delle  vezaose  Dee  1*  umida  schiera 
Consolandolo  a  prova,  in  sen  l'asconde; 
Drlope ,  Egeria ,  Nicea ,  Nisa ,  Neera 
Gli  asdugan  gli  occhi  con  le  trecce  blonde. 
Ei  la  perduta  libertà  primiera 
Piagnere  eoi  pianto  amaro  accresce  1*  onde, 
Ahi  die  disse  ?  ahi  che  fé*  per  doglia  insano 
Dei  mostri  intanto  il  doraaior  tebano? 

Lungo  il  Pontioo  mar  con  ])iè  veloce 
Cerca  e  ricerca  ogni  riposto  calie. 
Tien  la  gran  mazza  nella  man  feroce , 
La  libica  faretra  lia  dalle  spalle. 
Ila,  Ha  tre  volte  ad  alta  voce. 
Ila  chiamò  per  la  solinga  vaile; 
Né  fuor  die  un  mormorio  debile  e  basso , 
Gli  fu  risposto  dal  profondo  sasso. 

Poscia  che  Indarno  il  suo  ritorno  attese, 
Gemiti  disperati  al  ciel  disciolse , 
DI  rabbiosi  sospiri  il  bosco  accese, 
Delie  stelle ,  d*  Amor,  di  sé  si  dolse. 
Tisi ,  poiché  le  vele  ali'  aura  tese , 
Gl'incliti  eroi  sull'alta  poppa  accolse. 
Erool  restò  con  dolorosi  stridi , 
Tapino  «mante ,  ad  assordare  1  lidi. 

Fra  tante  istorie ,  eh'  io  ti  narro  e  tante, 
Un  punto  prindpal  non  vo'  lacere. 
Non  esaere  In  amor  foglia  incostante , 
Che  al  primo  soffio  è  facil  a  cadere. 
Non  essere  alga  in  mar  lieve  e  tremante. 
Che  pieghi  or  quinci  or  quindi  il  tuo  volere. 
Stabile  ai  venti ,  all'onde ,  in  te  raccogli 
La  fermezza  del  tronchi  e  degli  scogli. 

Vago  è  del  bello ,  e  di  leggler  s*  accende 
DI  duo  begli  occhi  un  giovinetto  core. 
Agitato  vacilla,  or  lascia ,  or  prende 
Quaal  camaleonte  ogni  colore. 
II  pianeta  volubile,  che  splende 
Tra  le  fredd' ombre  del  notturno  orrora , 
Tante  forme  non  cangia  incontro  al  Sole, 
Quante  egli  In  sèstaminr  aempre  neavole. 


Cosa  non  é,  che  tanto  un  core  irriti 
Quando  Amor  da  ragion  vinto  si  sdegna. 
Quanto  11  vedersi  i  suoi  piacer  rapiti 
Da  mano  ingrata,  e  per  cagion  men  degna. 
Tu  gli  altrui  dolci  e  lusinghieri  inviti 
Fuggir  (se  iiai  semio)  a  più  poter  t' ingegna 
Perché  di  te  non  faccia  Citerea 
Quel  che  d' Alide  fece  un'altra  Dea. 

Cibele  degli  Dd  madre  feconda 
Fu  d*  Ati  un  tempo  innamorata  assai , 
E  degna  n'era  ben  V  aria  gioconda 
Del  viso ,  che  avea  bel  come  tu  l' hai. 
Avea  bocca  purpurea  e  chioma  bionda, 
E  sotto  oscure  ciglia  ardenti  rai , 
Né  delle  prime  lane  ancor  vestita 
La  guanda  vermlglietu  e  colorita. 

Poscia  che  degno  il  fé' ,  eh'  egli  saliase 
Della  scala  d'Amor  sul  grado  estremo. 
Tu  vedi  ben  (più  volte  ella  gli  disse) 
Siccom'  io  sol  per  te  languisco  e  gemo. 
Non  far  torto  allo  strai  che  mi  trafisse , 
Sol  perchè  troppo  t*  amo,  io  troppo  lemo. 
Alla  giurata  fé  non  far  Inganno, 
Se  non  vuoi  che  II  favor  ti  tomi  In  damio. 

No  no,  dtcea  11  garzon,  beltà  non  veggio. 
Che  mi  possa  adescar  nei  lacci  suoi. 
Dal  di  che  aveste  in  questo  core  il  seggio. 
Per  altri  occhi  languir  non  seppi  poi.  [glo 
Qualunque,  ovunque  siami  esser  non  deg^ 
Altro  giammai  che  vostro,  altro  che  voL 
Arderò,  v*  amerò  (cosi  prometto) 
Finché  avfò  sangue  in  vena,anima  In  poli». 

Non  molto  andò ,  che  per  ripeste  vie 
Vago  di  rifrigerio  e  di  quiete, 
Mentre  nella  più  alta  ora  del  die 
Cercava  umor  per  ammorzar  la  aett. 
Stelle  II  guiderò  Insidiose  e  rie 
In  certe  solitudini  scerete. 
Dove  ombraggio  cadea  gelido  e  isac* 
Dal  folto  crlo  d' un  taciturno  bo80«. 


8i 


MARINO. 


Tra  discoscese  e  solitarie  piagge 
Volge  gran  rupe  al  Sol  le  spalle  alpine. 
Ombran  la  fronte  sua  piante  selvagge , 
Quasi  dell'  aspra  testa  ispido  crine. 
Per  Toccliio  di  un  canal  distilla  e  tragge 
Lagrime  inargentate  e  cristalline. 
Apre  un  antro  le  fauci  a  pie  del  fonte 
Quasi  gran  gola,  e  fa  la  l)0cca  al  monte. 

Quivi  a  seder  Sangarida  ritrova 
Un'  Amadriade  assai  vezzosa  e  bella. 
L'avviso  della  Dea  poco  gli  giova , 
La  contempla  furtivo ,  e  non  favella. 
Scender  si  sente  al  cor  dolcezza  nova, 
E  gii  lampeggia  il  cor  com'  una  stella. 
Or  avvampa,  or  agghiaccia,  e  trema  come 
De*  vicini  arboscci  treman  le  chiome. 

Ali'  ombra  del  suo  bel  tronco  natio. 
Che  tempesta  di  fior  le  piove  in  grembo. 
Steso  sul  verde  margine  del  rio 
I^  vaga  Ninfa  ha  delia  gonna  il  lembo. 
Ed  ogni  altro  pcnsier  posto  in  obblìo , 
Coglie  dal  prato  quel  fiorilo  nembo. 
Dai  prato,  acni  più  che  la  man  non  prende 
Con  larghissima  usura  il  guardo  rende. 

Mentre  all'  errante  crin  tenero  freno 
Di  fior  bianchi  inanella ,  e  di  vermigli , 
Si  specchia,  e  con  l' umor  chiaro  e  sereno 
Par  che  tacitamente  si  consigli. 
Ma  co'  fior  dei  bei  viso  e  del  l>el  seno 
Perdon  le  rose  assai,  perdono  i  gigli. 
E  1  fiati  della  bocca  avventurosa 
Yincon  l'odor  del  giglio  e  della  rosa. 

Ciò  fatto,  nelle  pure  onde  tranquille 
Poiché  ha  tre  volte  e  quattro  il  volto  im- 
Per  le  labbra  inaffiar  di  fresche  stille  [merso 
Fa  del  concavo  pugno  un  nappo  terso. 
Ahi  che  sugge  ella  umori ,  Ati  faville , 
Quantunque  abbiano  in  ciò  fonte  diverso. 
Della  mano  e  dagli  occhi  a  poco  a  poco 
Mentre  eh'  ella  bev*  acqua ,  ei  beve  foco. 

Fuor  del  boschetto  alfine  il  passo  ei  spin- 
E  dal  cen  tro  del  cor  trasse  un  sospiro,  [se. 
Un  sospir,  che  lo  spirto  In  aura  strinse > 
E  fu  muto  orator  del  suo  raartiro. 
L' una  allor  si  riscosse,  e  l'altro  tinse 
La  pura  neve  del  color  di  Tiro. 
Volea  parlar,  ma  quasi  ghiaccio  al  Sole 
Venia  meno  la  voce  alle  parole. 


Alla  leggiadra  vergine  dappresso 
Si  fé'  pur  sospirando,  e  pur  gemendo 
Con  sì  caldo  desio  nel  volto  espresso^ 
Che  ne'  sospiri  suoi  chiedea  tacendo , 
Ma  così  riverente  e  sì  dimesso. 
Che  ne*  gemiti  suoi  tacca  chiedendo , 
E  spargea  mille  d' aurei  strali  armati 
Fuor  de'  begli  occhi  spiritelli  alati. 

Tosto  eh'  a  quella  luce  11  volto  volse , 
Arse  di  pari  ardor  la  giovinetta. 
Depose  1  fiori ,  ed  ei  quel  fior  si  colse , 
Cli'  ai  seguaci  d' Amor  tanto  diletta. 
Quando  in  letto  odorifero  gli  accolse 
La  fresca  molle  e  rugiadosa  erbetta , 
Ne  susurrar,  ne  bisbigliar  le  fronde, 
E  dolce  mormorio  ne  fu  tra  l' onde. 

Ma  la  gelosa  Dea,  che  il  fallo  ascolta 
Di  quel  suo  dislcal ,  che  l' ha  tradita , 
Tosto  alle  furie  infuriala  e  stolta 
Ricorre ,  e  incontr'  al  giovine  l' irrita. 
Già  di  squallide  serpi  il  crine  involta 
Vibra  le  faci  sue  d' Averno  uscita, 
E  con  foco  e  con  tosco  ecco  che  Aletto 
Gli  cocc  il  core ,  e  gli  flagella  il  petto. 

Ferve  d' insana  ed  arrabbiata  voglia 
Di  tartaree  fiammelle  Atide  acceso,  [glia. 
Spuma,  freme,  il  pie  scalza,  il  manto  spo- 
si lostrugge  il  velen  che  il  cor  gli  ha  preso. 
La  feconda  radice ,  ond'  uom  germoglia, 
E  l'un  e  l'altro  suo  pendente  peso. 
Rei  del  suo  mal ,  da  gran  furore  Indutto 
Miscr,  di  propria  man  si  tronca  in  tutto. 

Testimonio  pietoso  al  caso  tristo 
Fu  di  Slnade  allora  il  vicin  colle, 
Che  d'ogn' Intorno  rosseggiar  fu  visto 
Del  sangue  del  garzon  rabbioso  e  folle. 
Del  sangue  bel ,  che  con  la  rupe  misto 
Tutto  il  sasso  lasciò  maccliiato  e  molle. 
Onde  Frigia  dipinti  ancor  ritiene 
I  marmi  suoi  di  preziose  vene. 

Per  trarsi  poscia  a  precipizio  ascende 
Ripida  cima  d'aspro  monte  alpino; 
Ma  mentre  ingiù  trabocca  e  in  aria  pende 
Co'  piedi  in  aito,  e  con  la  fronte  al  chino. 
La  Dea,  che  l' ama  ancor,  pietosa  il  prende. 
L'affigge  In  terra,  e  lo  trasforma  In  pino. 
Ed  or  da  quel  di  pria  cangiato  tanto 
In  tenace  licor  distilla  il  pianto. 


Con  queste  fole  e  faToìette  avea 
Del  sommo  GIotc  il  messagger  sagace 
Persuaso  ii  garzon  ;  né  qui  pooea 
Freno  al  garrir,  novellator  loquace. 
Ma  troncando  ii  cianciar,  stese  la  Dea 
La  man  di  neve  al  foco  suo  vivace; 
E  panre  11  cor  con  un  sospiro  aprisse, 
Mentre  queste  parole  ella  gli  disse: 


ADONE.  85 

Sovra  tutto  li  timor  m'agghiaccia  e  coce 
Della  triforme  Dea,  eh'  è  donna  anch'  ella; 
E  sebben  tanto  incrudelì  feroce 
Nella  misera  sua  già  Ninfa,  or  stella, 
(  Lascio  11  suo  loco  al  ver)  corre  pur  voce , 
Che  non  fu  sempre  al  mio  figliuol  rubella , 
E  coprendo  11  piacer  con  la  vergogna , 
Sa  godere  e  tacer  quando  bisogna. 


Adon  cor  mio,  mio  core ,  ornai  serena 
La  mente  ombrosa,e  lascia  ogni  altra  cura. 
0  tre  volte  mio  cor,  deb,  prego,  affrena 
Quel  desio  di  cacciar,  che  a  me  ti  fura. 
Non  far,  se  m*  ami,  che  acquistata  appena, 
Perdano  gli  occhi  miei  tanta  ventura. 
Non  voler  dato  a  me,  da  me  disgiunto 
E  ricca  farmi ,  e  povera  In  un  punto. 

Non  sottopor  de'  boschi  al  duri  oltraggi 
Le  delicate  meminra  e  giorno  e  notte. 
Lascia  a'  più  rozzi  cori  e  più  selvaggi , 
Delle  fere  il  commercio  e  delle  grotte. 
Che  ti  giova  menar  tra  l' elei  e  i  faggi 
Spezzati  i  sonni  e  le  vigilie  rotte? 
E  In  ozio  travagliato  e  faticoso 
Inquieta  quiete >  aspro  riposo? 

Che  ti  vai  la  faretra  ognor  di  strali, 
E  di  mostri  la  selva  impoverire? 
Delle  Dive  celesti  ed  immortali 
Bastiti  co'  begli  occhi  11  cor  ferire, 
Senza  voler  de'  rigidi  animali 
Con  tuo  danno  e  mio  duoi  l'orme  seguire. 
Perchè  di  questo  sen  denno  le  selve, 
E  di  me  più  felici  esser  le  belve? 

Soffrir  dunque  poss'  io,  che  dalle  braccia 
Rapita  (oiraè)  mi  sia  tanta  bellezza , 
Per  darla  a  ui,  che  con  l' artiglio  straccia, 
E  col  dente  ferisce,  e  la  disprezza? 
0 crude  fere,  o  maledetta  caccia, 
O  ricetti  d'orrore  e  di  fierezza , 
Indegne  di  mirar  luci  sì  pure. 
Contumaci  del  Sol ,  foreste  oscure. 

Possiate  sempre  le  rabbiose  strida , 
E  t  furori  sentir  d' Euro  baccante. 
Fiero  fulmine  i  rami  a  voi  redda. 
Sfrondi  ilcrin,sllori  i  fior,  spianti  le  piante. 
Rigorosa  secure  In  voi  divida 
Dall'amato  arboscel  1*  arbore  amante , 
Siccome  voi  spietatamente  11  mio 
Dividete  da  me ,  dolce  desio. 


Ma  siasi  pur,  qual  1  mortali  sciocchi 
La  fanno  appunto  e  santa  e  casta  ed  alma. 
Che  fia,  s' egli  avverrà,  che  il  sen  le  tocchi , 
Quello  strai ,  che  di  me  portò  la  palma? 
Fiamma  di  questo  cor,  Sol  di  quest'occhi. 
Vita  della  mia  vita ,  alma  deli'  alma , 
Sappi,  che  un  raggio  sol  de'  tuoi  sembianti 
Può  romper  marmi  e  calcinar  diamanti. 

Risponde  Adone  :  0  caramente  cara , 
Certo  a  me  quanto  cara ,  ingrata  sei , 
Se  creder  puoi ,  che  possa  (ancorehè  rara) 
Altra  beltà  di  me  portar  trofei, 
il  Sol  degli  occhi  tuoi  sol  mi  rischiara , 
Occhi  più  cari  a  me ,  che  gli  occhi  miei. 
Là  si  gira  il  mio  fato  e  la  mia  sorte , 
Essi  son  la  mia  vita  e  la  mia  morte. 

Benché  tutto  di  luci  il  elei  sia  pieno , 
Solo  il  Sole  è  però ,  che  il  mondo  alluma. 
Non  ha  più  face  Amor  per  questo  seno , 
Sarò  quai  sono  al  foco  ed  alla  bruma; 
Di  sì  dolce  fontana  esce  il  veleno , 
Che  dolcissimamente  mi  consuma. 
Giunga  ii  mio  corso  a  riva  o  presto,  o  tardo. 
Vivrò  qual  vivo,  ed  arderò  com'  ardo. 

Ma  se  costume  e  naturale  istinto. 
Che  di  fere  affrontar  mi  dà  baldanza, 
Dalla  beltà ,  che  m'ha  legato  e  vinto, 
Talor  di  desviarmi  avrà  possanza. 
Non  te  ne  caglia  no,  eh'  a  ciò  son  spinto 
Sol  dall'  antica  e  dilettosa  usanza. 
Né  sdegnar  te  ne  dei ,  che  chi  ben  ama 
Il  piacer  del  suo  amor  seconda  e  brama. 

Non  sia  prodigo  Amor,  perehò  talora 
Suole  il  cibo  abborrir  sazio  appetito. 
Passa  r  uso  in  disprezzo,  e  spesso  ancora 
Frequenuto  diietto  è  men  gradito. 
Né  si  aspettato  e  desiato  fora 
S'  Aprii  d'ogni  staglon  fusse  fiorito. 
Sempre  quel  eh'  è  vietato  e  quel  eh*  è  raro. 
Più  n'  Invoglia  il  destre,  e  più  n'  è  caro. 


86 


MAMNO. 


Non  eh'  io  d' amarli  o  fastidi toosUnco 
Possa  a^er  mai  di  te  l' anima  sgomiira; 
Anzi  quando  il  tuo  Sol  mi  Terrà  maneOf 
Sarò  qua]  cid,  cui  fosca  notte  adomlira. 
Sena'  occhi  in  fronte  e  senza  core  al  ianco, 
Sena'  alma  un  corpo  e  senza  corpo  nn'  om- 
Ma  se  questo  è  dcstin,  porta  il  dovere,[t)ra. 
Cile  quel  clic  vuole  U  Gel ,  vogU  volere. 

Soggiunse  allor  Qprigna:  Assai  di  questo 
Il  saggio  Dio  del  Nilo  oggi  t' ha  detto. 
Ma  per  darti  a  veder  più  manifesto , 
Che  non  fuor  di  ragione  è  li  mio  sospetto , 
Vo'cbe  tu  miri  11  guiderdon  funesto. 
Che  dà  Diana  a  ciascun  suo  soggetto. 
Molto  move  l'esempio,  e  per  la  vista 
Maggior,  che  per  V  udir,  fede  s' acquista. 

Qui  tace,  e  poi  di  quella  torta  scala , 
Che  di  mezzo  ài  cortli  gli  archi  distende, 
Gli  eburnei  gradi ,  onde  si  monta  e  cala. 
Preme,  e  col  heU*  Adone  in  alto  ascende. 
Qui  per  cento  fenestre  inmiensa  sala 
Di  poliJto  cristallo  il  giorno  prende, 
E  in  un  bei  quadro  di  mosaico  terso 
La  figura  eonlien  dell'  universa 

Perquattro  porte  a*  quattro  venti  esposte 
S' entra,  e  tutte  son  d' or  schietto  e  forbito. 
Ha  quattro  mura,  le  cui  ricche  croste 
Del  fondo  interior  celano  il  sito. 
Nelle  facciate  tra  sé  stesse  opposte 
L' ordin  degli  elementi  è  compartito. 
Ed  a  ciascun  nella  sua  propria  sfera 
Ogni  pesce,  ogni  augello  ed  ogni  fera* 

In  ogni  spailo  v'  ha  quel  Dìa  ritratto. 
Che  di  queil'  elemento  ha  sommo  impero, 
E  ciascuno  elemento  è  acuito  e  fatto 
D*  una  materia  somigliante  al  vero. 
Vermiglio  il  foco  è  d'un  rubino  intatto, 
Ceruleo  l' aere  è  d' un  lal&r  sincero. 
Di  smeraldo  ridente  e  verdeggianle 
Fatu  è  la  terra,  e  l'acqua  è  di  dianvite. 

Occupa  M  campo  poi  del  pavimento 
La  reglon  del  Tartaro  preiando, 
Cbe  afogUaml  di  gkto  ha  un  partlmento 
Fatto  d'or  ino,  e  dttauio  In  leoèat 
E  quivi  In  atto  tal ,  che  dà  spavento, 
Vedcsi  II  re  del  tenebroso  mondo» 
Seoo  ha  l'orride  &ee4ll  flegetote, 
Cuiià pompa  di  serpi  ombra  atta  frogie. 


Nell'ampio  tetto  un  del  sereno  è  feto. 
Opra  maggior  non  lavorò  Ciclopc 
Appo  tante  e  tal  gemme,  ond'  è  dIsUato, 
Povero  è  l'indo  e  scorno  ha  l'Etiopo. 
Tutto  di  smalto,  in  mezzo  è  di  giachito. 
Dove  in  forma  di  Sol  raggia  un  plropo. 
Di  crisoliti  intorno  e  di  baiassi 
Splendon  di  stelle  invece,  alti  cempaMl. 

Veder  si  può  d*  ogni  Inmiera  avicnle 
11  fermo  stato  e  il  peregrino  errore. 
VI  ha  quel  co'  mostri  suoi  torto  e  serpento, 
Cite  tre  cerchi  contìen,  cercltlo  ma^slo^. 
Vi  ha  r  uno  e  1*  altro  tropico  hicento. 
Che  del  lume  e  dell'  ombra  adegnan  l'ore. 
Vi  ha  gli  altri  duo,  che  girano  congiunti 
Co'  duo  fissi  dell'  orbe  estremi  punti 

I  Vi  ha  r  eqnator  la  cui  gran  linea  eguale 
Tra  le  quattrocompagne  in  mezzoè  poeta. 
Di  cui  l' estreme  due  1'  una  ali'  australe, 
L' altra  al  confin  di  Borea  è  troppo  espooti. 
Havvi  degU  alti  Dei  la  via  reale , 
Di  spesse  stelle  e  picciolo  composta. 
Lo  cui  candor,cÌie  il  cid  per  messo  fonie. 
Da  Gemelli  al  Centauro  il  tratto 


Nel  centro  della  sala  un  vasto  Allanto 
Tutto  d' un  pezzo  di  diaspro  fino 
Sostien  la  volta,  e  ferma  ambe  le  pianto 
Sovra  un  gran  piedistallo  adamanAìno, 
E  sotto  r  alta  cupola  pesante 
S tassi  con  tergo  curvo  e  volto  chino. 
Tutto  quel  dei ,  che  si  rlidega  in  arco. 
Appoggia  a  questo  il  ano  grvroso  incaieo. 

La  netto  hitanto  al  rìmbooibar  de*  baci 
Invida  quasi  hi  cid  fece  ritomo  t 
E  portata  da  lievi  ore  lugad, 
E  di  tenebre  armato  uodae  il  giorno. 
Il  feretro  del  Sol  con  adlle  toci 
Le  stelle  amiche  aceompagnaro  intanw; 
E  11  mondo  pien  di  nebbie,e  d'ombreUnto 
Parca  fatto  eepolcro  d  lume  eatinto. 

Erano!  cari  amanti  entrati  appeat 
L' un  r  altro  a  brtodo  ta  quella  sala  attori, 
Quand'  ecoo  aprirsi  una  dorato  aocnt, 
Ch'  emnhi  al  gtomo  ÉUmnlnò  la  een. 
Fora  di  luce  e  di  or  men  rioca  e 
Se  s' aprlsae,  erad'io,  la  ^narto 
Selve,  sutne,  palagi  agli  ocdil  eSame 
La  corthia  reai  guMéa  •'nperifr 


L'ADOffE. 


87 


Spettacolo  gentil  Mercurio  In  questa 
Presentar  vuole  al  fortunato  Adone. 
Mercurio  è  qiiei,ehc  {personaggi  appresta, 
Ed  esercita  e  prova  ogn*  Istrione  ; 
E  ciascun  d'  essi  in  lieta  parte  o  mesta 
Secondo  T  attitudine  dispone. 
Né  seco  già  dì  recitar  consente 
Turba  T<4gar  di  mercenaria  gente. 

L'Invenzione,  la  favola,  il  poema, 
E  r  ordine  e  11  decoro  e  1'  armonia. 
Della  tragedia  sua  stendono  il  tema. 
La  facezia,  l'arguzia  e  1'  energia. 
L'  eloquenza  è  V  artefice  suprema , 
Soprastante  con  lei  la  poesia. 
Seco  il  numero,  il  metro  e  la  misura 
Si  prendon  della  musica  la  cura. 

Dansi  alla  coppia  bella  1  seggi  d' oro, 
Donde  quanto  si  sa  tutto  si  sceme; 
Ed  ecco  II  primo  uscir  di  tutti  loro 
Il  portalor  dell'  ambasciate  eterne , 
Che  a  spiegar  Targonicnto  in  stil  canoro 
Mostra  venir  dalle  magion  superne, 
E  il  soggetto  proposto  e  persuaso 
É  d"  Atteone  il  miserabll  caso. 

Ed  Atteone  al  prologo  succede, 
Che  ilcfl  con  archi  e  dardi  e  cani  e  corni, 
E  da  mohi  scudier  cinto  si  vede 
Di  spiedo  armati  e  ^nobilmente  adorni; 
E  mentre  eh'  ei  delle  selvagge  prede 
Parte  d*  essi  a  spiar  manda  i  soggiorni , 
E  squadra  i  passi,  ed  ordina  la  traccia, 
Vjon  diverse  ragion  loda  la  cacda. 

Ed  ecco  ad  nn  squillar  d' avorio  torto 
Sbucar  repente  da  cespugli  e  vepri 
Di  mansuete  fere  Adone  ha  scorto 
PIÙ  d' uno  stuol  tra  mirti  e  tra  ginepri  ; 
E  dal  palco  sahar  con  gran  diporto 
Damme  e  camozze  e  cavriuoli  e  lepri, 
E  parte  della  Dea  fuggirsi  al  lembo, 
E  parte  a  lui  ricoverarsi  in  grembo. 

Va  poco  stante  si  dilegua  a  volo 
La  cacda,  e  nova  effigie  II  paleo  prende, 
Perchè  librato  in  ira  voluMl  polo, 
Sé  stesso  In  so  quel  cardhie  sospende. 
Lo  qtud  in  giro,  e  ben  confitto  ri  suolo 
Volges]  agei'Qtaiente,or  poggia,or  scende^ 
E  il  nobil  peso  suo  portando  Intorno, 
vIeM  iMne  a  serrar  corno  con  corno* 


Come  congiunti  in  un  sol  globo  11  mondo 
Due  diversi  emisperi  insieme  lega , 
Per  l' orizzonte,  che  dal  sommo  al  fondo 
La  rota  universal  per  mezzo  sega  ; 
Così  1*  ordigno,  che  si  gira  in  tondo 
Varj  teatri  in  un  teatro  spiega  ; 
Se  non  che  dove  quel  n'  abbraccia  duo. 
Questo  più  ne  contfcn  nel  cerchio  suo. 

Sicché  qualunque  volta  un  novo  gioco 
Agli  occhi  altrui  rappresentar  si  vuole. 
Fa  mutar  faccia  in  un  istante  al  loco 
L' orbiculare  e  spaziosa  mole, 
Ch'  entro  concaya  vite  a  poco  a  poco 
Senza  strepito  alcun  mover  si  suole, 
E  con  tanto  artifizio  or  cala,  or  sorge. 
Che  V  occhio  spettator  non  se  n'  accorge. 

Reggon  r  opra  maggior  varJ  sostegni, 
E  correnti  e  pendenti  ed  asse  e  travi, 
E  di  bronzo  ben  saldo  armati  legni , 
Dure  catene  e  grossi  ferri  e  gravi , 
E  con  argani  mille  e  mille  Ingegni 
Del  medesmo  metallo  e  chiodi  e  chiavi, 
E  quest*  ordine  a  quei  si  ben  risponde. 
Che  nel  numero  lor  non  si  confonde. 

Ed  or  che  per  cacciar  dal  verde  prato 
Il  tebano  garzone  il  pie  ritira. 
Tosto  che  sul  gran  vertice  forato 
U  ferrato  baston  mosso  si  gira , 
Cangia  sito  la  scena,  e  l'apparato 
In  altro  aspetto  trasformar  si  mira  ; 
Ed  al  cader  della  primiera  tela 
Diirerenti  apparenze  altrui  rivela. 

Spelonche  opache  v*  ha,  foreste  amene, 
Piagge  fresche,  ombre  fosche  e  chiari  fon* 
Vivi  argenti  colà  sparge  fppocrene,   [ti. 
Qui  Parnaso  bicorne  erge  due  fronti. 
Con  le  sue  dotte  e  vergini  Sirene 
Discende  Apollo  da  que'  verdi  monti, 
Imitando  quaggiù  vaghe  e  leggiere 
Le  danze,  che  lassù  fanno  le  sfere. 

Ciascuno  accorda  all'organo,  (^w  tocca, 

I  passi  e  1  salti  In  m,  gli  atti  e  le  note, 
E  con  la  man ,  col  piede  e  con  la  bocca 
L'aurea  vnpuntoelecorde  eli  suol  perco- 
Finito  II  ballo.  In  on  nonMOto  scocca. [t« 

II  auglstero  delToecnlte  rata, 

E  volgendosi  n  perno,  a  cui  s*  appoggia, 
Rivesta  H  palco  A  nonSla  foggia. 


88 


MARINO. 


Dopo  il  primo  intermedio  un'altra  volta 
Videsi  il  bosco,  e  quivi  Cinzia  apparse» 
Che  venne  stanca  alla  verd*  ombra  e  folta 
Della  valle  Gargafia  a  rinfrescarse; 
E  d' ogni  spoglia  sua  discinta  e  sciolta, 
Lavò  le  membra  affaticate  ed  arse; 
E  tra  le  pure  e  cristalline  linfe 
Si  stette  a  divisar  con  l' altre  Ninfe. 

Gira  la  scena,  e  in  un  balen  girando 
Di  centauri  gucrrier  piena  è  la  piazza  ; 
Chi  d' acuto  trasier  la  destra  armando. 
Chi  d*  asta  lieve,  e  chi  di  grave  mazza. 
Salvo  in  braccio  lo  scudo,  in  armeggiando 
Non  han,che  copra  il  resto, elmo,  o  coraz- 
Grida  la  tromba  In  bellicosi  carmi:  [za. 
Alla  guerra,  alla  guerra, all'armi,  all'armi  ! 

Già  par  che  con  furor  l'un  l'altro  assaglia. 
Già  già  par  che  di  sangue  il  suol  si  sparga. 
Armonica  e  per  arte  è  la  battaglia. 
Or  s'intreccia,  or  fa  testa,  ed  or  s' allarga. 
E  mentre  contra  quel,  questo  si  scaglia. 
Fan  cozzar  clava  a  clava,  e  targa  a  targa. 
E  battendosi  a  tempo  or  tergo,  or  petto. 
Fan  di  mezzo  all'  orror  nascer  diletto. 

Mentre  Adone  al  bel  gioco  è  tutto  intento 
Amor  pietoso  a  rinfrescarlo  viene , 
E  gli  reca  una  d' oro,  una  d'argento 
Coppe  d'  ambrosia  e  nettare  ripiene. 
Ei  quanto  basta  al  debito  alimento 
N'  assaggia  sol  per  ristorar  le  vene, 
Gh'  altr*  esca,  onde  maggior  gusto  riceve. 
Pasce  con  gli  occhi,  e  per  l' orecchie  beve. 

Neil'  atto  terzo  in  sul  girevol  fuso 
La  macchina  versatile  si  volve, 
E  ritoma  Atteon  sparso  e  diffuso 
Il  volto  di  sudor  tutto  e  di  polve  ; 
Onde  di  dare  al  veltro  ed  al  seguso 
Alquanto  di  quiete  alfin  risolve. 
Coglie  le  reti,  e  nell'  ombrosa  e  fosca 
Selva  per  riposar  solo  s'imbosca. 

Or  tra  i  confio  di  questo  e  dell' al  tr' atto 
Non  men  bel  si  frappon  novo  intervallo. 
Ondeggiar  vedi  un  mar,  non  so  se  fatto 
DI  zaffiro,  o  d' argento,  o  di  cristallo, 
B  le  sponde  vestir  tutte  in  un  tratto 
D*  alga  e  di  lìmo  e  d' ostro  e  di  corallo, 
E  tremar  l' onde  con  ceruleo  moto, 
E  delfini  guizzar  per  entro  a  nuoto. 


E  quinci  e  quindi  per  l' instabil  campo 
Spiegar  turgide  vele  antenne  alate. 
Urtar  gli  sproni,  e  con  rimbombo  e  vampo 
Venir  in  pugna  due  possenti  armate. 
Di  Giove  intanto  11  colorato  lampo 
Listando  il  fosco  elei  di  linee  aurate. 
Fa  per  l' aria  vibrar  con  lunghe  strisce 
Mille  lingue  di  fiamma  oblique  bisce. 

Folgora  li  cielo,  e  folgoran  le  spade  ; 
Gonfiansl  I'  onde  tempestose  e  nere. 
Ed  acqua  e  sangue  per  l' ondose  strade 
Piovon  le  nubi,  e  piovono  le  schiere. 
Chi  fugge  il  ferro,  e  poi  nel  foco  cade, 
Chi  fugge  il  foco,  e  poi  nell*  acqua  pere. 
Chi  di  sangue  e  di  Toco  e  d'acqua  asperso. 
More  ucciso  in  un  punto,  arso  e  sommerso. 

Tale  è  la  guerra  e  la  procella  e  il  gelo. 
Che  agguagliato  è  quel  eh*  è  da  quel  che 
Ma  in  breve  poi  rasserenarsi  il  cielo  [pare. 
Vedi,  e  in  un  punto  implacidirsi  il  mare, 
Ed  Iri  il  suo  dipinto  umido  velo 
Stender  per  l'aure  rugiadose  e  chiare. 
Spariscon  le  galee,  svanisce  il  flutto, 
Struggesi  l' arco,  e  si  dilegua  il  tutto. 

Ciò  fattOj  il  bel  teatro  ancor  si  chiude. 
Poi  si  vede  sgorgar  vaga  fontana , 
Dove  tra  molte  sue  seguaci  ignude 
Stassi  Atteone  a  vagheggiar  Diana  : 
Ed  ella  con  le  man  leggiadre  e  crude 
Gli  toglie  dopo  il  cor  la  forma  umana. 
Con  pelo  irsuto  e  con  ramose  corna 
Il  miser  cacciator  cen'o  ri  toma. 

Nel  fin  di  questo  in  un  azzurro  puro 
All'  Improvviso  il  elei  si  discolora, 
E  fregiando  d' argento  il  campo  oscuro , 
Con  le  stelle  la  Luna  ecco  vien  fora. 
Poi  dando  volta  il  negliittoso  Arturo, 
Col  giorno  a  mano  a  man  sorge  l'Aurora. 
Vero  il  Sol  crederesti,  e  vera  l' alba. 
Che  le  nebbie  rischiara  e  l'ombre  inalba. 

S'alzali  palco  di  sotto  a  un  tempo  istesso, 
E  mezzo  anfiteatro  in  giro  spande. 
Prospettiva  superba  appare  in  esso 
Con  ricca  mensa  e  sontuosa  e  grande, 
E  vi  ha  de'  sommi  Dei  tutto  il  consesso 
Con  tal  pompa  d'arnesi  e  di  vivande. 
Tanto  tesor,  tanto  splendor  disserra, 
Che  sembra  appunto  li  elei  calato  in  terra. 


L*  ADONE. 


80 


Concerto  allor  di  musici  concenti 
Di  tnsso  incominciòf  d' ako  e  da  lato; 
E  concordi  s'  udir  varj  istromenti ,    [to. 
Qual  da  man,  qual  da  gamba,  e  qual  da  fia- 
Ed  acuti  e  veiocl  e  gravi  e  lenti 
Alternar  Tersi  al  pasteggiar  beato, 
E  rispondersi  insieme  in  molti  cori 
Mute  di  Ninfee  sinfonie  d'Amori. 

La  notte  11  sesto  grado  avea  fornito 
Della  scala,  onde  poggia  all'  orixzonte, 
Quando  da  cani  e  caccia tor  seguito 
Comparre  il  ccrvo,attraversando  il  monte. 
Ma  più  non  potè  Adone  istupidito 
Sollevar  gli  occhi,  o  sostener  la  fronte. 
Onde  in  grembo  a  colei,  che  gli  è  vicina, 
Sovravvinto  dal  sonno,  il  capo  inchina. 

In  quella  guisa,  che  dal  primo  Sole 
Tocco  talor  papavero  vermìglio. 
Piegar  la  testa  sonnacchiosa  suole , 
E  tramortire  infra  la  rosa  e  il  giglio; 
Abbassa  in  braccio  a  lei ,  che  non  si  dole 
Di  tal  incarcOf  addormentato  il  ciglio  : 
Né  certo  aver  potea  questa,  né  quello 
Peso  più  dolce,  né  guanclal  più  bello. 


Questa  fu  la  cagion,  che  non  potco 
Della  tragica  strage  il  fin  sentire. 
Né  con  che  strazio  doloroso  e  reo 
Venne  sbranato  11  giovane  a  morire. 
Né  d'  Autonoe  i  lamenti  e  d'  Aristeo, 
Né  dell'  antico  Cadmo  i  pianti  udire. 
Che  la  pietosa  Dea,  che  In  sen  l'accolse» 
InOno  al  novo  dì  destar  noi  volse. 

Già  richiamava  i  corridori  alati 
Al  giogo,  al  morso  11  portator  del  lume, 
E  già  desta  dal  suon  de'  freni  aurati , 
E  serena  e  ridente  oltre  il  costume , 
La  nutrice  bellissima  de'  prati 
Sorta  era  fuor  delle  purpuree  piume 
Ad  allattar  de'  suoi  celesti  umori 
L'erbe  e  le  piante, e  nelle  piante i  fiori. 

Quando  svcgliossl  Adone,  e  si  s'accorse. 
Che  già  chiaro  1  balconi  il  Sol  feriva. 
Si  terse  1  lumi  col  bel  dito,  e  sorse 
Da  Mercurio  Invitato  e  dalla  Diva. 
La  bella  Citerea  la  man  gli  porse, 
E  per  la  via,  che  nella  corte  usciva, 
Menollo  In  un  glardin ,  presso  il  cui  verde 
Degli  Elisi  beati  il  pregio  perde. 


90 


MARINO. 


CANTO  SESTO. 


IL  GIARDINO  DEL  PIACERE. 


▲  LLSGOaiA. 

Sotto  la  figura  del  Giardino  ci  vien  rappresentato  il  piacere.  Nelle  cinque  porte 
si  sottintendono  I  cinque  sentimenti  del  corpo.  Nel  cristallo ,  e  nel  zaffiro  delle 
prima  porta  si  significa  la  materia  dell*  occhio ,  che  è  l'organo  della  vista.  Nel  cedro 
della  seconda  il  senso  dell'  odorato.  Nella  Tavoletta  del  pavone  si  dinota  la  maravl- 
gliosa  fabbrica  del  firmamento.  Ama  la  colomba ,  perciocché  siccome  in  eflelto 
questi  due  uccelli  (  secondo  i  naturali  ]  si  amano  insieme ,  cosi  tutte  le  luci  superiori 
sono  mosse  e  regolate  dal  divino  amore.  È  trasformato  da  Giove,  perchè  dal 
sommo  artefice  Iddio  ebbe  quello  (come  ogni  altro  cielo]  la  materia  e  la  forma* 
Fingesi  servo  d' Apollo ,  e  da  lui  gli  sono  adornate  le  penne  della  varietà  df  tanti 
occhi ,  per  essere  il  Sole  vivo  fonte  originale  di  tutta  la  luce ,  che  poi  si  comunica 
alle  stelle.  Ne*  diversi  oggetti ,  passatempi  e  trattenimenti  piacevoli  si  adombrano 
le  voluttà  sensuali. 


ARGOMENTO. 

Al  Giardin  del  Piacer  col  giovinetto 
Sen  ya  la  Dea  dell'  amorosa  luce. 
Per  le  porte  de'  sensi  indi  il  conduce 
Di  gioia  io  gioia  all'  ultimo  diletto. 


Anni  il  petto  di  gel  chi  vede  Amore 
Saettar  foco  e  ferir  l'alme  a  morte, 
E  della  rocca  fragile  del  core 
Difenda  pur  le  mal  guardale  porte  ; 
Né  del  crudele  e  perfido  signore 
V  introduca  giammai  le  fiere  scorte, 
Che  insidiose  a  ciii  non  ben  le  serra. 
Sotto  vista  di  pace  apportan  guerra. 

Chi  da  quest'  empio  e  dalla  carne  infida 
(>>ndur  si  lascia  infra  perigli  errante , 
E  qual  cieco,che  il  can  prende  per  guida. 
Segue  del  senso  le  fallaci  piante, 
Se  a vvicn  poi  eh'  egli  caggia,o  che  l'occida 
Chi  per  torto  sentjer  io  scorse  avante , 
Non  si  lagni  d'altrui ,  ma  di  so  stesso , 
Che  il  fren  d'  ogni  sua  voglia  In  man  gli 
ha  messo. 


È  ver  che  da  sé  sola  a  ciò  non  basta 
Nostra  natura  inferma  e  indebolita , 
Quando  anco  il  gran  Dottor,  V  anima  ca- 
Dello  spirto  di  Dio  tromba  gradita,  [sta, 
Per  schermirsi  da  tal ,  che  ne  contrasta. 
Ebbe  mestler  di  sovrumana  aita; 
Né  degli  assalti  suoi  può  fedel  alma 
Senza  grazia  divina  acquistar  palma. 

Ma  vuoisi  ancor  con  studio  e  con  fatica 
Schivar  quel  dolce  Invito,  esca  de'  sensi. 
Perché  della  domestica  nemica 
Sol  con  la  fuga  la  vittoria  ottlensi; 
E  chi  fuggir  non  sa  questa  impudica 
A  rischio  ve  di  precipizi  Immensi, 
Dove  caduta  poi  l' anima  sciocca 
D' una  in  altra  follia  sempre  trabocca. 


L'ADONE. 


91 


Questi  è  la  donna  che  importuna  etenta 
Adam  per  far  che  gusti  esca  Interdetta; 
La  meretrice  che  in  prigion  tormenta 
Giuseppe  il  giusto,  ed  a  peccar  l'alletta. 
Questa  è  colei  che  Sisara  addormenta, 
E  per  tradirlo  sol  seco  11  ricetta; 
La  disleal  che  pria  lusinga  e  prega 
U  malcauto  Sansone,  e  poi  lo  lega. 

Questa  è  la  Betsabea  per  cui  s'inchina 
11  buon  re  d'Israele  ad  opra  indegna , 
Questa  è  di  Salomon  la  concubina, 
Che  follemente  idolatrar  gl'insegna. 
L'infame  Circe ,  la  proterva  Alclna , 
L'Armida  che  sTiar  l'alme  s'ingegna; 
La  Vener  che  lontan  dalla  ragione 
Al  Giardln  del  Piacer  conduce  Adone. 

Infiora  11  lembo  di  quel  gran  palagio 
Spazioso  giardin  ,  roirabil  orlo. 
Miseria  mai ,  né  mai  vi  entrò  disagio , 
Vi  han  delizie  ed  amori  ozio  e  diporto. 
Colà  senza  temer  fato  malvagio 
Venere  bella  il  bel  fanciullo  ha  scorto, 
Cangiando  il  elei  con  quel  felice  loco. 
Che  sembra  il  cielo,  o  cede  al  elei  (fi  poco. 

Non  pensar  tu,  che  senza  aito  disegno 
fiìsse  volto  Mercurio  al  bello  Adone) 
Fondata  abbia  Gprfgna  entro  il  suo  regno 
Questa  si  vaga  e  florida  magione  ; 
Che  intelletto  divln,  celeste  ingegno 
Nulla  a  caso  giammai  forma,  o  dispone. 
Misterioso  il  suo  edificio  tutto 
A  sembianza  deli'  uomo  6  qui  costrutto. 

Del  corpo  uman  la  nobile  struttura 
In  sé  medesma  ha  slnictria  cotanta. 
Che  è  regola  infallibile  e  misura        [ta. 
Di  quanto  11  ciel  con  l'ampio  tetto  amman- 
Tal  fra  gli  altri  animali  il  fc'  natura , 
Che  solo  siede,  e  sol  dritto  si  pianta; 
E  come  l'alma  eccede  ogni  altra  forma, 
(k)si  d' ogni  altro  corpo  il  corpo  è  norma. 

Le  meravigite  che  comprende  e  serra, 
Non  son  possenti  ad  agguagliar  parole. 
Né  nave  in  onda,  nò  palagio  in  terra, 
Né  teatro,  né  tempio  é  sotto  il  Sole,  [ra 
Névi  ha  macchina  in  pace,ordifno  inguer- 
Che  non  tragga  il  model  da  questa  mole. 
Trovano  in  sì  perfetta  architettura 
11  compasso  e  lo  squadro  ogni  figura. 


Miracol  grande.  In  cui  con  piena  intera 
Giove  dei  doni  suoi  versò  1*  eccesso; 
Della  divinità  sembianza  vera, 
Imagln  viva  e  simulacro  espresso. 
Quasi  In  angusta  mappa  Immensa  sfera. 
Fu  r  universo  epilogato  in  esso. 
Tien  sublime  la  fronte,  alte  le  ciglia. 
Sol  per  mirar  quel  ciel  che  l'assomiglia. 

1^  distinto  in  tre  parti  il  maggior  mondo, 
L' una  è  dei  sommi  Dei,  che  In  alto  stassl. 
Delle  sfere  rotanti  hanno  11  secondo 
Loco  le  belle  e  ben  disposte  classi. 
Ritien  r  ultimo  sito  e  più  profondo 
La  region  degli  clementi  bassi. 
E  quest'  altro  minor  che  ha  spirti  e  sensi. 
Ben  di  proporzion  seco  conviensl. 

Sostien  la  vece  del  sovran  Motore 
Nel  capo  eccelso  la  virtù,  che  Intende, 
Stassi  a  guisa  di  Sol  nel  mezzo  il  core. 
Lo  qual  per  tutto  il  suo  caler  distende. 
Il  ventre  nella  sede  inferiore 
Qual  corpo  subiunar,  varia  vicende. 
Così  Ingoverno  e  nutrimento  e  vita 
Questa  casa  animata  è  tripartita. 

Son  cinque  corpi  11  cielo  e  gli  elementi 
E  pur  dei  sensi  li  numero  è  si  fatto. 
L' orbe  stellato  di  bel  lumi  ardenti 
È  della  vista  un  naturai  ritratto. 
Son  poi  tra  lor  conformi  e  rispondenti 
L'udito  all'  acre,  ed  alla  terra  n  tatto. 
Né  par  che  meno  in  simpatia  risponda 
L*  odorato  alla  fiamma,  Il  gusto  all'  onda. 

Potea  ben  la  divina  Onnipotenza 
Con  queir  istesso  suo  benigno  zelo, 
Con  cui  pose  nell*  uom  tanta  eccellenza 
Donargli  ancora  Incorni itlbil  velo  ; 
E  di  quel  puro  fior  di  quinta  essenza , 
Onde  non  misto  è  fabbricato  il  cielo. 
Come  slmile  al  ciel  la  forma  veste, 
DI  materia  comporlo  anco  celeste. 

Ma  però  eh*  egli  a  specolare  é  nato, 
E  convien,  eh'  ogni  specie  in  lui  riluca, 
E  che  al  chiaro  intelletto ,  ond'  é  dotato, 
I  fantasmi  sensiblil  conduca. 
Non  dovea  d*  altra  tempra  esser  fonatto, 
Che  dell'  dementar,  benché  caduca. 
Per  fardi  quanto  Intende  e  quanto  sente« 
Prima  il  senso  capace  e  poi  la  mente. 


02 


MARINO. 


Di  lutto  11  bel  lavor,clie  con  tant'arte 
Orna  dell*  uomo  il  magistero  immenso, 
Sono  1  nervi  istromenti ,  onde  comparte 
Lo  spirto  ai  membri  il  movimentoe  il  sen- 
Altri  molli,  altri  duri,  in  ogni  parte  [so, 
Ciascuno  è  sempre  al  proprio  ufficio  inten- 
Kè  può  senz'essi  alcuno  atto  eseguire  [so, 
La  facoltà  del  moto,  o  del  sentire. 

Or  tratti  avante,  e  ne  vedrai  gli  effetti, 
E  dirai,  che  a  ragion  Vener  si  mosse 
A  far  che  il  loco  sacro  a'  suoi  diletti 
Dell*  esempio  del  tutto  esempio  fosse. 
Qui  tacette  Cillenlo,  e  con  tal  detti 
Dallo  stupore  il  giovane  riscosse , 
Che  dell'  orto  gioioso  era  in  quel  punto 
Già  del  primo  sogliare  entrato  e  giunto. 

Neil'  orto  in  cinque  portici  diviso 
Dan  cinque  porte  al  peregrin  1*  entrata, 
E  da  un  custode  in  su  la  soglia  assiso 
La  porta  d*  ogni  portico  è  guardata. 
S'entra  per  ogni  porta  in  paradiso 
Laddove  un  giardinetto  si  dilata , 
Talché  di  spazio  egual  tra  sé  micini 
Conlien  un  sol  giardin  cinque  giardini. 

Qnque  giardin  la  dilettosa  reggia 
Nelle  sue  cinque  torri  inclusi  abbraccia  « 
Sicché  da*  suoi  balcon  lunge  vagheggia 
Differente  un  giardin  per  ogni  faccia , 
Gonfine  un  muro,ognÌ  giardlnoombreggla. 
Che  stende  linea  in  fuor  di  mille  braccia. 
Questo  in  quadro  si  chiudere  in  mezzo  lassa 
Porte,  onde  1*  un  giardin  nell*  altro  passa. 

Giaacun  canton  de*  quattro  innanzi  spor- 
Una  torre  angolare  in  su  la  punta,     [gè 
E  la  quinta  tra  lor  nel  mezzo  sorge 
SI  che  oltre  il  muro  la  cornice  spunta  ; 
E,  come  dissi,  a  dritto  fil  si  scorge 
Torre  da  torre  egualmente  disgiunta; 
E  con  giusta  misura  arte  leggiadra 
Io  non  so  come,  ogni  giardino  inquadra. 

Della  porta  dei  portico  primiero, 
Che  è  di  cristallo  e  di  zaffir  contesta, 
Vivace  e  nobil  giovane  é  1*  usclero. 
Di  diverso  color  sparso  la  vesta. 
Un  avoltolo  in  pugno  ed  un  ceniero 
Si  tiene  a  pie  da  quella  parte  e  questa , 
Un  specchio  ha  innanzi,  e  nello  scudo  in- 
La  generosa,  cite  nel  Sol  s' affisa,    [elsa 


Ai  due  felici  amanti  immantinente 
Feccsi  incontro  il  giardinier  cortese, 
E  con  sembiante  affabile  e  ridente 
Adon  raccolse  e  per  la  mano  il  prese. 
Ben  venga,  disse,  il  vivo  Sole  ardente, 
Che  alla  nostra  reina  il  core  accese. 
Dritto  fia  ben,  che  degli  alberghi  nostri 
Nulla  si  celi  a  lui,  tutto  si  mostri. 

Dimmi  (al  nunzio  di  Giove  Adon  convcr- 
Dimmi,  disse,  ti  prego,  o  cara  scorta,  [so) 
Con  1*  animai  di  vaghe  macchie  asperso 
Che  vuoi  dir  questa  guardia  e  questa  por- 
Quel  famelico  augel,  quel  vetro  terso,  [ta? 
E  quel  vario  vestir  clie  cosa  importa? 
Suo  stranio  arnese  e  sua  sembianza  ignota 
Io  saprei  voientier  ciò  che  denota. 

Risponde  1*  altro  :  Le  più  degne  e  prime 
Parti  di  tutta  la  sensi bil  massa 
L*  occhio  siccome  principe  sublime 
In  gloria  eccede ,  in  nobiltà  trapassa , 
Che  posto  della  rocca  in  su  le  cime 
Ogni  membro  volgar  sotto  si  lassa, 
E  dove  li  tutto  regge  e  il  tutto  vede, 
Tra  la  plebe  de*  sensi  altero  siede. 

Slede  eminente,  e  di  ogni  senso  é  duce, 
E  certo  il  gran  Fattor  tale  il  compose , 
Che  é  tra  quelli  il  miglior,  si  per  la  luce , 
Che  é  tra  le  qualità  più  preziose, 
SI  per  la  tanta  e  tal,  che  ognor  produce, 
Varietà  di  colorate  cose , 
Si  per  lo  modo  ancor  spedito  e  presto 
Dell' operazion ,  che  intende  a  questo. 

Perché  senza  intervallo,  o  mutar  loco 
Giunge  in  istante  ogni  lontano  oggetto , 
Talché  negli  atti  suoi  si  scosta  poco 
Dalla  perfezion  dell'  intelletto  ; 
Onde  se  quel  viepiù  die  vento,  o  foco 
Rapido  e  vago,  occhio  dell*  alma  é  detto. 
Questo,  che  é  di  Natura  opra  si  bella, 
Intelletto  del  corpo  anco  si  appella. 

Perl*  occhio  passa  sol,  peri'  occhio  scen- 
Qualunque  Talma  immagine  riceve,  [de 
E  di  quanto  ella  vede  e  quanto  intende 
Quasi  l'obbligo  tutto  ali*  occhio  deve. 
Ù  occhio,  come  ape  suol  che  coglie  e  pren- 
I  più  soavi  fior  leggiadra  e  lieve ,  [de 
Scegliendo  il  bel  della  be\ik  che  scorge , 
Air  interno  censor  l'arreca  e  porge. 


L'ADONE. 


93 


Dalie  fonti  del  cerebro  natie, 
Onde  hanno  i  nervi  origine  e  radice , 
Un  soi  principio  per  diverse  vie 
Di  due  stretti  sentier  due  ilnee  elice. 
Quindi  del  tutto  esploratori  e  spie 
Traggono  gii  occhi  ogni  virtù  motrice; 
E  quindi  avvien  (come  per  prova  è  noto) 
Che  move  ambo  in  un  punto  un  stesso 

[moto. 
Lubrico  e  di  materia  umida  e  molle 
Questo  membro  divin  formò  Natura, 
Perchè  ciascuna  Impression ,  che  tolle , 
Possa  in  sé  ritener  sincera  e  pura. 
Perchè  volubil  sia,  donar  gli  voile 
Orblcolare  e  sferica  figura  ; 
Oltre  che  in  forma  tal  pu6  meglio  assai 
Franger  nel  centro  e  rintuzxare  1  rai. 

Gli  spirU  unisce  alla  pupilla  »  e  spira 
Dalla  gemina  sfera  il  raggio  vivo, 
Che  in  piramide  aguzza,  ovunque  il  gira 
Si  stende  fuor  del  circolo  visivo. 
La  specie  in  Unto  In  sé  di  quel  che  mira 
Ritrae  come  suo  l'ombra  o  specchio  o  rivo, 
Così  neli*  occhio»  mentre  il  guardo  vago 
Esce  dalla  potenza,  entra  T imago. 

Oh  quanto  studlo,oh  quanta  industria  mise 
Qui  l' eterno  Maestro  ;  oh  quante  accoglie 
Vene,  arterie,  membrane,  e  In  quante  gui- 
Sottili  aragne  e  dìlicale  spoglie.         [se 
Per  quanti  obliqui  muscoli  divise 
Passano  e  quinci  e  quindi  e  fila  e  foglie. 
Quante  corde  diverse  e  quanll  e  quali 
Versano  rocchio  ed  angoli  e  canali. 

Di  tuniche  e  d' umori  in  vaij  modi 
Havvi  contesto  un  lucido  volume. 
Ed  uva  e  corno,  e  con  più  reti  e  noti 
Vetro  insieme  congiunge,  acqua  ed  albu- 
Che  son  tutti  però  servi  e  custodi    [me. 
Del  crisullo,  onde  sol  procede  il  lume. 
Qascun  questo  difende  e  questo  aiuta, 
Organo  prlncipal  della  veduta. 

L*  immortai  Provvide nza  acciocché  espo- 
Sia  meno  ai  danni  dell'  offese  esterne,  [sto 
Gli  ha  dato  in  un  ricovero  riposto 
Sotto  Tarco  del  ciglio  ime  caverne. 
Per  siepi  e  propugnacoli  vi  ha  posto 
Palpebre  infaticabili  ed  eterne. 
Sol  perchè  il  batter  lor  continuo  e  ratto 
Dagli  umani  accidenti  il  serbi  intatto. 


Ed  a  guisa  di  Sole ,  acciocché  aprisse 
Emulo  all'altro,  al  plcdol  mondo  il  giorno, 
Quai  corona  di  raggi ,  anco  vi  affisse 
Sottilissime  sete  intorno  intorno. 
Nel  curvo  globo  1*  iride  descrisse , 
Che  ha  dì  smalti  celesti  un  fregio  adomo; 
E  temprati  di  limpidi  zaffiri 
Vi  dipinse  nel  mezzo  i  sommi  giri. 

Questi  dell*  alma  son  balconi  e  porte, 
Indici  Adi ,  oracoli  veraci , 
Delia  dubbia  ragion  sicure  scorte 
E  dell*  oscura  mente  accese  faci. 
Son  lingue  del  pensler  pronte  ed  accorte, 
E  del  muto  desir  messi  loquaci  ; 
Geroglifici  e  libri,  ove  altri  potè 
De'  secreti  del  cor  legger  le  note. 

Vivi  specchi  sereni ,  onde  traspare 
Quanto  il  cupo  del  petto  in  sé  ristringe , 
E  dove  in  guise  manifeste  e  chiare 
Ogni  suo  affetto  V  anima  dipinge. 

I  ridenti  piacer,  le  doglie  amare 

Vi  scopre,  or  d' ira ,  or  di  pietà  gli  tinge  ; 
E  (ciò  che  è  più)  visibilmente  In  essi 
Son  del  foco  d*  Amor  gì'  incendi  espressi. 

E  porcile  il  primo  strai,  che  avventi  l'arco 
Di  queir  alato  arcier»  dagli  occhi  viene , 
Per  questo  II  primo  grado,  il  primo  varco 
Del  Giardino  d' Amor  la  vista  ottiene. 
Quinci  potrai,  gift  d'ogni  dubbio  scarco, 

II  mistero ,  cred'  io ,  comprender  bene 
Del  ministro  gentil ,  che  guarda  11  vallo. 
Degli  augei ,  della  fera  e  del  cristallo. 

Ciò  detto,  per  incognito  sentiero 
Laddove  altrui  vestigio  il  suol  non  serba, 
Ma  serba  il  prato  entro  li  suo  grembo  iute- 
InUtto  il  fior,  inviolata  l'erba.  [ro 

Colà  dentro  lo  scorge,  ove  al  verziero 
Fa  corona  il  gran  muro  alta  e  superba , 
E  di  pietre  sì  lucide  la  tesse , 
Che  tutto  il  bel  Glardinsì  specchia  in  esse. 

Per  lungo  tratto  a  guisa  di  corona 
Da  ciascun  fianco  il  bel  Giardin  si  spande. 
Dove  in  ogni  staglon  Flora  e  Pomona 
Guidano  danze  e  trecciano  ghirlande. 
11  muro  prlncipal ,  che  le  imprigiona , 
Tetto  ricopre  a  meraviglia  grande, 
Sostenuto  da  un  ordhie  leggiadro 
i  D' alte  colonne  e  compartito  in  quadro. 


94 


MARINO. 


Da  quattro  gallerie  per  quattro  grate , 
Cbe  cancel  li  han  d' or  fio,  s' esce  negli  orti, 
DoTC  iMrendono  ognor  schiere  beate 
Di  Ninfe  e  di  pastor  varj  diporti, 
E  passando  in  piaceri  un'  aurea  etate. 
Fanno  giochi  tra  lor  di  tante  sorti. 
Quante  suol  forse  cclcbrarae  appena 
Nelle  vigilie  sue  la  beila  Siena. 

Forman  parte  di  lor,  sedendo  sotto 
Gran  tribuna  di  fronde,  un  cerchio  lieto, 
E  r  un  all'  altro  susurrando  un  motto 
Dentro  l'orecchie  taciturno  e  cheto, 
De'  suoi  chiusi  pensier  non  Interrotto 
Scopre  a  chi  più  gli  piace  ogni  secreto. 
Con  questa  invenzion  chieste  e  concesse 
Si  patteggian  d' Àjnor  varie  promesse. 

Parte  in  gioco  più  strano  e  più  diverso 
Dispensano  del  di  l'ore  serene. 
Nel  molle  grembo  il  capo  in  giù  converso 
Vaga  donzella  d' un  garzon  si  tiene. 
Qascun  altro  la  man ,  eh'  egli  a  traverso 
Dopo  il  tergo  rivolge,  a  batter  viene , 
Né  solleva  ei  giammai  la  testa  china. 
Sé  chi  battuto  1'  ha  non  indovina. 

Odesl  di  lontan  scoppio  di  riso. 
Quando  per  legge  di  colui  die  regna. 
Di  bella  NinCa  perdilrice  il  viso. 
Che  in  foco  avvampa,  col  carbon  si  segna. 
Altri  più  dolci  e  con  più  saggio  avviso 
Trar  dal  trionfo  suo  spoglie  s' ingegna. 
Che  con  un  bado  in  bocca,  o  su  la  gota 
Vuol  che  il  perduto  pegno  ella  riscota. 

Chi  con  le  carte  effigiate  in  mano 
Prova  quanto  Fortuna  in  terra  possa; 
Chi  le  corna  agitate  in  picdoi  piano 
Fa  ribalzar  delie  volubll  ossa; 
Chi  con  maglio  leggier  nuinda  lontano 
L' eburnea  palla  ad  otturar  la  fossa  ; 
Chi  poiché  dal  cannel  le  sorti  ha  tratte, 
Sul  tavolier  le  tavole  ribatte. 

Van  le  vergini  bella  a  schiera  spvte 
Scalze  il  pie,  scinte  il  seno  e  adulte  ilcrìae, 
Rozza  inooltura  in  lor,  bdià  sena'  arie 
Fa  dell'  aaime  altrui  maggior  rapino. 
Parte  per  l' erba  va  scherzando,  e  parla 
Tra  le  linfe  argentale  e  crisulhne» 
Parte  coglie  viole  ed  amaranti 
Per  iarae  dono  ai  fortunati  amanti. 


Quella  danza  tra'  flor,  questa  incorona 
Di  rose  il  crine  al  iavorito  amico. 
Questi  canta  d' Amor,  quegli  ragiona 
Con  la  sua  donna  in  un  boschetto  aprico. 
Alcun  ve  n'  ha,  che  scritto  In  Elicona 
Liegge  amoroso  alcun  romanzo  antico, 
E  i  versi  espone  in  guisa  tal ,  che  quasi 
Sotto  gii  esempi  altrui  narra  i  suoi  casi. 

Altri  nd  cavrìol  rapido  e  anello 
Al  vdooe  levrler  la  lassa  allenta. 
Altri  da'  geti  sdolto,  e  dal  cappello 
Contro  la  garza  il  girifalco  avventa. 
Altri  più  lieve  e  più  minuto  augello 
Con  più  sottile  insidia  ingannar  tenta , 
Tendendo,  acdocché  preso  d  vi  rimagna. 
Pania  tenace ,  o  dllkata  aragnt. 

Né  vi  manca  però  fra  qoe'  diletti 
Chi  nel  margo  palustre ,  ove  si  giace 
Col  cane  assaglia ,  o  con  lo  strai  saetti 
Anitra  opima,  o  follga  loquace; 
Né  chi  con  nasse  e  vangaiuole  alletti 
La  trota  pigra  e  li  carplon  fugace  ; 
Né  chi  tragga  daH' acque  a  cento  a  cento. 
Orate  d*  oro  e  cefali  d*  argento. 

Mentre  sotto  quel  del ,  che  Soli ,  o  piogge 
Non  tenie,  arda  quantunque,  o  geli  l' anno. 
Tra  tali  e  tante  feste  In  tante  fogge 
Le  brigate  piacevoli  si  stanno; 
Adone  e  Citerea  per  l'ampie  logge 
Lastricate  di  gemme ,  intorno  vanno 
Mirando  pur  di  quei  dipinti  chiostri 
L' artificio  smarrito  a'  giorni  nostri. 

Da  tutti  quattro  I  lati  in  ogni  parte 
Il  muro  a  varie  immagini  é  dipinto , 
Ciò  che  fav<oÌeggiar  l' antiche  carte 
Degli  amori  odestl ,  In  esso  é  finto. 
Q'  innamonti  Dd  ffiirabil  arte     [vinto. 
Vi  ombreggiò  sì,  che  II  ver  dall'ombra  è 
E  benché  tutti  muti  abbian  le  lingue. 
Il  silenzio  e  il  parlar  vi  si  distingue. 


Non  mù  già  «orrottlbill  colori , 
Che  le  lieile  igurc  han  colorite. 
Misture  tali  incognite  a'  pittori 
Da  madoa  mortai  non  fur  mai  trite. 
Son  quinte  essenze  diimiciic  e  hoorl 
Di  gemme  a  lento  foco  hitenerite , 
Minerali  stillati ,  le  cui  tempre 
Mai  nnnperdon  vivezza,  e  duran  sempre. 


L'ADONE. 


95 


Se  sa  perfetu  gniM,  auur  il  fino 
Avesse  alcuno  artefice  moderno^ 
Ben  vi  ha  tal,  che  porla  col  legno  •  il  lino 
Par  al  secol  migliore  ingiuria  e  achemo. 
Del  secondo  miracolo  d*  Alpino 
Quanto  fora  più  chiaro  il  nome  eterno) 
Dico  di  lui ,  che  con  la  man  far  suole 
Quel  die  T  altro  facea  con  le  parole. 

Il  ligustico  Apello,  il  Paggi  vanto 
Sommo  e  splendor  della  città  di  Gianoi 
Quanto  di  gloria  accrescerebbe,  oh  quanto 
Alle  latiche  della  nobll  mano. 
Il  mio  Castel  «  che  del  conquisto  santo 
Fregia  le  carte  ai  gran  Cantor  toscano, 
Lasceria  forse  de'  suoi  stwy  illustri 
Viepiù  jalde  memorie  a  mille  lustri. 

£  tu  Michel ,  di  Caravaggio  onore, 
Per  cui  dei  ver  più  bella  è  la  menaogna , 
Mentre  che  creator  più  che  pittore. 
Con  angelica  man  gli  fai  vergogna. 
E  voi  Spada  e  Valesio,  il  aii  valore 
Fa  de'  suoi  figli  insuperbir  Bologna  ; 
E  voi ,  per  cui  Mtlan  pareggia  Urbino, 
Morraatone  e  Serrano  e  Procaccino. 

E  tu ,  cbe  col  pennel  vinci  gì'  intagli , 
E  i  due  vicini  si  fiunori  e  noti 
Di  Verona  e  Cader  non  pur  agguagli 
Palma ,  ma  lor  di  man  la  palma  scuoti. 
E  tu  Baglion ,  che  con  la  luce  abbagli 
DeU*ombre  tue,  ciie  iian  sensi  e  spirti  e  mo- 
Con  assai  più  lodate  opre  e  pitture      [ti 
A^Tcste ,  onde  arricchir  l' età  f utmv. 

E  voi  Bronalno  e  Paaslgnan  per  cui 
Il  prodigio  tebano  Amo  rivede. 
Poiché  gemino  lume ,  e  quasi  dui 
Novi  Soli  d*onor  vi  ammira  e  crede. 
Caraccio  a  Febo  caro,  e  tu  con  Ini 
Rem,  onde  il  maggior  Reno  all'altro  cede, 
Alcun  non  temeila  che  fusser  poi 
Cancellati  dagli  anni  1  lavor  svoL 

A  conlempUr  la  loggia  e  la  paretft 
li  porder  del  giardino  Adeoe  taivita , 
ìM  mole  poesie,  d'istorie  Mele 
Immaginata  tutta  e  colorita; 
E  del  Cndul  daii'  arco  e  dalla  rete, 
I  dolci  eflètti  ad  on  ad  un  gli  addita. 
Divisandogli  a  bocca  or  quelli,  or  qnntl 
Furtivi  «mori  degU  eroi  celesti. 


Vedi  Giove ,  dlcea ,  là  've  si  aduna 
Schiera  dì  verghielle  ir  con  l'armento. 
Vedi  che  scherza,  e  la  superba  Luna 
Crolla  del  capo,  e  sfida  a  giostra  il  vento. 
Tutto  candido  il  pel ,  la  fronte  ha  brma , 
Dov'in  meisoblancheggia  unsol  d'argento. 
Già  auggir  sembra,e  sembra  al  suo  mng^ 
Muggir  ia  valle  intorno  intomo  e  il  ilio,  [to 

Alta  Mnfa  gentil,  che  varie  appresta 
Trecce  di  fiori  alle  sue  trecce  d'oro. 
Si  avvicina  pian  plano,  e  della  vesta 
Umll  le  bacia  il  vago  lembo  il  toro. 
Ella  il  veneggla  e  ìntesse  all'aspra  testa 
Di  catenate  rose  alto  lavoro. 
Ed  egli  inginocchion  le  terga  abbassa 
E  dalla  bella  man  palpar  si  lassa. 

Sovra  gli  monta  la  doniella  ardita , 
Quei  prende  alior  per  entro  l'acque  11  corso 
E  si  aen  porta  lei,  che  sbigottita 
Volgeal  a  tergo  e  Invan  chiede  soccorso. 
Cogliesi  tutta,  e  tutta  in  so  romita  [so. 
L'una  man  stende  al  corno  e  l'altra  al  dor- 
Sul  mar  piovono  I  fior  nel  grembo  accolti, 
Scherzano  1  biondi  crini  all' aurtf  sciolti. 

Solca  la  giovinetta  11  salso  regno 
Sparsa  il  volto  di  neve,  il  cor  di  gelo. 
Quasi  stanco  nocchiero  II  fragll  legno, 
li  tauro  è  nave,  e  gli  fa  vela  II  velo. 
Van  guinando  i  delfini,  e  lieto  segno 
Fanno  di  fesu  al  gran  Rettor  del  cielo. 
Ridendo  Amor  superbamente  il  mira 
Quasi  per  scherno,  e  perle  corna  il  tira. 

Le  sconsolate  e  vedove  coBpngne 
In  auo  di  pietà  stanno  In  sol  lido. 
Additando  la  vergine  che  piagne, 
Credula,  ahi  troppo,  al  predatore  Infido. 
Par  che  di  lor,  per  poggi  e  per  campagne 
Europa,  ove  ne  vai?  risoni  il  grido. 
Par  che  l'arena  Intorno,  e  l'aura  e  l'onda 
Europa,  ove  ne  vai  T  mesta  risponda. 

Eecol  vestito  di  eannte  pinne 
A  bella  donna  intomo  altrove  il  miri 
Qnal  di  caistro,  di  meandro  ai  flnme, 
Rotar  volando  in  spaziosi  girl, 
E  gorgogliar  sovra  il  mortai  costome 
Canori  pianti  e  mosld  sospiri. 
Temer  del  proprio  folgore  il  baleno, 
I  Btonporre  11  s«o  nido  entro  II  bel  8W0. 


96 


MARINO. 


Ecco  d'anfitrlon  prender  la  forma,       { 
E  la  casta  moglier  schernir  si  vede. 
Ecco  satiro  poi  pasce  la  torma 
Con  eorna  in  testa,  e  con  caprigno  piede. 
Edo  due  volte  in  aquila  trasforma 
La  spoglia,  inteso  a  due  leggiadre  prede. 
JEcfio  converso  in  foco  arde  e  sfavilla. 
Ecco  in  grandine  d' or  si  strugge  e  stilla. 

Vedi  lo  scherni tor  dell'aureo  strale, 
Lo  iHo,  che  della  luce  è  tesoriero, 
A  cui  deirarli  mediche  non  vale. 
Né  dell'erbe  salubri  aver  l' impero, 
SI  che  profonda  al  cor  piaga  mortale 
Non  porti  alfin  dallo  sprezzato  arderò. 
Ecco  gì' incende  11  cor  d'ardente  face 
La  bella  di  Penco  figlia  fugace. 

Ed  ecco  mentre  l'amorosa  traccia 
Segue  anelante  e  giungerla  si  sforza. 
Degli  occhi  amati  e  dell'amata  faccia 
Repentino  rigor  la  luce  ammorza. 
Fansi  radici  i  pie,  rami  le  braccia. 
Imprigiona  1  bei  membri  ispida  scorza. 
Gode  egli  almen  le  sue  dorate  e  bionde 
Chiome  fregiar  delle  già  chiome,or  fronde. 

Volgili  poscia  al  vecchìarel  Saturno, 
Tutto  voto  di  sangue  e  carco  di  anni, 
Come  invaghito  di  un  bel  viso  eburno 
In  forma  di  destrier  la  moglie  inganni. 
Mira  quel  dal  cappello  e  dal  coturno. 
Che  ha  nel  coturno  e  nel  cappello  i  vanni  : 
Quegli  è  il  corricr  di  Giove  e  in  terra  scen- 
di è  della  Ninfa  maura  amor  l'accende,  [de, 

Pon  mente  là,  dove  la  notte  ha  stese 
L'ombre  tacite  intorno  e  il  mondo  Imbru- 
Come  per  disfogar  sue  voglie  accese,  [na. 
Le  due  disciolle  treccie  accolte  in  una. 
Si  reca  in  braccio  placida  e  cortese 
Al  vago  suo  l'innamorata  Luna, 
E  fra  i  poggi  di  Latmo  al  suo  pastore 
Addormenta  le  luci  e  sveglia  il  core. 

Mira  il  selvaggio  Dio  non  iunge  molto 
Che  uscito  fuor  di  una  spelonca  vecchia. 
Di  verdi  salci  e  fresche  canne  avvolto 
Le  coma,  i  crini  e  l'una  e  l'altra  orecchia, 
Al  elei  leva  le  luci,  e  nel  bel  volto 
Della  candida  Dea  si  affisa  e  specchia, 
E  par  la  preghi  in  sì  pietosi  modi. 
Che  vi  scorgi  il  pensier,  la  voce  n'odi. 


L' argentata  del  elei  luce  sovrana 
Deposta  alfin  la  lusingata  Diva, 
Alle  promesse  della  bianca  lana 
Dal  suo  chiaro  balcon  scender  non  schiva, 
VediU  (or  chi  dirà  che  sia  Diana?) 
Gol  rozzo  amante  in  solitaria  riva, 
E  in  vece  di  lassù  guidar  le  stelle, 
Sul  frondoso  liceo  tonder  l'agoeUe. 

Poi  vedi  Endimion  dall'  altro  lato 
Quindi  avvampar  d' un  amoroso  sdegno, 
E  col  capo  e  col  dito  il  Nume  amato 
Di  rampognar,  di  minacciar  fa  segno. 
Perfida  (par  le  dica  in  vista  Irato) , 
Perfida,  or  che  non  celi  11  lume  indegno  ? 
Perfida,  avara  e  disleale  amante. 
Più  volubil  nel  cor,  che  nel  sembiante. 

Della  fiamma  gentil  che  nel  mar  nacque. 
Ecco  poscia  arde  il  mare,  arde  l' inferno. 
Arder  quel  Dio  si  vede  In  mezzo  1*  acque. 
Che  dell'acque  e  del  mar  volge  il  governo. 
Arde  per  la  beltà  che  sì  gli  piacque 
Il  tiranno  crudei  dell'odio  etemo. 
Strugge  ardore  amoroso  il  cor  severo, 
A  quel  signor  che  ha  degli  ardori  impero. 

Sì  dice  r  un,  l'altro  gli  sguardi  e  l'orme 
Alle  mura  superbe  intento  gira, 
E  mentre  queste  ed  altre  illustri  forme. 
Di  cui  son  tutte  effigiate,  ammira. 
Sembra,  nò  sa  s'ei  veglia,  oppur  se  dorme. 
Statua  animata,  immagine  che  spira. 
Anzi  piuttosto  un'insensata  e  fìnta 
Tra  figure  spiranti  ombra  dipinta. 

Non  vi  è  dipinta  di  Ciprigna  e  Marte 
L'istoria  oscena  troppo  ed  impudica. 
Perchè  il  zoppo  marito  il  fece  ad  arte. 
Di  cui  fur  quelle  volle  opra  e  fatica  ; 
E  celar  volse  le  vergogne  in  parte 
Del  fiero  amante  e  della  bella  amica. 
Per  non  rinnovellar  l' onta  del  due, 
E  nelle  gioie  ior  l'ingiurie  sue. 

Sotto  quest'  archi,  in  queste  logge  ombro- 
Che  volte  han  le  facciate  alla  verdura,  [se. 
Onde  il  Glardin  le  chiome  sue  frondose 
Può  vagheggiar  nelle  lucenti  mura, 
Specolando  l' immagini  amorose 
Stassene  Adon  dell'  immortai  pittura , 
Mentre  colui  del  Sagittario  cieco 
Va  passo  passo  ragionando  seco. 


L'ADONE. 


07 


Venere  attor  cod  gli  dice  :  0  eaura 
Delliia  del  ndo  cor,  dolce  diletto, 
Deh  del  begli  occhi  tuoi  la  luce  chiara 
Tanto  ornai  non  occupi  un  finto  oggetto, 
Che  de*  suol  raggfr  usurpatrice  avara 
Parte  a  me  neghi  del  bramato  aspetto. 
Lasciach'lo  possa  almeno  il  foco  ond'ardo. 
Sorbir  con  fl^i  occhi  e  depredar  col  guardo. 

Non  dee  la  vista  tua  fermarsi  in  cose. 
Che  slen  di  te  men  peregrine  e  belle. 
Vedi  che  fai  dolenti  e  tenebrose 
A  disagio  per  te  languirle  stelle. 
Non  tener  più  le  luci  al  Sole  ascose , 
Le  lud  emule  al  Sol ,  del  Sol  gemelle. 
Se  pitture  vuoi  pur;  vero  e  non  finto 
Mira  te  stesso  In  questo  sen  dipinto. 

Qui  tace,  ed  ecco  per  1*  erbosa  chiostra 
Da  lor  non  lunge,  emulator  del  prato, 
Fa  di  sé  stesso  ambiziosa  mostra 
L' occhiuto  augel  di  più  color  fregiato; 
E  del  bel  lembo  che  s*  indora  e  inostra 
Di  fiori  incorrottibili  gemmato; 
Dilettoso  spettacolo  a  chi  il  mira. 
Un  più  vago  glardin  dietro  si  tira. 

Per  ventura  in  quel  punto  appunto  awen- 
Cfae  alle  leggiadre  sue  spoglie  diverse   [ne 
La  Ì>eUa  coppia  si  rivolse,  e  tenne 
Per  vaghezia  le  lud  in  lui  converse. 
Ond'^1  allor  delle  sue  ricche  penne 
Il  superbo  gemmato  in  giro  aperse. 
Ed  allargò,  quasi  corona  altera. 
De' suol  tanti  occhi  la  stellata  sfera. 

Di  quest' augel  pomposo  e  vaneggiante 
(Disse  Venere  allor) parla  ciascuno. 
Dicon  eh '  ei  fa pastor,  che  in  tal  sembiante 
Cangiò  la  forma,  e  cosi  crede  alcuno. 
Che  la  giovenca  dell' infido  amante 
A  gnardar  con  cent'  occhi  li  pose  Giono  ; 
E  che  quantunque  a  vigilare  accorto. 
Fu  da  Mercurio  addormentato  e  morto. 

Contan  che  gii  occhi,  onde  sen  giva  alte- 
Nelie  piume  gli  alHsse  ancor  Giunone;  [ro. 
Ed  è  voce  voigar,  che  il  suo  primiero 
Nome  fusse  Argo,  il  qual  fu  poi  pavone. 
Or  della  cosa  io  vo' narrarti  il  vero. 
Diverso  assai  da  questa  opinione. 
Gli  umani  ingegni  quando  più  non  sanno. 
Favole  tali  ad  inventar  si  danno. 


Era  questi  un  garzon  superbo  e  vano. 
Tutto  di  amblzion  coimo  la  m«nte  ; 
Cameriero  d' Apollo  e  cortigiano  ^     -^ 
Che  l'amò  molto,  e  il  favorì  sovente.  |pK) 
Amor  che  anch'egli  è  pien  di  orgogllof  nsa- 
Ferlgli  il  cor  con  aureo  strai  pungtnte. 
Facendo  dai  begli  occhi  usdr  la  plagi 
Di  una  donzella  mia  vezzosa  e  vaga. 

Colomba  detta  fu  questa  donzella. 
La  qual  vedere  ancor  potrai  qui  forse. 
Che  fu  pure  in  augel  mutata  anch'olla  ; 
Ma  per  altra  cagion  questo  gli  occorse. 
Pavon  si  nominò,  pavon  si  appella 
Costui,  che  amando  in  folle  audada  sorse. 
Sebbene  altro  di  lui  dice  la  fama, 
Pavon  chiamossi,  ed  or  pavon  si  chiama. 

Oltre  che  di  bei  drappi  e  vestimenti 
Si  dilettava  assai  per  sua  natura. 
Per  farsi  grato  a  lei  nel  suol  tormenti 
Si  abbetlla,  si  arricchiacoa  mag^or  cura. 
Pompe,  fogge,  livree,  fregi,  ornamenti, 
Variando  ogni  di  fuor  di  misura, 
Facea  vedersi  in  sontuosa  vesta      [tesla. 
Con  gemme  intorno  e  con  piumaggi  in 

Con  tutto  ciò  da  lei  sempre  negletto 
Senza  speme  languia  tra  pene  e  doglie. 
Perchè  discorde  l'un  dall'altro  petto 
Di  qualità  contraria  avean  le  voglie. 
Tutto  era  fasto  e  gloria  il  giovinetto 
Nei  pensieri,  negli  atti  e  nelle  spoglie. 
L'altra  costumi  avea  dolci  ed  umili , 
Mansueti,  piacevoli  e  gentili. 

La  servla,  la  seguia  fuor  di  speranza 
Con  sospir  caldi  e  con  preghiere  spesse  : 
E  perchè,  come  pien  d' aita  arroganza. 
Pensava  di  poter  quanto  volesse, 
Ragionandole  un  di  prese  baldanza 
Di  farie  troppo  prodighe  promesse. 
Tutto  gli  ofl'rì  ciò  che  bramasse  al  mondo 
Dal  sommo  giro  al  baratro  profondo. 

Poiché  tanto ,  diss'elia,  osi  e  presumi. 
Voglio  accettar  la  tua  cortese  offerta, 
E  dd  foco  onde  avvampi  e  ti  consumi , 
Giovami  di  veder  prova  più  certa. 
Recami  alquanti  dei  edesti  lumi. 
Se  vuoi  purché  ad  amarti  io  mi  converta. 
Se  servigio  vuoi  far  che  mi  contenti , 
Dette  stelle  del  cido  aver  convienti. 

S 


«8 


MARINO. 


GrftBde  impresa  fla  ben  quel  eh'ioti  chieg- 
NondUfctteateseardirBeivnif     [gio 
Poiché  presso  colui  tieoi  ti  tuo  seggio. 
Ohe  le  raccende  eoo  gli  aurati  nL 
Qualora  scintillar  lassù  le  Teggio 
DI  laau  iaoe,  io  mi  oompiatdo  aand 
E  feramo  alcuna  in  mano  aTer  di  loro. 
Sol  per  saper  se  son  di  foco  o  d'oro. 

'  0  volesse  fo^iglr  con  qncsta  scasa 
Quell'assalto  taportuo  che  egli  le  diede, 
O  tose  per  mm  esserne  delosn 
Esperiensa  far  della  sua  fede, 
0  perchè  pur  la  feannhia  è  sempre  usa 
Ingorda  a  desiar  dò  che  ella>ede. 
Ed  IndiscreU  altrui  prega  e  comanda, 
fi  le  cose  Impossibili  dimanda; 

Basu,  ch^cgli  in  TirtA  di  tal  parole 
Ogni  suo  sfono  a  cotant'opra  accinse. 
Aspettò  incbè  il  dei  (  siccome  suole  ) 
Di  purpureo  color  l' alba  dipinse  ; 
Ed  egli  usdto  in  compagnia  del  Sole, 
Che  la  lampa  minor  sorgendo  estinse. 
Atte  luci  notturne  e  mattutine 
Aooostossi  per  far  l' alte  rapine. 

Su  mio  cor,  dlcea  seco^andianoe  audaci 
L'oro  a  rubar  dd  bel  tesor  edeste, 
Che  un  raggio  sol  di  due  terrene  foci 
Val  più  che  iosplendm*  di  tutte  queste. 
Di  stender  non  temiam  le  man  rapad 
Nelle  gemme  che  alctd  fregia  la  veste, 
Purdiè  in  cambio  dd  furto  abWan  poi  qod- 
Delle  stelle  e  dd  Sol  più  chiare  stdie.  [le 

Orbe  del  lume  e  ddla  scorta  prive, 
Fugglan  le  stelle  in  varie  schiere  accolte. 
E  siccome  talor  per  V  ombre  estive 
Quando  Tarla  è  serena,  awien  più  volte  ; 
Sbigotate,  tremanti  e  fogi^tive 
Per  fretta  nd  fuggir  ne  cadeau  molte. 
Pavone  allora  U  suo  mantel distese. 
Ed  un  groppo  nd  lembo  alfin  ne  prese. 

iiiove  che  vide  il  forsennato  e  sciocco 
Giovane  depredar  l'auree  fiammelle, 
Sdegnossi  forte^  e  da  grand' ira  tocco 
Gli  trasformò  repente  abito  e  peile. 
L'orgoglioso  chnier  divenne  un  flocco, 
fi  nella  falda  gli  restar  le  stelle. 
Febo  die  pietà  n'ebbe,  e  l'amò  tanto. 
Per  jempre  poi  gilde  stampò  nd  mutD. 


Del  ddo  r  ambidosa  imperatrice 
Tosto  che  vide  il  non  più  visto  augello , 
Che  11  pregio  quasi  to^  alla  fenice, 
Il  voUibil  suo  carro  ornò  di  quello. 
Poi  le  penne  gii  svelse,  e  fu  Inventrice 
Di  un  istrumento  insieme  utile  e  bdlo , 
Onde  die  mense  estive  barn  le  sue  serve 
Gora  ti'  IntepMtar  l' aura  che  ferve. 

Ed  io,  che  soglio  ognorqoalunqne  imago 
Scacciar  dagli  orti  miei  difforme  e  trisu. 
Di  averlo  ammesso  qui  godo  emiappago. 
Che  graaiia  il  loco  e  nobiltà  ne  acquista. 
Perchè  natura  In  terra  angd  più  vago 
Non  credo,  che  oflerir  possa  atta  vista. 
Né  so  cosa  trorar  fra  quanti  oggetti 
Invaghiscano  altrui,  che  più  diletti. 

Vedilo  là,  che  a' più  bd  fior  fa  scorno, 
E  ben  d' dtra  pittura  i  chiostri  onora. 
Con  quanta  maestà  rotando  intorno 
DI  mlnbil  ghirlanda  il  palco  infiora? 
Perchè  crediam,  che  si  d  mostri  adorno, 
Se  non  per  allettar  chi  t'Innamora  1 
E  per  aprire  dia  beltà,  che  roille 
Fiamme  gli  avventa  deor,  cento  pupille  ? 

Or  che  far  dee,  dolcissimo  ben  mio. 
Gentil  petto,  alto  core  e  nobil  voglia  ? 
Qual  da  si  dolce  universal  desio 
Anima  sia,  diesi  ritragga  o  sdoglia? 
Ma  che  mirar?  ma  che  curar  degg'fo 
Del  bel  pavon  la  ben  diphiu  spoglia, 
S'aprono  agli  occhi  miei  le  tue  belieaae 
Altri  fregi,  dtre  pompe,  altre  riochezie  ? 

Cosi  ragiona,  e  seco  11  trae  pian  piano 
Dove  aU'  altr*  uscio  il  guardian  V  aspetu. 
Che  con  bd  fasci  di  fioretti  in  mano, 
E  varie  ampolle  di  profumi  dielta. 
Garzon  verde  vestito,  e  non  lontano 
Esplorator  della  fiorita  erlMtta, 
Scaltro  Seguso  e  d' odorato  acato. 
Tutto  dovunque  va  cerca  od  finto. 

Inestinguibilmente  a  pie  gH  bdle 
Infuso  un  misto  d'odorate  cose. 
Con  sangue  di  colombe  e  con  midolle 
Di  passere  stemprò  liquide  rose, 
E  col  puro  storace  e  l'ambra  molle 
Il  muschio  dentro  e  l'doè  vi  pose. 
Vi  ha  di  Cirene  II  bdgidn  naUo, 
li  dfo  egiilo  e  il  mastice  di  Chic. 


L' ADONE. 


99 


Vista  costui  da  lunga  avea  la  bella 
Coppia,  elle  agli  orti  suoi  Torme  volgea. 
Onde  subito  a  sé  Zefflro  appella. 
Che  in  cunra  valle  e  florida  sedea. 
0  geoltor  della  stagion  novella , 
INce ,  vago  forier  di  Citerea , 
Che  OOQ  volo  lascivo  e  lieve  fiato 
Pamrggiintlft  il  mio  cielo  infiori  il  prato; 

Non  vedi  tu  la  graziosa  prole 
Del  gran  Molor,  cbe  su  le  stelle  regna , 
Come  col  vivo  suo  terreno  S<rie 
Le  nostre  case  d' onorar  si  degna  ? 
Su  su ,  studio  a  raceorla  usar  si  vuole. 
Tu  tanta  Dea  d'accarezsar  t'Ingegna. 
Con  la  virtù,  cbe  da'  tuoi  semi  avranno, 
figU  la  Terra,  e  pargoleggi  l' anno. 

Quanto  esalan  di  grato  Itala  e  Pancata, 
Quanto  l' Idaspe  di  loatan  ne  spira. 
Quanto  ne  accoglie  giunto  alla  veccbiata 
L*  arabo  augel  nell'  odorata  pira , 
Tutto  qui  spargi ,  acciocché  degno  appaia 
Di  lei  ciò  cbe  ella  sente  e  ciò  che  mira. 
Fu  che  animate  di  fiorita  messe 
Godan  dd  tuo  £ivor  le  selci  Istesse^ 

Tutto  p^  questi  plani  e  questi  poggi 
Prodigo  il  tuo  tesor  dìflondi  e  sdogli, 
E  qual  rupe  più  sterile  fa  che  oggi 
Ai  tuoi  iecondi  spiriti  germogli; 
Onde  non  che  ella  votentìer  vi  alloggi , 
Ma  di  ordirvi  gbirlaode  anco  s'invogli, 
E  i  nostri  fior  da  quei  celesti  diti 
Possano  meritar  di  esser  carpiti. 

Scale  a  quel  dir  le  piume  a  pUk  colori 
Tutto  di  finesco  nettare  sdUante 
Della  veuosa  e  leggiadretta  Glori 
Sorto  dal  seggio  suo,  l' alato  amante  ; 
dori  Nin£i  de' prati  e  Dea  de*  fiori. 
De'  lidi  canopei  grata  abitante. 
Spargendo  fior  dalla  purpurea  scola 
Sempre  II  segue  costei ,  dovunque  el  vola. 

La  gooM ,  die  la  eopre ,  è  tutta  ordita 
Di  un  drappo,  cbesl cangia  ad  ora  ad  ora. 
Dett' augel  di  Ciprigna  11  colio  imita 
Quando  ai  raggi  del  Sol  si  trascoioriL 
Di  dmB  manto  comparir  vesdta 
Suole  agli  occhi  di  Aprii  la  bella  Flora. 
1U  fra  F  umide  nuM  II  curvo  ^lo 
Spande  alle  prime  ploggte  Iride  fai  delo. 


Volano  a  prova,  e  con  discioiti  lembi 
Scorron  del  del  le  spaiioae  strade. 
Nubi  accoglie  quel  elei ,  gravide  i  grembi 
Di  fitti  unguenti  e  di  ottime  rugiade. 
Onde  r  umor  soave  in  puri  nembi 
Da  quel  placidi  soffi  espresso  cade. 
Cade  suil'  ertia ,  e  fiocca  in  larga  vena 
Di  aromatld  odor  pioggia  serena. 

Ciò  fatto,  d  precursore,  dia  seguace 
L' ali  battendo  rugiadose  e  molli. 
Fan  maritate  con  l' umor  ferace 
Le  glebe  partorir  nuori  rampolli. 
Si  allarga  1*  aria  in  un  seren  vivace , 
E  fioreggiano  hitomo  i  campi  e  i  colli. 
Vedresti,  ovunque  vanno,  in  mille  guise 
Primavera  spiei^r  le  sue  divise. 

Tornano  al  copular  di  due  stagioni 
I  secchi  dumi  con  stupor  vermigli. 
Sbucciano  fuor  de'  gravidi  bottoni 
Ddle  madri  spinose  1  lieti  figli. 
Ricca  la  terra  di  celesti  doni 
Par  che  all'ottavo  ciel  si  rassomigli. 
Par  che  per  vincer  l' arte,  abbia  Natura 
Applicato  ogni  studio  alia  pittura. 

[scuro 

Qud  di  splendor  sanguigno  e  qual  d'o- 
Tingonsl  1  fiori  in  quelle  piagge  e  In  questo, 
Qual  di  fin  oro  e  qud  di  latte  puro, 
Qual  di  dolce  ferrugine  si  veste. 
Adone  intanto  nel  secondo  muro 
Con  r  dtro  di  t)eltà  mostro  celeste 
Per  angusto  sportd  passa  introdotto , 
Che  è  di  cedro  odorato  ed  incorrotto. 

Blereurio  hicomliiclò  :  Tra  quante  abbrac- 
Maggior  ddizieil  cerchio  della  Luna    [eia 
Cosa  non  ha,  di  cui  più  si  compiaccia 
Venere  e  il  figlio  suo ,  che  di  quest'  una  ; 
Né  trov'  ioche  più  vaglia ,  o  che  più  faccia 
Lusingamento ,  o  tenerezza  alcuna , 
Che  la  soavità  de'  molli  odori , 
Molto  possenti  ad  allettar  gli  amori. 

Ostie  crude!!  e  sacrifizi  infausti , 
Miseri  tori  ed  Innocenti  agnelle , 
Offre  la  gente  al  Qd ,  tanto  die  esausti 
Restan  gli  armeml  ognor  di  questi  eqnollc. 
E  sol  per  far  salir  d'empj  olocausti 
Un  fumo  abbominevole  alle  stelle , 
Aggiunto  1!  foco  alle  svenate  strozze  , 
Arde  agli  eterni  Dd  littlme  sozze. 


100 


MARINO. 


E  crede  stolta  ancor,  che  questi  suoi 
l)i  sangue  vii  contaminati  alurl 
Abborriti  lassù  non  sien  da  no!, 
rhesiam  pur  sì  pietosi,  anzi  sien  cari. 
Com'  uopo  abbian  di  pecore  e  di  buoi 
Cittadini  del  dei  beati  e  chiari, 
0  le  dolcezze  lor  sempre  immortali 
l>eggian  cangiar  con  immondizie  tali. 

Doni  i  più  preziosi ,  1  più  graditi , 
Che  possan  farsi  a  quegli  eccelsi  Numi , 
Di  naturai  semplicità  conditi 
Son  frutti  e  fiori ,  aromati  e  profumi. 
Ma  sovra  quanti  mal  più  reveritl 
Rotano  I  raggi  in  elei  celesti  lumi, 
Adon ,  la  bella  Dea ,  con  cui  tu  vai , 
Di  queste  offerte  si  diletta  assai. 

E  per  questa  caglon  qui ,  dove  torna 
Ella  per  uso  ad  albergar  talora, 
Di  tutto  il  bel,  che  l'Universo  adoma , 
Scelse  quanto  diletta  e  quanto  adora. 
Or  se  è  ver,  che  a  colei  che  qui  soggiorna, 
Ed  a  tutu  gli  Del ,  che  il  Mondo  adora, 
Soglion  tanto  piacer  gli  odori  sparsi , 
Quanto  denno  dagli  uomini  pregiarsi? 

Ben  tirato  un  profli  nel  mezzo  appunto 
Scolpi  del  volto  uman  la  man  divina, 
Che  quindi  con  le  ciglia  ambe  è  congiunto , 
E  col  labbro*  sovran  quinci  confina. 
K  perchè  di  guardarlo  abbia  1*  assunto , 
D*  osso  concavo  e  curvo  armò  la  spina , 
Che  quai  base  il  sostenta ,  e  tutto  li  resto 
Di  molli  cartilagini  è  contesto. 

E  perchè ,  se  vlen  pur  sinistro  caso 
Una  a  turar  delle  finestre  sue. 
L'altra  aperta  rimanga,  ed  abbia  il  naso 
Onde  1  flati  esalar,  ne  formò  due. 
E  posta  In  mezzo  ali*  uno  e  I*  altro  vaso 
Terminatrlce  una  colonna  fue 
Tenera,  ma  non  fral ,  si  che  per  questa 
I^e  sue  pioggie  stillar  possa  la  testa. 

Ma  benchèoltre  11  decoro  e  1*  ornamento. 
Ed  oltre  ancor,  che  al  respirare  è  buono , 
Vaglia  a  purgar  del  capo  ogni  escremento, 
Pur  r  odorato  è  prlncIpal  suo  dono. 
E  consiste  nel  moto  il  sentimento 
DI  due  mammelle,  che  da'  lati  sono, 
E  movon  certi  muscoli  all'  entraU, 
De*  quali  un  si  ristringe  «  un  si  dilata. 


Quindi  si  apre  la  porta  e  Io  q>iragllo 
Del  senso  Interno  all'  ultime  radici , 
Laddove  a  guisa  di  forato  vaglio 
Una  parte  sovrasta  alle  narici. 
L'altra  è  spugnosa ,  e  con  sottile  intaglio 
È  destinata  al  necessari  uffici , 
Che  quai  pomice ,  o  fungo  avendo  i  fori , 
Rompe  l'aere  alterato  entro  i  suol  pori. 

E  la  spugna  del  cranio  umida,  e  tale, 
Che  di  ogni  arida  cosa  assorbe  I  fiati , 
Traendo  a  sé  la  qualità  reale 
Degli  oggetti  soavi  ed  odorati; 
Passa  il  caldo  vapore ,  e  In  alto  sale 
Ai  ventricoli  suoi  per  due  meati , 
Che  non  si  serra  mai,  talché  con  esso 
L'aere  insieme  e  lo  spirto  han  sempre  in- 

[gresso. 

Ma  tra  risi  e  piacer  frappor  non  degglo 
Di  severa  dottrina  al  ti  sermoni , 
Però  che  alla  tua  De?  su  1  fianchi  io  veggio 
Di  pungente  desio  ervidl  sproni  ; 
E  dei  mio  dir  que^  (o  fiorito  seggio 
Soggiungerà  la  pr  ova  alle  ragioni. 
Senti  auretta  che  spira.  In  coul  guisa 
L' arguto  Dio  co  beli'  Adon  divisa. 

De'  fiorìU  viali  In  lunglii  tratti 
Mirando  van  le  prospettive  ombrose, 
Ne'  cui  margini  a  fii  tirati  e  fatti 
Miniere  di  rubini  apron  le  rose. 
Slan  disposti  ne*  quadri  i  fiori  inUtti 
Con  leggiadre  piUure  ed  ingegnose, 
E  di  forme  diverse  e  color  vari 
Con  mille  odori  abbagliano  le  nari. 

Trecce  di  canne  e  reti ,  o  gelosie 
Alle  ben  larghe  alee  tesson  le  coste , 
E  dagli  erbai  dividono  le  vie 
Compassate  a  misura ,  e  ben  composte , 
Le  cui  fabbriche  egregie  e  maestrie 
La  Dea  dei  loco  addita  al  suo  beli* oste, 
Movendo  seco  per  quei  solo  i  passi , 
Fatto  a  mosaico  di  lucenti  sassi. 


Amor  con  meraviglie  inusitate 
Semplice  qui  conserva  II  suo  diletto, 
Perchè  pon  nelle  piante  innamorate 
Ogni  perfezion  senza  difetto; 
E  con  foglie  più  spesse  e  più  odorate. 
Quando  la  rosa  espone  il  M  concetto, 
0  candida ,  o  purpurea,  o  damaschina , 
I  Nascer  fa  solo  il  fior  aeoia  la  spina. 


L' ADONE. 


101 


Ciò  che  han  di  mplte  1  morbidi  Sabei, 
Gr  Indi  fecondi ,  o  f^ì  Arabi  felici , 
Ciò  cbe  produr  ne  sanno  i  colli  iblei , 
Le  piagge  ebalie,  o  rattiche  pendici, 
QiuuDto  mai  ne  nutriste  orti  panche!, 
Prati  d'Inietto,  e  voi  campi  corici, 
Con  stella  favorevole  e  benigna. 
Tutto  in  quegli  orti  accumulò  Ciprigna. 

Yl  suda  il  gatto  etiope,  e  ben  discosto 
Lascia  di  sua  virtù  traccia  per  V aura. 
Né  vi  manca  per  tutto  odor  compoeto 
Di  pasta  Ispana,  o  di  mistura  maura. 
Cassia,  amaraco,  amomo,  aneto  e  costo, 
E  nardo  e  timo  ogni  egro  cor  restaura , 
Abrotano ,  serpillo  ed  elicriso , 
E  citiso  e.Blsimbro  e  fiordaliso. 

HavvIU  baccare  rosso ,  In  piaggia  aprica 
Nato  a  spedir  le  membra  in  lieve  assalto. 
Havvi  la  spina  arabica  e  la  spica , 
Che  pia  groppi  di  verghe  estolle  in  alto. 
D' Etiopia  il  balan  qui  si  nutrica. 
Colà  di  Siria  il  virtuoso  asfalto. 
Spunta  mordace  11  cinnamomo  altrove, 
E  la  pontlca  noce  a  pie  gli  piove. 

Tra  1  più  degni  germofl^i  11  panaceo 
Le  sue  foglie  salubri  Implica  e  mesce: 
E  il  terebinto  col  dittamo  ideo,  . 
Da  cui  medico  umw  distilla  ed  esce; 
E  col  Ubico  giunco  il  nabateo, 
E  d*  India  il  biondo  calamo  vi  cresce. 
Chi  può  la  serie  annoverar  di  tante 
Ignote  al  nostro  ciel  barbare  piante? 

Fumante  11  sacro  Incenso  erutta  quivi 
D*  alito  peregrio  grati  vapori. 
Scioglie  11  balsamo  pigro  in  dolci  rivi 
1  preiiosi  e  nobili  sudori. 
Stilla  In  tenere  gomme  e  In  pianti  vivi 
I  suoi  viscosi  e  non  caduchi  umori 
Mirra,  del  beli*  Adon  ia  madre  Istessa , 
E  il  bel  pianto  raddoppia,  or  ch'ei  si  ap- 

[pressa 

Non  poti  far,  che  del  materno  stelo 
Non  compiangesse  il  figlio  il  caso  acerbo. 
Siati  sempre,  gli  disse,  amico  li  Cielo  [bo. 
Tronco  che  in  mezzo  al  cor  piantato  io  ser- 
Le  tue  chiome  non  sfrondi  orrido  gelo. 
Le  tue  braccia  non  spezzi  austro  superbo. 
E  quando  ogni  altra  pianta  1  fregi  perde, 
In  te  verdeggi  11  fior,  fiorisca  11  verde. 


SI  parla ,  ed  ella  la  cangiata  spoglia 
Dal  sommo  crine  alla  radice  estrema 
Per  la  memoria  dell*  antica  doglia 
Tutta  crollando  allor,  palpiu  e  trema. 
Come  abbracciar  co*  verdi  rami  il  voglia, 
Sé  stessa  inchina,  e  par  languisca  e  gema, 
E  sparsi  de' suol  flebili  licori 
Falagrimargl'  Innamorati  fiori. 

Ne'  fior,  ne'  fiorì  istessl  Amore  ha  loco, 
Ama  il  giglio,  il  ligustro  e  l'amaranto , 
E  narciso  e  giacinto ,  aiace  e  croco , 
E  con  la  bella  clizia  II  vago  acanto. 
Arde  la  rosa  di  vermiglio  foco , 
L' odor  sospiro  e  la  rugiada  è  pianto. 
Ride  la  calta ,  e  pallida  ed  esangue 
Tinta  d' Amor  la  violetta  langue. 

Ancor  non  eri ,  o  MV  Adone,  estinto, 
Ancor  non  eri  in  nuovo  fior  cangiato. 
Chi  diria ,  che  di  sangue ,  oimè ,  dipinto 
Dei  di  te  stesso  in  breve  ornare  il  prato  t 
Presago  già ,  benché  confuso  e  vinto , 
Di  un  tanto  onor,  che  gli  destina  il  Fato, 
Ciascun  compagno  tuo  ti  onora  e  cedo , 
T' ingemman  tutti  il  pavimento  al  piede. 

Havvi  il  vago  tulippo.  In  cui  par  voglia 
Quasi  in  gara  con  l' arte  entrar  Natura. 
Qual  d' un  bel  riccio  d' or  tesse  la  foglia , 
Che  ai  broccati  di  Persia  il  pregio  fura; 
Qual  tinto  d* una  porpora  germoglia. 
Che  degli  ostri  d' Arabia  il  vanto  oscura. 
Trapunto  ad  ago,  oppur  con  spola  intesto 
Drappo  non  è ,  che  si  pareggi  a  questo. 

Ma  più  d'ogni  altro  ambizioso  11  giglio 
Qual  re  sublime ,  In  maestà  sorgea , 
E  con  scorno  del  bianco  e  del  vermiglio 
Io  aito  il  gambo  insuperbito  ergea. 
Dolce  gli  arrise ,  indi  di  Mirra  al  figlio 
Segnollo  a  dito  e  il  salutò  ia  Dea. 
Salve,  gli  disse,  o  sacra ,  o  regia ,  o  degna 
Del  maggior  Gallo  e  fortunata  insegna. 

TI  vedrà  con  stupor  1*  età  novella 
Chiara  quanto  temuta  e  gloriosa. 
Ma  quante  volte  di  dorata  e  bella 
Diverrai  poi  purpurea  e  sanguinosa? 
Non  sol  negli  orti  miei  convien  che  ancli'cl- 
Ti  ceda  ornai  la  mia  superba  rosa,     [ia 
Ma  fregiato  di  stelle  anco  11  tuo  stelo 
Merita  ben ,  che  si  trapianti  in  cielo. 


102 


MARINO. 


Non  so  se  vi  era  aocor  la  granadiglia , 
('.he  a  noi  poscia  mandò  1*  indica  piaggia , 
Di  Natura  portento  e  meraviglia , 
E  ceda  ogni  altra  pur  stirpe  selvaggia* 
Al  no  piuttosto  il  mio  pensler  si  appiglia , 
Né  deve  altro  stimarne  anima  saggia , 
(ìl)è  star  non  può ,  né  dee  puro  e  sincero 
Tra  l'ombre  il  Sol,  con  le  menzogne  li  vero. 

Disse  alcun  che  a  narrar  le  glorie  e  l'opre 
Del  sempiterno  lor  sommo  Fattore 
Le  stelle ,  onde  la  notte  11  manto  eopre , 
Son  caratteri  d' oro  e  di  splendore. 
Or  miracol  maggior  la  terra  scopre, 
Quasi  bei  fogli,  apre  le  foglie  un  fiore , 
Fiore ,  anzi  libro,  ove  Gesù  trafitto 
Con  strane  note  il  suo  martirio  ha  scritto. 

BenedicaU  11  Qelo ,  e  chi  lo  scrisse, 
0  sacro  fior,  cbe  tanu  gloria  godi  ; 
E  i  fiori ,  In  cui  de'  regi  i  nomi  disse 
Leggersi  anUca  Musa,  or  più  non  Iodi. 
Chi  vide  mai,  che  in  prato  alcun  fiorisse 
Primavera  di  spine  e  lance  e  chiodi) 
E  che  tra  mostri  alRedentornibelIl 
PuUulaaaer  co'fiori  I  suoi  flagellit 

In  India  no,  ma  nel  giardln  celesti 
Portasti  i  primi  semi  a'  tuoi  natali 
Tu,  che  del  tuo  grau  re  tragici  e  mesti 
Spieghi  In  picclol  teatro  i  funerali. 
Nell'orto  di  Giudea ,  credo ,  nascesti 
Da  quei  vermigli  e  tepidi  canali. 
Che  gli  olivi  irrigaro ,  ov'egll  esangue 
Angosciose  sudò  stille  di  sangue. 

Ahi  qual  pennello  In  te  dolce  e  pietoso 
Trattò  la  man  del  gran  pittore  eterno  t 
E  con  quai  minio  vivo  e  sanguinoso 
Ogni  suo  strazio  espresse  ed  ogni  scher- 
Di  quai  fregi  mirabili  pomposo       [  no  ? 
Al  Sol  più  caldo,  al  più  gelato  verno 
Dentro  le  tue  misteriose  foglie 
Spieghi  1*  altrui  salute  e  le  sue  doglie? 

Qualor  bagnato  da*  notturni  geli 
Con  muta  lingua  e  Ucltuma  voce, 
Aiui  con  liete  lagrime  riveH 
De'  tuoi  fieri  trofei  I*  istoria  atroce, 
E  rappresenti  ambizioso  ai  cieli 
L*  aspra  memoria  dell*  orribii  croce; 
Per  gran  pietaie  il  tuo  funesto  riso 
Dà  materia  di  pianto  al  paradiso. 


Vivi  e  cresci  felici.  Ove  tn  sta! 
Sirio  non  latri  ed  AquHoo  non  strida, 
Né  di  profano  agricoltor  giammai 
Vii  pie  ti  calchi ,  o  falce  empia  t' liwkla. 
Ma  con  chiar'  onde  e  con  sereni  ni 
Ti  nutrisca  la  terra,  Il  del  ti  arrida. 
Favonio  ognop  con  la  compagna  Qori 
Della  beli*  ombra  tua  gli  odori  adori. 

Te  sol  r  aurora  in  Oriente  ammiri  « 
Tue  pompe  Invidii  e  tua  beltà  vagheggi. 
In  te  si  specchi ,  a  te  s'inchini  e  giri 
Stupido  II  Sol  da' suoi  stellanti  seggi. 
Ma  né  questi ,  né  quella  al  vanto  aspiri , 
Che  di  luce ,  o  color  teeo  gareggl , 
Che  sol  la  rista  tua  può  donar  loro 
Qual  non  ebber  giammai,  porpora  ed  oro. 

Lagrimette  e  sospir  caldi,  vtvad 
D'aure  invece  ti  sieno ,  e  di  rugiade. 
Angeli  sien  deidei  l'api  predad, 
Cile  rapiscan  V  umor  che  da  te  cade; 
E  mille  in  te  stampando  ardenti  bad 
Di  devota  dolcezza  e  di  pletade. 
Dal  fid  che  ti  dipinge  amaro  e  grave 
Traggano  ai  nostri  alliinni  il  md  soave. 

Tutto  al  venir  d'Adon  par  che  ridenti 
Rivesta  li  bel  giardln  novi  colori. 
Umili  in  atto  intomo,  e  riverenti 
Piegan  la  dma  i  rami ,  ergonla  I  fiorì. 
Vezzose  l'aure  e  Insinghleri  i  venti 
Gli  applaudon  con  susurrt  adulatori. 
Tutti  a  salutarlo  iri  son  pronti 
Gli  auge!  cantando,  e  mormorando  i  fonti. 

Con  l'interne  del  cor  viscere  allerte 
Ogni  germe  vlilan  fatto  civile. 
Gii  fa  devoto  affettuose  offerte 
Di  quanto  ha  di  pregiato  e  di  gentile. 
Dovunque  il  volto  gira,  o  II  pie  converte. 
Presto  si  trova  a  oorteggiario  Aprile. 
Arand  e  cedri  e  mirti  e  gelsomini 
Splran  nobili  odori  e  peregrini. 

Qui  di  nobii  pavon  superba  Imago 
Il  crespo  bosso  in  ampio  testo  ordiva, 
Che  nel  giro  dd  lembo  altero  e  vago 
Ordin  di  fiori  Invece  d'occhi  apriva. 
Quiri  11  lentlsco  di  terribll  drago 
L'efllgie  ritraea  vivace  e  viva, 
E  l'aura  sibilando  Intorno  al  mirto 
Formava  il  fischio,  e  gì'  Infondea  lo  spirto. 


L' 

Colà  r  edra  lamoM  intesti  ad  arte, 
€lapace  lana  al  aataral  iogea, 
Dove  li  lloor  delle  ragiade  sparte 
Ufficio  aneor  di  nettare  faeea. 
(^on  Terdl  relè  akroife,  e  Tenfl  sarte 
FabbricaTa  ti  tlmon  nave,  o  galea, 
Sa  la  eoi  popfMi  I  vaghi  augel  caMaoti 
L*  eserdiin  ademplan  de'  naviganti. 


ADONE.  tm 

Quando  la  madre  il  catilvél  ritrova^ 
Che  al  sonnol  iuoil  Inchina  e  i  vanni  piega  « 
Tosto  pian  pian  pria  che  al  svegli  o  nM>va, 
Per  r  ali  il  prende  «  e  con  la  benda  il  legiu 
Amor  ai  desta,  e  tf  campar  fii  prova, 
E  si  scusa  e  lusinga  e  piange  e  prega. 
Non  l'ascolta  Ciprigna,  e  sebben  schena. 
Simulando  rigor,  stringe  la  sfersa. 


La  Gioia  lieta  e  la  Delizia  ricca , 
L*accareaza  colei,  costei  l'accoglie. 
La  Diligenza  I  fior  dal  prato  spicca , 
L*  Indostria  I  più  leggiadri  in  grembo  to- 
E  la  Fragranza  i  semplici  lambicca ,  [glie  ; 
E  la  Soavità  sparge  le  foglie; 
L'Idolatria  tien  Pincenslero  in  mano. 
La  Superbia  n'esala  un  fumo  vano. 

La  Morbidezza  languida  e  lascfra , 

I  a  Politezza  delicata  e  monda , 

1^  Nobiltà,  che  d'ogni  lezzo  è  schiva, 
1^  Vanità ,  che  d'ogni  odore  abbonda, 
1^  Gentilezza  affabile  e  festiva , 
La  Venustà  piace>'o1e  e  gioconda , 
E  con  r  Ambizion  gonfia  di  vento 

II  Lusso  moOe  e  11  barbaro  Ornamento. 

Venner  «luestl  fantasmi,  ed  a  man  piene 
Sol  bel  riso  d'Adon  spruzzando  stille 
DI  odorifere  Knfe,  entro  le  vene 
Gl'infuser  sottilissime  faville. 
Poi  con  tenaci  e  tenere  catene, 
Che  ordite  avean  di  mille  fiorì  e  mille , 
Trasser  legali  11  giovane  e  la  D  iva 
Là  dove  all'Ozio  in  grembo  Amor  dormiva. 

0  ftasse  degli  odor  l'alta  dolcezza. 
La  quale  11  trasse  a  quel  beato  loco, 
Oppor  che  vinto  alfln  daUa  stanchezza 
Schermo  cercasse  dall'  estivo  foco , 
Quivi  colui,  che  l'universo  sprezza, 
E  dell* altrui  languir  si  prende  gioco. 
Con  un  fastel  di  fior  sotto  la  fronte , 
Erasi  addormentato  a  pie  d' un  fonte* 

La  pesante  faretra  e  TarcograTC 
Sostien  un  mirto,  e  ne  fa  scherzo  al  vento. 
L'ali  non  move  già,  che  ferme  l'ave 
Tn  sonno  dolce,  a  luslngario  intento. 
Ma  li  sonno  lieve  e  11  venticel  soave 
Fan  con  moto  talor  lascivo  e  lento 
Vaneggiar,  tremolar,  qnal  onda  in  fiume, 
1^  bionde  chiome  e  le  purpuree  piume. 


Tu  piagni,  gli  dicea ,  ta  cmdo  a  rio 
Che  di  lagrime  sol  ti  pasci  e  godi? 
Eppur  dianzi  dormivi,  eppor,  cred'lo. 
Sognavi  ancor  dormendo  insidie  e  fipadL 
Tu  che  tnrbl  i  riposi  ai  dorarir  mio, 
E  m' inganni  e  schernisci  In  tanti  BMdl , 
Tu  che  II  sonno  in  lerrompi  ai  mesti  amanti. 
Dormivi  forse  al  moriMmir  del  piaMlt 

Così  dice ,  e  11  minaccia ,  e  da' bel  nd 
Folgora  di  dispetto  un  lampo  rivo. 
Ma  il  suo  vezzoso  Adon ,  che  non  sanni 
Il  bel  Tolto  veder  se  non  giulivo. 
Corre  a  placarla  :  Eh  serenate  ornai 
Quel  sembiante ,  le  dice ,  Irato  e  scbiaSb 
Vorrò  veder  se  ad  impetrar  son  buono 
Dal  vostro  sdegno  11  suo  perdono  In 


Come  veduto  n  pasto  In  un  momento 
Mordace  can ,  la  rabbia  acquetar  suole , 
0  come  Innanzi  al  più  sereno  vento 
Si  dìleguan  le  nubi,  e  riede  il  Solet 
Cosi  dell'ira  ogni  furore  ha  spento 
Venere  alle  doldsslme  parole. 
Piace,  risponde,  a  me,  |x>ichè  a  te  placa. 
Per  maggior  guerra  mia,  dargli  la  pace. 

Arbitro  è  II  cenno  toodei  mio  consiglio , 
Quanto  puoi  ueir  amor,  puoi  nello  sdeg^ao. 
E  che  curar  degg*  io  di  deco  figlio  T 
Tu  sei  il  mio  caro  e  prezioso  pegno. 
Porta  Amor  l'arco  In  man ,  tu  nel  bel  dgllo  i 
Tende  Amore  il  lacdaol,  tu  se*  il  ritegno  i 
Amore  Ila n  foco,  e  tn dal  l'esca;  Amora 
Mi  usci  del  seno,  e  tu  mi  stai  nel  core. 

Ma  sappi,  anima  mia,  che  quale  11  vedi. 
Quel  che  or  ti  fa  pietà,  povero  Infante, 
Volge  il  mondo  sossorra,  e  sotto  t  piedi 
Ha  con  tutti  1  Celesti  il  gran  Tonante. 
Ben  te  ne  accorgerai ,  se  tu  gli  credi , 
Ma  non  gli  creda  alcuno  accorto  amante. 
Scellerato ,  fellon ,  furia ,  non  Dio , 
Sì  partorito  mai  non  l'avess'lo. 


104 


MARINO. 


•Èdeco  si,  non  perchè  già  gli  strili 
Se  ferir  vuol ,  «on  reggia  ove  rivolga. 
Che  ascoso  il  cor  nel  petto  dei  mortali 
Trovar  ben  sa ,  senza  che  il  vel  si  sciolga. 
Cieco  el  s'infinge  sol  negli  altrui  mali , 
Né  gii  cai  che  altri  pianga ,  o  che  si  dolga, 
E  cieco  è  sol,  però  che  accieca  altrui 
Per  dar  la  morte  a  chi  si  fida  in  lui. 

Fiero  accidente  e  rapido  volere , 
Desio  che  Incbhiaa  partorir  nel  belio; 
Scende  al  cor  per  la  vista,  e  vuol  godere  ; 
Cerca  il  diletto,  e  sol  si  acqueta  in  quello. 
Ma  poiché  lusingato  ha  col  piacere. 
Al  più  fidi  e  devoti  è  più  rubello. 
Gli  altri  affetti  dell'  alma  appena  entrato 
Scaccia,  e  ai  usurpa  quel  che  non  gli  è  dato. 

Sotto  la  sua  vittoriosa  insegna 
Piangon  mille  alme  afltttte  i  propri  torti. 
Mansueto  e  feroce,  ama  e  disdegna. 
Prega  e  comanda,  or  pene,or  dà  conforti. 
Leggi  rompe,  armi  vince,  e  mentre  regna. 
Piega  1  saggi  egualmente  e  sforza  i  forti. 
Risse  e  paci  compone,  ordisce  inganni , 
Sa  far  lieU  i  dolori  «  uUIi  1  danni. 

Tenero  come  ortica,  e  come  cera 
È  duro,  umil  fanciullo  e  fier  gigante. 
D  disprezzo  lo  placa,  e  la  preghiera 
Più  terribile  il  rende ,  e  più  arrogante. 
Qual  Proteo  ha  qualità  varia  e  leggiera. 
In  tante  forme  si  trasforma,  e  tante. 
Ha  I'  entrata  nei  cor  pronta  e  spedita, 
Faticosa  e  dilllcile  1'  uscita. 

Ha  faci  e  reti  e  lacci  ed  arco  e  dardi. 
Quanto  ha  tutto  è  veleno,  e  tutto  è  foco. 
Mostra  viso  benigno  e  dolci  sguardi , 
Or  salta ,  or  vola ,  e  non  ha  stabli  loco. 
Forma  falsi  sospir,  detti  bugiardi , 
Spesso  si  adira,  e  volge  in  pianto  il  gioco. 
Quel  che  giova  non  cura,o  quel  che  lice. 
Né  teme  genltor,  né  genitrice. 

La  spada  a  Marte ,  e  la  saetta  a  Giove 
Toglie  di  mano,  e  sì  l' avventa  e  vibra. 
Repentino  e  furtivo  assalti  move , 
Né  con  scarse  misure  1  colpi  libra. 
Fa  plaghe  inevitabili ,  e  laddove 
Passa,  attosca  gli  spirti  in  ogni  fibra. 
Va  per  tutto,  e  per  tutto  or  cala,  or  poggia. 
Ma  sol  nei  cori,  e  non  altrove  alloggia. 


Ciò  che  del  mentltor  1'  arte  richiede. 
Ciò  che  ai  furti  dell'  alme  oprar  lilsogna. 
Dallo  Dio  delie  astuzie  e  delle  prede 
Nello  studio  Imparò  della  menaegna. 
Non  conoscer  giustizia  e  romper  fede. 
Schernir  pletade  e  non  stimar  vergogna. 
Tutto  apprese  da  lui  ;  né  scaltro  e  destro 
il  discepol  fu  poi  men  dei  maestro. 

Conslglier  disleal,  guida  fallace. 
Chiunque  il  segue  di  tradir  si  vanta. 
Astuto  uccellator,  mago  sagace, 
I  sensi  alletu,  e  gi'  intelletti  IncanU. 
Indiscreto  furor,  tarlo  mordace. 
Rode  la  mente,  e  la  ragion  ne  schianta. 
Passion  violenta,  impeto  cieco, 
Tosto  si  sazia,  e  11  pentimento  ha  seco. 

Ceda  del  marTIrren  la  fera  infida, 
E  del  fiume  d' Egitto  il  perfido  angue. 
Che  forma  ai  danni  altrui  canto  omicida, 
E  piagne  l' uom,  poiché  gli  ha  tratto  il  san- 
Questi  toglie  la  vita,  e  par  che  rida,  [gtic. 
Ferisce  a  morte,  e  per  pietà  ne  languc, 
in  gioconda  prigion ,  di  vita  incerto 
Tiene  altrui  preso,  e  mostra  l'uscio  aperto. 

Non  ebbe  ii  seco!  mai  moderno,  o  prisco 
Mostro  di  lui  più  sozzo,o  più  difforme,  [co. 
Ma  perdiè  altri  non  fugga  il  laccio  e  il  vis- 
Non  si  mostra  giammai  nelle  sue  forme. 
Medusa  all'  occhio,  al  guardo  é  basilisco. 
Nel  morso  alla  tarantola  é  conforme. 
Ha  rostro  d'  avvoltoio  orrido  e  schifo, 
ìfan  di  nibbio,  unghia  d'orso  e  pie  di  grifo. 

Non  giova  a  fargli  scliermo  arte  o  consiglio. 
Poiché  per  vie  non  conosciute  offende. 
Fere ,  ma  non  fa  piaga  il  crudo  artiglio, 
0  se  pur  piaga  fa,  sangue  non  rende. 
Se  rende  sangue  pur  non  é  vermiglio. 
Ma  stillato  per  gli  occhi  in  pianto  scende  ; 
E  così  lascia  in  disusata  guisa 
Senza  il  corpo  toccar  1'  anima  uccisa. 

Chi  non  vide  giammai  serpe  tra  rose. 
Mele  tra  spine,  o  sotto  mei  veleno  ; 
Chi  vuol  vedere  11  elei  di  nebbie  ombrose 
Cinto,  quando  é  più  chiaro  e  più  sereno; 
Venga  a  mirar  costui,  che  tiene  ascose 
Le  grazie  in  bocca  e  ]>ortail  ferro  In  seno. 
Lupo  vorace  In  abito  d'  agnello. 
Fera  volante  e  corridore  augello. 


L'ADONE. 


106 


Lince  privo  di  lume,  Argo  bendato, 
Vecclilo  laUante  e  pargoletto  antico. 
Ignorante  erudito,  ignudo  armato. 
Mutolo  parlator,  ricco  mendico. 
Dliettevole  error,  dolor  bramato. 
Ferita  cruda  di  pietoso  amico, 
Pace  guerriera  e  tempestosa  calma; 
La  sente  il  cor,  e  non  r  intende  V  alma. 

Volontaria  follia,  piaceTol  male, 
Stanco  riposo,  utilità  nocente, 
Disperato  sperar,  morir  vitale. 
Temerario  timor,  riso  dolente  ; 
Un  vetro  duro,  un  adamante  frale. 
Un*  arsura  gelata,  un  gelo  ardente. 
Di  discordie  concordi  abisso  etemo, 
Paradiso  Infemal,  celeste  inferno. 

Era  a  gran  pena  dal  mio  ventre  al  Sole 
Questo  seme  di  visi  uscito  fora, 
Né  il  fianco  a  sostener  la  grave,  mole 
Della  faretra  avea  ben  fermo  ancora, 
Quando  del  ilero  Ingegno,  acerba  prole, 
Bhturò  le  perfidie  innanzi  V  ora; 
E  sebben  1'  ali  ancor  non  gli  eran  nate, 
Con  la  malisla  avvantaggiò  I*  eute. 

Iva  alla  scola,  a  quella  scola,  In  cui 
Virtù  s' impara,  ed  onestà  s' insegna  ; 
E  piangea  nell*  andar,  come  colui , 
Che  si  fatte  dottrine  abborre  e  sdegna. 
E  come  è  stil  de'  coetanei  sui , 
Perchè  il  digiuno  a  ristorar  si  vegna, 
Pien  di  poma  portava  un  picciol  cesto, 
€he  dì  fronde  di  palma  era  contesto. 

Perchè  non  si  smarrisse,  o  smarrii*  anco 
Fusse  al  tetti  materni  almen  ridotto. 
Sospeso  1^  avcT*  io  sul  tergo  manco 
DI  breve  in  forma  un  titolo  costrutto* 
Era>l  afiisso  un  perganieno  bianco. 
Di  minio  e  d*  or  delineato  tutto, 
E  scritto  vi  era  di  mia  propria  mano  : 
QuesU  è  di  Vener  figlio  e  di  Vulcano. 

Poco  Urdò,  che  di  trovar  gii  avvenne 
La  Vigilanza,  che  attendea  tra  via. 
CoQ  r  Importunità  l' Audacia  venne. 
Poi  la  Consuetudine  seguia. 
Costoro  in  guisa  tal,  eh'  ebbro  divenne, 
L'  abbeverar  del  vin  deUa  FoUU. 
Ebbro  il  tennero  a  bada,  in  sin  che  tutti 
Del  suo  panier  si  dlvoraro  i  frutti. 


Or  dove  altri  donzelli  hi  varie  guis5 
De'  primieri  elementi  ap)h-endean  l' arte, 
Il  malvagio  scolar  giunto  s*  assise 
Nella  più  degna  ed  onorata  parte. 
Quindi  poi  sorto,  a  recitar  si  mise 
La  lezion  sulle  vergate  carte, 
E  quasi  pur  con  indice,  o  puntale. 
La  tabella  scorrea  con  1'  aureo  strale. 

Ma  però  che  non  ben  del  suo  dettato 
Seppe  le  note  espor,  con  scorni  ed  onte 
Ne  fu  battuto,  ond'  ei  con  1'  arco  aurato 
Al  Senno  precettor  ruppe  la  fronte. 
Cosi  fuggissi,  ed  all'  albergo  usato 
Non  osando  tornar,  calò  dal  monte , 
E  con  la  turba  insana  e  fanciullesca 
Venne  in  desio  di  esercitar  la  pesca. 

E  mancandogli  corda,  agli  aurei  crini 
Svelle  una  ciocca,  e  lungo  fll  ne  stende, 
E  questo  immerso  entro  I  zafllr  marini 
In  vece  d'  asta,  ad  una  freccia  appende. 
Gittan  lo  stame  ancor  gli  altri  Amorini, 
Perde  il  tempo  ciascuno,  e  nulla  prende  ; 
Solo  II  mio  figlio  a  strana  preda  Inteso 
Traggo  carco  il  lacciuol  di  ricco  peso. 

Guizzava  appunto  in  quella  istessariva, 
Dove  1  dolci  de'  cor  tiranni  e  ladri 
Intendeano  a  pescar.  Ninfa  lasciva. 
Cui  pari  altra  non  ebbe  occhi  leggiadri. 
Mentre  perle  costei  cogliendo  giva 
Dal  cavo  sen  delie  cerulee  madri. 
Vide  folgoreggiar  per  entro  1'  onda 
Del  pargoletto  Dio  la  treccia  bionda. 

Alla  luce  dell'  or  che  alletta  e  inganna, 
SI  accosta  incauta,  e  vi  s*  involge  e  gira. 
Tosto  che  sente  Amor  tremar  la  canna, 
(k>n  r  alta  degli  altri  a  sé  la  tira. 
Presa  è  la  Ninfa,  e  di  dolor  si  aflanna, 
Giunge  air  arena,  e  si  dibatte  e  spira. 
Appena  all'  aura  è'fuor  dell'  acque  usdta. 
Che  In  acquistando  il  Sol,  perde  la  vita. 

Tra  questi  indugi  ecco  la  notte  oscura. 
Che  imbruna  il  cielo  e  discolora  il  giorno. 
Allor  ramingo^  e  pien  d' alta  paura 
Vassl  lagnando,  e  non  sa  far  ritomo. 
Ma  pur  riconosciuto  alla  scrittura, 
È  ricondotto  al  mio  divin  soggiorno. 
Io  per  punirlo  allor  la  verga  prendo. 
Ed  ei  si  scusa,  e  supplica  piangendo. 


166 


MARINO. 


Pietà,  diceami,  aflrena  V  ira  alquanto, 
Pietà,  madre,  mercè,  perdono,  aiolo,  [to, 
Che  anco  staman,  non  senza  affanno  e  pian- 
Dal  severo  maestro  lo  fui  battuto. 
È  fors'  egli  miracolo  cotanto, 
(ìlic  sia  per  poco  un  fanciullin  perduto  ? 
Anco  in  più  ferma  età,  né  meraviglia, 
learde  per  sempre  Cerere  la  figlia. 

Se  questa  volta  il  rio  flagel  deponi, 
Vo*  cbe  novo  da  me  secreto  Impari. 
Insegnerottl,  pur  che  mi  perdoni, 
A  pescar  cori,  1  qua!  ti  son  si  cari. 
Sappi  che  non  si  fan  tal  peseagton! 
Senza  1*  esca  dell'  or  nei  nostri  mari. 
Pon  r  oro  in  cima  pur  degli  ami  tuoi, 
E  se  ne  scampa  alcun,  lattimi  poi. 

Nel  mar  d' Amor  ciascun  amante  pesca 
Per  trarre  un  cor  fugace  al  suo  desio. 
Ma  però  che  de'  cori  è  cibo  ed  esca 
L' or,  che  del  volgo  già  si  è  fatto  Dio, 
Qil  vuol,  che  il  suo  lavor  ben  gli  riesca. 
Usi  qiiest'  arte,  che  ti  scopro  or  io. 
Qualor  uom  eh'  ama,  a  bella  preda  intende. 
Se  l' esca  non  è  d' or,  l'amo  non  prende. 

Con  queste  ciance,  del  suo  fallo  stolto 
Campò  la  pena  il  lusinghier  crudele. 
Ma  per  altra  follia  non  andò  molto. 
Che  a  me  tornò  con  gemiti  e  querele. 
Vassene  in  un  querceto  ombroso  e  folto 
Nei  giardini  di  Gnido  a  coglier  mele, 
E  seco  a  depredar  gli  aurei  fialonl 
Van  gU  alati  fratelli  in  più  squadronL 

E  perchè  li  dolce  dei  llcor  soavi 
Orso,  0  mosca  non  è,  che  cotanto  ami. 
Cerca  dei  faggi  opachi  1  tronchi  cavi. 
Spia  del  frassini  annosi  i  verdi  rami. 
E  nel  pedal  di  un'  elee  ecco  due  favi 
Vede  coperti  di  pungenti  essami. 
Vulgo  d'api  ingegnere  accolto  in  quella 
Sta  tusurrando  a  fabbricar  la  cella. 

Chiama  1  compagni,  e  lor  la  cova  addita. 
Che  la  ruvida  scorza  in  sé  ricetta. 
Corre  dentro  a  ficcar  la  destra  ardita. 
Ma  la  ritira  poi  con  maggior  fretta. 
Folle  chi  cani  attizza,  o  vespe  Irrita, 
Che  non  si  sdegnan  mal  senza  vendetta. 
Pecchia  di  acuta  spina  armata  il  morse. 
Onde  et  forte  griduMlo  a  me  ricorae* 


E  della  guancia  impallidito  1'  ostro. 
Di  timor,  di  dolor  palpita  e  langue. 
Madre,  madre,  mi  dice,  un  plccol  mostro, 
(E  mi  scopre  la  man  tinta  di  sangue] 
Un,  che  quasi  non  ha  dente,  né  rostro, 
E  sembra  d' oro,  e  punge  a  guisa  d'angue. 
Minuto  animaletto,  alata  serpe 
Hammi  il  dito  trafitto  In  quella  sterpe. 

Io,  che  il  conosco,  e  so  di  che  fier  aghi 
Si  armi  sovente,  ancorché  vada  ignudo, 
Mentre  che  1  lumi  rugiadosi  e  vaghi 
Gli  asciugo,  e  la  ferita  aspra  gli  chiudo. 
Che  di  animai  si  piccolo  t' impiaghi. 
Rispondo,  Il  pungigllon  rìgido  e  crudo. 
Da  pianger,  figlio,  o  da  stupir  non  hai. 
E  tu  fanciullo  ancor,  die  plaghe  falt 

L*  Occasion,  che  è  nel  fuggir  si  presta. 
Vide  un  giorno  per  l' aria  Ir  frettolosa. 
Suora  minor  della  Fortuna  è  questa, 
E  tien  le  chiavi  d*  ogni  ricca  cosa. 
L*  ali  ha  sul  tergo,  e  di  vagar  non  resta 
Sempre  andando  e  tornando  e  mai  non  po- 
Lungo,  diffuso  e  folto  II  crine  ha,  salvo  [sa. 
Verso  la  coppa  ove  è  schiomato  e  calva 

Perpoterla  fermar  l'occhio  e  fi  pensiero 
Molto  attento  ed  accorto  aver  conviene, 
Che  animai  non  fu  mal  tanto  leggiero, 
E  vuol  gran  senno  a  custodi  ria  bene. 
Frutto  di  suo  sudor  non  gode  Intero 
Chi  la  prende  talor,  né  la  ritiene. 
Egli  appostolla,  e  tante  Insidie  tese, 
Cile  mentre  ella  volava,  alfin  la  prese. 

Ma  poiché  al  laccio  suo  la  giunse  e  cobe, 
E  la  chioma  fugace  ebbe  distretta. 
Di  ientlsco  una  gabbia  Intesser  volse 
Per  tenervela  poi  chiusa  e  soggetta. 
0  poco  cauto,  intanto  ella  si  sciolse; 
Cosi  perde  piacer  chi  tempo  aspetta. 
Mentre  era  intento  a  quei  pensieri sdoocU, 
Gli  usd  di  mano,  e  gli  svanì  dagli  occhi. 

Quante  da  indi  In  poi  colpe  diversa 
Da  lui  commesse  lo  qui  trapasso  e  celo. 
Taccio  quando  di  neve  II  sen  s' asperse, 
E  si  stracciò  di  sulla  fronte  11  velo. 
Lassa,  allor  per  mio  mal  le  loci  aperM, 
Ailor  fu  r  ardorsuo  misto  di  gelo. 
L*  iniqua  Gelosia,  che  il  tolse  in  braccio, 
GUsbeiKl6gllocchl,erattttffònel  ghiaccio. 


L'ADONE. 


107 


Fuggi  tremando  assiderato  e  molle, 
Tutto  stillante  il  sen  pruine  e  brame. 
Al  cieco  albergo,  ove  Io  sdegno  folle 
Tìcn  di  torbida  fiamma  acceso  lume. 
E  perocché  appressar  troppo  si  volle. 
Riscaldando  le  membra,  arse  le  piume, 
Quindi  tacito  e  mesto  a  casa  venne 
Con  la  fascia  squarciala,  e  senza  penne. 

L'intolenaa  e  1*  ardir  cootar  noe  voglio. 
Quando  «otto  le  piante  onor  si  poae. 
Al  cui  saggio  ammonir  crebbe  in  orgoglio 
Con  Ingiurie  villane  ed  oltraggiose. 
E  perchè  la  Ragion,  che  In  alto  soglio 
Slede  regina  a  giudicar  le  cose, 
CltoÙo  al  tribunal  del  suo  governo. 
Ricusando  ubbidir  la  prese  a  scherno. 

Anzi  un  regno  per  sé  solo  e  diviso 
A  dispetto  fondò  della  Ragione. 
Volse  anch'  egli  il  suo  inferno  e  il  paradiso 
In  disprezzo  di  Giove  e  di  Plutone. 
Neil*  un  pose  diletto  e  gioia  e  riso, 
Ma  beate  suol  far  poche  persone. 
L'altro  tutto  colmò  di  fiamme  ardenti» 
Dove  i  dannati  suoi  stanno  in  tormenti* 

Delle  più  chiare  e  più  famose  lodi 
Del  mio  folletto  bai  qualche  parte  intesa  -, 
Ma  del  gran  fascio  di  cotante  frodi    [sa. 
Sappi,  che  quel  eh'  io  narro,  il  men  nonpe- 
Dl  sue  prodezze  intempestive  or  odi 
Un'  altra  egregia  e  segnalala  impresa. 
La  misera  Speranza  un  giorno  iNitte , 
Baila  che  lo  nutrì  dei  proprio  latte. 

Indi  da  me  scacciato,  e  In  faeda  tinto 
Dei  color  della  porpora  e  dei  foco, 
E  dalla  rabbia  e  dal  fnror  sospinto,  [co, 
Che  Paccompagnau  sempre  in  ciascun  io- 
Prese  a  giocar  con  l'Interesse,  e  vinto 
L'arco  perdette  e  le  qoadrella  in  gioco. 
Costui ,  che  ogni  valor  spesso  gli  toglie , 
Vinsdo  e  trionfò  delie  sue  spoglie. 


Ma  di  nov'arco  e  di  quadrella  nove 
Poiché  arciera  beltà  1*  ebbe  fornito, 
Sen  glo  ventura  a  ricercare  altrove 
Insopportabilmente  insuperbito. 
E  mentre  inteso  a  far  l'usate  prove 
Scorrea  l' onda  e  l' arena,  il  monte  e  il  lita 
Tra  i  sepolcri  di  Menfi  infausta  sorte 
Guldollo  a  caso  ad  incontrar  la  Morte. 

Quel  teschio  scarno  e  nudo  di  capelli. 
Quella  rete  di  coste  e  di  giunture. 
Delie  concave  occhiaie  1  voti  anelH  ^ 
Del  naso  monco  le  caverne  oscnte , 
Delle  fauci  sdentate  i  duo  rastelli , 
Del  ventre  aperto  Torride  fessure. 
Dei  secchi  stinchi  le  spolpate  fusa , 
Amor  mirar  non  seppe  a  bocca  chìtisa. 

Non  si  seppe  tener  che  non  ridesse 
Tolto  a  schernirla,  il  garruletto  audace» 
Onde  pugna  crudel  tralor  successe, 
VilNrando  ella  la  falce,  egli  la  face. 
Ma  si  frappose,  e  quei  furor  ripresse 
Componendogli  insieme  amica  pMe« 
E  quella  notte  in  un  medesmo  tetto 
Abitanti  coooerdi,  el>ber  ricetto. 

Levati  la  dlraan ,  i'  armi  scambiando , 
L' un  si  prese  dell'  altro  arco  e  quadrella. 
Onde  addivenne  poi  che  saettando 
Fero  effetti  contrari  e  questi  e  quella. 
L' uno  uccidendo,  e  l' altra  Innamorando 
Ancor  serban  qnest'  uso  ed  egli  ed  ella. 
Morte  induce  ad  amar  l'alme  canute, 
Amor  tragge  a  morir  la  gioventute. 

Aden,  l>ena  mia  pena  e  caro  affanno, 
Luce  degli  occhi  miei,  fiamma  del  core. 
Guardali  pur  da  questo  rio  tiranno. 
Che  alfin  non  se  ne  trae  se  non  dolore. 
Così  paria  Ciprigna ,  e  Intanto  vanno 
Fuor  del  boschetto,  ove  trovare  Amore. 
Amor  si  va  le  lagrime  tergendo , 
E  con  occhio  volpin  ride  piangendo. 


108 


MARINO. 


CANTO  SETTIMO. 


LE  DELIZIE. 


ALLEGORIA. 

L'argento  della  tersa  porta  ha  proporzione  con  la  materia  dell* orecchio ,  siccome 
l'avorio  e  il  rubino  delia  quarta  si  confanno  con  quella  delia  lx>cca.  Le  due  donne , 
clie  nel  senso  dell'udito  ritrova  Adone ,  son  la  Poesia  e  la  Musica.  I  versi  epicurei 
cantati  dalla  Lusinga ,  alludono  alle  dolci  persuasioni  di  queste  due  divine  facoltA , 
qualora  divenute  oscene  meretrici ,  incitano  altrui  alla  lascivia.  Le  Ninfe ,  ciie  nei 
senso  del  gusto  dal  mezzo  in  giù  ritengono  forma  di  viti ,  ed  abbracciano,  e  vezzeg- 
giano chi  loro  si  accosta,  son  figura  della  Ebbrietà,  la  quale  suol  essere  molto  tra- 
bocchevole agi*  incentivi  della  libidine.  U  nascimento  di  Venere  prodotta  dalie  spume 
del  mare ,  vuol  dire,  che  la  materia  della  genitura  (  come  dice  il  filosofo]  è  spumosa, 
e  Tumore  del  coito  è  salso.  Il  natale  d*  Amore ,  celebralo  con  festa  ed  applauso  da 
tutti  gli  animali ,  dà  a  conoscere  la  forza  universale  di  questo  efficacissimo  affetto, 
da  cui  riceve  alterazione  tutta  quanta  la  natura.  Pasquino  figlio  di  Homo  e  della 
Satira ,  che  per  farsi  grato  a  Venere ,  le  manda  a  presentare  la  descrizione  del  suo 
adulterio,  dimostra  la  pessima  qualità  degli  uomini  maledici ,  i  quali  eziandio  quando 
vogliono  lodare,  non  sanno  se  non  dir  male.  Vulcano,  che  fal>brica  la  rete  artificiosa, 
è  ti  calor  naturale ,  che  ordisce  a  Venere  ed  a  Marte ,  cioè  al  desiderio  deli'  umano 
congiungimento ,  un  intricato  ritegno  di  lascive  e  disoneste  dilettazioni.  Sono  i 
loro  abbracciamenti  discoperti  dal  Sole,  simulacro  della  prudenza,  perciocché 
questa  virtù  col  suo  lume  dimostra  la  bruttura  di  quell'atto  indegno,  e  la  fa  co- 
noscere e  8chemi«e  da  tutto  il  mondo. 


ARGOMENTO. 

Accenti  di  dolcissima  armonia 
Ascolta  Adon  tra  saoni  e  balli  e  feste. 
Si  sMide  a  mensa  con  la  Dea  celeste, 
E  le  lodi  d'Amor  canta  Talia. 


Musica  e  Poesia  son  due  sorelle 
Ristoratrici  delle  afflitte  genti , 
De*  rei  pensler  le  torbide  procelle 
Con  liete  rime  a  serenar  possenti. 
Non  ha  di  queste  il  mondo  arti  più  belle, 
0  più  yilubri  air  affannate  menti. 
Né  cor  la  Sclzia  ha  barbaro  cotanto , 
Se  non  è  tigre,  a  cui  non  piaccia  il  canto. 

Suol  talvolta  però  metro  lascivo 
L' alte  bellezze  lor  render  men  vaghe, 
E  r  onesto  piacer  fassi  nocivo, 
E  divengon  di  Dee ,  tiranne  e  maghe. 
Né  fa  rapido  strai  passando  al  vivo 
Tinto  di  tosco,  sì  profonde  piaghe. 
Come  1  morbidi  versi  entro  nel  petti 
Van  per  le  orecchie  a  penetrar  gli  affetti. 


Elle  ingombrando  il  cor  di  cure  Insane 
Col  dolce  vln  della  lussuria  molle. 
Quasi  del  padre  ebreo  figlie  profane, 
L'infiamman  si ,  che  fervido  ne  bolle. 
Instigaie  da  lor  le  voglie  umane 
A  libertà  licenziosa  e  folle , 
Dietro  ai  vani  appetiti  oltre  li  prescritto 
Trascorron  poi  del  lecito  e  del  dritto. 

Ma  se  alla  forza  ma^ca  di  queste 
Incantatrici  e  perfide  sirene 
Ad  aggiungere  ancor  per  terza  peste 
Il  calor  della  crapula  si  viene. 
Che  non  può  ?  che  non  fa  7  quante  funeste 
Ulularo  per  lei  tragiche  scene  ? 
Toglie  di  seggio  la  Ragion  ben  spesso , 
I  L' anima  invola  al  cor,  l' uomo  a  sé  stesso. 


L'ADONE. 


109 


Lupa  vorace ,  Ingordo  mostro  infame , 
Lo  cui  cupo  desir  sempre  sfavilla , 
Che  sol  per  satollar  l'avide  brame 
Brami  collo  di  gru,  ventre  di  scUla , 
Si  che  esca  ornai  bastante  a  tanta  fame 
La  terra,  o  l' acqua  non  produce,  o  stilla, 
E  della  gola  tua  divoratrice 
Appena  scampa  l' unica  fenice. 

Dolce  velen ,  che  d'umor  dolce  e  puro 
Irrigando  il  palato  inebbril  l'alma, 
Dal  tuo  lieto  furor  non  fu  securo 
Chi  pria  ti  espresse  con  la  rossa  palma. 
Del  tuo  sommo  poter,  fra  quanti  furo 
Oppressi  mai ,  di  cosi  grave  salma , 
Erode,  Baldassarre  ed  Oloferne 
Han  lasciate  tra  noi  memorie  eteme. 

Ma  ^  iepiù  di  alcun  altro  Adone  è  quello, 
Che  ne  fa  chiara  prova,  espressa  fede. 
Eccolo  là ,  che  verso  il  terzo  ostello 
Con  la  madre  di  Amor  rivolge  il  piede. 
E  il  portinaio  ad  ospite  si  bello 
Aperto  il  passo,  e  libero  concede; 
E  per  via  angusta  e  flessuosa  e  torta 
D' uno  In  altro  piacer  fassi  sua  scorta. 

Slava  costui  eon  pettine  sonoro 
Sollecitando  armonico  strumento. 
Un  cinghiale  in  disparte,  un  cervo,  un  toro 
Teneano  a  quel  sonar  i*  orecchio  intento. 
Ma  deposta  la  lira  al  venir  loro 
Fé'  sul  cardin  crocar  l'uscio  di  argento. 
Di  argento  èl'  u8cÌo,e  certe  conche  ha  vote, 
Che  si  odon  tintinnar,  quando  si  scote. 

Della  bella  armonia  (di  Mhrra  al  figlio 
Disse  il  figlio  di  Maia)  è  questi  il  duce; 
Anch*  ei  della  tua  Dea  servo  e  famiglio 
Al  piacer  dell'  udire  altrui  conduce. 
Né  fatto  è  sema  provvido  consiglio. 
Che  alberghi  con  amor  chi  amor  produce , 
Poiché  non  è  degli  amorosi  metri 
Cosa  in  amor,  che  maggior  graiia  hnpetri. 

Chi  d'eburnea  testudlne  eloquente 
Batter  leggiadra  man  fila  minute. 
Sposando  al  dolce  suon  soavemente 
Musica  melodia  di  voci  argute. 
Sente  talor,  né  penetrar  si  sente 
Di  quei  numeri  al  cor  l' alu  vlrtute , 
Spirto  ha  ben  dissonante,  anima  sorda, 
Qie  dai  concento  universal  discorda. 


Fé'  quel  senso  Natura,  acciò  che  sia 
Di  tal  dolcezza  al  minlsterlo  presto; 
E  benché  entrar  per  la  medesma  via 
Soglia  ciascun  nell'  uomo  abito  onesto , 
Posciaché  ogni  arte  e  disciplina  mia 
Non  ha  varco  nell'  alma  altro  che  questo. 
Una  é  sol  la  caglon,  vario  l'effetto, 
L' uno  ha  riguardo  al  prò,  l' altro  al  diletlo. 

Perché  sempre  la  voce  In  alto  monta , 
Però  l'orecchia  in  alto  anco  fu  messa, 
E  d' ambo  i  Iati ,  emula  quasi,  afilronta 
Degli  occhi  li  sito  in  una  linea  Istessa.  [ta, 
Né  men  certo  é  dell'  occhio  accorta  epron- 
Né  minor  che  nell'  occhio  ha  studio  In  essa. 
In  cui  tanti  son  posti  e  ben  dlstfaitl 
Aquedottl ,  recessi  e  laberlntl. 

Picciolo  si,  se  pareggiarsi  a  quello 
Donno  d*  altro  animai  vile  e  volgare , 
Ma  più  formarsi  ed  eccellenti  e  belle 
Già  non  potean,  né  più  perfette  e  rare. 
Sempre  aperta  hani'  entrata,  e  son  gemel- 
Per  la  necessità  del  loro  affare.         [  le. 
Proprio  moto  non  hanno ,  e  fatte  sono 
Di  un'  asciutta  sostanza  acconcia  ai  suono. 

11  suono  oggetto  é  dell'  udito,  e  mosso 
Per  lo  meno  dell'  aere  al  senso  viene. 
Dall'  estemo  fragor  rotto  e  percosso 
L' aere  del  suon  la  qualità  ritiene  ; 
Da  cui  l'aere  vidn  spinto  e  commosso. 
Come  in  acqua  talor  mobile  avviene , 
Porta  ondeggiando  di  una  In  altra  sfera 
All'  uscio  interior  l'aura  leggiera. 

Scorre  là  dove  é  poi  tesa  a  quest'  uso 
Di  sonora  membrana  arida  tela; 
Quivi  si  frange  e  purga,  e  quivi  chiuso 
Agitando  sé  slesso,  entro  si  cela, 
E  tra  quelle  torture  erra  confuso 
Finché  ai  senso  comun  quindi  trapela , 
Della  cui  region  passando  al  centro, 
11  caratter  del  suon  vi  stampa  dentro. 

Concorrono  a  ciò  far  d'osso  minuto 
Ed  incude  e  triangolo  e  martello, 
E  tutti  son  nei  timpano  battuto 
Articolati ,  ed  implicati  a  quello; 
Ed  a  questa  opra  lor  serve  di  aiuto 
Non  so  s' io  deggia  dir  corda,  o  capello , 
Sottil  cosi ,  che  si  distingue  appena 
Se  sia  filo,  o  sia  nervo,  arteria,  o  vena. 


no 


MAKINO. 


Vedi  quanto  impiegò  l'amor  superno 
In  un  fragii  composto  ingegno  ed  arte 
Sol  per  poter  dei  suo  diletto  etemo 
Almen  quaggiù  comunicargli  parte. 
Ha  sotto  umane  forme  alma  d'inferno  [te. 
Chi  spreisa  ingratoU  ben  eh'  ei  gli  compar- 
E  qui  fine  al  suo  dir  facondo  e  saggio 
Pose  degli  alti  Numi  U  gran  messaggio. 

Aprir  sentissi  Adone  il  cor  nel  petto, 
E  gU  spirU  brillar  d'alu  allegria, 
Quando  di  tanti  augel ,  che  avean  ricetto 
In  quell'albergo,  ud)  la  sinfonia. 
Quai  vagabondo  e  libero,  a  diletto 
Per  le  siepi  e  sugli  arbori  salia. 
Qual ,  perchè  troppo  alzar  non  si  potea , 
Intorno  all'  acque  e  sovra  1  fior  pascea. 

Uopo  non  ha,  che  industre  man  qui  tessa 
Di  ben  filato  acciar  gabbia,  o  voliera. 
Acciocché  degli  augei  la  turba  in  essa 
Senza  poter  fuggir  stia  prigioniera 
Spaziosa  uccelliera  è  l'aria  istessa , 
Che  fa  lor  sempre  autunno  e  primavera. 
Ed  alla  libertà  d'ogni  augelllno 
Carcere  volontario  è  il  bel  giardino. 

Né  rete,  né  cancel  rinchiude  o  serba 
11  pomposo  fagian ,  l' umil  pernice , 
11  verde  parlator  scioglie  per  l'erba 
Lingua  del  sermon  nostro  imitatrice. 
Vi  ha  di  zaffiri  e  porpore  superba 
La  sempiterna  e  slngolar  fenice. 
VI  ha  quel  che  in  sé  sospeso,  eccelse  strade 
Tenta,  e  d'aure  si  nutre,  e  di  rugiade. 

L'aquila  imperiale  11  Sol  vagheggia. 
Col  rostro  il  petto  il  pelllcaa  si  fere,  [già. 
Va  il  picchio  a  scosse,  e  l'agfalron  volteg- 
La  gru  le  sue  falangi  ordina  in  schiere. 
Lo  smeriglio  e  il  terzuol  seguon  l'acceg* 
L*  oche  In  fila  di  sé  fanno  bandiere,  [gta, 
E  la  gaiza  tra  lor  menando  festa 
Erge  la  coda ,  e  l' upupa  la  cresta. 

La  colomba  or  nel  nido  a  covo  geme , 
Or  bacia  11  caro  maschio,  or  tutu  sola 
Rade  l' aria  con  l' ali ,  or  per  1*  estremo 
Cime  di  un  arbosoel  vota  e  ri  voto  ^ 
Or  col  pavone  Innamorato  Insieme 
Ingemma  al  Sole  la  variabii  gola , 
Del  cui  ricco  monll  1*  Iri  fiorita 
La  corona  del  vago  in  parte  Imita. 


B  le  sovvien  mentre  dispiega  l'ale 
Della  leggiadra  sua  prima  sembianza; 
E  tra  quei  fior,  da  cai  nacque  il  suo  male, 
Ancor  di  diportarsi  ha  per  usanza. 
Ed  or  di  chi  canglolla  In  forma  tale 
Rinnova  più  la  misera  membranza , 
Veggendo  in  compagnia  del  caro  Adone 
La  bella  Dea  del  suo  dolor  cagione. 

La  qual  rivolta  allora  agli  arboscelli. 
Odi,  gli  dice,  odi  con  quanti  e  quali 
Motti  amorosi,  o  fior  di  tutti  i  belli, 
Spiegano  1  più  sublimi  II  canto  e  FalL 
Amor  che  alato  é  pur  come  gli  augein , 
Pache  senta  ogni  augel  gli  aorati  strali. 
Il  tutto  vince  alfin  questo  tiranno^ 
E  qui  tacendo,  ad  ascoltar  si  stannob 

Per  far  distinto  al  vago  stnol  che  vola , 
Con  lingua  umana  artic(^ar  sermone , 
Maestro  qui  non  si  richiede,  o  scola, 
Qud  trovò  poi  la  vanità  d' Annone. 
Ogni  semplice  accento  era  parola , 
Che  parlando  di  Venere  e  di  Adone, 
In  spedita  favella  alto  dicea , 
Ecco  con  ridol  suo  la  nostra  Dea. 

Chiusa  tra  I  rami  di  una  quercia  antica. 
Di  sua  verde  maglon  solinga  cella. 
La  monlchetta  del  pastori  amica 
Seco  invita  a  cantar  la  rondlnelia. 
Orfano  tronco  in  secca  piaggia  aprica 
Di  olmo  tocco  dal  del  to  tortordla 
Non  cerca  no,  ma  sopra  verde  pianta 
Solitaria  non  sota,  e  vive  e  canta. 

Saildlando  garrisce,  e  poi  si  asconde 
Il  calderugio  infra  i  più  densi  ramL 
Seco  alterna  11  canario,  e  gli  risponde 
Quasi  di  amor  lodando  I  lacci  e  gli  ami. 
Recita  versi  11  soHterio  altronde , 
E  par  che  il  cacclator  perfido  chiami. 
Fan  la  calandra  e  il  verzelln  tra  loro, 
E  li  capinero  e  il  pettirosso  no  coro. 

La  meria  nera  e  ilcalenzooi  dorato 
Odonsi  altrove  lusingar  l'adito^ 
La  plspoto  il  rigogolo  ha  sfidato. 
Con  r  ortolan  si  é  il  beccafico  unito. 
Contrappunteggian  poi  dall'altro  lato 
Lo  strillo  e  il  raperin  che  sale  al  dllo. 
Con  questi  la  spemosaoU  e  11  frusone, 
E  lo  acriceiolo  ancor  vi  al  frappone. 


L'ADONE. 


Ili 


Con  rasatolo  il  hicfaerìn  si  lagna, 
(^ol  sagace  fiinguel  lo  storno  ingordo. 
L' allodetta  la  passera  accomiMigna , 
Il  fanello  fugace,  U  pigro  tordo. 
Straniero  aogel  di  selva ,  o  di  montagna, 
Non  si  Introduce  In  ai  felice  accordo. 
Se  (giudice  la  Dea)  non  porta  In  piin» 
Di  mule  Tinti  augel  la  q)Oglia  opima. 

Canta  tra  questi  il  musico  pennuto, 
L' augel,  che  piuma  inargentata  veste. 
Quei  die  con  canto  mortalmente  arguto, 
Suol  celebrar  ressequie  sue  funeste: 
Quel  che  con  manto  candido  e  canuto, 
Nascose  già  l'adultero  celeste. 
Quando  da  bella  donna  e  semplicetta 
Fu  la  fiamma  di  Troia  in  sen  concetta. 

Del  bianco  collo  li  lungo  tratto  stende. 
Apre  il  rostro  canoro,  e  quindi  tira 
Fiato ,  che  mentre  inver  le  fauci  ascende , 
Per  obliquo  canal  passa,  e  si  aggira. 
Serpe  la  voce  tremolante,  e  rende 
Mormorio  che  languisce  e  che  sospira  ? 
E 1  gemiti  e  i  sosf^r  profondi  e  gravi , 
Son  ricercate  fleblU  e  soavi. 

Ma  sovra  ogni  angellin  vago  e  gentile. 
Che  più  spieghi  leggiadro  il  canto  e  II  volo. 
Versa  il  soo  spirto  tremulo  e  sottile 
La  sirena  dei  boschi ,  il  rosignuolo  ; 
E  tempra  in  gnisa  il  peregrino  stile , 
Che  par  maestro  dell'alato  stuolo. 
In  mille  fogge  il  soo  cantar  dlstlngne , 
E  tiasforma  una  lingua  in  mille  lingue^ 

Udir  muaioo  mostro  (oh  meraviglia) 
Che  ai  ode  ^,  ma  si  dbceme  appena, 
Come  or  tronca  la  voce ,  or  la  ripiglia , 
Or  la  ferma,  or  la  torce,  or  scema»  or  piena. 
Or  la  mormora  grave ,  or  V  assottiglia , 
Or  fa  di  dolci  groppi  ampia  catena , 
E  sempre,  o  se  la  sparge,  o  se  l' accoglie, 
Con  egual  melodia  la  lega,  e  scioglie. 

Oh  che  veaiose,  oh  che  pieloae  rime 
Laadvetto  cantor  compone  e  detta. 
Pria  flebilmente  il  suo  lamento  esprfaBO, 
Poi  rompe  In  un  aospir  la  canxonetta. 
In  tante  mute  or  languido,  or  snbllmo 
Varia  stil ,  pansé  affirena,  e  fughe  afllpetta. 
Che  imita  Insieme,  e  insieme  In  lui  ii  ammi- 
Cetra ,  flaato.  Unto,  organo  e  lira,     [ra 


Fa  della  gola  lusinghiera  e  dolce 
Taior  ben  lunga  articolata  scala. 
Quinci  quell'armonia  che  l'aura  noloe. 
Ondeggiando  per  gradi,  In  alto  esala, 
E  poiché  alquanto  si  sostiene  e  folce. 
Precipitosa  a  piombo  alfin  si  cala. 
Alzando  a  piena  gorga  indi  lo  scoppio, 
Forma  di  trilli  un  contrappunto  doppH». 

Par  ch'abbia  entro  le  fauci  e  in  ogni  fibra 
Rapida  rota ,  o  turbine  veloce. 
Sembra  la  lingua  che  si  volge  e  vibra. 
Spada  di  schermltor  destro  e  leroceu 
Sepiegaeincrespa,ose  sospende  e  libra 
In  riposati  numeri  la  voce. 
Spirto  il  dirai  del  elei  ,che  In  tanti  modi 
Figurato  e  trapunto  il  canto  snodL 

Chi  crederà,  che  forse  accoglier  poasa 
Animetta  si  plcclola  cotante  ? 
E  celar  tra  le  vene  e  dentro  V  ossa 
Tanta  dolcezza  un  atomo  sonante? 
0  che  altro  sia ,  che  la  lieve  aura  me 
Una  voce  pennuta,  un  suon  volante? 
E  vestito  di  penne  un  vivo  fiato. 
Una  piuma  canora,  un  canto  alato? 


Mercurio  allor,  che  con  orecchie 
Vide  Adone  ascoltar  canto  ti  bello: 
Deh  che  ti  pare,  a  Ini  rivolto  disse. 
Della  divinità  di  questo  augello? 
Diresti  mai ,  che  tanta  lena  unisse 
In  si  poca  sostana  un  spiritello? 
Un  spiritei ,  che  di  armonia  composto 
Vive  in  A  anguste  viaceie  nascosto. 

Mirabil  arte  In  ogni  sua  beli'  opra 
(Ciò  negar  non  si  può)  mostra  Natan  ; 
Ma  quei  pittor  che  ingegno  e  studio  scopra 
Viepiù  che  in  grande.  In  picdola  figura  t 
Nelle  cose  talor  minime  adopra 
Diligenza  maggiore,  e  maggior  cm. 
Quest'eccesso  però  sovra  l'i 
Di  ogni  altra  suo  miracolo  si 


Di  qnd  canto  nel  ver  miraeolosD 
Una  istoria  narrar  bella  ti  voglio. 
Caso  In  nn  memorando  e  lacrimoso. 
Da  far  languir  di  tenerezza  nn  aco^is. 
Sfogava  con  le  corde  In  suon  pietoso 
Un  solitario  asunte  11  suo  oordoglia 
Tacean  le  solvo,  o  dal  notturno  velo 
Era  occspato  In  ogni  parto  U  cislOi 


112 


MARIIfO. 


Mentre  addolcia  di  amor  l'amaro  tosco 
Golsaon,  che  il  sonno  istesso  intento  tenne 
L'innamorato  giovane,  die  al  bosco 
Per  involarsi  alla  città,  sen  venne, 
Senti  dal  nido  sao  frondoso  e  fosco 
Questo  querulo  augel  batter  le  penne, 
E  gemendo  accostarsi,  ed  invaghito 
Mormorar  tra  sé  stesso  il  suono  udito. 

L' Infelice  augeHin  che  sovra  un  faggio 
Erasi  desto  a  richiamare  il  giorno, 
E  dolcissimamente  In  suo  linguaggio 
Supplicava  l'Aurora  a  far  ritomo. 
Interromper  del  bosco  ermo  e  selvaggio 
I  secreti  silenzi  udì  d' intomo, 
E  ferir  l'aure  d'angosciosi  accenti 
Del  trafitto  di  amor  gli  alti  lamenti. 

Rapito  allora ,  e  provocato  Insieme 
Dal  suon  che  parche  a  sé  lo  Inviti  e  chiami. 
Dalle  cime  dell'arbore  supreme 
Scende  pian  plano  In  su  1  più  bassi  rami  ; 
E  ripigliando  le  cadenze  estreme. 
Quasi  ascoltarlo,  ed  emularlo  brami , 
Tanto  si  appressa  e  vola  e  non  si  arresta , 
Che  alfin  viene  a  posargli  In  suUa  testa. 

Quei  che  le  fila  armoniche  percote , 
Sente  (né  lascia  l'opra)  il  lieve  peso. 
Anzi  11  tenor  delle  dolenti  note 
Più  forte  intanto  ad  Iterare  ha  preso. 
E  11  miser  rosignuol  quanto  più  potè 
Segue  11  suo  stile,  ad  Imitarlo  Inteso. 
Quel  canta ,  e  nel  cantar  geme  e  A  lagna , 
E  questo  11  canto  eli  gemito  accompagna. 

E  quivi  l'un  sul  flebile  stramehto 
A  raddoppiare  1  dolorosi  versi , 
E  l'altro  a  replicar  tutto  11  lamento 
Come  pur  del  suo  duol  voglia  dolersi , 
Tenean  con  l'alternar  del  bel  concento 
Tutti  i  lumi  celesti  a  sé  conversi , 
Ed  allettavan  pigre  e  taciturne 
Viepiù  dolce  a  dormir  l'ore  notturne. 

Da  principio  colui  sprezzò  la  pugna , 
E  volse  dell' augel  prendersi  gioco. 
Lievemente  a  grattar  prese  con  l' ugna 
Le  dolci  linee ,  e  poi  fermossi  un  poco. 
Aspetta  che  il  passaggio  al  punto  giugna 
L'altro,  e  rinforza  poi  lo  spirto  fioco, 
E  di  natura  infatlcabll  mostro 
CIÒ  che  ei  fa  con  la  man  rifa  col  rostro. 


Quasi  sdegnando  11  sonatore  arguto 
Dell' emulazion  gH  alti  contrasti, 
E  che  seco  animai  tanto  minuto 
Non  che  concorra ,  al  paragon  sovrasti , 
Comincia  a  ricercar  sovra  il  liuto 
Del  più  dlflldl  tuon  gli  ultimi  tasti; 
E  la  linguetta  garrala  e  faconda 
Ostinata  a  cantar  sempre  11  seconda. 

Arrossisce  il  maestro,  e  a  scorno  prende. 
Che  vinto  abbia  a  restar  da  si  vii  cosa. 
Volge  le  chiavi,  I  nervi  tira,  e  scende 
Con  passata  maggior  fino  alla  rosa. 
Lo  sfldator  non  cessa,  anzi  gii  rende 
Ogni  replica  sua  più  vigorosa  ; 
E  secondo  che  V  altro  o  cala ,  o  cresce 
Labirinti  di  voce  implica  e  mesce. 

Quel  di  stupore  allor  divenne  un  ghlacdo, 
E  disse  irato  :  Io  ti  ho  soflerto  un  pezzo. 
0  che  tu  non  farai  questa  ch'io  faccio, 

0  ch'Io  vinto  ti  cedo,  e  il  legno  spezzo. 
Recossl  poscia  II  cavo  arnese  In  braccio, 
E  come  in  esso  a  far  gran  prove  avvezzo, 
Con  crome  in  fuga ,  e  sincope  a  traverso 
Pose  ogni  studio  a  variare  il  verso. 

Senza  alcuno  intervallo  e  pigila,  e  lassa 
La  radice  del  manico,  e  la  cima , 
E  come  il  trae  la  fantasia  si  abbassa , 
Poi  risorge  in  un  punto ,  e  si  sublima  ; 
Talor  trillando  al  canto  acuto  passa , 
E  col  dito  maggior  tocca  la  prima. 
Talora  ancor  con  gravità  profonda 
Fin  dell'  ottava  In  sul  bordon  si  affonda, 

Vola  su  per  le  corde  or  basso,  or  alto 
Più  che  r  Istesso  augel  la  man  spedita. 
DI  su ,  di  giù  con  repentino  salto 
Van  balenando  le  leggiere  dita. 
DI  un  fier  conflitto  e  di  un  confuso  assalto 
Inlmitabihnente  I  moti  Imita, 
Ed  agguaglia  col  suon  del  dolci  carmi 

1  bellicosi  strepiti  deli'  armi. 

Timpani  e  trombe  e  tutto  dò  che  quando 
Serra  In  campo  le  schiere,  osserva  Marte , 

I  suoi  turbini  spessi  accelerando. 
Nella  dotta  sonata  esprime  l'arte; 
E  tuttavia  moltiplica  sonando 

Le  tempeste  del  groppi  In  ogni  parte  ; 
E  mentre  el  l' armonia  cosi  confonde . 

II  suo  competltor  nulla  risponde. 


V  ADONE. 


113 


Poi  tace,  e  vuol  veder  se  Taugelletto 
Gol  canto  il  suon  per  pareggiarlo  adegua. 
Raccoglie  quello  ogni  sua  forza  al  petto , 
Né  vuole  in  guerra  tal  pace,  né  tregua. 
Ma  come  un  debil  corpo  e  pargoletto 
Esser  può  mal ,  che  un  sì  gran  corso  segua  ? 
Maestria  tale  ed  artificio  tanto 
Semplice  e  naturai,  non  cape  un  canto. 

Poiché  molte  e  melt'ore  ardita  e  franca 
Pugnò  del  pari  la  canora  coppia , 
Ecco  H  povero  augel ,  che  alfin  si  slanca , 
E  laogue  e  sviene  e  infievolisce  e  scoppia. 
Cosi  qual  face,  che  vacilla  e  manca , 
E  maggior  nel  mancar  luce  raddoppia, 
Dalla  lingua,  che  mai  ceder  non  volse, 
li  dilieato  spirito  si  sciolse. 

Le  stelle  poco  diansi  innamorate 
Di  quel  soave  e  diletlevol  canto. 
Fuggir  piangendo,  e  dalie  logge  aurate 
Si  affacciò  l'alba,  e  venne  il  Sole  intanto. 
II  musico  gentil  per  gran  pletate 
L'estinto  corpicciol  lavò  col  pianto. 
Ed  accusò  con  lagrime  e  querele 
Non  men  sé  stesso ,  che  11  destin  crudele. 

Ed  ammirando  il  generoso  ingegno, 
Fin  negli  aliti  estremi  invitto  e  forte , 
Nel  cavo  ventre  del  sonoro  legno 
D  volse  seppellir  dopo  la  morte. 
Né  dar  potea  sepolcro  unqua  più  degno 
A  si  nobil  cadavere  la  sorte. 
Poi  con  le  penne  dell'  augello  istesso 
Vi  scrisse  di  sua  man  tutto  il  successo. 

Ma  chi  fu  che  l' instrusse?  il  mastro  vero 
(Non  so  se  il  sai)  fu  di  quest'arte  Amore. 
Egli  Insegnò  la  musica  primiero, 
Ei  fu  de'  dolci  numeri  l' autore , 
E  del  soave  ordigno ,  e  lusingiiiero 
Volse  le  corde  nominar  dal  core. 
Oh  che  strana  armonia  dolce  ed  amara 
Nella  sua  scola  un  cor  ferito  impara  ! 

Dica  costei  che  II  sa,  costei  che  il  sente. 
Di  questa  invenzion  l'origin  vera, 
Fa,  che  l' Istesso  Amor,  eh*  é  qui  presente, 
Ti  narri,  onde  l' apprese  è  In  qual  maniera. 
Contan ,  che  un  di  nella  fucina  ardente , 
Che  d' Etna  alluma  la  spelonca  nera , 
Dove  alternano  1  fabbri  i  colpi  in  terzo , 
V  ingegnoso  fanciullo  entrò  per  scherzo. 


Ed  osservando  de'  martelli  i  suoni 
Librati  in  suU'  ancudini  percosse , 
Le  cui  battute  a  tempo  a  tempo  e  i  tuoni 
Facean  parer,  che  un  bel  concerto  fosse , 
Le  regole  non  note  e  le  ragioni 
Delie  misure  a  specular  si  mosse , 
E  con  stupor  del  padre  e  de'  ministri 
Gl'Intervalli  trovò  de'  bei  registri. 

Della  prim*  opra  11  semplice  lavoro 
Fu  rozza  alquanto  e  mal  temprata  cetra, 
E  da  compor  queir  organo  sonoro 
La  materia  gli  die  l' aurea  faretra. 
Per  fabbricarne  le  chiavette  d' oro 
Ruppe  lo  strai ,  che  rompe  anco  la  pietra. 
L' arco  proprio  adoprò  d'archetto  In  vece, 
E  della  corda  sua  le  corde  fece. 

Apollo  11  dotto  Dio,  meglio  dl^osc 
L'ordine  poi  de' tasti  e  de' concenti; 
Ed  io,  che  vago  son  di  nove  cose , 
Novi  studj  mostrai  quindi  alle  genti , 
E  in  più  forme  leggiadre  e  dilettose 
D' inventar  m' ingegnai  vaij  strumenti , 
Onde  certa  e  perfetta  alfin  ne  nacque 
La  bella  facoltà ,  che  tanto  piacque. 

Place  adascun,  ma  più  eh'  agli  altri  place 
Agi'  Inquieti  e  travagliati  amanti , 
Né  trova  altro  refugio  ed  altra  pace 
Un  tormentato  cor,  che  suoni  e  canti. 
Egli  è  ben  ver,  che  il  suono  é  si  efficace. 
Che  provoca  talor  sospiri  e  pianti , 
E I  duo  contrari  estremi  in  guisa  ha  misti. 
Che  rallegra  gli  allegri,  attrisU  i  tristi 

Qui  tacque  II  gran  corrìer  cheporta  alato 
In  man  io  scettro ,  e  di  due  serpi  attorto  ; 
Perché  mentre  che  Adone  innamorato 
Per  r  ameno  glardin  mena  a  diporto, 
Venir  non  lunge  per  erboso  prato 
D'uomini  e  donne  un  bel  drappello  hascor- 
E  due  Ninfe  di  vista  assai  giuliva        [to. 
Come  capi  guidar  la  comitiva. 

Mostra  Ignudo  11  bel  seno  una  di  queste, 
E  tremanti  di  latte  ha  le  mammelle. 
Verdeggiante  ghirlanda ,  azzurra  veste 
Ed  ali ,  onde  talor  vola  alle  stelle. 
Trombe,  cetre,  sampogne,  un  stuol  celeste 
Di  fanciulli  le  poru  e  di  donzelle. 
Nella  destra  sostien  scettro  d'alloro, 
Stringe  con  l' altra  man  volume  d' oro. 


114 

IH  costei  ia  conqMgn  ba  di  fioretti 
Amorosi  e  leggiadri  i  crini  aspersi  « 
Varia  la  gonna ,  in  cui  di  vaij  aspetti 
E  chiavi  e  note  ha  figurate ,  e  versi. 
Dietro  io  iranno  ancor  Ninfe  e  valletti 
Misure  e  pesi  ed  organi  diversi. 
Musici  libri,  e  con  ballorie  e  canti 
Di  vermiglio  licor  vasi  spumanti. 


MARINO. 

Bench'alloggino  or  qoile  mie  dHetie , 
Non  son  già  queste  le  lor  stanze  osale. 
Là  nel  mio  ciel  con  altre  giovinette 
Abitao  come  Dee,  sempre  l>eato. 
Se  mal  lassù  venir  ti  si  permette, 
Ti  mostrerò  gii  ailierghi ,  ove  son  nate. 
Qui  con  Amore  a  trastullarsi  intente 
Dall'eterna  maglon  scendon  sovente. 


Soggiunse  allor  Mercurio  :  Ecco  di  due 
Suore  d' un  parto  Inclita  coppia  e  degna  ; 
Degna  non  dico  deli' orecchie  tue, 
Ma  del  gran  re ,  che  su  le  stelle  regna» 
La  prima  ha  del  divln  neU' opre  sue. 
L'altra  di  secondaria  anco  s' ingegna  « 
K  con  stupore  e  con  diletto  immenso 
V  una  attrae  l' intelletto ,  e  l' altra U  senso. 

Quella  che  innanzi  alquanto  a  noi  s'appres- 
E  più  noMl  rasscmbra  agli  occhi  miei,  [sa, 
Scbben  rìtrovatrice  è  per  sé  stessa, 
E  l'arte  del  crear  trae  dagli  Del, 
Con  la  cara  gemella  è  si  connessa, 
€lie  1  ritmi  apprende  a  misurar  da  lei, 
E  da  lei,  che  le  cede  e  le  vien  dietro. 
Prende  le  fughe  e  le  posate  al  metro» 

Colei  però,  che  accompagnar  la  suole, 
Ha  dell'  aiuto  suo  bisogno  anch' ella , 
Né  sa  spiegar,  se  si  rallegra,  o  dolo, 
Se  non  le  pa^ion  della  sorella. 
Da  lei  gli  accenti  impara  e  le  parole , 
Da  lei  distlnu  a  scioglier  la  favella* 
Senza  lei  fora  un  suon  senza  concetto, 
Priva  di  grazia  e  povera  d*  afletto. 

Per  queste  lor  reciproche  vicende  [ro. 
Sempre  unite  aml>edue  ne  andranno  al  pa- 
E  con  quel  lume ,  onde  virtù  rbplende , 
Risplenderan  nel  secolo  più  chiaro. 
I  primi  raggi  lor  la  Grecia  attende , 
Cui  promette  ogni  grazia  il  Cielo  avaro , 
1^  Grecia,  In  cui  per  molti  e  molti  lustri 
Lia  terranno  In  onor  spiriti  illustri. 

Col  tempo  poi  diverran  glooo  e  preda 
E  delle  genti  barbare  e  degli  anni , 
Colpa  di  Marte ,  a  cui  convien  che  ceda 
Ogni  arte  egregia ,  e  colpa  de'  tiranni. 
Sola  l' luila  alfln  fia  che  possieda 
Qualche  reliquia  degli  antichi  danni  ; 
Ma  la  bella  però  luce  primiera 
Si  smarrirà  della  scienza  vera. 


Vennero  al  vago  Aden  strette  per  mino 
Tutte  festa  11  sembiante ,  e  foco  11  volto 
Queste  due  Ideile,  e  con  parlar  umano. 
Polche  in  schiera  tra  lor  1*  ebbero  aceolio. 
Ne  andare  ove  s' apri  nel  verde  piano 
Di  lieta  gente  un  largo  cerchio  e  folto , 
Che  inviundoio  seco  al  bel  soggiorno 
Gli  fé'  corona ,  anzi  teatro  intorno* 

Non  so  se  vere,  o  vane,  avean  sembtauue 
Tutti  di  damigelle  e  di  garzoni. 
Alternavan  costor  mute  e  mutanze, 
Raddopplavan  correnti  e  ripoloni, 
Ijasclvamente  alle  festive  Àuze 
Dolci  1  canti  accordando ,  ai  canti  1  sbodI, 
Cetre  e  salteri,  e  crotali  e  taballi 
Ivan  partendo  In  più  partite  I  bailL 

Forati  bossi  e  concavi  oricalchi, 
E  rauche  pive  e  pifferi  tremanti 
Mostrano  altrui ,  come  II  terreo  si  calchi 
Regolando  con  legge  i  passi  errantL 
Per  l'ampie  logge  e  su  I  fioriti  palchi 
Miransi  cori  di  felici  amanti 
Tagliar  canari,  esercitar  gagliarde, 
Menar  pavane  ed  agitar  nizzarde. 

Precede  lor  la  prima  coppia ,  e  questa 
Con  piante  maestrevoli  e  kqsgiere, 
Guidatrìce  del  ballo  e  della  fesu 
Carolando  sen  va  fra  quelle  schiere , 
Sì  gala  In  vista,  e  sovra  pie  si  presta , 
Che  forse  al  suon  delle  rotanti  sfere 
Soglion  lassù  men  rapide  e  men  btììt 
Per  le  piazze  del  del  danzar  le  stelle. 

Dlcean  tutti  cantando  :  0  Dea  beata , 
0  bella  universa!  madre  e  nutrice , 
Con  rtstessa  Natura  a  un  parto  nata, 
DI  quanto  nasce  originai  radice, 
Peroni  genera  al  mondo ,  e  generata 
Ogni  stirpe  mortai  vive  felice; 
Felice  teco  a  queste  rive  arrivi 
Quella  beltà,  per  cui  felice  vivi. 


Al  tuo  cenno  le  Parche  ubbidienti 
Tiran  le  fila  in  varj  suini  ordite. 
Dal  tuo  consiglio ,  in  tua  virtA  cresoenti 
Natura  inpara  a  seminar  le  vite. 
Per  legge  tua  di  sfere  e  d'elementi 
Stansi  le  tempre  In  bel  legame  unite. 
Se  non  spirasse  il  tuo  spirto  fecondo , 
1  nodi  suoi  rallenterebbe  il  mondo. 


AD0I9K.  1I& 

Tosto  che  In  luce  a  poco  a  poeonsdo , 
Quel  fantastico  mostro  all'  iroproTrfso , 
Non  sorse  In  pie ,  ma  del  suo  fior  natio 
Restò  tra  l' erbe  e  tra  le  foglie  assiso. 
Occhio  ha  ridente ,  atto  benigno  e  pio , 
Ha  femminile  e  glovenlle  il  tìs^k 
Veston  le  spalle  e  II  aen  penne  stellate, 
Fregian  le  gambe  e  i  pie  scaglie  dorate. 


Tu  Del ,  tn  Terra ,  e  tu  conseni  e  folcii 
Fiori,  erbe,  piante ,  e  nelle  piante  II  frutto. 
Tu  crei,  tu  reggi ,  e  tu  ristori  e  moki 
Uomini  e  fere ,  e  1*  universo  tutto , 
Che  senza  1  doni  tuoi  giocondi  e  dolci 
Solitario  per  sé  fora,  e  distrotto; 
Ma  mentre  stato  varia ,  e  stile  alterna , 
La  tua  mercede;  il  suo  caduco  eterna* 

Lumiera  bella,  che  con  luce  lieta 
Delie  tenebre  umane  il  fesco  allumi , 
Da  cui  nasce  gentil  fiamma  secreta, 
Fiamma ,  ond' icori  accendi  e  non  consu- 
D' ogni  mortai  benefatlor  pianeta^    [mi; 
Gloria  immortai  de' più  benigni  Numi, 
Ch'  altro  non  vuoi ,  che  a  prò  di  chi  l'ot- 
Godereil  bello ,  e  possedere  il  bene,  [tiene 

Commesura  d'amor,  virtù  che  innesti 
Con  saldi  groppi  di  concordi  amplessi 
E  le  cose  terrene  e  le  celesU , 
E  supponi  al  tuo  fren  gli  abissi  istessl  ; 
Per  cui  con  fertll  copula  contesti 
Vicendevol  desio  stringe  due  sessi , 
Sicché  mentre  l' un  dona,  e  l' altro  prende, 
Il  cambio  del  piacersi  toglie  e  rende. 

Con  quest'Inno  devoto,  e  questo  canto 
Venne  la  turba  a  venerar  la  Dea 
Ballando  sempre ,  e  fatto  pausa  alquanto 
Al  concerto  dolcissimo  tacca. 
<^n  Mereurio  ed  Amore  Adone  intanto 
bj  con  Venere  altrove  U  pie  movea, 
Quando  ecco  a  sé  con  non  minor  diletto 
Novello  il  trasse,  e  disusato  oggetto. 

Un  fiore^  un  flore  apre  la  buccia,  e  figlia, 
Ed  é  suo  parto  un  biondo  crin  disciolto , 
E  dopo  il  crin  con  due  serene  ciglia 
Ecco  una  fronte ,  con  la  fronte  un  volto , 
Al  principio  però  non  ben  somiglia 
Il  mezzo  e  il  fin ,  ma  differente  é  molto. 
Vedeal  alla  beltà,  che  quindi  spunu. 
Forma  di  stranio  augelloesser  coogiuata. 


Serpentina  la  coda  al  ventre  ha  chiosa, 
Lunau,  e  qual  d'arpia ,  1*  mighla  pungente. 
Cela  un  amo  tra' fiori ,  onde  delusa 
Tira  rhicauta  e  semplicetta  gente. 
Ticn  di  nettare  e  mei  la  lingua  infusa , 
Che  persuade  altml  soavemente. 
Cosi  la  bella  fera  I  sensi  alletta , 
Fera  gentil ,  che  la  Lusinga  é  detta. 

La  Lusinga  &  costei.  Lunge  fuggite, 

0  di  falso  piacer  folli  seguaci. 

Non  ha  sfinge ,  o  sirena  o  più  mentite 
Parolette  e  sembianze ,  o  più  sagaci. 
Copron  perfide  Insidie ,  aspre  ferite 
Abbracciamenti  adulatori  e  bacL 
Vipera  e  scorpion ,  con  arti  hìfide 
Baciando  morde,  ed  abbracciando  uccide. 

La  chioma  intanto,  che  in  bel  nodi  invol* 
Stringon  con  ricche  fasce  auree  catene,  [tft 
Dal  career  suo  disprigionata  e  sciolta 
Su  per  le  membra  a  sviluppar  si  viene; 
La  qual  può,  tanto  è  lunga  e  tanto  è  folta. 
Le  laidezze  del  corpo  adombrar  bene; 
Sicché  sotto  le  crespe  aurate  e  bionde 
Tutu  i  difetti  inferiori  asconde. 

Dell'altrui  visu  insidiosa  e  vaga 
Ella  o  che  non  s'avvide,  o  che  s'Infinse , 
Indi  la  voce  incantatrice  e  maga 
In  note  più  che  angeliche, distinse. 
Note,  in  cui  per  far  dolce  incendio  e  piaga 
Amor  le  faci  e  le  quadrclla  intinse. 
Uscir  dolce  tremanti  udiansi  fuori 

1  misurati  numeri  canorL 

Tal  forse  Intenerir  col  dolce  canto 
Suol  la  bella  Adriana  1  dnrt  affetti, 
E  con  la  voce  e  con  la  vista  Intanto 
Gir  per  due  strade  a  saettare  I  petti. 
E  in  tal  guisa  Fiorinda  udisti,  o  Manto, 
Là  nei  teatri  dei  tuoi  regj  tetti , 
Di  Arianna  spiegar  gli  aspri  martfarl , 
E  trar  da  mille  cor  mille  sospiri. 


116 


MiUllNO. 


FermaroU  corsoi  fiumi,  il  toIo  1  venti,  | 
E  gli  augelleltl  al  suo  cantar  le  penne. 
Fuggi  l'arbor  di  Dafni  I  bei  concenti, 
Qiè  del  canto  d'Apollo  a  lei  sovvenne. 
Apollo  istesso  1  corridori  ardenti , 
Vinto  d'alta  doieexza ,  a  fren  ritenne. 
E  queste  fur  le  lusinghiere  e  scorte 
Vod ,  ove  accolta  In  aura  era  la  morte. 

Voi  clie  sciienando  gite  anime  liete , 
Per  la  stagioo  ridente  e  giovenile. 
Cogliete  con  man  provvida,  cogliete 
Fresca  la  rosa  in  suU' aprir  d'aprile. 
Pria  che  quel  foco  che  negli  occhi  avete. 
Freddo  ghiaccio  divenga,  e  cener  vile. 
Pria  che  caggian  le  perle  al  dolce  riso , 
E  come  è  crespo  11  crin ,  sia  crespo  il  viso. 

Un  lampo  è  la  beltà,  l'etade  un'ombra, 
Né  sa  fermar  l' irreparabil  fuga. 
Tosto  le  pompe  di  natura  Ingombra 
Invida  piuma ,  ingiuriosa  ruga. 
Rapido  11  tempo  si  dilegua  e  sgombra , 
Cangia  il  pel,  gli  occhi  oscura,  il  sangue 

asciuga. 
Amor  non  men  di  lui  veloci  ha  i  vanni , 
Fugge  coi  0or  del  volto  il  fior  degli  anuL 

«De'  lieti  di  la  primavera  è  breve , 
Né  si  racquista  mal  gioia  perduta. 
Vien  dopo  il  verde  con  pie  tardo  e  greve 
La  penitenza  squallida  e  canuta. 
Dove  spuntava  il  fior,  fiocca  la  neve, 
E  colori  e  pensler  trasforma  e  muta, 
Sicch'uom  freddo  in  amor  quelle  pruine. 
Ch'ebbe  dianzi  nel  core,  ha  poi  nel  crine. 

Saggio  colui  ch'entro  un  bel  seno  accolto 
Gode  11  frutto  del  ben  che  gli  è  concesso. 
Ed  oh  stolto  quel  cor ,  né  men  che  stolto 
Crudo^nè  men  che  altrui, crudo  a  sé  stesso. 
Cui  quel  piacer  per  propria  colpa  é  tolto, 
Che  vien  si  raro ,  e  si  desia  si  spesso. 
Anima  In  cui  d' amor  cura  non  regna , 
0  che  non  vive,  o  che  é  di  vita  indegna. 

Qgno  che  canti ,  rosignuol  che  plori , 
Musa  o  sirena  che  di  amor  sospiri , 
Aura ,  o  ruscel  che  mormori  tra  1  fiori , 
Angel  che  mova  il  plettro,  o  del  che  giri, 
Non  di  tanta  dolcezza  inebbrla  i  cori , 
Lega  i  sensi  talor,  pasce  I  desiri. 
Con  quanta,  la  mirabile  armonia. 
Per  r  orecchie  al  garzone  il  cor  feria. 


Sparse  vive  faville  fai  ogni  vena 
Gli  avea  già  quella  Insolita  beltade , 
Quando  un  raggio  di  Sol  toccolla  appena. 
Che  la  disfece  in  tenere  rugiade. 
0  diletto  mortai ,  gioia  terrena , 
Come  pullula  tosto,  e  tosto  cade. 
Vano  piacer  cbe  gli  animi  trastulla , 
Nato  di  vanità ,  svanisce  in  nulla. 

In  questo  mentre  a  più  secreto  soglie 
Già  s' apre  Adon  con  la  sua  bella  11  varco. 
Già  di  candido  avorio  uscio  l'accoglie , 
Che  ha  di  schietto  rubin  cornice  ed  arco. 
Tien  di  frutti  diversi,  e  fronde  e  foglie 
Il  ministro,  cbe  il  guarda  un  cesto  carco. 
Fan  de'sapori  ond'egli  ha  '1  grembo  onusto 
Una  sclmia  ed  un  orso  arbitro  il  gusto. 

Questi  guidando  Adon  di  loggia  in  log- 
In  una  selva  sua  fa  che  riesca.        [già , 
Plangon  quivi  le  fronde,  e  stillan  pioggia 
Di  celeste  iicor  soaye  e  fresca. 
Onde  l'augel  che  tra  i  bel  rami  alloggia , 
In  un  tronco  medesmo  ha  nido  ed  CMa  ; 
Ed  alla  cara  sua  prole  felice 
Quella  pianta  che  é  culla,  anco  é  nutrice. 

Con  certa  legge  e  sempre  ugual  misura 
Qui  tempra  i  giorni  11  gran  rettor  del  lume. 
Non  vi  alterna  giammai  tenor  natura , 
Né  con  sue  veci  il  Sol  varia  costume. 
Ma  fa  con  soavissima  mistura 
Gli  ardori  algenti  e  tepide  le  brume. 
Sparsa  il  bel  volto  di  sereno  etemo 
Ride  la  state,  e  si  marita  al  verno. 

In  ogni  tempo,  e  non  arato,  o  culto, 
Meraviglie  il  terreo  produce  e  serba , 
E  nel  prato  nutrisce ,  e  nel  virgulto 
La  matura  stagion  misu  all'acerba; 
Perché  l'anno  fanciullo  insieme  adulto 
Dona  il  frutto  alla  planU ,  il  fiore  all'erba, 
Talché  congiunto  11  tenero  al  virile 
Lussuria  ottobre,  e  pargoleggia  aprile. 

Di  fronde  sempre  tenere  e  novelle 
L' orno,  l' alno,  la  quercia  11  cielo  ingom- 
Piante  sterili  si,  ma  grandi  e  belle,  [bra  ; 
Di  frutto  invece  han  la  bellezza  e  l'ombra, 
L'allor  non  più  fugace,  opache  celle 
Tesse  di  rami,  e  in  guisa  il  prato  adombra, 
Che  per  dare  agli  amori  albergo  ed  agio 
Par  voglia  d'arboscel  farsi  palagio. 


L' ADONE. 


117 


VI  fan  vaghe  spalliere  ombrosi  e  folli 
Tra  purpurei  rosai  verdi  mirteti. 
Quasi  per  mano  strettile  in  danza  accolti 
Ginepri  e  faggi ,  e  platani  ed  abeti 
Si  condensan  coti ,  cbe  ordiscon  molti 
l^aberinti  e  ricovri  ermi  e  secreti; 
Né  Febo  il  crin,  se  non  taior,  vi  asconde , 
Quando  Tauraper  scherso  apre  le  fronde. 

Trionfante  la  palma  infra  lo  spesso 
Popolo  delle  piante  il  capo  estolle. 
Piramide  del  boscbl ,  alto  il  cipresso 
Signoreggia  la  valle ,  agguaglia  11  colle. 
Umidetto  d'amlnrosia  U  fico  anch'esso 
Mostra  il  suo  frutto  rugiadoso  e  molle, 
Che  piangendo  si  sta  tra  foglia  e  foglia 
Chino  la  fronte ,  e  lacero  la  spoglia. 

Dalla  madre  ritorta  e  pampinosa 
Pende  la  dolce  e  colorita  figlia, 
Parte  fra  1  tralci  e  fra  le  foglie  ascosa. 
Parte  dal  Sole  li  nutrimento  pigila. 
Altra  di  color  d*oro,  altra  di  rosa. 
Altra  più  bruna ,  ed  altra  più  vermii^ 
Quale  acerba  ha  la  scorza,  e  qual  matura, 
Qual  comincia  pian  piano  a  farsi  oscura. 

Scopre  11  punico  stelo  il  bel  tesoro 
Degli  aurei  pomi  di  rossor  dipinti. 
Apre  un  dolce  sorriso  ai  grani  loro 
Nel  cavi  alberghi  in  ordine  distinti; 
Onde  fa  scintillar  dal  guscio  d*oro 
Molli  rubini  e  teneri  giacinti , 
E  quasi  In  plccol  Iride  commisti 
Sardonici ,  baiassi  ed  ametisti. 

Nutre  U  susin  tra  questi  anco  i  suol  parti, 
Altri  obliqui  ne  forma,  altri  ritondl, 
Qual  di  stille  di  porpora  consparti , 
Qual  d*eban  negri,  e  qual  più  ch'ambra 
Men  pigro  il  moro  in  sì  beati  parti  [biondi. 
Al  verme  serican  serba  le  frondL 
HavvI  il  mandorlo  aprico,  ed  bav  vi  il  pome. 
Che  trae  diPersia  11  suolegnaggloe  11  nome. 

All'  opra  naturai  cultrice  mano 
Con  Innesti  ingegnosi  aggiunse  pregio , 
Indold  r  aspro ,  Incivili  l' estrano , 
Ornò  11  natio  di  peregrino  fregio. 
Congiunto  ai  cornio  suo  minor  germano 
Fiammeggia  11  soavisshno  drieglo , 
Nasce  1*  uva  dal  sorbo,  ed  adotuto 
Dall'  arando  purpureo  è  11  cedro  aurato. 


Anzi  virtù  d'amor  viepiù  che  d*  arte , 
La  men  pura  sostanza  indi  rimossa. 
Perchè  perfetta  II  frutto  abbia  ogni  parte, 
Fa  che  le  polpe  sue  nascan  senz'  ossa  ; 
E  tanto  In  lor  di  suo  vigor  comparte , 
Che  ciascun  di  essi  oltre  misura  Ingrossa, 
Il  pero ,  Il  pruno  prodigioso  e  II  pesco 
Vive  In  ogni  stagion  maturo  e  fresco. 

Mostrando  II  cor  fin  ndle  foglieesprwso 
Preme  11  tronco  fedel  l'edra  brancuta. 
Stringe  II  marito  e  gli  si  appoggia  appresso 
La  vite  onde  la  viu  è  sostenuta. 
Vibra  nd  gelo  amor,  nel  vento  Istesso 
La  face  ardente ,  e  la  saetta  acuta. 
L' acque  accese  di  amor  baclan  le  sponde, 
E  dlsoorron  di  amor  l' aure  e  le  fronde. 

Tra  quel  frondosi  arbusti  Adon  sen  varca, 
E  coi  Numi  compagni  oltro  cammina , 
Dove  ogni  pianta  I  verdi  rami  Inarca , 
Quasi  voglia  abbracciar  chi  si  avvicina  ; 
E  di  frutti  e  di  fior  giammai  non  scarea, 
E  del  bel  peso  prodiga  s' Inchina. 
Piove  netur  l' olivo  e  l' elee  manna , 
Mele  la  querda  e  zucchero  la  canna. 

Qui  son  di  Bacco  le  feconde  vigne, 
Dove  in  pioggia  stillante  U  vin  si  sugge. 
Di  candid'  uve  onusta ,  e  di  sanguigne 
Quivi  ogni  vite  si  diffonde  e  strugge, 
Le  cui  radici  intorno  irriga  e  dgne 
Di  puro  mosto  un  fiumicel  che  fogge. 
Scorro  11  mosto  dall'  uve  e  dalle  foglie , 
E  In  vermiglio  niscd  tutto  si  accoglie. 

Si  accoglie  In  rivi  11  dolce  umore,  e  In  flu- 
A  poco  a  poco  accumulato  cresce,    [me 
E  nutro  a  sé  tra  le  purpuree  spume 
DI  color,  di  sapor  dmlle  II  pesce. 
Folle  chi  questo  e  quel  gustar  presume. 
Che  per  gran  gioia  di  sé  stesso  n'  esce. 
Ride ,  e  li  suo  riso  è  si  possente  e  forte , 
Che  la  letizia  alfin  termina  in  morte. 

Arbori  estrani  qui  (se  prestar  fede 
lice  a  tanto  portento  )  esser  d  scrive. 
Spunta  con  torto  e  noderoso  piede 
Il  tronco  Inferior  sovra  le  rive; 
Ma  dalla  forca  In  su  qud  che  d  vede. 
Ha  forma  e  qualità  di  donne  vive. 
Son  viticci  le  chiome ,  e  1  diti  estremi 
Figliano  trdd ,  e  gettano  racemi. 


118 


MABINO. 


DafiDe,  oSirinsa  tal  forse  ener  (kbbe 
in  rì¥a  di  Ladone ,  o  di  Peaeo 
Quandol'  unaaTesamlia,  e  l'altra  aocrel>- 
Nova  verdura  ai  boschi  di  Uoeo.       [  lie 
Fona  io  foriu  si  iatu  a  mirar  ebbe 
Sue  figlie  ii  Po  nel  caao  acerbo  e  reo 
Quando  a  spegner  le  fiamme  entro  il  suo 
Sinistrando  ii  sentler  venneFeConte.  [fonte 

fiotto  le  scom  ruvide  ed  alpestre 
Swtesi  palpiur  spirto  selvafl^io. 
SogUon  ridendo  aitmi  porger  le  destre, 
E  si  odon  faveliar  greco  Unguaggio. 
Ma  die  frullo  si  colga,  o  fior  silvestre 
Non  sema  allo  dolor  soffron  T  oltraggio. 
Badan  talor  lusingatrid  oscene , 
Ma  dii  gusu  i  lor  bad  ebbro  diviene. 

Con  pampinod  e  teneri  legami 
Stringono  ad  oraad  orqod  fauno  e  questo 
Che  non  polendo  poi  staccar  dai  rami 
La  parte  genital ,  fanno  un  Innesto. 
Fansi  una  specie  Istessa ,  e  di  fogliami 
Veston  le  bracda,  e  di  vien  sterpo  il  resto  ; 
Verdeggia  il  crine,  e  con  le  barbe  in  tem 
Indivisibilmente  il  pie  si  allferra. 

Quanti  Àvoleggiò  Numi  profani 
L'eude  antica ,  han  quivi  i  lor  soggiond. 
Lari ,  sileni ,  semicaprt  e  pani , 
La  man  di  tirso,  li  crin  di  vite  adorni^ 
Geiy  salaci  e  rustici  silvani. 
Fauni  saltanti  e  satiri  bicorni , 
E  di  ferule  verdi  ombrosi  i  capi 
Sonia  Xrea ,  sema  vel  BaccU  e  PriapL 

E  Menadi  e  BaaaridI  vi  scerai       [ce, 
Ebbre  pur  sempre  e  sempre  a  bere  accon- 
Ghe  intenteor  di  latini ,  or  di  falerni 
A  votar  usee,  ed  asdugar  bigonce, 
EdagiUte  dai  furori  katerni. 
Rotando  1  membri  in  soase  guisee  sconce 
Gdebran  V  orgie  lor  con  queste  o  tali 

FftgftMininft  ftamnni  <»  haar^naH. 

Or  d' eUen  si  adornino  e  di  pampino 
I  giovani  e  le  vergini  più  tenere, 
E  gemina  neU*  anima  si  stampino 
L' Immagine  di  Libero  e  di  Venere. 
Tutu  ardano,  si  accendano ,  ed  avvampino 
Qual  Semde ,  che  al  folgore  fu  cenere; 
E  canttaio  a  Copidine  ed  a  Bromlo 
Con  numeri  poetid  nn  encomio. 


La  oetera  col  crotalo  e  con  1*  organo 
Sui  margini  del  pascolo  odorifero, 
U  cembalo  e  la  fistola  si  scorgano 
Gol  zufolo ,  col  timpano  e  col  piffero  ; 
E  giubbilo  festevole  a  lei  porgano. 
Che  or  Espero  si  nomina ,  or  Lucifero  ; 
Ed  empiano  con  musica,  che  crepiti , 
Quest'  isola  di  fremiti  e  di  strepiti. 

1  satiri  oon  cantid  e  con  frottole 
Tracannino  di  nettare  un  diluvio. 
Trabocddno  di  lagrima  le  dottole , 
Che  stillano  Posilipo  e  Vesuvia 
Sion  cariche  di  fesdne  le  grottole, 
E  versino  doldssimo  profluvio. 
Tra  frassini,  tra  platini  e  tra  salici 
Esprimansi  del  grappoli  nd  calici. 

Ghi  cupido  è  41  SDggere  T  amabile 
Del  balsamo  aromatico  e  del  pevere, 
Non  mescoli  il  carbuncolo  potabile 
Gol  rodano,  con  V adice,  o  còl  leverc ; 
Glie  è  perfido ,  sacrilego  e  dannabile, 
E  gocciola  non  merita  di  bevere 
Ghit«mpera,chi  intorbida,  chi  incorpora 
Gol  rivoli  fi  crisdito  e  la  porpora. 

Ma  guardlnsl  gli  spiriti  che  fonano , 
Non  facciano  del  cantaro  dcun  strazio , 
E  l'anfore  non  rompano,  che  spumano , 
Già  gravide  di  liquido  topazio; 
Ghè  gli  uomini  ire  in  estasi  costumano, 
E  si  altera  ogni  stomaco  che  è  sazio; 
E  il  cerebro  che  fervido  lussuria , 
Più  d*  Ercole  con  tanpeto  si  Infuria. 

Mentr*  elle  ìrtn  ood  con  canti  e  balli 
Alternando  evoè  giulive  e  liete, 
Intente  tuttavia  negi'  hitervalli 
Sgonfiando  gli  «tri ,  ad  Inafliar  la  sete; 
Pamando  Adon  di  quelle  amene  valli 
Nelle  più  chiuse  viscere  segrete , 
Trovò  morbida  mensa,  ed  apprestati 
Erano  hilonio  al  desco  1  seggi  aurati. 

Qui,  bellissimo  Adon ,  depor convleusi 
(Rioomindò  Gillenlo)  ogni  altra  core. 
Gol  ristoro  del  dbo  uopo  è  che  pensi 
Di  risarcir,  di  rinforzar  natura. 
E  poiché  dascun  già  degli  altri  senM 
In  queste  liete  piagge  ebbe  pastura , 
VuoM  il  gusto  appagar,  però  che  tocca 
M  diletto  la  parte  anco  alla  bocca. 


L'ADONE. 


119 


La  bocn  è  ver,  dK  dell' naian  «mone 
(Solo  ifleio  deU'  nono)  è  aHuia  prima. 
GoBoellA  aloyn  dob  sa  apiegar  ng^oiie. 
Che  per  lei  non  si  scopra,  e  Bons' caprlva. 
Interprete  divin ,  per  oul  si  espone 
Quan  to  nel  pelto'altmi  ruol  che  slosprian; 
(E  la  ìfoce  è  di  ciò  Bsenana  aooelia  ) 
L'inteUetlo  e  H  pensler  di  chi  fiiveiia. 

Ma  serve  ancora  ad  operar,  che  cresca 
L' imtemo  amor,  né  per  ardor  si  estingua  ; 
A  cui  quando  tahir  cibo  rinfresca 
Fa  credenxiera  e  giudice  la  lingua; 
Né  per  la  gola  uni  passa  alcun' esca , 
Che  M  prima  il  sapor  non  si  distingua. 
Fatto  il  saggio  che  eli*  ha  d' ogni  vivanda, 
In  deposito  al  ventre  alfin  la  manda. 

E  perchè  r  uom  che  alle  fatiche  è  lenlD, 
Nelle  operaaion  mal  non  si  stanchi, 
E  non  pascendo  il  naturai  talento , 
L' individuo  mortai  si  strugga  e  manchi  ; 
Vuol  chi  tutto  creò ,  che  1*  alimento 
Non  sia  sensa  11  piacer  che  lo  rinfranchi , 
Onde  questo  con  quel  sempre  congiunto 
Abbiaa»tttrlrlo,  e  dUettado  a  un  ponto. 

Notasd  mai  da  quante  guardie  e  quali 
Sia  la  Ihigua  difesa  e  custodita  ? 
Perchè  dai  soffi  gelidi  bramali 
Del  nevoso  aquilon  non  sia  ferita; 
Quasi  di  torri,  o  pur  d'antemurali 
Coronata  è  per  tutto,  e  ben  oMmitat 
E  perchè  altro  furor  non  ia  combatta. 
Sotto  concavo  tetto  11  corpo  appiatta. 

DaUe  faud  al  palato  in  alto  ascende , 
Quanto  basta  e  eoavien,  polputa  e  grossa. 
Larga  ha  la  base,  e  quanto  più  si  stende, 
Si  aguzia  In  cima  ed  è  spugnosa  e  rossa. 
Ha  la  radice ,  onde  deriva  e  pende , 
Forte,  perchè  aggirar  megUo  si  possa. 
Volubilmente  si  ripiega  e  vibra, 
Musoelosa,  nervosa  esanaibn» 

Dico  coni,  che  il  Fadtor  sovrano 
Cotale  ad  altro  fin  non  lacostrusse. 
Se  non  perchè  del  nutrimento  umano, 
Che  dal  gusto  provien,  stromento fosse; 
Senza  H  qual  uso,  InutU  fora  e  vano 
Quuito  di  doke  ai  mondo  egli  produsse. 
E  questa  del  tuo  cor  fiamma  immortale, 
Sensa  Cerere  e  Bacco  è  fredda  e  Dralc^ 


Coal  parla  H  signor  MV  eloquensa , 
Indi  per  mano  il  vi|go  Aden  conduce 
Là  dove  pompa  di'nal  credenza 
Veste  1  self  aggi  orror  di  ricca  inoe. 
Con  beB'  arte  lUsposto  e  diligenza 
L' oro  e  l' elettro  in  ordine  riluce. 
Di  materia  miglior  poi  vi  si  squadra 
Di  altre  vasella  ancor  serie  leggiadra. 

Ma  duo  fra  gli  altri  di  maggior  misura 
Di  un  Intero  smeraldo  Adon  ne  vide. 
Gemma  d' Amor,  che  cede ,  e  non  s'indura 
Allo  scarpello ,  e  ool  bel  verde  ride. 
Non  so  se  di  ri  m>bile  scultura 
Oggi  alcun*  opra  il  gran  Bologna  incide, 
Che  i  bei  rUievl  e  i  diiicati  intagli 
Qui  da  Dedalo  fotti ,  in  parte  agguagli. 

In  un  dei  vasi  il  simulacro  altero 
Della  Diva  del  loco  è  sculto  e  finto. 
Ma  si  sembiante  è  11  emulato  al  vero. 
Che  l'esser  dal  parer  quasi  n'è  vinto. 
11  sanguigno  concetto ,  e  il  suo  prkniero 
Fortunato  natal  vi  appar  distinto. 
Miracolo  a  veder,  come  pria  nacque 
Genitrice  di  Amor,  figlia  dell'  acque. 

Saturno  v'è,  che  al  proprio  padra  tronca 
L' oscene  membra,  e  dalle  in  preda  a  Dori. 
Dori  le  accoglie  in  cristallina  conca , 
Fatta  nutrice  dei  nascenti  ardori. 
Zeffiro  v'  è ,  che  fuor  di  sua  spelonca 
Batte  l' ali  dipìnte  a  più  colori  ; 
E  del  parto  gentil  ministro  fido 
Sospinge  il  fiotto  leggiermente  al  lido. 

Vedresti  per  lo  liquido  elemento 
Nuotar  la  spuma  gravida  e  feconda. 
Poscia  in  oro  cangiarsi  il  molle  argento, 
E  farsi  chioma  Inanellata  e  bionda. 
La  bionda  chioma  incatenandoli  vento 
Serp^gia,  e  si  rinerespa,  emula  all'  onda. 
Ecco  spunta  la  fronte  a  poco  a  poco, 
Giàraoque  aduobegli  occhi  ardondl  foco. 

0  Bseraviglia ,  e  trasforour  si  scorge 
In  bianche  membra  alfin  la  bianca  spuma. 
Nuovo  Sol  daU'  Egeo  si  leva  e  sorge. 
Che  il  mar  tranquIUae  l' aria  hitomoallu- 
Sol  di  beltà,  chealtrui  conforto  porge,  [ma 
E  dolcemente  l'aninw  consuma. 
Così  Venere  bella  al  mondo  nasce, 
Unhel  nicchio  ha  per  cuna,alghe  per  fasce. 


130 


MARINO. 


Mentre  ool  pie  rosato  e  rugiadoso 
li  vertice  del  mar  calla  sublime  « 
E  con  r  eburnea  mtvdel  flutto  ondoso 
Dair  auree  trecce  il  salso  umor  s' esprime  ; 
Gli  abltator  del  pelago  spumoso 
Lasclan  le  case  lor  palustri  ed  Ime , 
E  fan  seguendo  11  lor  ceruleo  duce 
Festivi  ossequi  all'  amorosa  luce. 

Palemon  d' un  delfino  il  curvo  tergo 
Preme  vessoso  e  pargoletto  auriga, 
E  iMlestrando  un  fuggitivo  mergo , 
Pende  1  solchi  del  mar  per  torta  riga. 
Quanti  Tritoni  lian  sotto  l' onde  albergo  ! 
Altri  accoppiati  In  mansueta  biga 
Tiran  pian  pian  la  conca,  ove  ella  nacque. 
Altri  per  altro  aflar  travagllan  l' acque. 

Chi  deli*  obliquo  corno  a  gonfie  gote 
Fa  buccinar  la  rauca  voce  al  cielo. 
Cbl  per  sottraria  al  Sol ,  che  la  percole , 
Le  stende  Intorno  al  crìn  serico  velo. 
Chi  volteggiando  con  lascive  rote 
Le  regge  Innansl  adamantino  gelo , 
E  perchè  solo  In  sua  belli  s'appaghi , 
Ne  fa  lucido  specchio  agli  occhi  vaghi. 

Né  di  schersar  anch' elle  Infra  costoro 
Del  gran  padre  Nereo  lasclan  le  figlie , 
Che  accolte  in  lieto  e  sollaucvol  coro 
Cantano  a  suon  di  pettini  e  conchiglie  ; 
B  porgendo  le  van  succino  ed  oro , 
Candide  perle  e  porpore  vermiglie. 
Si  fatto  stuol  per  l' umida  campagna 
La  riceve ,  la  guida  e  l' accompagna. 

Nell'altro  vaso,  del  suo  figlio  Amore 
Il  nascimento  effigiato  splende. 
Già  la  vedi  languir,  mentre  che  l'ore 
Vicine  omal  del  dolce  parto  attende. 
Nella  bella  suglon,  quand'entra  In  flore 
La  terra,  e  novell' abito  riprende. 
Par  che  l'Alba  oltre  l' uso  apra  giocondo 
Il  primo  di  del  più  bel  mese  al  mondo. 

Sovra  molli  origlieri  e  verdi  seggi 
La  beila  Dea  per  partorir  si  posa. 
Par  che  rida  la  riva,  e  che  rosseggi 
Presso  II  musco  fiorito  indica  rosa. 
Par  che  Tonda  di  Cipro  appena  ondeggi, 
Danzano  I  pesci  In  su  la  sponda  erbosa. 
Con  pacifiche  arene  ed  acque  chiare 
Par  senza  flutto  e  senza  moto  il  mare. 


Per  non  farai  Importuni  i  zeffiretti 
A  quelle  dolcemente  amara  doglie , 
Stanzi  a  dormir,  quasi  in  purpurei  letti , 
De' vicini  roseti  infra  le  foglie. 
Colgon  r  aura  lascive  odori  eletti 
Per  irrigar  le  rugiadose  spoglie. 
Spoglie  bagnate  di  celeste  sangue, 
Dove  tanta  beltà  sospira  e  iangue. 

Pria  che  gli  occhi  apra  al  Sol,le  labbra  al 
Per  le  viscera  anguste  Amor  sai  tante,[latte, 
Precorra  l'ora  impetuoso,  e  batte 
li  sen  materno  con  feroci  piante; 
E  del  ventre  divin  le  porte  intatte 
SI  apra  e  prorompe  Intempestivo  Infante. 
Senza  mano  ostetrice  ecco  vien  fuori. 
Ed  ha  fasce  le  fronde,  e  cuna  1  fiorì. 

Fuor  del  candido  grembo  appena  esposto. 
Le  guizza  in  braccÌo,lndi  la  stringe  e  tocca. 
Pigolando  vagisce,  e  corra  tosto 
Sull'urna  manca  a  conficcar  la  bocca. 
Stillan  le  Grazie  il  latte,  ed  è  composto 
DI  mei,  qual  più  soave  Ibla  mai  fiocca. 
Parte  alternando  ancor  balia  e  mammelle. 
Dalle  tigri  è  lattato,  e  dalle  agneUe. 

Stame  etemo  al  bambin  le  filatrici 
DI  ogni  vita  mortai  tiran  cantando. 
Van  mansuete  in  su  quei  campi  aprici 
Le  fera  più  terrìbili  baccando. 
Tresca  il  leone,  e  con  ruggiti  amkl 
11  vezzoso  torci  lecca  scherzando. 
E  con  l'unghia  sonora  e  col  nitrito. 
Lieto  applaude  11  destriero  al  suo  vagito. 

Bacia  l' agnel  con  Innocente  morso 
Acceso  II  lupo  d'amorosa  fiamma. 
La  lepra  li  cane  abbraccia,  e  l' ispid'orso 
La  giovenca  si  tien  sotto  la  mamma. 
L' aspra  pantera  in  sul  vergato  dorso 
Gode  portar  la  semplicetta  damma. 
E  toccara  11  dragon,  benché  pungente 
Del  nemico  eiefuite  ardisce  il  dente* 

Mirasi  Qterea,  che  gli  amorosi 
Scherzi  ferini  di  mirar  si  appaga, 
E  ride,  che  animai  tanto  orgogliosi 
Sentan  per  un  fanciullo  incendio  e  piaga. 
Par  che  sol  del  cinghiai  mirar  non  osi 
Gioco,  fesu,  d  piacer,  quasi  presaga. 
Presaga,  che  per  lui  tronca  una  vita, 
Ogni  delizia  sua  le  fta  rapita. 


L'ADONE. 


121 


Tal  de'  vasi  è  ti  lavoro.  Amor  si  appiglia 
Alla  maggior  delle  gemmate  coppe, 
Poscia  di  quello  stuol  che  rassomiglia 
Le  Semidee  che  si  caogiaro  in  pioppe. 
Per  farne  scaturir  pioggia  vermìglia. 
Ad  una  eoo  lo  strai  svena  le  poppe, 
E  fa  che  dal  bel  sen  per  cento  spilli 
Odorato  Ucor  dentro  vi  stilli. 

E  tre  volte  ripiena,  ad  una  ad  una 
Tutte  forbille,  e  propinò  ridendo. 
Ne  bebbeuna  a  Mercurio,  a  Venerona, 
Una  a  colui  che  la  distrugge  ardendo. 
Cosi  a  ciascun  ne  dedicò  ciascuna. 
La  prima  alla  salute  offri  bevendo, 
L*  altro  vaso  di  vin  colmo  e  spumoso 
Diede  al  piacere,  e  1*  ultimo  al  riposo. 

Cento  Ninfe  leggiadre  e  cento  amori. 
Cento  Fauni  nell'opra  abili  e  destri , 
Quinci  e  quindi  portando  e  frutti  e  fiori 
Son  delia  bella  Imbandiglon  maestri. 
Qui  con  purpurea  man  Zefflro  e  Clori 
Votan  di  gigli  e  rose  ampj  canestri. 
Là  Pomona  e  Vertunno  han  colmi  e  pieni 
Dei  lor  doni  maturi  i  cesti  e  1  seni. 

Natura  delle  cose  è  dispenslera, 
L' Arte  condisce  quel  ch'ella  dispensa. 
Versa  Amaitea,  che  n*  è  la  vivandiera, 
Del  ricco  corno  suo  la  copia  immensa. 
Ravvi  le  Grazie  amorosette  in  schiera, 
E  loro  ufficio  è  rassettar  la  mensa , 
E  vigilante  infra  1  ministri  accorti 
Il  robusto  custode  bavvi  degli  orti. 

Ogni  sergente  a  prova,  ed  ogni  serva 
Le  portate  apparecchia  e  le  vivande. 
Altri  di  man  d'Aracne  e  di  Minerva 
Su  i  tronchi,  e  per  il  suol  cortine  spande. 
Altri  le  tazze,  acciocché  Bacco  ferva, 
Corona  d'odorifere  ghirlande. 
Chi  stende  in  su  i  tappeti  I  bianchi  drappi, 
Chi  vi  pon  gli  aurei  piatti  e  gii  aurei  nappi» 

Cosi  per  Ibla  alla  novella  estate 
Squadra  di  diligenti  api  si  vede. 
Che  le  lagrime  dolci  e  delicate 
Di  Narciso  e  d' Aiace  a  sugger  riede. 
Poi  nelle  bianche  celle  edificate 
Vanno  a  ripor  le  rugiadose  prede. 
Altra  a  comporre  il  favOfCd  altra  schiera 
Studia  dai  mele  a  separar  la  cera. 


E  tutta  in  moto  la  famiglia,  or  vanno 
Quei  che  curano  il  jasto,  or  fan  ritorno. 
Alcuni  amori  a  venllkr  vi.  stanno 
Con  ali  aperte,  e  sferzan  l' aure  intomo. 
Le  quattro  figlie  del  fruttifer  anno 
Per  fare  in  tutto  il  bel  convito  adomo, 
Recan  d'ogni  stagion  tributi  eletti, 
E  son  diverse  d' abiti  e  d'aspetti. 

Ingombra  una  di  lor  di  fosco  velo 
La  negra  fronte  e  la  nevosa  testa. 
DI  condensato  e  cristallino  gelo 
Stringe  l'umido  crln  fascia  contesta. 
Qual  nubiioso  e  folgorante  cielo 
Minaccia  il  ciglio  torbida  tempesta. 
Copre  il  rugoso  sen  neve  canuta. 
Calza  il  gelido  pie  grandine  acuta. 

Altra  «pirando  ognor  secondo  flato 
Ride  con  giovenil  faccia  serena. 
Un  florito  legame  ed  odorato 
La  sparsa  chioma  e  rugiadosa  affrena. 
La  sua  vesta  è  cangiante,  e  variato 
Iri  di  color  tanti  ha  il  velo  appena. 
Va  di  verde  cappello  il  capo  ombrosa. 
Nel  cui  vago  frontal  s' apre  una  rosa. 

L'altra  che  intorno  al  mlnisterio  assiste, 
Par  che  di  sete  e  di  calore  avvampi. 
Ispida  il  biondo  crin  d' aride  ariste. 
Tratta  11  dentato  pettine  dei  campi. 
Secche  anelan  le  fauci ,  arsicce  e  triste 
Fervonieguancle  evibrangli  occhi  lampi. 
Umida  di  sudor,  di  polve  immonda 
Odia  sempre  la  spoglia  ed  ama  1*  onda. 

Circonda  il  capo  all'ultima  torella. 
Che  quasi  calvo  è  poco  men  che  tutto. 
Un  diadema  d' intorta  uva  novella , 
Di  cedri  e  pomi  e  pampini  costruito. 
Intessuta  di  foglie  ha  la  gonnella , 
Di  fronde  il  cinto,  ed  ogni  groppo  è  fratto. 
Stilla  umori  il  crin  raro,  e  riga  intanto 
DI  piovosa  grondala  il  verde  manto. 

Insieme  con  la  Diva  innamorata 
Adone  alla  gran  mensa  II  pie  converse. 
Amor  paggio  e  scudier  l'onda  odorata 
Sulle  man  bianche  in  fonte  d'or  gli  asperse. 
Anior  scalco  e  coppier  l' esca  beata 
In  cava  gemma,  e  il  buon  licor  gli  offerse. 
Amor  dei  pasto  ordinator  ben  scaltro 
Pose  a  sedere  un  Sole  a  fronte  all'  altro 

0 


tu 


MAMMa 


SonUgUavan  duo  Sdi  ed  ella  ed  egli , 
Cui  Don  fiuser  però  nubi  interposle; 
E  giau  nei  volli  lor,  come  in  due  spegli , 
Lampeggiando  a  ferir  le  luci  opposte. 
Dava  costei  sovente,  e  rendea  qaegU 
Di  fiamma  e  di  splendor  colpi  e  risposte, 
£  con  lucida  eclisse,  e  senza  oltraggio 
S*ineontrava  e  rompea  raggio  con  raggio. 

Come  Dio  del  piacer,  placevol  Nume , 
Che  a  soUaui  ed  a  feste  è  sempre  inteso, 
Per  mitigar  di  que*  begli  occhi  il  lume , 
E  del  Sole  importuno  il  foco  acceso; 
Con  due  smaltate  e  gioiellate  piume 
Di  bel  pavon,  che  ira  le  mani  ha  preso, 
L' aere  agitando  in  lieve  moto  e  lento 
Tra  i  più  fervidi  ardor  fabbrica  il  vento. 

Mercurio  è  quei  che  mesce  e  che  rifonde 
I^eli'  auree  conche  i  pretiosi  vini. 
Amor  rinfresca  con  le  limpid*  onde 
L' idrie  lueeati  e  1  vasi  cristailini. 
L*unoe  r  altro  gli  terge,  e  poi  gii  asconde 
Nel  più  denso  rigor  dei  geli  alpini , 
Le  vicende  scambiando  or  questoor  quello 
Nel  servire  or  di  coppa  or  di  coltello. 

Traboccan  qui  di  liquid'oroe  gravi 
Di  stillato  ametisto,  urne  spumanti. 
Tengon  gemme  capaci  i  ventri  cavi 
Dì  rugiada  vital  colmi  e  brillanti. 
Sangue  giocondo  e  lagrime  soavi. 
Che  non  peste,  versar  l' uve  pregnanti. 
Onde  di  Cipro  le  feconde  vili 
Soglion  dolce  aggravar  gli  olmi  mariti. 

La  bella  Dea  di  nettare  vermiglio 
Rugiadoso  cristallo  in  man  si  strinse , 
Libello,  e  con  dolce  atto  e  lieto  ciglio 
Nel  bel  rubino  i  bei  rubini  intìnse. 
Poi  di  vergogna  il  sempHcetto'gigUo 
Violando  di  rosa ,  il  volto  tinse , 
E  r  invitò,  postogli  il  vaso  innansi , 
Parte  a  gustar  de' generosi  avanzi. 

Il  bel  garioo,che  ingordamente  assiso 
Presso  queir  esca,  onde  la  vita  el  prende, 
Tutto  dal  vago  e  delicato  viso 
V  altra  spesso  obbiiando,  intento  pende, 
E  con  guardo  a  nutrir  cupido  e  fiso 
Men  la  bocca  che  gll4>cchi,  avido  intende, 
V'immerge  il  labbro  e  vi  sommerge  11  csre, 
£  resta  ebbro  di  vin,  ma  più  d' amare. 


Mentre  son  del  gran  pasto  In  sul  più  bri- 
Ecco  Momo  arrivar  quivi  si  \^d» ,     [lo, 
Momo  critico  Nume ,  arco  e  flagello , 
Che  gli  uomini  e  gU  Dei  trafigge  e  ficde. 
(aò  eh'  egli  eerchi,  e  qual  pensier  novollo 
Tratto  r  abbia  dal  cid  Vener  gH  chiedf  ; 
E  perchè  v<^ntier  scherza  con  esso. 
Sei  fa  seder  per  ascoHarlo  appreno, 

Vo ,  rispose  lo  Dio ,  ira  queste  pianto 
Della  Satira  mia  tracciando  I*onne, 
Della  Satira  mia,  che  poco  avante 
Ha  di  me  generato  un  parto  informe  ; 
Parto  nelle  fattezze  e  nel  serobiaAte 
Si  mostruoso,  orribile  e  difforme , 
Che  se  non  fusse  il  suo  sottile  ingegno, 
Lo  stimerei  di  mia  progenie  Indegno. 

Ma  la  vivacità  nrio  figlio  il  mostra, 
E  lo  spirto  gentil,  ch'Io  scorgo  in  lui , 
E  quel  che  è  proprio  della  stirpe  nostra, 
La  libertji  del  sindacare  altrui , 
Onde  meco  del  par  contende  e  giostra. 
Che  pur  sempre  del  vero  amico  fui , 
E  mentir  mai  non  voHI ,  e  mal  non  seppi 
Chiuder  la  lingua  tra  catene  e  ceppi. 

La  lingua  sua  viepiù  che  spada  taglia , 
La  penna  sua  viepiù  che  fiamma  cocc. 
Con  acuta  favella  il  ferro  smaglia, 
E  con  ardente  stil  fulmina  e  noce , 
Né  contro  1  morsi  suoi  morso  è  che  vaglia. 
Né  giova  schermo  incontro  alla  sua  voce. 
Indomito  animale  e  stranio  mostro,  [stro. 
Che  altro  non  ha  che  11  fiato  e  cherinchio- 

Non  ha  piò,  non  ha  stinchi  ond'  ei  si  rcg- 
Ha  r  orecchie  recise  e  il  naso  monco,  [ga, 
lo  non  so  come  scriva  e  vada  e  segga, 
Ch'  è  storpiato,  smembrato  e  zoppo  e  cìon- 
Ma  benché  cosi  rotto  egli  si  vegga ,  [co. 
Che  del  corpo  gli  resta  appena  il  tronco, 
Non  pertanto  1*  audacia  in  lui  si  scema. 
Poiché  sol  della  lingua  il  mondo  trema. 

Tal  qual  è  senza  piante  e  senza  gambe. 
Nei  secoli  futuri  e  nei  presenti  [he, 
Delle  man  privo  e  delle  braccia  entram- 
L' universo  però  fla  che  spaventi,  [cambe, 
Qual  plaghe  ei  fiMCia,  il  saprà  ben  LI- 
Che  colto  da'  suol  strali  aspri  e  pungenti. 
Di  disperalo ìao€lo  avvinto  il  collo. 
Darà  di  propria  man  l'ultimo  crolh). 


L'ADONE. 


1)3 


Gran  cose  ha  di  costnt  Febo  lodovlno 
Eprarlsle  e  predette  agH  altri  Numi. 
Pronosiieo  che  nome  avrà  Pasquino; 
Correltor  delle  genti  e  del  costumi. 
Che  per  terror  de'  principi  il  destino 
Gli  darà  d'eloquenza  e  mari  e  flaml  ; 
B  che  ioritarlo  poi  molti  vorranno. 
Ma  non  aenia  periglio  e  sema  danno. 

nemico  è  della  fìima  e  delta  corte, 
Lacera  1  nomi,  e  d*  adular  non  usa  ; 
b  ferir  tutti  è  slmile  alla  morte , 
8^to  lui  riprendo ,  egli  me  stesso  accusa, 
Con  dir  che  il  mio  dir  mal  none  di  sorte, 
Chela  malizia  altrui  resti  confusa. [etemo 
Che  più?  non  che  altri,  il  gran 'monarca 
Nota,'punta,ripleca  e  prende  a  scherno. 

1  fanduin  rapiti  e  le  donzelle 
Non  sol  di  rinfacciargli  ardisce  ed  osa, 
Ma  pon  nell'opre  sue  divine  e  belle 
Anco  la  bocca,  e  blasma  ogni  sua  cosa. 
Trova  degli  elementi  e  delle  stelle 
Imperfetta  la  mole  e  difettosa. 
Ogni  parola  impugna ,  emenda  ogni  atto, 
'  E  si  hefei  talor  di  quanto  ha  fatto. 

Dà  menda  al  mar,  ch'ha  i  venti  e  le  tem- 
Alla  terra,  che  trema  eche  vacilla,  [peste. 
All'aria,  che  di  nuvoli  si  veste. 
Ed  al  foco ,  che  fuma  e  che  sfavilla. 
Appone  alla  gran  macchina  celeste , 
Che  maligne  Influenze  Infonde  e  stilla, 
Che  altra  hice  si  move,  altra  sta  fissa. 
Che  la  Lunaèmaochlau,  e  11  Sol  sie  clissa. 

E  non  por  di  cohil  che  il  tutto  regge , 
Ma  prende  a  mormorar  della  Natura. 
Dice  che  altrui  vii  femmina  dar  legge 
MoD  dee,  né  dee  del  mondo  aver  la  cura. 
La  detesta,  la  danna,  e  la  corregge, 
E  il  lavoro  dell'  nom  tassa  e  censura. 
Che  non  die,  che  non  fé', sciocca  maestra, 
Al  tergo  nn  occhio,  al  petto  una  finestra. 

Per  «foesto  suo  parlar  libero  e  schietto 
Giove  dal  del  1*  ha  discacciato  a  torto. 
Gli  fé'  come  al  tuo  sposo,  e  per  dbpctto 
Se  non  fosse  tanim>rtal  i*  avrebbe  morto. 
Precipitato  dal  superno  tetto. 
Restò  rotto  e  sci^eato  e  guasto  e  torto. 
Ma  perchè  pur  co'  df til  alimi  fa  gaent« 
Poco  meglio  che  in  cielo  è  visto  Ih  terra. 


Sulle  sponde  del  Tebro,  ov'  egli  meno 
Gredeache  il  vizio  eli  mal  regnar  do\-esse. 
Per  dar  legge  al  suo  dir,  che  è  senza  freno, 
Tra  boutade  e  virtude  albergo  elesse. 
Ma  non  cessò  di  vomitar  veleno , 
Nò  però  più  che  altrove  ei  tacque  In  esse  ; 
Sebben  malconcio,  e  senza  un  membro  in- 
Provò  che  l'odio  a!fin  nasce  dal  vero.[tcro 

Se  tu  vedessi,  o  Dea,  l' aspre  ferite, 
Che  ha  per  tutte  le  membra  hitomo  sparte, 
Diresii,  che  con  Ercole  ebbe  lite, 
0  che  a  guerra  in  steccato  entrò  con  Marte. 
Che  o  sien  vere  l'accuse,  o  sien  mentile , 
Ogni  grande  abborrir  suol  la  nostr'  arte, 
E  perdendone  alOn  la  soflerenza , 
Non  voglion  comportar  tanta  licenza. 

Alcun  ben  ve  ne  fu,  che  se  ne  rise, 
E  di  suo  motteggiar  poco  gli  calse, 
Perocch'  egli  è  faceto,  e  fn  varie  guise 
Sa  novelle  compor  veraci  e  false  ; 
Benché  l' arguzie  sue  giammai  divise 
Non  sien  dalie  punture  amare  e  salse. 
Lecca  talor  piacevolmente,  e  sclierza, 
Nondimen  sempre  morde  e  sempre  sferza. 

Ma  costoro  ch'iodico,  i  quali  in  pace 
Lo  lascian  pur  gracchiar  quanto  egli  vule, 
Sappiendo  per  natura  esser  loquace, 
E  che  pronte  ha  l'Ingiurie  e  le  parole, 
Che  per  rispetto,  o  per  timor  non  tace , 
E  che  irritato  più,  più  garrir  suole, 
Son  pochi  e  rari,  ed  han  sinceri  i  petti , 
Nò  temon  che  altri  scopra  i  lor  difetti. 

E  certo  io  non  so  già,  s' è  lor  conce  so 
GII  encomj  udir  di  adulator  che  applaude, 
Perchè  non  deggian  poi  nel  modo  islesso 
Il  biasmo  tollerar,  come  la  laude. 
E  se  ai  malvagi  è  di  operar  permesso 
Ogni  male  a  lor  grado,  ed  ogni  fraudo, 
Perchè  non  lice  ancor  con  pari  ardire 
Come  ad  essi  di  fare,  altrui  di  dire? 

Io  per  me,  bella  Dea,  perchè  altri  offeso 
Si  tenga  dal  mio  dir,  scoppiar  non  voglio: 
Ma  né  turbarsi  già  chi  n'é  ripreso, 
Né  sentir  ne  dovria  sdegno  o  cordoglio  ; 
Perché  qualor,pur  come  foco  acceso, 
0  rasoio  crudel,  la  lingua  scioglio. 
Con  pietoso  rigor  di  buon  chirurgo 
Arder  mostro  e  ferir,  ma  sano  e  purgo. 


124 


MARINO. 


Or  essendo  il  meMhloo  in  terra  e  in  cielo 
Ver  tal  cagion  perseguitato  tanto, 
Io,  che  pur  Tamo  con  paterno  lelo. 
Supplico  il  Nume  tuo  cortese  e  santo. 
Che  appo  la  fonte  dal  gran  re  di  Delo, 
De'  cigni  tuoi  già  consacrata  al  canto, 
Là  dell*  acque  Immortali  in  sulla  riva 
Ti  piaccia acconsen tir ,che alberghi  e  \ÌTa. 

Solo  in  quell'  isoletta  amena  e  lieta, 
Che  d*ogni  insidia  è  libera  e  secura. 
Potrà  vita  menar  franca  e  quieta, 
E  scrivere  e  cantar  senza  paura. 
Ei  sebben  non  è  cigno,  è  tal  poeta. 
Che  meritar  bea  può  questa  ventura 
D'essere  ascritto  infra  quei  scelli  e  pochi. 
Ma  non  sia  chi  l' attizzi,  o  chi  il  provochi. 

S' egiiavvien  che  talor  d' Ira  s'inAannni, 
Invettive  e  libelli  usa  per  armi , 
lambì  talor  saetta  ed  epigrammi , 
Talor  satire  vibra  ed  altri  carmi. 
Stupir  sovente  insieme  e  rider  fammi 
Quando  vien  qualche  verso  a  recitarmi 
Contr'  un  che  celebrar  volse  il  Colombo, 
E  d*  India  In  vece  d' or  riportò  piombo. 

Per  Impetrar  da  te  questa  dimanda 
Di  essere  ammesso  in  quel  felice  coro, 
Una  fatica  sua  bella  ti  manda. 
Da  cui  scorger  potrai  se  ha  stil  canoro, 
E  se  egli  degno  è  pur  della  ghirlanda. 
Che  altrui  circonda  il  crin  di  verde  alloro. 
In  questo  libro,  che  qui  meco  ho  lo. 
Punge  (fuor  che  le  sola)  ogni  altro  Dio. 

Ogni  altro  Dio  dalla  sua  penna  è  tocco, 
Fuor  che  sol  tu,  cui  sacra  il  bel  presente. 
Narra  gli  onor  del  tuo  marito  sciocco, 
E  qualche  prova  ancor  di  quel  valente , 
Che  deli*  asta  malgrado,  e  dello  stocco 
So  die  del  cor  t*  è  uscito  e  delia  mente, 
E  se  non  che  oggi  ad  altro  Intenta  sei , 
Leggerne  almeno  un  saggio  a  te  vorrei 

Qual  trastullo  maggior  (Ciprigna  disse) 
Dar  ne  potresti  infra  qnest'  oij  nostri , 
Che  fame  udir  di  lor  quante  ne  scrisse, 
Spirto  sì  arguto  in  suoi  giocosi  inchiostri? 
Uual  cosa,  che  ylà  grata  or  ne  venisse 
Esser  potea  dell'  open  ohe  mostri  t 
Ma  per  meglio  «acoltar  ciò  che  tu  leggi , 
Ti  vogllamdirUnpttto  al  nostri  seggi. 


Allor  tra  varia  turba  aaoultatrioe, 
Assiso  incontro  ai  duo  beati  amanti, 
D*  oro  fregiato,  l' orlo  e  la  cornice. 
Si  pose  Momo  un  bel  volume  avanti. 
Le  Vergogne  del  Qcio,  il  titol  dice, 
E  diviso  è  li  poema  In  molti  canti  ; 
Ma  fra  molti  un  ne  sceglie,  indi  le  rime 
In  questa  guisa  incominciando,  esprime  : 

Più  volte  al  dolci  lor  furti  amorosi 
Ritornati  eran  già  Venere  e  Marte, 
Credendo  a  tutti  gli  occhi  essere  ascosi , 
Tanta  avean  nel  celarsi  industria  ed  arte. 
Ma  il  Sol  che  i  raggi  acuti  e  luminosi 
Manda  per  tutto,  e  passa  In  ogni  parte. 
Nella  camera  entrò,  che  in  sé  chiudea 
Lo  Dio  più  forte  e  la  più  bella  Dea. 

Veggendogli  d*  amor  rapire  il  frutto 
Seno  a  seno  congiunto,  e  labbro  a  labro. 
Tosto  Vulcano  a  riferire  il  tutto 
N*  andò  neil'  antro  affumigato  e  scabro. 
Batter  sentissi  al  caso  indegno  e  brutto 
Viepiù  grave  e  più  duro  il  torto  fabro 
Di  quel  di'  egli  adoprava  in  Mongibdlo, 
Sull'  incudin  dd  core  altro  martello. 

Non  fu  già  tanto  il  Sol  col  divin  raggio 
Mosso  per  zelo  a  palesar  quell'  onte, 
Quanto  per  vendicar  con  tale  oltraggio 
La  saetta  che  uccise  il  suo  Fetonte, 
Che  quando  al  troppo  ardito  e  poco  saggio 
Garzon  eh'  ei  tanto  amò,  feri  la  fronte. 
Non  menche  al  figlio  il  corpo,  al  genitore 
Trafisse  di  pietà  l' anima  e  il  core. 

Poiché  distintamente  II  modo  e  il  loco 
Dell'  alta  ingiuria  sua  da  Febo  Intese, 
Nel  petto  ardente  dello  Dio  del  foco. 
Foco  di  sdegno  assai  maggior  s' accese. 
Temprar  nell'  ira  sua  si  seppe  poco 
Colui  che  tempra  ogni  più  saldo  arnese. 
De'  fulmini  li  maestro ,  all'  Improvviso 
Fulminato  restò  da  qudl' avviso. 

Vassen  là  dove  del  Qdopl  ignudi 
Alia  fuchia  il  rozzo  stuol  travaglia. 
Fa  percosse  sonar  le  ctwe  incudi , 
Dà  di  pigilo  alla  lima  e  alla  Unaglli, 
E  ponst  a  fabbricar  con  lunghi  studi 
Pleghevol  rete  di  minuta  maglia. 
Di  un  infraigibii  filo  adamantino 
La  iflror^  l' artefice  divino. 


L'  AD(»IE. 


t}5 


Di  quel  ItTor  la  maestria  fabrile 
Se  sia  diamante,  o  fil  mal  si  argomenta. 
Non  men  che  forte,  egli  l' ordì  sottile, 
La  fé'  si  molle  e  delicata  e  lenta, 
Che  di  filar  giammai  stame  simile 
L'emula  di  Minerva  indamo  tenta; 
E  quantuique  con  man  si  tratti  e  tocchi, 
InTlsIbU  la  trama  è  quasi  agli  occhi. 

Con  arte  tale  li  magistero  è  fatto, 
Gheancor  ch'entrino  i  duo  tra  quei  ritegni, 
Purché  non  facdan  sforzo  in  quanto  al  tat- 
Nonsi  dlscopriran  gli  occulti  ingegni,  [to. 
Ma  se  Terran  con  Impeto  a  queir  atto, 
Che  suol  far  cigolar  d'intorno  i  legni. 
Tosto  che  n  letto  s' agita  e  scompiglia. 
La  rete  Kocca,  e  al  talamo  si  appiglia. 

Uscito  poi  della  spelonca  nera , 
Zoppiccando  sen  corre  a  porla  in  opra. 
Nella  stanza  1*  acconcia  In  tal  maniera, 
Che  impossihii  sari  che  si  discopra. 
Nel  sostegni  di  sotto  alla  lettiera, 
Nelle  trari  del  palco  anco  di  sopra. 
Per  le  cortine  in  giro  ei  la  sospende, 
E  tra  le  piume  la  dispiega  e  stende. 

Quando  egli  ha  ben  le  ben  conteste  sete 
Disposte  faitomo  in  sì  sagaci  modi , 
Che  discemere  alcun  delle  scerete 
Fila  non  può  gì'  insidiosi  nodi; 
Lascia  1*  albergo,  e  della  tesa  rete 
Dissimulando  le  nascoste  frodi ,  [ta 

Spia  l*andar  degli  amanti ,  e  11  tempo  aspet- 
Della  piaceTol  sua  strana  vendetta. 

Usò  per  affidargli  astuzia  e  senno 
Senza  punto  mostrar  l'ira  che  V  arse. 
Fé'  correr  voce,  eh'  ei  partla  per  Lenno, 
E  11  grido  ad  arte  per  li  del  ne  sparse. 
Udita  la  novella,  al  prMno  cenno 
Nel  loco  usato  vennero  a  trovarse, 
E  per  farlo  di  Dio  divenir  bue. 
Nel  dolce  arringo  entrarono  ambidue. 

Sì  tosto,  che  la  cueda  il  peso  grave 
De'  duo  nudi  campioni  a  premer  viene. 
Prima  che  ancor  si  sleno  alla  soave 
Pugna  amorosa  apparecchiati  bene. 
La  macchinata  trappola  la  chiave 
Volge,  che  porge  il  moto  alle  catene. 
Fa  il  suo  gioco  l' ordigno,  e  Hi  quei  diletti 
Rimangono  i  duo  rei  legati  e  stretti. 


L' ordito  intrico  in  guisa  tal  si  strinse, 
E  sì  forte  d'Intorno  attor  gP  Involse, 
Che  per  scoter  colui  non  se  ne  scinse, 
Per  dibatter  costei  non  se  ne  sciolse. 
Or  polch'entrambo  avviticchiati  avvinse, 
E  in  tale  obbrobrio  a  suo  voler  gli  colse, 
Dell'agguato  In  cui  stava,  uscito  il  zoppo, 
Prese  la  corda ,  ove  atteneasi  II  groppo. 

Della  perfida  rete  11  capo  afferra , 
Indi  dei  chiuso  albergo  apre  le  porte, 
Tira  le  coltre.  Il  padlgllon  disserra, 
E  convoca  del  del  tutta  la  corte, 
E  col  re  del  guerrieri  entrata  in  guerra 
Scoprendo  lor  la  dlsleal  consorte 
Avvinta  di  durissima  catena , 
Fa  delle  proprie  infamie  oscena  scena. 

Deh  venite  a  veder,  se  piò  vedeste. 
Altamente  gridava,  opre  ma!  tali. 
L' eroe  divino,  il  capitan  celeste 
Ditemi  è  quegli  là,  Divi  immortali? 
L' imprese  sue  terribili  son  queste? 
Questi  i  trofei  superbi  e  trionfali? 
Ecco  le  palme  gloriose  e  degne. 
Le  spoglie  illustri  e  le  onorate  insegne. 

Gran  Padre,  tu  che  l' universo  reggi, 
Vienne  a  mirar  la  tua  pudica  prole. 
Così  serba  Imeneo  le  sacre  leggi? 
Tali  ignominie  li  Cid  permetter  sole? 
E  che  fa  dunque  Astrea  negli  alti  seggi , 
Se  punire  i  colpevoli  non  vole? 
Son  cose  tollerabili  ?  sono  atti 
Degni  di  Deità  scherzi  sì  fatti? 

Ama  la  figlia  tua  questo  soldato 
Sano ,  gagliardo  e  di  giocondo  aspetto, 
E  perchè  va  pomposo  e  bene  ornato, 
Di  giacersi  con  lui  prende  diietto. 
Schiva  il  mio  crin  maiculto  e  rabbuffato, 
Del  mio  pie  diseguale  odia  il  difetto, 
L'arsicelo  volto  abborre,  e  con  disprezzo 
MI  schernisce  Ulor  s' io  l' accarezzo. 

Se  zoppo  mi  son  io,  tal  qual  mi  sono, 
Giove  e  Giunon,  mi  generaste  voi; 
E  generato  forse  agile  e  buono. 
Perchè  dal  elei  preciplurmi  poi  ? 
Se  pur  volevi,  o  gran  ReMor  del  tuono, 
Sotto  giogo  perpetuo  accoppiar  noi. 
Non  dovevi  così  prima  andarmi, 
0  non  dofevi  poi  genero^nOi. 


■ 


i  • 


126 


MARINO. 


La  colpa  non  è  mia  dunque,  se  guasti 
Del  piede  i  nervi,  e  le  giunture  lio  rotte. 
Se  roxzo  e  senxa  pompe  e  senza  fasti, 
Tinta  Ito  la  faccia  di  color  di  notte. 
Tu  sei,  che  oolaggiù  mi  confinasti, 
Abitator  delie  sicane  grotte  : 
Ma  se  ancor  quivi  io  ti  ministro  e  serro, 
i\on  meritai  di  trasformarmi  in  cervo. 

Deve  per  questo  la  mia  i>ella  mogliei 
Bella,  ma  poco  onesta,  poco  fida. 
Qualora  a  trarsi  le  sfrenate  voglie 
Cieco  appetito  la  conduce  e  guida. 
Punto  eh*  io  metta  il  pie  fuor  delle  soglie, 
K  da  lei  mi  allontani  e  mi  divida, 
Puttaneggiando  dentro  il  proprio  tetto. 
Disonorare  il  maritai  mio  letto  ) 

Deve  per  tutto  ciò  negli  altrui  deschi 
(^ibo  cercarla  meretrice  infame. 
Dovunque  il  figlio  a  satollar  V  adeschi 
Dell'  ingorda  libidine  le  brame? 
lo  pure  al  par  dei  più  robusti  e  freschi 
Credo  vivanda  aver  per  la  sua  fame. 
Che  dove  un  membro  è  difettoso,  e  manca. 
Altra  parte  supplisce  intera  e  franca. 

Ma  non  so  se  in  tal  gioco  avverrà  mal, 
Ch*  ella  pio  mi  tradisca,  e  che  mi  offenda. 
Cosi ,  perfida  e  rea ,  cosi  farai 
De'  tuoi  dolci  trastulli  amara  emenda. 
Finché  la  dote,  ond'  io  stolto  comprai 
I.e  mie  proprie  vergogne  a  me  si  renda. 
Poi  per  comun  quiete  il  Re  superno 
Vo'  che  faccia  tra  noi  divoralo  eterno. 

Or  mirate  vi  prego,  alme  divine. 
Gli  altrui  congiunti  ai  vitupeij  miei, 
S' io  fui  ben  cauto,  e  s*  io  fui  buono  alfin^e 
Uccellatore  e  pescator  di  Dei. 
Dite,  se  anch'  io  so  far  prede  e  rapine, 
(k)me  1'  empio  figliuol  sa  di  costei. 
Veggasi  chi  di  noi  mastro  più  scaltro 
Sia  di  reti  e  di  lacci,  o  l' uno,  o  l' altro. 

So  che  lieve  è  la  pena,  e  che  il  mio  torto 
Viepiù  palese  in  tal  gastigo  appare. 
Ma  le  corna  che  ascose  in  grembo  porto, 
Vo'  pormi  in  fronte  manifeste  e  chiare, 
Pur  eh'  io  liceva  almen  questo  conforto 
Di  far  la  festa  pubblica  e  vulgare. 
Voglio  la  parte  aver  del  piacer  mio, 
E  poiché  ride  ognmi,  ridare  anoh*  io. 


Mentr'  ei  cosi  eficea,  tittti  coloro. 
Che  alla  fav<^a  bella  eran  presenti. 
Il  teatro  del  elei  facean  sonoro 
Con  lieti  fischi  e  con  faceti  accenti, 
E  diccano  additandogli  fra  loro 
Di  si  novo  spettacolo  ridenti  : 
Ve'  come  il  tardo  alfln  giunse  il  veloce, 
Ve'  come  fu  dai  vii  domo  il  feroce. 

Oh  quanti  fur  Del  giovinetti,  oh  quanti. 
Che  inaviditi  di  si  dolce  oggetto. 
In  rimirando  i  duo  cetesti  aoianti. 
Che  staccar  non  potean  petto  da  petto, 
Viepiù  d' invidia  assai  tra'  circostanti. 
Che  di  riso  in  quel  punto  ebber  soggetto, 
E  per  partecipar  di  quei  legami. 
Curato  non  avrian  d'  essere  infami  ! 

Recato  avriansi  a  gran  ventura  molti 
Spettatori  del  caso  e  testimoni. 
Più  volentieri  alior,  che  esser  discloiy. 
Come  lo  Dio  guerrier  farsi  prigioni. 
Restar  tra  nodi  si  soavi  involti 
Voluto  avrian,non  ch'altri,!  duo  veccfaloni, 
Titon  dico,  e  Saturno,  1  freddi  cori 
Accesi  anch'  essi  di  amorosi  ardori. 

Pallade  e  Cinzia,  verginelle  schive, 
Tenner  gran  pezzo  in  Iorio  sguardo  fiso, 
Poi  da  cose  si  sozze  e  si  lascive 
Torsero  in  li,  tinte  di  scorno  II  viso. 
Giunon  Diva  maggior  dell'  altre  Dive, 
Non  senza  un  gentilissimo  sorriso. 
Coprissi  H  ciglio  con  la  man  polita. 
Ma  giocava  con  l' occhio  infra  le  dita. 

Vergognosetta  d*  un  ludibrio  tanto 
La  Dea  d' amor,  che  i  membri  alabastrini 
Non  avea  da  coprir  velo,  né  manto, 
Tenea  bassa  la  fronte  e  gli  occhi  chbii. 
Intorno  al  corpo  Immacolato  intanto 
Sparsi  i  cancelli  de'  legami  fini. 
Graticolando  le  sembianze  belle. 
Diviso  aveano  un  Soie  In  molte  stelle. 

Bravò  lo  Dio  del  ferro,  e  si  contorse 
Quando  il  forte  lacciuoi  prima  annodoHo, 
Romper  coi  suo  valor  credendo  torse, 
E  stracciar  quel  viluppi  ad  un  sol  crollo; 
Ma  poiché  prigioniero  esser  si  accone. 
Né  poterne  ritrar  le  braccia  e  li  collo. 
Anch'  ei,  benché  di  rabbia  enfiato  e  pleao, 
A  pregar  cominciò  come  Sileno. 


L'ADONE. 


in 


Vulcaa  yen  tutuvia  U  rete  chiufla^ 
Nò  scioglie  il  nodo,  uè  nlienU  il  lacck^ 
Ole  1*  inida  mogiier  cosi  deinsa     [eie. 
Vuol,  die  ivlal  drudosuA ai  resti  va  bnc-^ 
Intercede  dascuiuH  ed  ei  ricusa 
Di  liberargli  dai  oeioao  ioipaccuk 
Pur  del  vecchio  Nettun  consente  ai  pregili 
(^e  ia  coppia  impudica  aifin  si  sieghL 

Dassl  allo  Dio  die  nelle  piante  ha  V  ale, 
Cura  d' aprir  queir  ingegnosa  gabbia. 
Ed  ei  non  intraprende  ufficio  tale 
Per  cortesia,  né  per  pietà  chea'  abbia; 
Ma  perchè  dell'  adultera  inunortale, 
Qie  di  vergogna  e  di  dispetto  arrabbia, 
Sciogiienda  il  nodo^he  ravvolge  e  chiude. 
Spera  palpar  le  beHc  membra  ignuda» 

Oltre  che  d' acquistarsi  ei  fa  disegno 
L'  arredo  indissolubile  e  tenace. 
Dico  la  rete,  che  con  tanto  Ingegno 
Fu  giji  d*  Etna  tessuta  aUa  fornace. 
Solo  per  poter  poi  con  quei  ritegno 
Prender  per  V  aria  Qoride  fugace, 
Cloride  beila,  che  volando  suole 
Precorrer  V  AU»a  aUo  spuntar  dei  Sole« 

Scatenato  il  campion  con  la  dUetla, 
L' una  piangea  de*  vergognosi  inganni, 
Minacciò  1'  altro  con  crudel  vendetta 
Di  ristorar  d*  un  tanto  affronto  1  danni. 
Sorsero  alfln  confusi,  e  per  la  fretta 
Insieme  si  scambiar  1*  armi  co*  pannL 
Questi  il  vago  vestì,  quelle  1'  amica. 
Marte  la  gonna  e  Yener  la  lorica. 

Voiea  r  istoria  del  successo  intero 
Momo  seguir,  poiché  fur  colti  in  fallo, 
E  dir  come  di  giovane  guerriero 
Fu  trasformato  Aiettrione  in  gaUo; 
Qie  del  duce  di  Tracia  essendo  usciero, 
Guemito  d*  anni  e  carco  di  metallo, 
Qual  fida  spia,  qual  sentinella  accorte» 
Fu  da  lui  posto  a  custodir  la  porta. 

Ma  perchè  il  sonno  i  1  vi  n8e,e  non  ben  ten- 
Perguardarsi  dal  Sol,  la  niente  desta,  [ne 
Tal  qual  trovossi  appunto,  augd divenne, 
Cuu  lo  sprone  al  tallon,  con  l' dmo  in  testa. 

I  ricchi  arnesi  si  muterò  in  penne, 

II  superbo  cimler  cangiossi  in  cresta. 
Ed  or  inegUo  vegliando  in  altro  manto, 
Accusa  il  suo  venir  sempre  col  canto. 


E  questo,  ed  altro  ancor  legger  vtiM, 
Ma  sdegnoso  girò  Venere  ii  gnardo, 
E  per  bmeiario  un  nappo  alialo  aven, 
E  il  colpia  se  a  fuggir  era  più  tardo. 
Sfacciato  detrattor,  disse  la  Dea, 
Cosi  mi  Ma  U  tuo  figliuol  bugiare»? 
Cantile  proprie  e  non  1* altra!  vergogne, 
Inventor  di  cahinnie  e  di  menaogneu 

Di  ciò  Mercurio,  che  con  gii  altri  (atomo 
S  Lavalo  ad  ascoltar,  si  rise  aM»lto, 
E  qnando  la  vàfà  d*  ira  e  di  seomn 
Più  che  foco  sellalo  accesa  In  volto  t 
Di  qud  sdvaggio  e  rustico  soggiorna 
Disviando  1'  amico  entro  il  pie  folto. 
Il  sottrasse  al  furor  dell'  alu  Diva, 
Che  ne  fremea  di  rabUa  e  a'  arreestvn. 

Era  quivi  Talia  fra  V  altre  aaeelle 
Pur  come  Citerea,  nata  di  6love, 
Che  le  Grasie  e  le  Muse  avea  sorelle. 
Una  ddle  tre  Dive  e  delle  nove. 
Più  soave  di  lei  tra  queste,  o  quelle 
0  la  lingua,  o  la  mano  altra  non  mo? ìl 
Talia  Ninfa  de'  mirti  e  degli  aKort, 
Talia  dotta  a  cantar  teneri  amori. 

Costei  d'  avorio  in  corvo  stromento 
Recossi  in  braedo,  e  giunta  innanil  a  loro 
Degli  aurei  tasti  in  snon  dbuesso  e  lento 
Tutto  pria  ricercò  l' ordin  sonoro. 
ludi  con  pieno,  chiaro,  alto  concento 
Scoccò  dolce  eanion  dall'  arco  d' oro, 
E  fur  pungenti  si  ma  non  mortali 
Le  note  a  chi  1'  udi  ferite  e  strali. 

Saggia  Talia,  che  in  sul  fiorir  degli  anni 
Fosti  de'  mid  pensier  la  cnra  prima, 
E  meco  1  molli  e  giovenlii  albaai 
Non  senza  dtrui  piaeer  cantasti  la  rinn  9 
Tu  lo  mio  stile  ddiile  sn  I  vanni 
Al  elei  solleva,  onde  i  tuoi  detti  esprima. 
Sveglia  r  ingegno,  e  con  odeste  alta 
Mo\i  al  canto  le  voci,  al  snon  le  dita. 

Amor  è  fiamn»,  che  dal  pria»  evnro 
Foco  deriva,  e  hi  gentil  cor  si  apprenda, 
E  risciiiarando  il  torbido  pensiero 
Altrui  sovente  il  desirvago  incende) 
E  scorge  per  drittisdmo  sentiero 
L'animadgran  princlpio,ond'ella  scende; 
Mostrandole  quaggiù  quella,  che  pria 
Vide  lassù,  bellexsa  e  leggiadria. 


128 


MARINO. 


Ilinor  desk)  di  bel,  virtù  clie  spira  • 
Sol  doiceiia,  piacer,  conforto  e  pace. 
Toglie  ai  cieco  furor  l' orgoglio  e  1*  ira, 
Gli  fa  r  armi  cader,  gelar  la  face. 
Il  forte,  li  fier,  che  il  quinto  cerchio  aggira, 
Alle  forae  d' Amor  vinto  soggiace. 
Unico  autor  d'  ogni  leggiadro  affetto. 
Sommo  ben,  sommo  bel,  sommo  diletto. 

Ardon  là  nel  beato  alto  soggiorno 
Ancor  d'  etemo  amor  l' eleme  menti. 
Son  catene  d' amor  queste  che  intomo 
Stringon  sì  forte  il  elei,  fasce  lucenti. 
E  questi  lumi  che  fan  notte  e  giorno, 
Son  del  lor  fabbro  Amor  faville  ardenti. 
Foco  d*  Amore  è  quel  che  asciuga  in  cielo 
Alla  gelida  Dea  V  umido  velo. 

Ama  la  terra  il  cielo,  e  il  bel  sembiante 
Mostra  ridente  a  lui,  che  1*  Innamora, 
E  sol  per  farsi  cara  al  caro  amaste 
S'adoraa,Ìl  sens*ingemma,il  crin  s'inQora. 
I  vapor  dalle  viscere,  anelante 
Quasi  a  lui  sospirando,  esala  ognora. 
1  rauchi  suoni,  i  crolli  impetuosi 
Gemiti  son  d*  amor,  moti  amorosi. 

Né  già  r  amato  cielo  ama  lei  meno 
Che  con  mlH*  occhi  sempre  la  vagheggia. 
A  lei  piagne  piovoso,  a  lei  sereno 
Ride,  e  sospira  a  lei  quando  lampeg^a. 
Irrlgator  del  suo  fecondo  seno. 
In  vicende  d'  amor  seco  gareggia, 
E  fa  eh'  ella  poi  gravida  germogile  [glie. 
Piante  e  fior,  frutti  e  fronde,  erbette  e  fo- 

Qual  sì  leggiero,  o  sì  veloce  l' ale 
Spiega  per  l'ampio  elei  vago  augelletto, 
Cui  dell'alato  arder  l'alato  strale 
Buon  giunga  e  non  punga  insieme  il  petto? 
Qual  pesce  gulzxa  in  freddo  stagno?  o  quale 
Cova  de'  fiumi  II  cristallino  letto. 
Cui  non  riscaldi  Amor,ch'  entro  per  1*  onde 
Vivi  del  suo  bel  foco  1  semi  asconde? 

Nei  mar,  nel  mare  istesso,  ove  da  Teti 
Ebbe  la  bella  madre  umida  cuna , 
Più  che  del  pesca tor,  d'Amor  le  reti 
Han  fona,  e  regna  Amor  più  che  Fortuna. 
E  perchè  da*  pittori ,  e  da'  poeti 
Ignudo  è  finto  e  senza  spoglia  alcuna. 
Se  non  perchè  sott'  acqua  a  nuoto  scende, 
E  del  suo  foco  1  freddi  Numi  accende? 


Segue  il  suo  maschio  per  le  vie  profonde 
La  smisurata  e  ruvida  balena. 
Va  dietro  alla  sua  femmina  per  l'onde 
Ondeggiando  il  delfin  con  cnrva schiena. 
Qui  con  lìngua  d'Amor  muta  risponde 
All'  angue  lusinghier  l' aspra  murena. 
Là  con  nodi  d'amor  saldi  e  tenaci 
Porge  una  conca  all'  altra  conca  1  baci. 

Amano  l'acque  istesse.  Ellesen  vanno 
Al  fonte  originai ,  che  a  sé  le  invita  ; 
E  se  al  bei  corso,  che  lasciar  non  sanno , 
È  precisa  la  via  plana  e  spedita. 
Tal  con  fona  amorosa  Impeto  fanno. 
Che  s'apron,  rotti  gli  argini,  l'uscita, 
in  seno  il  mar  l' accoglie,  e  In  lor  trasfonde 
Prodigamentell  proprio  nome  e  l'onde. 

Ricetta  il  tortorel  con  la  compagna 
(  Beli'  esempio  di  fede)  un  ramo,  un  r.iilo. 
E  se  i'  un  poi  vlen  men,  l'altra  si  lagna, 
E  fere  11  ciel  di  doloroso  strido. 
La  colomba  gentil  non  si  scompagna 
Dal  consorte  giammai  diletto  e  fido. 
Coppia,  In  cui  si  mantien  semplice  e  pura 
L' Innocenza  d' Amore  e  di  Natura. 

Teme  li  cigno  d'Amor  la  face  ardente 
Viepiù  che  II  foco  dell'  eterna  sfera, 
E  più  d'Amor  l'arliglto  aspro  e  pungente 
Che  dell'  aquila  rapida  e  guerriera. 
L' aquila  ancor  del  fulmine  possente 
Ministra  e  d'ogni  augel  reina  altera. 
Noi  teme  meno,  anzi  d'altrui  predace 
Fatta  preda  d'Amor,  d'Amor  si  sfaco. 

Il  ficr  leon  con  la  leonza  Invitta 
Amor  sol  vince,  ed  al  suo  giogo  allaccia. 
Più  dall'  aurato  strai  geme  trafitta 
L' orsa  crudel ,  che  dallo  spiede  In  caccia. 
Fa  vezzi  al  tigre  suo  la  tigre  afflitta , 
11  qual  co'  pie  levati  alto  l' abbraccia. 
Posa  lldestrier  non  trova,  e  par  che  piene 
Sol  del  foco  del  core  abbia  le  vene. 

Spira  accesa  d' Amor  tosco  amoroso 
La  vipera  peggior  di  ogni  altra  biscia. 
Ella  per  allettar  l'aspe  orgoglioso 
D' oro  si  veste  e  incontro  al  Sol  si  liscia. 
Corregli  In  grembo  io  scaldato  sposo, 
Seco  insieme  si  stringe  e  seco  striscia. 
Son  baci  1  morsi ,  e  sì  gi'  irrita  Amore , 
Che  di  piaceri'  un  morde,  e  l' altro  more. 


L'ADONE. 


139 


M  tuo  montoD  non  ]iin8e,a  pie  d' nn  lau- 
MenCr'ei  pugna  per  lei  staisi  l'agnella,  [ro 
E  per  datigli  al  traTagUo  alcun  restauro , 
Se  rtede  vlndtor  gli  applaude  anch*  ella. 
Arde  11  robusto  e  gloTinetto  tauro 
Per  la  glorenca  sua  Tetsosa  e  bella,' 
E  nel  tronchi  per  lei  l'armi  ritorte 
Aguaza  e  sfida  il  fler  rivale  a  morte. 

Non  ch'altro,  1  tronchi  stessi,  i  tronchi,  i 
Senton  dolci  d' Amor  nodi  e  ferite,  [tralci 
Chi  può  dir  come  agli  olmi  e  come  al  salci 
L'edn  sempre  si  abbarbichi  e  la  Tlte  t 
E  chi  non  sa  che  se  con  scuri ,  o  falci 
Da  spietato  boschier  son  disunite, 
Lagriroando  d' Amor  cosi  recise ,  • 

Si  lagnan  della  man  che  l' ha  divise? 

Fronda  in  ramo  non  vi  ve,  o  ramo  in  pian- 
Cui  non  sia  dato  entro  la  ruvld*  alma  [  ta 
Sentir  quella  virtù  feconda  e  santa , 
Che  con  nodo  reciproco  le  Incalma. 
Con  sibili  amorosi  Amor  si  vanta 
Far  sospirare  li  frassino  e  la  palma. 
Baclansi  1  mirti,  e  con  scamblevol  groppo 
Alno  ad  alno  si  qx>8a ,  e  pioppo  a  pioppo. 


Ma  qual  si  dura ,  o  gelida  si  trov»* 
Cosa  quaggiù  che  ferro  agguagli,  o  pietra  ?* 
La  pietra  e  il  ferro  ancor  baclansi  a  prova, 
Né  dal  rouo  seguace  ella  si  arretra. 
Da  viva  pietra ,  ove  altri  11  tratti  e  mova. 
Vive  d' amor  faville  il  ferro  spetra  ; 
E  il  ferro  Istesso  Intenerito  e  molle 
In  fudna  d' Amor  s'incende  e  bolle. 

Se  Amor  dunque  sostegno  è  di  Natura, 
Se  Amore  è  pace  di  ogni  nostra  guerra , 
Se  alle  forse  d' Amor  forsa  non  dura. 
Se  le  glorie  d'Amor  meta  non  serra. 
Se  la  virtù  dell'  amorosa  arsura 
In  elei  regna,  In  abisso,  in  mare,  in  terra  ; 
Qual  Ha,  che  non  adori ,  alma  gentile 
Le  catene  d'Amor,  l'arco  e  il  focile? 

Mentre  la  Musa  In  sili  leggiadro  e  grave 
Fea  con  maestra  man  guizsar  le  corde , 
E  ne  traea  di  melodia  soave 
Air  armonico  del  tepor  concorde; 
Su  per  gli  eburnei  bischeri  la  chiave 
Volgendo  per  temprar  nervo  discorde , 
Un  per  caso  ne  ruppe,  e  si  le  spiacque  [que. 
Che  appese  il  plettro  a  un  ramoscello,e  lac- 


CANTO  OTTAVO- 


I  TRASTDLLL 


ALLEGORIA. 

n  Piacere,  che  nel  Giardino  del  Tatto  su  In  compagnia  della  Lascivia,  allude  alla 
scellerata  opinione  di  coloro ,  che  posero  il  sommo  bene  nei  diietti  sensuali.  Adone 
che  si  spoglia  e  lava ,  significa  l' uomo ,  che  datosi  in  preda  alle  carnalità ,  ed  attuf- 
fandosi  dentro  l'acque  del  senso,  rimane  ignudo  e  privo  degli  abiti  buoni  e  virtuosi. 
1  veui  di  Venere ,  che  con  esso  lui  si  trastulla ,  vogliono  inferire  le  lusinghe  della 
carne  llcenslosa  e  sfacciata ,  la  quale  ama  ed  accarezza  volentieri  il  diletto. 


AaCOMENTO. 

Perviene  Adone  tlle  delisie  estreme, 
E  prendendo  tri  lor  dolce  trastallo 
L' innamorata  Diva  e  il  bel  fanciullo, 
Alla  meta  d*  Amor  giangono  insieme. 


Giovani  amanti  e  donne  innamorate. 
In  cui  ferve  d*  Amor  dolce  desio. 
Per  voi  scrivo,  a  voi  parlo,  or  voi  prestate 
Fayorevoll  orecchie  al  cantar  mio. 


Esser  non  può,  che  alla  eanuu  etate 
Abbia  punto  a  giovar  quel  che  cant'  lo. 
Fugga  di  piacer  lano  esca  soave 
Bianco  crin,  crespa  fronte  e  ciglio  grave. 


190 


MARINO. 


S|nuo  la  curva  e  debile  veocMeiia, 
Chf  gelate  ha  le  veae  e  1*  ossa  vote. 
Incapace  dell'  ultima  d«lcesza 
Abborre  quel  che  conseguir  non  potè. 
Uom  non  atto  ad  amar,  disama  e  sprezza 
Anco  il  tenor  dell'  amorose  note  ; 
B  il  ben  che  di  goder  si  vieta  a  lui, 
Per  invidia  dannar  suole  In  altrui, 

Lunge,  deh  lunge,  alme  severe  e  schive 
Dalla  mia  molle  e  lusinghiera  Musa. 
Da  poesie  si  tenere  e  lascive 
Incorrotta  onestà  vadane  esclusa. 
Ah  non  venga  a  blasmar  quant'  ella  scrive 
D' implacabii  censor  rigida  accusa. 
La  coi  calunnia  con  maligne  emende 
Le  cose  irreprensibiii  riprende. 

Di  poema  moral  gravi  concetti 
Non  speri  udire  Ipocrisia  riirosa. 
Che  notando  nel  ben  solo  i  difetti, 
Suol  cor  la  spina  e  rifiutar  la  rosa. 
So  che  fra  le  delizie  e  fra  I  diletti 
Degli  scherzi  innocenti,  alma  amorosa 
Cautamente  trattar  saprà  per  gioco, 
Senza  incendio,  o  ferita  n  ferro  e  11  foco. 

Suggon  r  istesso  fior  nei  prati  'Mei 
Ape  benigna  e  vipera  crudele, 
E  secondo  gì'  istinti  o  buoni,  o  rei, 
L'unain  tosco  II  converte  e  T  altra  in  mele. 
Or  se  avverrà,  che  alcun  dai  versi  miei 
Concepisca  veleno  e  tragga  Tele, 
Altri  forse  sarà  rocn  fìero  ed  empio, 
Che  raccolga  da  lor  fruito  d' esempio. 

Sia  modesto  l'autor;  cliè  stenle  carte 
Men  pudiche  talor,  curar  non  deve. 
L' uso  dei  rezzi  e  II  vaneggiar  dell'  arte 

0  non  è  colpa ,  oppur  la  colpa  è  lieve. 
Chi  dalle  rime  mie  d' Amor  consparte 
Vergogna  miete,  o  scandalo  riceve  ; 
Condanni,  o  scusi  il  giovenile  errore, 
Che  se  oscena  è  la  penna,  è  casto  il  core. 

Già  sergenti  ed  ancelle  avean  levati 
Dalle  candide  nappe  1  nappi  d*  oro, 
In  cui  di  cibi  eletti  e  delicati 

1  duo  presi  d' Amor  preser  ristoro  ; 
Onde  poi  eh'  a  versar  flami  odorati 
Venne  l' aureo  bacln  tra  le  man  loro, 
Sulh  mensa  volò  lieta  e  florita 

li  bianco  bisso  ad  asciugar  le  dita. 


Attor  dal  seggio  suo  Venere  aorta 
Verso  r  nltlnia  torre  adduce  Adone  ; 
Vìen  tosto  a  disserrar  l' aurata  porta 
L' ostier  dell'  amenissina  magione. 
Ignudo  ha  H  manco  braeclo,e  l'unghia  torta 
y*  affigge  dentro,  estringelo  un  falcone. 
Le  talpe,  le  testudini  e  V  aragne 
Son  sempre  di  costui  fide  compagne. 

Chiuso  neir  ampio  e  ben  capace  leno 
È  quel  giardin,  della  maestra  torre, 
Degli  altri  assai  più  spazioso  e  pteno 
Di  quante  seppe  Amor  gioie  raccorre. 
Un  largo  cerchio,  e  di  l>eir  ombre  ameno 
Viene  un  teatro  sferico  a  comporre. 
Ohe  col  gran  cinto  dell'eccelse  mura 
Protegge  la  gratissima  verdura. 

Adon  va  innanzi,  e  par  che  novo  affetto 
DI  amorosa  dolcezza  11  cor  gji  stringa. 
Non  fu  mal  d'atto  molle  osceno  oggetto, 
Che  quivi  agli  occhi  suoi  non  si  dipinga. 
Sembianti  di  lascivia  e  di  diietto. 
Simulacri  di  vezzo  e  di  lusinga, 
Trastulii,  amori,  o  fermi  H  guardo,  o  girl. 
Gli  son  sempre  presenti,  ovunque  miri. 

Sembra  il  felice  e  dilettoso  loco 
Pien  d' angelica  festa  un  paradiso. 
Spira  quivi  il  sospiro  aure  di  foco. 
Vaneggia  il  guardo  e  lussureggia  II  riso. 
Corre  a  baciarsi  con  lo  scherzo  il  gioco. 
Stassi  il  diletto  in  grembo  al  vezzo  assiso. 
Scaccia  lunge  il  piacer  con  una  sferza 
Le  gravi  cure  e  col  trastullo  scherza. 

Chino  la  fronte  e  con  lo  sguardo  a  terra 
L' amoroso  pensler  rode  sé  stesso. 
Chiede  conforto  al  duol,pace  alla  guerra, 
li  prego  in  atto  supplice  e  dimesso. 
Scopre  negli  occhi  quel  che  li  petto  serra 
Il  cenno  del  desir  tacito  messo. 
Sporge  le  labbra  e  V  altrui  labbra  sugge 
Il  bacio,  e  nel  baciar  sé  stesso  strugge. 

Sta  l'adulazlon  sovra  le  soglie 
Del  dolce  albergo,  e  il  peregrin  vi  guida. 
La  promessa  l' invita,  e  in  guardia  II  toglie; 
La  gioia  l'accompagna,  e  par  che  rida. 
La  vanità  ciascun  che  v'entra  acooglie, 
E  la  credenza  ogni  ritroeo  aIBda. 
La  Hccheisa  dì  porpore  vestita 
Superbamente  i  suol  tesor gii  addita. 


L'ADOtiS. 


lat 


Havri  r  osto,  che  langue  e  si  riposa 
Lento  ed  agiato,  e  in  ogni  passo  siede. 
Pigro  e  con  fronte  stupida  e  gravosa 
Seguelo  il  sonno,  e  mal  sostiensi  in  piede. 
Ordir  di  giglio,  incatenar  di  rosa 
Fregi  al  suo  crln  la  gioventù  si  vede. 
Seco  strette  ha  per  mano  in  compagnia 
Beiti,  grazia,  vaghezza  e  leggiadria. 

Con  i*  ingordo  desio  ne  vieo  la  speme 
Perfida,  adulatrice  e  lusingliiera. 
Mascherati  la  faccia,  errano  insieme  [ra. 
L'accorto  ingamio  e  la  menzogna  in  schie- 
Sparsa  le  chiome  in  sulla  fronte  estreme 
Fuggendo  va  V  occasion  leggiera. 
Baila  per  mezzo  la  letizia  stolta. 
Salta  per  tutto  la  iiceuza  sciolta. 


L' escae  il  focile  io  man,  sfacciata  putta, 
Tien  la  lussuria,  ed  all'  infamia  applaude. 
Baldanzosa  i'  infamia,  ignuda  tutta 
Non  apprezza  e  non  cura  onore,  o  laude. 
Le  serpi  delta  chioma  orrida  e  brutta 
Copre  di  vaghi  fior  V  astuu  fraudo  ; 
E  il  velen  della  lingua  aspro  ed  atroce 
Di  dolce  riso  e  mansueta  voce. 

Tremar  Taudacia  ai  primi  furti  e  starsi 
Vedi  smorto  il  pallor  caro  agii  amanti. 
Volan  con  lievi  penne  in  aria  sparsi 
Gii  spergiuri  d'Amor  vani  e  vaganti. 
Con  1*  Ire  molli  e  facili  a  placarsi 
Van  le  dubbie  vigilie  e  i  rozzi  pianti , 
E  le  gioconde  e  placide  paure , 
E  le  gioie  interrotte  e  non  secure* 

Ride  la  terra  qui,  cantan  gli  augelli , 
Danzano  1  fiori  e  suonano  le  fronde, 
Sospiran  V  aure  e  piangono  i  ruscelli , 
Ai  pianti,  ai  canti,  ai  suoni  eco  risponde. 
Aman  le  fere  ancor  tra  gli  arboscelli. 
Amano  i  pcKl  entro  le  gelid'onde. 
Le  pietre  istesse  e  V  ombre  di  quel  loco. 
Spirano  spirti  d' amoroso  foco. 

Addio,  ti  lascio,  omai  fin  qui  (di  Giove 
Disse  là  giunto  il  messagger  sagace) 
Per  ignote  contrade  ed  a  te  nove. 
Averti  scorto,  o  beli' Adon,  mi  place. 
Eccoci  alfine  in  sul  confili,  laddove 
Ogni  guerra  d' Amor  term'ma  in  pace* 
DI  quel  senso  gentil  questa  è  la  sede, 
A  cui  sol  di  certezza  ogni  altro  tede* 


Ogni  altro  senso  può  ben  di  leggiere 
Deluso  esser  talor  da  falsi  oggetti  ; 
Questo  sol  no,  lo  qual  sempre  è  dei  vero 
Fido  ministro  e  padre  del  diletti. 
Gli  altri  non  possedendo  li  corpo  intero^ 
Ma  qualche  parte  sol,  non  son  perfetti. 
Questo  con  atto  universal  distende 
Le  sue  forza  per  tutto,  e  lutto  U  prende. 

Vorrei  parlarne,  e  ti  verrei  solvendo 
Più  d' un  dubbio  sottii  delle  mie  seoley 
Ma  tempo  è  da  tacer,  ch'io  ben  comprende 
Che  la  maestra  tua  non  vuol  parole. 
Io  qui  rimango  ad  Erse  mia  tessendo 
Ghirlandelta  di  mirti  e  di  viole. 
Tu  vanne  e  godi.  Io  so  che  in  tanta  gioie 
Qualunque  coBipagoia  ti  fora  «noia. 

Con  un  cenno  cotal  di  ghigno  astuto 
Si  rivolse  a  Ciprigna  in  questo  dire  ; 
Poi  smarrissi  da  lor,  si  che  veduto 
Non  fu  per  più  d' un  dì  fino  ali'  uscire. 
Ma  pria  che  desse  V  ultimo  saluto 
Ai  duo  focosi  amanti  in  sul  partire  « 
Dell'uno  e  l'altro  in  pegno  di  mercede 
Giunse  le  destre,  e  gì'  impalmò  per  fede. 

Restar  soletti  in  quell'  orror  frondoso 
Poiché  Mercurio  dipartissi  e  tacque. 
Rigava  un  fonie  11  vicin  margo  erboso. 
In  cui  forte  Natura  si  compiacque,  [broso 
L'acque  inaffiano  il  bosco,  e  il  bosso  om» 
Specchia  sé  stesso  entro  le  limpid'  aoqne. 
Talché  un  giardino  in  duo  giardhi  distinto 
Vi  si  vedea  V  un  vero,  e  l'altro  finto. 

Porta  da  questo  fonte  umile  e  lento. 
Per  torto  solco  il  picciol  corno  un  rio. 
Parrla  vero  cristallo  e  vero  argento. 
Se  non  se  ne  sentisse  il  mormorio. 
D'oro  ha  l'arene,  e  quindi  è  sempre  inteiUo 
Di  sua  mano  a  raccorio  il  cieco  Dio, 
Onde  fabbrica  poi  gU  aurati  strali , 
Strazio  immorial  de'  miseri  mortali. 

In  due  rivi  gemelli  si  dirama 
L'amoroso ruscel,  l' uno  è  di  mele , 
Pien  di  quauu  dolcezza  il  gusto  brama. 
L'altro  corrompe  il  mei  di  tosco  e  fele. 
Quel  fel,  quel  tosco,  onde  armò  già  la  fame 
L' aspre  saelte  dell'  arcier  crudele. 
Crudele  arcier,  che  anco  il  materno  seno 
Infoilo  d'amarlssimo  veleno. 


132 


MARINO. 


Dil  relenoso  e  torbido  compagno 
Sen  va  diviso  il  flunilcel  melato, 

jOnde  per  canal  d'or  più  d' un  ligagno 
Verga  di  belle  lince  il  verde  prato, 
E  sboccan  tutte  in  un  secreto  bagno, 

.  ^b»  nei  centro  dei  bosco  è  fabbricato. 

<4H  cpiesto  bagno  morbido  e  soave 
La^iiasclvia  e  il  Piacer  tengon  la  chiave. 

Siede  Éir  uscio  il  Piacer  di  quell'albergo 
Gm  la  Lascivia  a  trastullarsi  inteso; 
Giraon  di  varia  piuma  alato  li  tergo, 
Ridepte  il  volto,  e  di  faville  acceso. 
L'aurato  scudo.  Il  colorato  usbergo 
CiaMli  iiHl4inente  ai  pie  disteso. 
Torpe  tra  i  fior  pacifico  gueitiero 
L'elmo  che  una  sirena  ha  per  cimiero. 

Curvo  arpicordo  dai  vidni  rami 
Pende,  e  spesso  dall'aura  ha  moto  e  spirto. 
D'jsmubra  tersa  e  sottile  in  biondi  stami 
Forcheggla  il  crine  intortiglialo  ed  irto , 
Tutto  impacciala  di  laccioli  e  d'ami , 
DI  fresca  rosa  e  di  fiorito  mirto. 
Arco  di  bella  e  varia  luce  adomo 
Gli  fa  diadema  in  testa,  iride  intorno. 

Né  di  men  bella,  o  men  serena  faccia 
Mostrasi  In  grembo  a  lui  la  lusinghiera. 
DI  viti  e  d' edre  I  capei  d'oro  allaccia , 
DI  canuti  armellln  guarda  una  schiera. 
Un  capro  allato,  e  con  la  destra  abbraccia 
Il  collo  ad  una  libica  pantera. 
Regge  con  l'altra  ad  un  troncon  vicino 
Ammiraglio  lucente  e  cristallino. 

Quivi  al  venir  d' Adone  e  CIterea 
Componendo  del  crin  le  ciocche' erranti , 
I  dolcissimi  folgori  tergea 
Delle  luci  umldette  e  sdntittantl. 
Spesso  a  un  nido  di  passere  volgea , 
Ghesuli'arbor  garrian,gii  occhi  incostanti, 
E  la  succinta,  anti  discinta  gonna 
Scorciava  più,  che  non  conviensl  adonna. 

Ferirò  llbeH'Adon  di  meraviglia 
Quelle  forme  vezzose  e  lasf  ivetie, 
E  con  r  alnu  sospesa  fai  sulle  ciglia 
A  contemplarle  immobile  ristette. 
Ella  d' un  bel  rossor  tutta  vermiglia, 
Impadita  da  scherzi  e  iusinghelte. 
Col  suo  drudi)  per  man,  dall'erba  sorse. 
Ed  al  donaci,  clie  l' incontrava  accone. 


Vergata  a  liste  d'or  candida  tela 
DI  solili  seta  e  di  filato  argento 
Vela  le  belle  membra,  e  quasi  vela 
S|  gonfia  in  onde  e  si  dilata  al  vento. 
E  r  interno  soppanno  apre  e  rivela 
Tra  i  suoi  voiazzl  in  cento  giri  e  cento. 
Crespa  le  rughe  il  lembo,  e  non  ben  chiude 
L' estremità  delle  bellezze  ignudo. 

Dan'  ali  dell'  orecchie  ingiù  pendente 
Di  due  perle  gemelle  il  peso  porta. 
Sostiene  il  peso  di  fin  or  lucente 
Sferica  verga  in  piccini  orbe  attorta. 
DI  smeraldi  cader  vezzo  serpente 
Si  lascia  al  sen  con  negligenza  accorta  ; 
Edella  bianca  man,  che  ad  arte  stende, 
D' indiche  fiamme  il  vivo  latte  accende. 

Dell'  estivo  calòr,  che  mentre  bolle. 
Le  infiamma  il  irolto  di  un  incendio  greve. 
Schermo  si  fa  d' uno  stromento  molle 
DI  piuma  viepiù  candida  che  neve  ; 
E  per  gonfiar  di  sua  superbia  folle 
Con  doppio  vento  il  vano  fasto  e  lieve, 
V  badi  cristallo  orientai  commessi    [si. 
Duo  specchi  In  mezzo,  e  si  vagheggia  in  es- 

Tese  costei  sue  reti  al  vago  Adone. 
Ogni  atto  er'  amo,  ogni  parola  strale. 
Rompea  talor  nel  mezzo  il  suo  sermone 
Languidamente,  e  con  dolcezza  tale, 
Che  il  diamante  spezzar  delia  ragione 
Potea,  non  che  dei  senso  il  vetro  frale. 
Parlava,  e  il  suo  parlar  tronco  e  diviso 
Fregiava  or  d' un  sospiro,  or  d'un  sorriso. 

Se  quanto  di  beltà  nel  volto  mostri , 
Tanto  di  cortesia  chiudi  nel  petto. 
Che  tal  certo,  diss'  ella,  agli  occhi  nostri 
Argomenti  di  te  porge  l'aspetto  ; 
Venirti  a  sollazzar  ne'  chiusi  chiostri 
Non  sdegnerai  di  quel  beato  tetto. 
Nel  tetto  là,  eh'  io  ti  disegno  a  dito. 
Come  degno  ne  sei  sarai  servito. 

Questi (  quei, se  noi  sai,  che  altrui  conce- 
Quel  ben  che  può  far  gli  uomini  felici,  [de, 
Ognuno  il  cerca,  ognuno  il  brama  e  chie- 
Usan  tutti  per  lui  varj  artifici. 
Chi  ritrovar  nelle  ricchezze  il  crede. 
Chi  nelle  dignità,  clil  negli  amici. 
Ma  raro  il  pie  da  questo  albergo  ei  move 
Né  (fuorché  nel  mio  grembo)  abita  altrove. 


L'ADONE. 


133 


Del  aozio  Taso,  ove  ogni  ma)  sMoogHe, 
Appena  use),  che  fu  chiamalo  in  cielo; 
Ma  gli  oonvente.  pria  depof  le  spoglie, 
Takbè  ignudo  v'  andò  seni*  alcun  vela 
Scende  dal  del  sovente  In  queste  soglie , 
Dov'io  gelosa  agli  occhi  Indegni  il  celo. 
Il  celo  altrui  con  ogni  Industria  ed  arte, 
Solo  a  qualche  mio  caro  io  ne  fo  parte. 

Quando  volò  nell' immortai  soggiorno, 
Nacque  nel  mondo  un  temerario  errore. 
Del  manto,  eh*  ei  lasciò,  si  fece  adomo 
Un  avversario  suo  detto  Dolore. 
Questi  sen  va  con  le  sue  vesti  intomo , 
Sicché  il  somiglia  ali*  abito  di  fore; 
Onde  ciascun  mortai  preso  all'  inganno. 
Invece  del  piacer  segue  l' affanno. 

Io  son  poi  sua  compagna,  lo  son  colei, 
Che  volgo  in  gioia  ogni  travaglio  e  duolo. 
Da  noi  soli  aver  puoi ,  se  saggio  sei , 
Quel  piacer  de'placer,che  al  mondo  è  s(Ho. 
De*  suol  seguaci  e  de*  seguaci  miei 
È  quasi  fainumerablle  lo  stuolo; 
Né  tu  del  n^n  felice  esser  di  questi , 
Poiché  giunger  tant'  oltre  oggi  potesti. 

Qui  lavarti  conviene.  A  ciò  t' invita 
Il  loco  agiato  e  la  stagion  cocente. 
Nòstra  legge  il  richiede,  e  la  fiorita 
Tua  bellezsa  ed  etade  anco  il  consente. 
Ma  più  quella  beltà,  che  teco  unita 
Teco  (o  te  fortunato)  arde  egualmente. 
Non  entra  in  questa  casa,  in  questo  bosco 
Chi  non  vaneggia  e  non  folleggia  nosco. 

A  queste  parolette  Adon  confuso 
Nulla  risponde,  e  taciturno  stassi, 
Che  a  tenerezte  tante  ancor  non  uso 
TIen  dimessa  la  fronte  e  gii  occhi  bassi. 
Ma  da  più  Ninfe  é  circondato  e  chiuso. 
Che  non  voglion  soffrir,  che  innansi  passi. 
Qnal  dal  bel  fianco  la  faretra  sdoglie, 
Qual  gli  trae  ladntura  e  qual  le  spoglie. 

Ali'  importuno  stuol ,  che  I*  Incatena , 
Non  sensa  scorno  il  giovinetto  cede  ; 
E  salvo  un  lento  vel,  che  il  copre  appena, 
Nudo  si  trova  dalla  testa  al  piede. 
Gira  la  vista  alior  lieta  e  serena 
Alla  sua  Diva,  e  nuda  anco  la  vede. 
Che  ogni  sua  parte  più  secreta  e  ghiusa 
Confessa  agli  occhi,  ed  alla  sefva  accusa. 


Elia  tra  11  verde  dell'ombrosa  chiostra 
Vergognosetta  tratusl  in  disparte. 
Sue  guardinghe  beilesie  or  cela,or  mostra. 
Fa  di  sé  stessa  in  un  rapina  e  parté#>     « 
Impallidisce,  indi  i  pallori  mostra. 
Sembra  caso  ogni  gesto,  ed  é  tutt'  ttft. 
Giungon  vaghesza  ai  vaghi  membri  fgB«dl 
Consigliati  disprezzi,  incolti  studi.- . 

Copriala  a  prova  ogniarbosoe!  selvaggio 
Con  bracda  di  frondosa  ombra  conteste. 
Perocché  il  Sol  con  curioso  raggio 
Spiar  voiea  quella  beltà  celeste. 
Videsi  di  dolcezza  ancora  il  faggio, 
li  faggio,  onde  pendean  l'arco  e  la  festb 
Non  posacndo  capir  quasi  in  sé  stesso. 
Far  più  germogli,  e  divenir  più  spesso. 

Il  groppo allor,cbe  in  sala  fronte  accolto 
Stringea  dei  crine  il  lucido  tesoro , 
Con  la  candida  man  tentato  e  sciolto 
Sparse  Ciprigna-  in  un  diiuvio^d*  oro  ; 
Onde  a  guisa  d' un  vel  dorato  e  folto 
Celando  il  bianco  sen  tra  1*  onde  loro. 
In  mille  minutissimi  ruscelli 
Dal  capo  scaturir  gii  aurei  capelli. 

Celò  il  bel  sen  cott4* aureo  vel,  ma  come 
Appiattando  la  testa  11  cespo  erboso, 
Invan  l' augel,  che  trae  di  Fasi  II  nome. 
Crede  tutto  a  chi  il  mira  essersi  ascoso; 
Cosi  sebben  daile  diffuse  chiome 
Fece  all'altre  bellesse  on  manto  ombroso. 
Scopriva  Intanto  Infraquell*  ombre  aurate 
Sol  nel  Sol  de'  begli  occhi  ogni  beliate. 

Oltre  che  di  quel  Sol  chiaro  e  sereno 
Quella  nube  gentil  non  splendea  manco. 
Ella  pur  cerca  or  II  leggiadro  seno  , 
Velarsi,  or  il  bel  tergo,  or  il  bel  fianco. 
Ma  le  fila  dell'  or  tenersi  a  freno 
Suir  avorio  non  san  lubrico  e  bianco  ; 
E  quel  che  di  coprir  la  man  si  sforza. 
Audace  ventloel  discopre  a  forza. 

Vanno  al  gran  bagno.  Or  daD'anfldie  car- 
Di  Baia  e  Cuma  11  paragon  si  taccia,    [te 
In  un  quadro  peifetto  é  con  bdl'  arte 
Disposto,  ed  ogni  fronte  é  cento  braccia. 
Di  ben  comodi  alberghi  in  ogni  parto 
Qnto,  e  tre  ne  contlen  per  ogni  faocia.  " 
Camere  e  logge  in  tripUcnta  fila 
Vi  ainnno,  ed  ogni  stanza  ha  la  sua  pila. 


tu 


MARINO. 


In  mezxo  ali*  edificio  alto  si  scorge 
Piantato  di  diaspro  un  gran  pilastro, 
Per  le  cui  vene  interne  il  fonte  sorge. 
Forate  si  da  diligente  mastro, 
Che  per  dodici  canne  intorno  porge 
L*  aeque  in  vasi  d' acate  e  d' alabaslrob 
E  d' argento  ogni  canna  assai  ben  tersa. 
Come  d*  argento  son  1*  acque  cbe  versa. 

Vansl  r  acque  a  versar,  ma  pigre  e  lente 
In  ampie  concile. di  forbiti  sassi. 
Sicché  raccor  si  può  I*  umor  cadente 
Dal  I*ordin  primo  de'  balcon  più  bassL 
Pigra  dico  sen  va  V  onda  lucente , 
E  BOfe  tardi  i  cristallini  passi. 
Che  in  si  ricco  canal  mentre  s'aggira 
Le  sue  delixie  aubiaiosa  ammira* 

E  quindi  poscia  per  occulta  tromba 
A  sua  propria  magfon  passa  ciascuna , 
E  traboccando  con  fragor  rimbomba. 
Tanto  lucida  più,  quanto  più  bruna. 
Rassembra  ogni  niaglonspelonca,o  tomba. 
Per  la  luce  del  Sol  luce  di  Luna. 
Pallido  v'  entra  per  anguste  vie« 
Tanto  cbe  non  v'  è  notte,  e  noa  v*  è  die. 

11  portico,  a  cui  1*  ondalo  grembo  piove, 
Serie  di  curvi  fornici  sostiene. 
Fregiano  il  muro  interior,  là  dove 
L*  umido  gorgo  a  scaricar  si  viene , 
Marmi  dipinti  in  strane  fogge  e  nove 
Di  belle  macchie  e  di  lucenti  vene. 
Luslngan  d' ogni  intorno  i  bei  riposi 
Covili  opachi  e  molli  seggi  ombrosi. 

Ma  nulla  opra  mortai  Tarte  infinita 
Della  cava  testudine  pareggia, 
Che  di  pietre  mirabili  arricchita 
Splende  e  gemma  plebea  non  vi  lampeggia. 

V  ha  quelche  '1  elei  e  quel  che  1*  erba  imita 

V  ha  quel  che  emulo  al  foco  arde  e  rosseg- 
Siucchi  non  vi  ha,  ma  di  sotti  1  lavoro  [già  { 
Smalli  sol  coloriti  in  lame  d'oro» 

Tra*  bd  coofin  delle  gemmate  rive 
Si  serena  traspar  1*  onda  raccolta , 
Che  1  non  suoi  fregi  usur^  e  in  sé  descrive 
Tutti  gU  ODor  della  superba  volta. 
Non  Unto  forse  in  si  beli'  acque  e  vive 
fidegaeria  Ghiiia  esser  veduta  e  coita. 
Forse  in  acque  al  belle  il  suo  bel  viso 
Meglio  amerla  di  vagheggiar  Narciso* 


Quloci4)eoso,  addivien,  che  la  loquace 
Già  Ninfa,  clie  per  ini  mula  si  taoqut» 
Di  abitar  fatta  voce  or  si  compiace 
Dov*  ei  di  vaneggiar  gii  si  compiacque. 
Quivi  de*  detti  estremi  ombra  seguicft 
D*  arco  in  arco  lontaa  fugge  peri'  acque  ; 
E  qual  d' Olimpia  entro  l' eccelsa  mola. 
Moltiplica  risposte  alle  parolew 

Venne  allor  l' una  coppia,  e  l' altra  scor- 
De'  bei  lavacri  al  più  vicin  recesso  i  [ se 
Né  molto  andò,  che  quindi  uscir  s' 
D' accenti  e  baci  un  fremito 
Adone  a  quella  parte  il  passo  tone 
Tanto  che  per  veder  si  fé'  dappresso,  [le» 
Vide,  e  gli  cadder  gli  occhi  ùi  fondo  ai  fon- 
TanU  vergogna  gli  gravò  la  fronte. 

Su  la  sponda  d' un  letto  ha  quivi  soorio 
Libidinoso  satiro  e  lascivo. 
Che  a  bellissima  Ninfa  in  braccio  attorto 
Il  fior  d'ogni  piacer  coglie  furtivo^ 
Del  bel  tenero  fianco  al  suo  conforto 
Palpa  con  una  man  l' avorio  vivo.      i[  sta , 
Con  l' altra,  che  ad  altr*  opra  intenta  aoco- 
Tenta  parte  più  dolce  e  più  riposta. 

Tra'  noderosi  e  nerboruti  amplessi 
Del  robusto  amator  la  giovinetta 
Geme,  e  con  ocelli  languidi  e  dimessi 
Dispettosa  si  mostra  e  sdegnosetta* 
In  viso  invola  ai  baci  ingordi  e  spessi , 
E  nega  il  dolce,  e  più  negando  allettai 
Ma  mentre  si  sottragge,  e  gliel  contende, 
Nelle  scaltre  repulse  1  baci  rende. 

Riirosa  a  studio,  e  con  sdoccheueaccor- 
Svllupparsi  da  lui  talor  s'infinge,       [le 
E  intanto  tra  le  ruvide  ritorte 
Più  s'incatena  e  più  l' annoda  e  cinge. 
In  guisa  tal,  che  non  giammai  più  forte 
Spranga  legno  con  legno  inchioda  e  strin- 
Flora  non  so,  non  so  se  Frine,  o  Taide  [gè. 
Trovar  mai  seppe  oscenità  si  laide. 

Serpe  nel  petto  glovenile  e  vago 
L' alto  piacer  dell'  Impudica  vista , 
Che  alle  forze  d' Amor  tiranno  e  mago 
Esser  non  può,  che  un  debol  cor  resista  ; 
Anzi  dall'  esca  della  doke  Imago 
L' ineitato  desio  vigore  acquista  t 
E  stiiaolato  al  naturai  suo  corso. 
Maraviglia  ìu>n  Ila,  se  rompe  il  morso. 


L'AIKffiE. 


116 


E  U  saa  Dea,  che  d'amorosi  sodi 
Ha  stretto  U  core,  a  seguitarlo  intenta, 
Con  detti  arguti  e  con  astuti  modi 
Por  tra  via  motteggiando  il  punge  e  tenta. 
Godi  par  (dicea  seco)  il  frutto  godi 
De'  tuoi  dolci  sospir,  coppia  wnienta , 
Sosptr  ben  sparai  e  lien  versati  pianti , 
FeUci  ODori  e  più  feiid  anuntt 

Sia  Fortima  per  voi.  Non  so  se  tanto 
Pia  cortese  per  me  clii  m*  imprigiona. 
Coal  favella  ai  suo  bel  Sole  accanto , 
E  sorride  la  Dea,  mentre  ragiona. 
Facendo  pur  del  destro  braccio  intanto 
Al  SBO  fianco  sinistro  eburnea  sona. 
E  gli  colei ,  che  gì'  introdusse  quivi , 
Spargea  dal  suo  focil  mille  Uicentivi. 

Come  fianuoa  per  fiamma  accresce  foco, 
Come  face  per  face  aggiunge  lume , 
0  come  geminato  a  poco  a  poco 
Prende  fora  maggior  fiume  per  fiume; 
Cod  il  fanciullo  all'  inonesto  gioco 
Raddoppia  Incendio,  epar  che  si  consume, 
E  tutto  in  preda  alla  lascivia  Ingorda 
Della  modestia  sua  non  si  ricorda. 

Già  di  sé  stesso  già  fatto  maggiore 
Drizzar  si  sente  al  cor  l'acuto  strale, 
Tanto  di' ornai  di  quei  focoso  ardore 
A  sostener  lo  stimolo  non  vale; 
Onde  anelando  11  gran  deslr,  che  il  core 
Con  sollecito  spron  punge  ed  assale , 
E  bramoso  di  farsi  a  pien  felice. 
Pur  rivolto  alla  Dea ,  la  bacia  e  dice  : 

io  moro,  lo  moro,  ohimè,  se  non  mi  dona 
llpportuna  pietà  matura  aita. 
Se  di  me  non  vi  cai ,  già  si  sprigiona, 
Già  pendente  al  suo  fin  corre  la  vita. 
Ferve  la  fiamma,  ed  imminente  e  prona 
L'anima  già  prorompe  in  su  l'uscita. 
Quella  beltà,  per  cui  convien  eh'  io  mora. 
Suscita  con  gli  spini  i  mcmlNi  ancora. 

Tostodie  a  dolce  guerra  Amor  protervo 
MI  venne  oggi  a  sfidar  con  tanti  vezzi , 
Tesi  anch'  io  l' arco,  ed  or  già  temo  il  nervo 
Per  soverclilo  rigor  non  mi  si  spezzi. 
Non  posso  più,  deli'  umil  vostro  servo 
Il  troppo  ardir  non  si  schernisca,  o  sprezzi. 
Che  vorria  pur  (come  veder  potale) 
Delia  gloria  toccar  V  ultime  mele. 


Cosi  parlando,  e  della  lieve  spoglia. 
La  falda  alquanto  In  languid'  atto  aperta, 
L' impazienza  dell'  accesa  voglia 
Sena'  alcun  vel  le  dimostrò  scoverta. 
Soffri ,  disse  ella  allor,  fioche  ■'accaglia 
Apparecchio  miglior,  la  speme  è  certa. 
Dalla  Comodità ,  mia  fida  ancdfai , 
Data  in  breve  ne  fia  stanza  più  bella. 

Ritardato  piacer  (  portalo  In  pace) 
Nelle  dilazion  cresce  non  poco. 
Bastiti  di  saper,  che  mi  disface 
Di  reciproco  amor  scambievol  foco. 
Teco  in  sull'ora  della  prima  face 
Mi  avrai,  ti  giuro,  in  più  secrtto  Io€a. 
Fa  pur  buon  cor,  tien  la  mia  fede  in  pegao. 
Tosto  avverrà  che  In  porto  entri  il  tuo  lo- 

[gno. 

Come  a  fiero  talor  veltro  d'Irlanda 
Buon  cacciator,  che  infuriato  II  veda , 
Benché  venga  a  passar  dalla  sua  banda 
Vicina  assai  la  desiata  preda , 
La  libertà  però,  che  gli  dimanda , 
Non  cosi  tosto  awieo ,  che  gli  conceda  ; 
Anzi  fermo  e  tenace  ad  ogni  crollo 
Tira  il  cordoo,  che  gì'  imprigiona  11  collo; 

Cosi  nemmen,  per  più  scaldar  l'aflietto 
Nei  diflicii  goder  l' amante  accorta , 
Mentr'ei  volea  del  suo  maggior  diletto 
Con  la  chiave  amorosa  aprir  la  porta, 
DI  quel  primo  appetito  al  giovanetto 
L' Unpeto  aflrena  e  il  bacia  e  il  riconforta. 
Poi  con  la  bella  man  quindi  il  rimove , 
E  r  invita  a  girar  le  piante  altrove. 

Può  da  que'  chiusi  alberghi  all'ampia  corte 
Libero  nsdr  per  più  d' un  uscio  il  piode  ; 
E  scritta  delle  stanze  in  su  le  porle 
D' ogni  lavanda  la  rirtù  si  vede. 
Ciascun*  acqua  ha  virtù  di  varia  sorte , 
Come  l' esperienza  altmi  la  fede. 
Qual  >lgor,  qual  sapore  In  sé  coategna 
li  tatto  e  il  gusto  espressamenie  flasegnu 

0  miracol  gentil ,  vena  che  aoorrc 
D' un  sasso  solo  in  varie  urne  stufante. 
Come  possa  distinte  in  sé  raccorrà 
Doti  diverse  e  qualità  cotante. 
Chi  può  di  tutte  1  propri  effetti  esporrti 
Qual  più ,  qual  meno  è  gelida,  o  fuonoCg^ 
Altra  più  lorbktetta,  altia  più  chiara. 
Altra  dolce,  altra  salsa  ed  altra  «aara. 


tu 


MARINO. 


La  tenpra  di  quell'onde,  ove  fu  posta 
La  bella  Dea  con  ridol  suo  gradito. 
Del  Tonte  Insidioso  era<eonipo8ta, 
Gho  congiunse  a  Salmace  Ermafrodito , 
E  in  «è  tenea  proprietdl  nascosta 
Di  rinfiammare  11  tepido  appetito, 
Oltre  r erbe,  che  infuse  erano  in  essa. 
Dotate  pur  della  vlrtute  totessa. 

Vi  era  il  fallo  e  11  satlrio  in  cui  figura 
Oscene  forme  il  fiore  e  la  radice. 
La  menta  che  salace  è  per  natura , 
L'eruca  degli  amori  irritatrice. 
E  fi  era  di  altri  semplici  mistura. 
Già  di  Lampsaco  colti  alla  pendice. 
Amor,  ma  dimmi  tu ,  nel  bel  lavacro 
Qual  fu  nudo  a  veder  quel  corpo  sacro. 

Non  cosi  belle  con  le  chiome  sparse 
Quando  alla  prima  ingiuria  il  mar  soggiac- 
Ai  duci  d'Argo  vennero  a  mostrarse  [que. 
Le  vessose  Nereidi  in  meno  air  acque. 
Tal  mai  non  so,  se  la  sua  stella  apparse 
Qualor  dall*  Ocean  più  chiara  nacque. 
Pare  11  bel  volto  il  Sol  nascente ,  e  pare 
Il  seno  r  alba,  e  quella  conca  il  mare. 

Simulacro  di  Ninfa  inciso  e  fatto 
Di  qual  marmo  più  terso  In  pregio  saglia. 
Posto  in  ricca  fontana,  obel  ritratto 
D*  avorio  fin ,  cui  nobil  fabbro  intaglia , 
Somiglia  appuntoalla  bianchesza,  air  atto 
Se  non  che  il  moto  sol  la  disagguaglia  ; 
E  la  fan  differir  dal  sasso  scolto 
L'oro  del  crin,  la  porpora  del  volto. 

Al  folgorar  delle  tremanti  stelle 
Arser  gli  umori  algenti  e  cristallini , 
Ed  avvampar  d'Insolite  fiammelle 
L' umide  pietre  e  1  margini  vicini. 
Vedeanai  accese  entro  le  guance  belle 
Dolci  fiamme  di  rose  e  di  rubini , 
E  nel  bel  sen  per  entro  un  mar  di  latte 
Tremolando  nuotar  due  poma  Intatte. 

Or  qual  fortuna  in  sulla  fronte  ammassa 
L- ampio  volume  della  treccia  bionda. 
Or  qual  cometa  andar  parte  ne  lassa 
Dopo  le  terga  ad  indorar  la  sponda. 
Aura  talor  che  la  scompiglia  e  squassa , 
Fa  rincresparla,ed  ondeggiar  con  i'  onda. 
Onde  il  crin  rugiadoso  e  sparso  al  vento 
Oro  parca ,  che  distillasse  argento* 


Parca  battuta  da  beltà  sì  cara 
Disfarsi  di  piacer  I*  onda  amorosa , 
E  bramava  Indurarsi ,  e  spesso  avara 
In  sen  la  si  cbiudea ,  quasi  gdosa. 
Ghiudeala,  ma  qual  prò,  se  era  si  chiara. 
Che  mai  teaeala  al  bell'Adone  ascosa? 
Però  che  tralucea  nel  molle  gelo 
Come  suol  gemma  In  vetro,o  lampa  In  velo. 

0  qual  gli  move  al  cor  lascivo  assalto 
L'atto  gentil,  mentre  si  lava  e  terge. 
Or  nell'acque  si  attufla ,  or  sorge  In  alto. 
Or  le  vermiglie  labbra  entro  v'immerge. 
Or  di  quel  molle  e  cristallino  smalto 
Con  la  man  bianca  il  caro  amante  asperge, 
Ora  11  sen  se  ne  spruxsa ,  ed  or  la  fronte , 
E  fa  d' alto  piacer  piangere  11  fonte. 

Adone  anch'  egli  dei  leggiadri  arnesi 
Scinto,  e  pien  di  stupore  e  di  diletto. 
Sotto  effigie  gelata  ha  spirti  accesi , 
Agghiacciando  di  fore,  arde  nel  petto; 
E  mentre  ha  gli  occhi  al  suo  bel  foco  Intesi , 
Svelle  dalle  radici  un  sospi  retto 
Così  profondo  e  fervido  d'amore. 
Che  par  che  sospirar  si  voglia  11  core. 

Ahi  qual  m'abbaglia,  sospirando  dice, 
Folgore  ardente  e  candido  baleno  ? 
Qual  vibrar  veggio,  spettator  fdice , 
Fiamme  1  begli  occhi,  e  nevi  11  bianco  seno? 
Forse  del  del,  dell'  acque  abitatrice  [no. 
Fatta  è  quesf  ahna,  o  questo  è  un  del  terre- 
Traslato  è  In  terra  il  del.  Venga  chi  vole 
In  aquario  quaggiù  vedere  il  Sole. 

Beltà,  cred'  lo,  non  vide  In  vai  di  Xanto 
Paride  tal  nella  medesma  Diva; 
Né  d' amoroso  foco  arse  cotanto 
Quando  mirò  la  malmirata  Argiva  ; 
Qual  io  la  veggio  alletutrice ,  e  quanto 
Sento  l'ahna  stemprarmi  In  fiamma  viva  ; 
Fiamma ,  di  cui  maggior  non  so  se  fussc 
Quella  che  la  sua  patria  arse  e  distrusse. 

Dimmi ,  padre  Nettun ,  se  ti  rimembra 
Quand'  ella  usci  delle  tue  salse  spume , 
Dì,  se  vedesti  nelle  belle  membra 
Tanto  splendore  accolto  e  tanto  lume? 
Dimmi  tu  sol ,  quella  beltà  non  sembra 
Oggi  maggior  del  solito  costume  ? 
Maggior,  che  quando  In  cid  fosti  di  lei 
Invido  testimonio  agli  altri  Del? 


L'ADONE. 


Fosti  meo  fortunato  Endlmione , 
Indegno  di  mirar  quel  eli* oggi  io  miro, 
Quando  a  te  scese  dal  sovran  balcone 
La  bianca  Dea  dell'argentato  giro. 
Cedimi,  cedi ,  o  misero  Atteone, 
Che  io  per  più  degno  oggetto  ardo  e  sospi- 
E  diflèrente  è  ben  la  nostra  sorte ,    [ro  ; 
Ch'Io  ne  traggo  la  tita,  e  tun'  hai  morte. 

0  bellezza  immortai,  perchè  nell'onde 
Ti  lavi  tu,  se  son  di  te  men  pure? 
L'acque  alle  macchie  tue  divengon  monde, 
E  fansi  belle  con  le  tue  brutture. 
Deh  poiché  a  si  soavi ,  e  sì  seconde 
Destinato  son  io  gioie  e  venture. 
Ch'io  ti  lavi  e  t'asciughi  ancor  consenti 
Con  vivi  pianti  e  con  sospiri  ardenti. 

E  se  è  ver,  che  ne*  fonti  anco  e  ne'  fiumi 
Amoroso  talor  foco  sfavilli. 
Fa  che  come  Aci  in  acqua  lo  mi  consumi, 
E  come  Alfeo  mi  liquefacela  e  stilli. 
Forse  raccolto  tra  cerulei  Numi , 
IDrando  I  fondi  miei  chiari  e  tranquilli , 
Fla  che  neU^stagion  contrarla  al  ghiaccio 
La  bella  fiamma  mia  mi  guizzi  In  braccio. 

Cosi  discorre,  e  intanto  i  freddi  umori 
PreodoB  vigor  dall'amorose  faci. 
Amor  gli  stringe,  e  stringel  corpi  e  1  cori 
Con  lacci  indissolubili  e  tenaci. 
Del  nodo ,  che  temprò  que'  fieri  ardori , 
Fé'  catene  le  braccia  e  groppi'  1  baci  ; 
E  con  la  propria  benda  ai  vaghi  amanti 
Forbì  le  membra  gelide  e  stillanti. 

Giunto  era  li  Sol  del  gran  viaggio  al  fine 
Lasciando  ai  suo  sparir  smarriti  I  fiori. 
Facean  scorta  ai  silenzj  ed  alle  brine 
L'ombre  volanti  e  i  sonnacchiosi  orrori. 
Ghludea  la  notte  in  bruno  velo  il  crine 
Mendica  de'  suoi  soliti  splendori , 
Che  la  stella  d'Amor,  d'amore  acoesa 
In  del  non  venne,  ad  altro  ufficio  intesa. 

Cameretta  riposta ,  ove  consperse 
Oiezzan  l'aere  d'alili  soavi. 
Al  solleciti  cori  Amore  asperse, 
Amori' uscler,  che  ne  volgea  le  chiavi. 
Tutte  Incrostate ,  e  qual  diamante  terse 
Vi  ha  di  fino  cristallo  e  mura  e  travi , 
Che  con  lusso  superbo,  ove  altri  miri , 
Son  specchi  agli  occhi  e  mantici  al  deslri. 


Talamo  sparso  di  vapor  sabeo  ' 
Cortine  ha  qui  di  porpora  di  Tiro. 
Quel  che  per  Arianna  e  per  Lieo 
D'indiche  spoglie  le  Baccanti  ordirò,' 
Quel  che  a  Tetl  le  Ninfe  ed  a  t^eleo 
Fabbricar  di  corallo  e  di  zaffiro , 
Povero  fora  al  paragon  del  ietto. 
Che  è  dalle  Grule  al  lieti  amanti  eretto. 

Splende  il  letto  real  di  gemme  adonio , 
E  colonne  ha  di  cedro  e  sponde  d' oro. 
Fanno  le  coltre  all'Oriente  scorno , 
Vincono  gli  origlieri  ogni  tesoro. 
Purpurea  tenda  gli  distende  intorao 
Fregiato  un  del  di  barbaro  lavoro. 
Biancheggiano  fra  gli  ostri  e  fra  1  rubini 
Morbidi  bissi  ed  odorati  lini. 

Quattro  strani  sostegni  ha  ne' cantoni , 
Su  le  cui  cime  il  padiglton  s' appoggia. 
Son  fatti  a  guisa  d' arbori  a  tronconi 
D'oro  e  smeraldo  in  disusata  foggia. 
Qui  quasi  in  verdi  e  concave  prigioni , 
Stuoi  d' augellini  infra  le  fronde  alloggia , 
Onde  se  alcun  talor  scote  la  pianta , 
Ode  concerto  angelico  che  canta. 

Questo  fu  11  porto,  che  tranquillo  accolse 
La  nobll  coppia  dal  dubbioso  flutto. 
Qui  del  sem((  d' Amor  la  messe  colse. 
Qui  vendemmiò  de' suoi  sospiri  il  frutto. 
Qui  tramontando  il  Sol ,  Vener  si  tolse 
D' Adon  pio  volte  il  bei  possesso  in  tutto  ; 
E  qui  per  uso  ai  tramontar  di  quello 
Spuntava  agii  occhi  suoi  l' altro  più  bello. 

Da  che  la  queta,  oscura  umida  madre 
Del  silenzio  e  del  sonno  i  colli  adombra, 
Finché  le  bende  tenebrose  ed  adre 
Il  raggio  mattutin  lacera  e  sgombra , 
DI  qudle  membra  candide  e  leggiadre 
Gode  la  Dea  gli  abbracciamenti  all'  ombra. 
Senza  luce  curar,  se  non  la  cara 
Luce ,  che  le  sue  tenebre  rischiara. 

E  dall'  Orto  ancor  poi  fin  all'  Occaso 
Sei  cova  In  grembo ,  e  con  le  braccia  infa- 
Motte  e  di  sempre  è  seco;  e  se  per  casofscia. 
Di  necessario  affar  talvolu  il  lascia. 
Che  fia  brev'  ora  senza  lei  rimaso, 
Sentesi  sospirar  con  tanta  ambascia , 
Che  aver  sembra  nel  cor  la  fiamma  tutta , 
Che  Troia  acoese  e  Nongibdlo  erutu. 


138 


MARINO. 


Quando  il  rapido  Sol  per  dritta  verga 
Poggiando  a  mezzo  il  del  fende  le  piagge. 
Là  *ve  de'  monti  le  frondose  terga 
Tesson  verde  priglon  d' ombre  selvagge. 
Per  soggiornar  dove  il  suo  bene  alberga 
Solitaria  sovente  U  pie  rilragge, 
E  gode  0  lungo  un  Aume,  o  sotto  un  speco 
Partir  1*  ore  ^  i  pensieri  e  i  detti  seco* 

E  sempre  in  suo  desir  costante  e  salda 
0  siede ,  o  giace ,  o  sclicrza  il  di  con  esso, 
Concorde  all'  acque  dell'  ombrosa  falda 
Freme  de'  baci  il  mormorar  sommesso. 
Nò  raggio  d' altro  Sol  la  fiede ,  o  scalda, 
Cile  de'  begli  occld ,  in  cui  si  specchia  spes- 
Nè  sul  meriggio  estivo  aura  cocente ,  [  so  ; 
Se  non  sol  quella  de'  sospir,  mai  sente. 

Yassene  poi  per  questa  riva  e  quella 
L' orme  seguendo  dell'  amate  piante. 
Predatrice  di  fere  ardila  e  bella. 
Del  caro  predator  compagna  errante , 
E  r  arco  in  mano ,  al  fianco  le  quadrella 
Porta  talor  del  fortunato  amante , 
Talché  ogni  Fauno  ed  ogni  Dea  silvana 
Gli  crede.  Apollo  l' un ,  l' altra  Diana. 

Così  qualor  giovenca  giovinetta 
Sen  va  per  campi  solitari  ed  ermi. 
Tenera  si,  che  calpestar  l'erbetta 
Ancor  non  sa  con  pie  securi  e  fermi. 
Né  curva  in  sfera  ancor  piena  e  perfetta 
Della  fronte  lunata  l  novi  germi, 
Seguela,  ovunque  va,  per  la  verdura 
La  torva  madre,  e  la  droonda  e  cura. 

Fatta  gelosa  è  si  di  quel  bel  volto. 
Che  teme  Amor  d'amor  non  se  n'accenda. 
Teme  non  Borea  In  turbine  disdolto 
Dalle  nubi  a  rapirlo  In  terra  scenda. 
Teme  non  Giove  in  ricca  pioggia  accolto 
\  sì  rara  bellezza  insidie  tenda. 
Vorria  poter  cdar  luci  sì  lielle 
Alla  visu  del  Sole  e  delle  sielle. 

Se  si  rischiara  11  mondo,  o  se  s'Imbruna , 
Spieghi,  0  pieghi  la  Notte  li  fosco  velo. 
Dell'  Aurora  ha  sospetto  e  della  Luna, 
Che  a  le i  noi  furi,  e  non  sd  porti  in  delo. 
Odia,  come  rivai,  l' Aura  Importuna  ; 
Gli  augelli,  l  trondii,!  fior  l'empion  di  gelo. 
Ha  quasi  gdosia  de'  propri  bad, 
De'  propri  sguardi  suoi  troppo  voraci. 


Sotto  le  curve  e  spaziose  spalle 
D' un  Incognito  al  Sol  poggio  frondoso. 
Cinto  da  cupa  e  solitaria  valle 
Si  appiatta  iu  cavo  sasso  antro  uniscala. 
Raro  de'  suol  recessi  il  chiuso  calle 
Altri  tentò ,  die  il  sonno,  e  che  il  riposo. 
L' ombre  sue  sacre,  i  suoi  riposti  orrori 
E  fere  reveriscono  e  paalod. 

Questo,  r  arte  imitando,  avea  Natnxa 
Di  rozzi  fregi  a  meravìglia  adorno. 
L'  avca  con  vaga  e  rustica  pittura 
Sparso  di  fronde  e  fior  dentro  e  d'inlorao. 
Gli  fea  d' appio  e  di  felce  un'  ombn  oscura 
Schermo  all'  ingiurie  dd  cocente  giorno* 
Difendea  l' edra  Incontro  al  Sol  l'entrata 
DI  cento  liracda  e  cento  branche  < 


Qui  spesso  ricovrar  da' camp*  aprid 
La  bellissima  coppia  avea  costwne, 
E  in  liet'  ozio  passar  l' ore  felid , 
Secura  dall' ardor  del  maggior  lane» 
Eran  de'  sonni  lor  l' aure  nutrid  , 
Cortinaggi  le  fronde  e  l' erbe  piuae. 
Secretarle  le  valli ,  le  montagne, 
E  l'erme  solitudini  compagnew 

Incontro  al  biondo  arder,  che  foigoraml 
Dritto  dall'  arco  d' or  scoccava  i  raggi. 
Scudo  laccano  al  duo  felid  amanti 
Con  torte  braccia  i  briarel  sdvaggi» 
Mossi  dall'  aure  vane  e  vaneggianti , 
Con  alterni  susurri  abeti  e  faggi 
Pareano  dire  (e  lìngua  era  ogni  fronda) 
Più  ne  notrisce  Amor,  che  U  Soie  e  l'onda. 

Or  quivi  un  di  fra  gli  altri  ecco  die  staacd 
Tornar  di  caccia,  ed  anelante  il  vede,  [co 
L'or  biondo  e  crespo,il  terso  avorio  e  bèan- 
Tre  volte  e  quattro  a  rasciugar  gii  rieile. 
Gli  fa  catena  delle  braccia  ai  fianco,  [de  ; 
Sei  reca  In  gremixx^e  In  grembo  all'erba  aie- 
E  In  vagheggiando  lui ,  che  l' Invaghisce, 
Pur  come  aquila  al  Sol,  gii  occhi  nutrisce. 

Tien  le  lud  alle  lud  amate  e  Me 
Congiunte  il  seno  al  sen ,  il  viso  ai  viso. 
Divora  e  bee,  qualora  d  bada,  o  ride. 
Con  la  liocca  e  con  l'occhio  il  i>ado  e  il  ri* 
Deh  chi  dagli  occhi  miei  pur  ti  divìde  [so. 
0  non  da'  miei  pensier  giammai  diviso  ? 
Qual  altra  esser  può  mai  cura,  die  vaglia 
A  far,  die  dd  mio  duoi  natta  ti  caglia. 


L'ADONE. 


189 


Or  mi  av  veggio  ben  io ,  che  d' egual  foco 
((^iii  creduto  ravria?)  meco  non  ardi , 
E  che  formi  Ulor,  siccome  poco 
Avvexao  a  ben  amar,  vezzi  bugiardi* 
Poiché  posposto  alla  fatica  il  gioco. 
Dalle  tue  cacce  a  me  torni  si  tardi  ; 
E  curi  (come  suole  ogni  fanciullo) 
Più  che  tuu*  altro,  un  pueril  trastullo. 

Cosi  dicendo,  col  bel  vel  pian  piano 
Gli  terge  i  molli  e  ferridi  sudori , 
Vive  rugiade,  onde  il  bel  viso  umano 
Riga  i  suoi  freschi  e  mattutini  fiori. 
Poi  degli  aurei  capei  di  propria  mano 
Coglie  le  fila,  e  ricompon  (^  errori  ; 
E  di  lagrime  il  bagna,  e  mesce  intanto 
Tra  perle  di  sudar  perle  di  pianto. 

Ed  «gli  a  lei  :  Deh  questi  pianti  asciuga, 
Deh  cessa  ornai  queste  dolose  note. 
Pria  seminar  di  neve,  arar  di  ruga 
Tu  vedrai  queste  chiome  e  queste  gote. 
Che  mai  per  altro  amor  sia  posto  In  fuga 
L*  amor  che  dal  mio  cor  fuggir  non  potè. 
Se  tu  fiamma  mia  cara  immortai  sei , 
Immortali  saran  gì*  incendj  miei. 

Per  quella  face,  onde  infiammato  lo  fui , 
Giuro  e  per  quello  strai  che  il  cor  m'offende. 
Giuro  per  gfi  occhi  e  per  le  chiome  in  cui 
Lo  strale  indora  Amor,  la  face  accende; 
Che  Adon  fia  sempre  tuo,  uè  mal  d' altrui, 
Tal  è  quel  Sol»  che  agli  occhi  suoi  risplen- 
S' altro  che  il  ver  ti  giuro,  o  bella  mia,  [de. 
Di  superbo  dnghial  preda  mi  sia. 

Ed ellaalui  :  Se  tu,  ben  mio,  sapessi 
Quanto  sia  dolce  essere  amato  amando, 
E  quanto  è  duro,  esperienza  avessi , 
Lunge  dall'  amor  suo  girsene  errando. 
Di  scambievcHe  amor  segni  più  espresai 
Mi  daresti  talor  meco  posando, 
E  saremmo  egualmente  amanti  amad 
Tu  coatentO)  io  felice,  ambo  beatL 

È  ver,  che  nulla  il  bel  pensiero  affrena. 
Che  sempre  ali*  occhio  il  caro  oggetto  ap- 
In  alme  strette  di  leal  catena      [pressa. 
So  che  per  lontananza  amor  non  cessa. 
Dividale  se  può  libica  arena , 
Oceano  profondo,  alpe  Inaocesaa , 
Pur  lasciare  il  suo  bene  è  peggio  assai, 
VM  desiarlo,  e  non  goderlo  mal. 


Godiamci^amiamci.  Amor  d'amor  merce- 
Degno  cambio  d'amore  è  solo  amore,  [de, 
Fansi  in  virtù  di  un'amorosa  fede 
Due  alme  un'  alma,  eson  due  cori  un  core. 
Cangia  il  cor,  cangia  l'alma  albergo  e  sede. 
In  altrui  vive.  In  sé  medesma  more. 
Abita  amor  l'abbandonata  salma, 
E  vece  vi  sostien  di  core  e  d'alma* 

0  dolcezza  ineffabile.  Infinita , 
Soave  piaga  e  dilettosa  arsura. 
Dove  quasi  fenice  incenerita 
Ha  culla  insieme  il  core,  e  sepoltura; 
Onde  da  duo  begli  occhi  afana  ferita  [ra, 
Muor  non  morendo,  e  il  suo  morir  noneo- 
E  trafitta  d'amor  sospira  e  langue 
Senza  duol,  senza  ferro  e  senza  sangue. 

Cosi  dolce  a  morir  l' anima  Impara 
Esca  fatta  all'arder,  segno  alio  strale, 
E  sente  in  fiamma  dolcemente  amara 
Per  ferita  mortai  morte  immortale* 
Morte,  che  al  cor  salubre,  ai  sensi  cara 
Non  è  morte,  anzi  è  vita,  anzi  è  natale. 
Amor  che  la  saetta  e  che  l' incende, 
Per  più  farla  morir,  vita  le  rende. 

Or  se  risponde  il  tuo  volere  al  mio, 
E  son  conformi  i  miei  desiri  ai  tuoi  ; 
Se  quanto  aggrada  a  te,  tanto  bram'lo, 
E  quanto  piace  a  me,  tanto  tu  vuoi  ; 
Se  è  diviso  in  due  petti  un  sol  desio, 
Ed  è  comune  un'  anima  tra  noi; 
Se  ti  prendi  il  mio  core,  e  il  tuo  mi  dal , 
Perchè  del  corpi  un  corpo  anco  non  lai? 

i      0  dell'  anima  mia  dolce  favilla, 
0  del  mio  cor  dolcissimo  martiro, 
0  delle  luci  mie  luce  e  pupilla, 
0  mio  vezzo,  o  mio  bacio,  o  mio  sospiro. 
Volgimi  quegli,  onde  ogni  grazia  stilla , 
Fonti  di  puro  e  tremulo  zaffiro. 
Porgimi  quella,  ove  m'è  dato  in  sorte 
In  coppa  di  rubino  a  ber  la  morte* 

Quel  begli  occhi  mi  volgi.  Occhi  vIuU, 
Occhi  degli  occhi  miei  specchi  lucenti. 
Occhi  faretre  ed  archi ,  e  degU  strali 
Intinti  nei  piacer  fucine  ardend. 
Occhi  dei  elei  d' amor  stelle  frtall, 
E  del  Sol  di  beltà  vivi  orienti; 
Stelle  serene,  la  cui  luce  betta 
i  Può  far  perpetua  eclisse  alla  mia  stella. 


140 


MARINO. 


Quella  bocca  mi  porgi.  0  cara  bocca. 
Della  reggia  del  riso  uscio  gemmato, 
Siepe  di  rose,  in  cui  saetta  e  snocea 
Viperetta  amorosa  aral>o  fiato. 
Arca  di  perle,  onde  ogni  ben  tral)occa , 
Cameretta  purpurea,  antro  odorato. 
Ove  rifugge,  ove  s'asconde  Amore 
Folcile  ha  rubato  un'alma,  ucciso  un  core. 

Tace ,  ma  qual  fla  stii  che  di  ciascuna 
Paroletta  11  tenore  a  plen  distingua? 
Certo  indegna  è  di  lor,  se  non  queir  una, 
Che  le  forma  si  dolci ,  ogni  altra  lingua. 
Si  parìando,  e  mirando  ebbra  e  digiuna 
Pasce  la  sete  sì«  non  che  l'estingua; 
Ami  perchè  più  arda  e  si  consumi , 
Bada  le  dolci  labbra  e  i  dolci  lumi. 

Bada,  e  dopo  II  badar  mira  e  rimira 
Le  badate  bdlene ,  or  questi ,  or  quella. 
Ribada ,  e  poi  sospira  e  risospira 
Le  gustate  dolcezxe  or  egli ,  or  ella. 
Vlvon  due  vite  in  una  vita ,  e  spira 
Confusa  in  due  favelle  una  favella. 
Giungono  1  cori  in  sulle  labbra  estreme, 
Corrono  l'alme  ad  intrecciarsi  insieme. 

Di  note  ad  ora  ad  or  tronche  e  fugad 
Risona  l'antro  cavernoso  e  scabro. 
Dinuni,  o  Dea,  dice  V  un,  questi  tuoi  baci 
Movon  cosi  dal  cor,  come  dal  labro? 
Risponde  1*  altra  :  Il  cor  ndle  mordad 
Labbra  si  bacia.  Amor  del  bacio  è  fabro. 
Il  cor  lo  stilla ,  il  labbro  poi  lo  scocca , 
Il  più  ne  gode  l'alma.  Il  men  la  bocca. 

Bad  questi  non  son ,  ma  di  concorde 
Amoroso  desio  loquaci  messi , 
Parlan»  tacendo  In  lor  le  lingue  ingorde , 
Ed  h«n  gran  sensi  In  tal  sllentio  espressi. 
Son  del  mio  cor,che  II  tuo  badando  morde, 
Muti  accenti  1  sospiri  e  1  baci  istessl. 
Rispondonsl  tra  lor  l' anime  accese 
Con  voci  sol  da  lor  medesme  intese. 

Favella  II  bado,  e  del  sospir,  del  guardo 
(  Vod  anch'  essi  d' amor  )  porta  le  palme , 
Perchè  al  centro  del  cor  premendo  11  dardo 
Sulla  cima  d' un  labbro  accoppia  l' alme. 
Che  soave  ristoro  al  foco ,  ond'  ardo , 
Compor  le  bocche,  alleggerir  le  salme? 
Le  bocche,  che  di  nettare  bramose 
Han  la  sete  e  li  llcor,  son  api  e  rose. 


Qud  bd  vermiglio  che  le  labbra  Inostra, 
Alcun  dubbio  non  ha,  che  sangue  sia. 
Or  se  nel  sangue  sta  l'anima  nostra , 
Siccome  I  saggi  pur  vogllon  che  stia , 
Dunque  qualor  baciando  entriamo  In  gio- 
Bacia  l' anima  tua  V  anima  mia ,       [stra 
E  mentre  tu  ribaci ,  ed  lo  ribacio , 
L'alma  mia  con  la  tua  copula  11  bado. 

Slede  nel  sommo  dell'amate  labbia. 
Dove  11  fior  degli  spirti  è  tutto  accolto , 
Come  corpo  animato  In  sé  pur  abbia , 
Il  bado  che  dall'anima  vien  tolto. 
Quivi  non  so  d'amor  qual  dolce  rabbia 
L'uccide ,  e  dove  muor  resta  sepolto  : 
Ma  lA  dove  ha  sepolcro ,  ancora  poi 
Baci  divini  il  suscitate  voi. 

Mentre  a  scontrar  si  va  bocca  con  bocca, 
Mentre  a  ferir  si  van  baci  con  baci , 
SI  profondo  piacer  l' anime  tocca , 
Che  apron  l' ali  a  volar,  quasi  fugad  ; 
E  di  tanta  che  in  lor  dolcezsa  fiocca , 
Essendo  1  cori  angusti  urne  Incapad , 
Versanla  per  le  labbra ,  e  vanno  In  esse 
Anelando  a  morir  l'anime  Istesse. 

Treman  gli  spirti  infra  i  più  vivi  ardori 
Quando  li  bado  a  morir  l'anima  spinge. 
Mutan  bocca  le  lingue ,  e  petto  1  cori , 
Spirto  con  spirto,  e  cor  con  cor  si  stringe. 
Palpitan  gli  occhi ,  e  delle  guance  1  fiori 
Amoroso  pallor  scolora  e  tinge  ;  • 
E  morendo  talor  gli  amanti  accorti 
Ritardano  II  morir  per  far  due  morti. 

Da  te  l'anima  tua  morendo  fugge. 
Io  moribonda  in  sul  baciar  la  prendo  ; 
E  in  quel  vltal  morir  che  ne  distrugge , 
Mentre  Ifi  tua  mi  dai ,  la  mia  ti  rendo  ; 
E  chi  mi  mira  sospirando ,  e  sugge , 
Suggo,  sospiro  anch'  io,  miro  morendo  ; 
E  per  morir  quando  ti  bado,  e  miro , 
Vorrei  che  anima  fosse  ogni  sospiro. 

Fa  dunque  anima  mia ,  l'altro  le  dice , 
Ch'  io  con  vita  Immortai  cangi  U  morte. 
Voli  l'anima  al  cid  sì  che  felice 
Sia  degli  etemi  Dei  fatta  consorte. 
Fa  eh'  io  viva,  e  eh'  lo  mora,  e  (sedò  lice  ) 
Fa  eh'  io  riviva  poi  con  miglior  sorte. 
Dolcemente  languendo  all'  Istess'ora 
Fa  che  io  bocca  lo  ti  viva ,  in  sen  ti  mora. 


L' ADONE. 


141 


Un  albergo  medesmo  in  quei  dolci  ostri 
Unisca  il  mio  desir  col  tuo  desire. 
Le  nostr'  anime,  i  cor,  gli  spirti  nostri 
Vadano  Insieme  a  vivere  e  morire. 
Ferito  a  un  punto  il  ferltor  si  mostri , 
Pera  la  feritrice  io  sul  ferire  ; 
Onde  mentre  eli'  io  moro  e  che  tu  mori. 
Ravvivi  il  morir  nostro  i  nostri  ardori. 

Sostien,  diietta  mia,  che  a  mio  diletto 
Senaa  cessar  dalle  tue  labbra  io  penda. 
Ma  col  labbro  vermiglio  11  bianco  petto 
Avarixia  di  amor  non  mi  difenda. 
Né  quei  begli  occhi  al  mio  vorace  affetto 
Dispettoso  rigor ,  prego,  contenda. 
Morendo  io  vivrò  in  te ,  tu  in  me  vivrai , 
Cosi  ti  renderò  quanto  mi  dai. 

Se  nulla  è  hi  noi  di  nostro,  e  non  v'  ha  loco 
€osa,  che  possa  tua  dirsi ,  né  mia; 
Se  11  mio  cor  non  è  mio  molto  né  poco , 
Come  il  tuo  credo  ancor  che  tuo  non  sia  ; 
Poicliè  tu  sei  mia  fiamma ,  io  son  tuo  foco, 
E  dò  che  brama l'un  l'altro  desia; 
Poiché  di  propria  mano  Amore  ha  fatto, 
E  fermato  fra  noi  questo  contratto. 

Consenti  pur  eh'  io  ti  ribaci  e  dammi , 
Ch'Io  te,  come  tu  me  stringa  ed  abbracci. 
Pungi ,  ferisci ,  uccidi  e  svenir  fammi 
Finché  l'anima  sudi,  e  li  core  agghiacci. 
Te  l' ardor  mio,  me  la  tua  fiamma  Infiammi, 
E  me  teco  e  te  meco  un  laccio  allacci , 
Perpetuo  moto  abblan  le  lingue,  e  doppi 
SIen  delle  braccia  e  delle  labbra  I  groppi. 

Per  mesxo  1  fior  delle  tue  labbra  molli 
Amor  qual  augellln  vago  e  venoso 
Con  cento  suoi  fratei  lascivi  e  folli 
Vohi  schersando,  e  vi  tien  l' arco  ascoso. 
Né  vuol  ch'io  le  mie  fami  Ivi  satolli , 
Delle  dokeise  sue  quasi  geloso, 
Che  tosto  ch'io  per  mitigar  l'ardore 
Ne  colgo  un  bacio,  ci  mi  trafigge  II  core. 

Ma  qualor  da  lui  scampo,  e  là  rifuggo, 
Dove  ha  più  di  vermìglio  il  tuo  bel  viso. 
Più  dolce  ambrosia  (  o  me  beato)  io  suggo 
Di  quella  che  si  gusta  in  paradiso. 
Zcfllretto  soave,  ond'io  mi  struggo. 
Sento  spirar  delie  tue  rose  al  riso. 
Lo  qual  del  foco ,  che  II  mio  cor  consuma, 
Ventilando  l' ardor,  viepiù  l'alluma. 


No  che  baci  non  son  questi  eh'  io  prendo, 
Son  delia tlolce  Arabia  aure  odorate, 
D' una  soavità  eh'  lo  non  intendo. 
Più  che  di  cinnamomo  imbalsamate. 
Son  profumi  d'Amor,  ch'ei  va  traendo 
Dall'incendio  deli' alme  innamorate. 
Par  che  abbia  in  queste  porpore  ricetto 
Quanto  mele  han  Parnaso,  Iblaed  Imetto. 

Felice  me,  che  meritar  potei 
Quel  dolce  mal ,  che  unto  ben  mi  ha  fatto. 
Ma  son  ben  folle  ne' diletti  miei. 
Che  bacio,  e  parlo  in  un  medesmo  tratto. 
È  si  grande  il  piacer,  che  non  vorrei 
La  mia  bocca  occupar,fuor  ch'in  quest'at- 
E  con  la  bocca  istessa  II  cor  si  dole,  [to. 
Quando  1  baci  dan  luogo  alle  parole. 

Ed  lo,  die' ella ,  che  fruir  mi  vanto 
Gloria  Infinita  In  quel  superni  seggi, 
Non  provo  colassù  diletto  tanto, 
Che  alla  gioia  presente  si  pareggi. 
Prendi  pur  ciò  che  chiedi ,  e  chiedi  quanto 
Di  me  ti  place ,  a  tuo  piacer  mi  reggi. 
Ecco  a  plcclole  scosse  a  te,  mio  bene. 
Sospirando  e  tremando.  Il  cor  aen  viene. 

Deh  nel  core,  o  mio  cor,  omai  m' avventa 
Quella  lingua  d'Amor  dolce  saetta, 
E  in  core  di  rubino  aguzxar  tenta 
La  punu ,  che  a  morir  dolce  mi  alletta  ; 
E  fa  tanto  che  anch'Io  morir  mi  senta. 
Dei  tuo  dolce  morir  dolce  vendetta. 
Serpe  sembri  al  ferir,  che  ben  ascose 
Stan  sovente  le  serpi  Infra  le  rose. 

E  se,  perch'ella  é  velenosa  e  schiva, 
Forse  imitar  la  vipera  si  spiace , 
Movlhi  almen ,  siccome  suol  lasciva 
Coda  gulzsat  di  rondine  fugace. 
Oppur  qual  fronda  di  novella  oliva 
Rincresparia  t'insegni  Amor  sagace. 
Vibrala  sì ,  che  la  tua  bocca  arciera 
Emula  de' begli  occhi,  li  cor  mi  fera. 

Non  sono,  egli  ripigila,  or  non  son  questi 
GII  occhi  onde  dotoi  al  cor  strali  mi  scocchi? 
GII  occhi  onde  dolce  11  cor  dlansi  m'ardesti? 
Begli  occhi.  E  In  questo  dir  le  bacia  gli  occhi 
Begli  occhi,  ella  soggiunge,  occhi  celesti, 
Cagion ,  che  di  dolcesxa  il  cor  trabocchi. 
Core,  ond'io  vivo  senta  cor;  tesoro, 
Ond'  lo  povera  son  ;  vita ,  ond'  io  moro. 


H2 


SARINa 


Allora  H  vago:  Ami  tu  sol ,  tu  lel 
Quel  oore,  onde  il  mio  cor  vita  riceve. 
Cor  mio....  Pur  volea  dir,  quando  colei 
La  parola  in  un  bacio  e  II  cor  gli  beve. 
Elk  per  lui  si  strugge^  egli  per  lei , 
Come  a  raggio  di  Sol  falda  di  neve. 
Suonano  I  baci,  e  mal  dal  cavo  speco 
Forse  a  più  dolce  soon  non  rlspos'  eco. 

Fa  un  groppo  allor  dell*  un  e  V  altro  core 
Quel  sommo  del  piacer,  fin  del  desio. 
Formano  i  petti  in  estasi  d' Amore 
Di  profondi  sospiri  un  mormorio. 
Stillanai  1*  alme  in  tepidetto  umore, 
Onurioie  i  sensi  un  dilettoso  obblio. 
Toman  fredde  le  lingue  e  smorti  I  volli, 
E  vacillano  i  lumi  ai.  del  travolti. 


Tramortiscon  di  gloiaebbre  e  languenti 
L' aninie  stanche,  al  ciel  d' Amor  rapite. 
Gì*  Iterati  sospiri,  i  rotti  accenti, 
Le  dolcissime  guerre  e  le  ferite, 
Narrar  non  so.Prescbe  aure,onde  correnti, 
Voi  che  il  miraste,  e  ben  1*  udiste,  il  dite. 
Voi  secretari  de*  felici  amori 
Verdi  mirti,  alti  pini,  ombrosi  allori. 

Ma  gi4  fugge  la  luce,  e  l' ombra  riede, 
E  •'  accosta  a  Marocco  y  Sole  intanto. 
Imbrunir  d' Oriente  II  dei  si  vede. 
Cangia  in  fosco  la  terra  il  verde  manto. 
Già  cede  al  grillo  la  dcala,  e  cede 
Il  roslgnuoio  alla  civetta  il  canto, 
Che  garrisce  le  stelle,  e  dice  oltraggio 
Del  bel  pianeta  al  fuggitivo  raggio. 


CANTO  NONO. 


LA  FONTANA  D*  APOLLO. 


ALLEGORIA. 

Nella  persona  di  Fileno ,  nome  derivato  dall'amore,  il  poeta  descrive  sé  stesso 
con  gran  parte  degli  avvenimenti  della  sua  vita.  Fingesi  pescatore  per  aver  egli  il 
primo,  almeno  in  quantità ,  composte  in  volgar  lingua  poesie  marltttane.  La  Fontana 
d'Apollo  in  Cipro  altro  non  importa ,  che  la  copia  ddia  vena  poetica ,  la  quale  oggidì 
sovrabbonda  per  tutto,  massime  io  materie  liriche,  ed  amorose.  L*  armi  intagliate  in 
essa  son  simulacri  di  nove  famiglie  d'alcuni  principi  prindpali  d'Italia,  prolettori 
ddie  muse  italiane,  cioè  Savoia,  Este ,  Gonzaga ,  Rovere,  Farnese,  Cotona,  Orsino, 
e  predsamente  Medici  ;  siccome  l'insegna  de' Gigli  scolpita  a  pie  d' Apollo  istesso 
rappresenta  lo  scudo  della  casa  reale  di  Francia.  La  lite  dei  cigni  esprime  il  con- 
corso d'alcuni  buono  poeti  toscani ,  che  gareggiano  nell*  eccellenza ,  cioè  il  Petrarca, 
Dante,  il  Boccaccio,  il  Bembo,  il  Casa,  il  Sannazzaro,  il  Tansilio,  l'Ariosto,  il 
Tasso,  ed  il  Guarini.  Nei  gufo,  e  nella  pica  si  adombrano  qualche  poeta  goffo  mo- 
derno ,  e  qualche  poetessa  ignorante. 


ARGOMENTO. 

Vanno  al  fonte  d*  Apollo  i  Adi  amanti. 
Mirano  l' armi  de*  più  degni  eroi. 
Quivi  in  forma  di  cigni  ascoltan  poi 
Do*  loscani  poeii  i  versi  e  i  canti. 


Oeelit,ln  cui  nutre  Amor  fiamma  gentile, 
Ond*  loquest*  alma  in  vital  rogo  accesi. 
Volgete,  prego,  alla  mia  cetra  umile 
Mentre  al  canto  l' accordo,  i  rai  cortesi. 
Voi  mi  deste  l' indegno,  e  voi  lo  stile, 
Da  voi  le  carte  a  ben  vergare  appresi  ; 
E  se  V*  ha  sdlla  di  purgato  inchiostro, 
Prende  sol  qualltft  dal  nero  vostro. 


Voi  siete  i  aacri  fonti,  ove  per  bere 
Corro  sovente,  e  gli  arsi  s]rirti  immergo. 
Sotto  i  begli  archi  delle  ciglia  altere 
Più  che  all'  ombra  de'  lauri,  1  fogli  vergo  ; 
Che  aver  ben  denno  entro  le  vostre  sfere 
Poiché  V'  abita  il  Sol,  le  Muse  albergo  ; 
E  sento  con  favor  pari  alla  pena 
Donde  nasce  l' ardor,  piover  la  vena. 


L' AvOUE» 


143 


Albrì  c(rtà,  do¥e  Piniiw  b1  dcto 
Erge  in  due  corna  le  fromlofle  cime, 
Per  coronarsi  del  piA  verde  stelo 
Sudi  a  poggiar  fier  calle  erto  e  mMne. 
lo  aol  4el  ▼ostro  altero  orgoglio  anelo 
Sul  aumte  àlpestro  a  eottevar  le  rime, 
K 19%  dw  il  galderdOR  de'  miei  ondori 
Sia  corona  di  «Irti  e  non  d*  allori. 


Mio  é  ilmlo  FelMS  ed  Aaor  solo 
Con  r  aroo  istesao,  onde  gli  strali  d  seooca, 
Percbè  la  gloria  si  paraggi  al  duolo, 
Della  mia  lira  ancor  le  corde  tooca. 
Dall'  ali  del  pensler,  ciie  spiega  U  volo 
Là  donde  poi  qual  Icaro  trabocca. 
Anzi  pur  dalla  sua  svelse  la  penna, 
Con  cui  scrivo  talor  quant'  ei  mi  aoceona. 

Se  fossi  un  degli  auge!  saggi  e  canori, 
Ch*  oggi  innanzi  alla  Dea  vengono  in  lite, 
E  in  quel  vitali  e  virtuosi  umori 
Osassi  d' attuflar  le  labbra  ardite, 

10  spererei  non  pur  de*  vostri  onori 
Note  formar  men  basse,  o  più  gradite. 
Ha  con  stil  forse,  a  cui  par  non  rimbomba. 
Cangiar  Venere  iu  Marte,  il  pleltro  in  trom- 

[ba. 
E  il  duce  canterei  famoso  e  chiaro. 
Che  di  giusto  disdegno  in  guerra  arsialo 
Vendicò  del  Messia  lo  strazio  amaro 
Nel  sacrficgo  popolo  ostinato  ; 
E  canterei  col  Sulmonese  al  paro 

11  Mondo  in  nove  forme  trasformato. 
Ma  poiché  a  rozzo  stil  non  lice  tanto, 
Seguo  d*  Adone  e  di  Qprigna  il  canto. 

Ecco  già  dalla  porta  aurea  del  mondo 
Dcfle  fiamme  minori  11  sommo  duce 
Coronato  di  raggi  11  capo  biondo 
Esce  so  1  monti  a  pubblicar  la  luce. 
Gli  fa  festa  Natura,  e  dal  fecondo 
Grembo  erbette  la  terra,  e  fior  produce. 
L'alba  il  corteggia  e  In  queste  parti,  in 

quelle 
Gli  fan  per  tutto  11  ciel  piazza  le  stelle. 

Mckè  aniliedue  di  quel  piacer  dlrlno 
Han  dteto  il  desèo,  ma  noa  satollo, 
Sorgon  col  Sole,  e  prendono  il  cammino 
Verso  U  Foste  mlrablie  d' Apollo. 
GiungOB  là  dove  chiaro  e  cristallino 
Stagna  na  laglietto,in8Ìcme  a  bracciacollo. 
Cinto  d' un  prato,  che  di  fior  novelli 
Serbft  in  ogni  slagion  mensa  agii  augelU. 


Stranio  carro  era  qui  dì  gemme  adorno 
In  sembianza  di  barca  al  lido  avvinto. 
Quel  della  bionda  aurora ,  o  quel  del  giorno 
E  di  materia  e  di  lavor  ne  6  rinto.     [no 
Gran  compassi  ha  di  perle,  e  i  chiodi  ìntor- 
Tutu  son  di  diamante  e  di  giacinto. 
Il  vaso  tutto  è  d'  una  conca  intera, 
Che  apre  H  capace  ventre  in  mezza  sfera. 

Altra  di  questa  mal  forse  Nereo 
Non  vMe  opra  maggior  di  meraviglia 

0  nel  ricco  Oceano,  o  nell'  Egeo 
Dalla  cerulea  Tefi  alla  vermiglia. 
Nacque  dei  fertilissimo  Eritreo 
(Prodigio  di  Natura )  unica  figlia. 
L'Arte!  fregi  ri  aggiunsero  l'orio  eli  giro 
Le  incoronò  di  orientai  zaffiro. 

Su  basi  di  smeraldo  e  di  rubino 
Talamo  ben  guemito  In  mezzo  stassi. 

1  seggi  intorno  ha  di  topazio  fino, 

D*  ametlsto  indian  le  rote  e  gli  assi.   [  no 
Due  mostri  il  tramio;  han  d'uomo  e  di  delfi- 
Questi  le  membra  ed  ambo  un  misto  fdssi. 
Umana  forma  ha  quella  parte  eh'  esce 
Dell'  acque,  il  deretan  termina  in  pesce. 

Cosi  talor  vid*  io  pianta  feconda 
Quinci  e  quindi  spiegar  varia  la  chioma. 
Se  awien,  che  arte  cultrice  in  lei  confonda 
L*  nve  natie  con  l' adottive  poma  ; 
Che  mescolando  il  pampino  e  la  fronda 
Curva  le  verdi  braccia  a  doppia  soma, 
Onde  congiunte  in  un  vagheggia  Autunno 
Le  ricchezze  di  Bacco  e  di  Vertunno. 

Una,  r  non  saprei  dir,  se  Ninfa,  o  Diva, 
Dal  trono,  ov*  è  legato,  il  carro  slega, 
fi  dritto,  ov*  è  la  coppia,  Inver  la  riva 
Le  redine  rivolge,  e  il  corso  piega. 
Poi  con  favella  affabile  e  fesdva 
La  ricca  poppa  ad  aggravar  lor  prega. 
Idrilta  ha  nome,  e  già  la  bella  salma 
Introdotta  nei  legno,  il  legno  spalma. 

Per  la  tranquilla  e  pladda  peschiera 
Ne  vanno  Insieme  a  tardo  solco  e  lento. 
Dove  guizzano  I  pesci  a  schiera  a  schiera. 
Quasi  In  del  cristallln  stelle  d*  argento. 
Adon  r  amenità  della  costiera, 
E  della  conca  I  fregi  ammira  Intento, 
E  la  bella  nocchiera  invltatrtce 
Mentre  slede  al  tlmon,  cosi  gli  dice  : 


J44 


MARINO. 


La  macchina ,  signor,  dov* entro  or  sei,  | 
Fu  del  fabbro  di  Lenno  alto  sudore. 
Con  questa  in  grazia  venne  e  di  costei , 
Che  è  la  madre  d'Amor,  comprò  I*  amore. 
Per  trarla  ai  poco  amabili  imenei 
Questa  in  dono  le  offerse  in  un  col  core. 
Nettuno  aggiunse  ai  preziosi  doni 
Vago  poi  di  piacerle ,  i  duo  tritoni. 

Né  sol,  come  tu  vedi ,  in  acqua  è  nare , 
Ma  carro,  ov'eila  il  voglia,  in  aria  e  in  terra. 
Spinta  talor  da  dolce  aura  soave 
Per  le  piagge  del  mar  trascorre  ed  erra. 
Talor  lasciando  1* elemento  grave, 
Quand'ella  il  volo  al  terzo  ciel  disserra, 
Vi  accoppia ,  e  scioglie  ai  zelfiri  benigni 
I/e  dipinte  colombe ,  o  i  bianchi  cigni. 

Così  ragiona,  e  intanto  attorce  estende 
Contesti  di  fin  or  serici  stami. 
Onde  ai  figli  dell*  acque  ordisce  e  tende 
Minuti  e  sottilissimi  legami.       • 
Ma  mentre  appresta  il  calamo ,  ed  intende 
Pescatrice  leggiadra,  a  trattargli  ami. 
Amor  con  altro  laccio ,  e  con  altr*  esca 
Di  Ciprigna  e  d'Adon  l'anime  pesca. 

In  un  scoglio  approdò  la  navicella , 
Che  quasi  isola  siede  al  lago  in  grembo. 
Questo  non  osò  mai  ferir  procella , 
Teme  ogni  austro  appressarlo,  ed  ogni 
Né  sentir  mai  latrar  fervida  stella,  [nembo. 
Né  d' algente  pruina  asperse  il  lembo  ; 
Ma  sprezza ,  avvampi  Sirio,  o  tremi  Cauro, 
L' inclemenza  del  Cancro  e  del  Centauro. 

Sporge  la  curva  riva  in  fuor  due  braccia, 
Eforma  un  semicircolo  capace,  [ghiaccia 
Dove  quando  11  ciel  arde,  e  quando  ag- 
Sempre  ha  io  stagno  inalterabil  pace. 
Placido  quivi ,  e  con  serena  faccia 
La  Dea  liella  imitando,  il  vento  tace, 
E  vi  fan  i'  acque  a  prova ,  e  gli  arboscelli 
Ai  pesci  padiglion,  specchio  agli  augelii« 

Fiorì  e  concile  un  sol  margine  confonde. 
Erba  e  limo  congiunge  un  sol  confine. 
Spiegano  Taighe  e  spiegano  le  fronde 
In  un  sito  oomun  il  verde  crine. 
Tra  smeraldi  e  zafflr  1*  ombre  con  1*  onde 
Scherzano  gareggiando  assai  vicine  ; 
Ed  han  commercio  in  su  le  ripe  estreme 
Le  verdi  Dee  con  le  cerulee  iasieme. 


Oh  quante  volte  ailor  che  rosso  e  biondo 
Ride  in  braccio  alla  vile  il  lieto  Dio, 
Dall'arenoso  suo  gelido  fondo 
La  vezzosa  Nerdda  al  lido  uscio  ; 
E  sotto  il  velo,  onde  ricopre  il  mondo , 
La  madre  del  silenzio  e  dell' obblio. 
Con  pampini  asciugando  i  membri  molli 
Rapi  r  uve  mature  ai  dolci  colli. 

Quante  cadder  tra  perle  e  tra  coralli 
I  pomi  che  pendean  poco  lontani 
E  la  vendemmia  accolsero  1  cristalli  ^ 
Gii  di  vivo  rubin  gravida  i  grani. 
Spesso  strisciando  per  gli  ondosi  calli 
Sdrucciolaste  nell'acque,  o  Del  silvani. 
Spesso,  voi  fauni,  entro  le  chiare  linfe 
Correste  ad  abbracciar  l' umide  Ninfe. 

Loco  sovviemml  aver  veduto  ancora 
(Se  non  quanto  è  sul  fiume  ]  appunto  tale , 
Là  dove  trae  la  bella  PoUdora 
Dalla  Dora ,  e  dal  Po  nome  Immortale, 
Dell'augusto  signor,  che  augusta  onora 
Delizia  serenissima  e  reale; 
E  vi  vidi  sovente  in  ricche  scene 
Celebrar  liete  danze  e  liete  cene. 

Su  per  la  riva  1  hiddl  secreti 
Del  bel  lago  spiando  Ignudi  cori 
Van  di  fanciulli  lascivetil  e  lieti. 
Anzi  di  lieti  e  lascivettl  amori. 
Chi  fuor  dell'onde  trae  con  lacci  e  reti. 
Chi  con  tremula  canna  il  pesce  fuori , 
Altri  con  lunghe  fila  e  ferri  adunchi , 
Altri  con  gabbie  di  contesti  giunchi. 

Qui  venne  a  caricar  V  onda  tranquilla 
Del  suo  bel  peso  la  barchetta  estrana. 
Qui  scesero  a  veder  quella,  che  stilla 
Dotto  licor,  sì  celebre  fontana. 
Vulcan  divino  artefice  scolpilla , 
E  vinse  in  essa  ogni  scultura  umana. 
Così  grato  esser  volse  al  biondo  Dio 
Quando  I  celesti  adulteri  sooprio. 

Febo  poi  tanto  di  sua  grazia  Infuse 
In  quel  marmoreo  e  limpido  lavacro. 
Che  la  virtù  poetica  vi  chiuse 
Dei  suo  taroT  meraviglioso  e  sacro  ; 
E  in  compagnia  delle  canore  Muse, 
DI  cui  tutto  v'è  scuito  il  ^simulacro  I 
Sovente  visitandole,  con  esso 
Suol  le  rive  cangiar  del  bel  Permesso. 


L'ADONE. 


145 


L'onda  intanto  gorgoglia,  ed  ecco  allora 
Sirenetta  leggiadra  in  alto  s'erge, 
E  veduta  colei,  cui  Cipro  adora. 
Un'altra  volta  poi  si  risomnierge. 
La  man  carca  di  perle  indi  vien  fora, 
E  11  bel  lido  vicin  tutto  n'asperge; 
Per  le  rapite  all'ostriche  native. 
Vie  maggior  delle  noci  e  dell'olive. 

Disse  la  Dea  :  Se  pur  di  perle  mal 
Pia ,  che  avaro  talento  il  cor  ti  tocchi , 
A  tua  voglia  sbramar  qui  ben  potrai 
L' appetito  volgar  degli  altri  sciocchi. 
Per  me  non  ne  chiegg'  io  ;  ne  han  pur  assai 
La  tua  bocca  ridente  e  i  miei  tristi  occhL 
E  se  nulla  curiam  fregi  men  beili , 
Restinsi  cil>o  ai  miei  lascivi  augelli. 

Sappi ,  che  di  ricchissime  rugiade 
L'india,  l'Arabia,  Eritra  e Taprobana 
Tanta  copia  non  hanno ,  o  Paro ,  oGade , 
0  d' austro  il  mare,  o  il  mar  di  tramontana, 
Quanta  in  queste  felici  alme  contrade 
Ne  versa  ognor  del  Giel  grazia  sovrana. 
Poscia  in  minuti  globi  il  Sol  le  indura , 
E  son  de'  miei  colombi  esca  e  pastura. 

Le  perle,  perchè  son  d'egual  bianchezza. 
Ama  la  schiera  immacolata  e  bianca. 
G»l  quello  splendor,  quella  finezza , 
Ch'  ai  lor  primi  natali  in  parte  manca , 
Con  doppia  luce  e  con  maggior  bellezza 
Nel  lor  ventre  s*  adempie,  e  si  rinfranca  ; 
E  le  rimandan  fuor  con  gli  escrementi 
Più  perfette,  più  pure  e  più  lucenti. 

Il  coro  poi,  eh' è  d'adornarmi  avvezzo, 
Delle  mie  vaghe  e  ieggiadrette  ancelle. 
Per  fabbricar  pendente ,  o  compor  vezzo 
Sceglie  tra  lor  le  più  polite  e  belle. 
Ed  io  più  eh'  altra  una  tal  pompa  apprezzo. 
Perchè  la  stirpe  lor  vien  dalie  stelle , 
£del  cielo  e  del  mare  hanno  il  colore, 
Le  dove  nacque  e  dove  regna  Amore. 

SI  per  il  generoso  alto  concetto. 
La  cui  primiera  orìgine  è  celeste, 
Si  per  la  gran  virtù  dei  beli'  oggetto , 
Possente  a  confortar  l'anime  meste, 
Si  perchè  lo  splendor  reca  diletto, 
Sogliomi  compiacer  forte  di  queste. 
Queste  diero  la  cuna  al  nascer  mio, 
Queste  per  barca  e  carro  ancor  vola'  io. 


Quando  l'Aurorali  suo  purpureo  velo 
Lava  con  l' onda,  che  i  fioretti  avviva, 
DI  mattutino  umor  piove  dal  cielo 
Picdola  stilla  in  temperata  riva , 
E  condensata  in  rugiadoso  gelo 
L'accoglie  in  cavo  sen  conca  lasciva. 
Del  cui  seme  gentil  vien  poi  produtto, 
Pari  alla  madre  sua,  candido  frutto» 

Quel  soave  licor,  che  avida  beve, 
È  seme,  onde  tal  prole  al  mondo  nasce , 
Ed  è  latte  in  un  punto,  onde  riceve 
Virtù,  che  il  parto  suo  nutrisca  e  pasce. 
La  propria  q^ia  delicata  e  lieve 
L'  avvolge  quasi  in  argentate  fasce , 
E  con  la  puriti  de'  suol  splendori 
Vince  dell'  alba  i  luminosi  albori. 

Pregiasi  molto  In  lor  l'esser  sincere, 
E  d'un  candor  di  nulla  macchia  offeso. 
Né  la  grossezza  men,  pur  che  leggiere 
Non  abbian  pari  alla  misura  11  peso. 
Quella  forma  è  miglior,  che  con  le  sfere 
Più  si  conforma  ,onde  ogni  lume  han  preso  ; 
E  quelle  son  tra  lor  le  più  lodate, 
Che  aoglion  per  natura  esser  forate. 

Ma  però  che  ogni  bella  e  ricca  cosa   . 
Con  gran  difficoltà  sempre  s' acquista , 
Questa  si  cara  preda  e  preziosa  \ 

Con  la  fatica  e  col  periglio  è  mista. 
Stassene  parte  entro  1*  albergo  ascosa 
La  perla,  e  parte  esposta  all'  altrui  vista. 
Sull'orlo  del  covil  che  la  ricetta, 
Alla  rapina  il  pescatore  alletta. 


L' ingordo  peacator  che  aperte  scorge 
Le  fauci  alior  della  cerulea  bocca , 
Stende  la  destra  (ahi  temerario)  e  sporge 
Troppo  a  si  nobil  furto  incauta  e  sciocca. 
Perocché  come  prima  ella  si  accorge, 
Che  man  rapace  il  suo  tesor  le  tocca. 
Comprimendo  gelosa  il  proprio  guscio. 
Della  casa  d'argento  appanna  l' uscio. 

Con  tanta  forza  l' affilato  dente 
Stringe  in  un  punto  la  mordace  conca , 
Che  Unaglia,  o  coltel  forte  e  tagliente 
Men  gagliardo,  o  men  ratto  afferra ,  o  tron- 
ResUn  l'audaci  dita  immantinente   [ca. 
Recise  del  meschin  nella  spelonca. 
Ben  giusta  pena  allo  sfrenato  ardire 
Del  troppo  avaro  e  cupido  desire. 

1 


L4< 


XAKINO. 


Goslel  però  cbe  n'ankdù  l'areiw. 
Tulle  sa  di  tal  ptsca  e  V  arti  e  1  modi^ 
E  del  pftsoe  brandito  apprese  lia  bene 
Le  scaltre  iuaidie  e  V  ingegnose  frodi. 
Quando  il  sasso  tra'  nicchi  anetterYieiieY 
Che  aoa  dell*  altrui  viscere  cnstodi, 
Onde  passa  securo  entro  la  scoria 
La  sua  neiiiiG«  a  divorar  per  forjca. 

Quindi  suole  avvenir  clie  la  conchigUa, 
Nel  eui  grembo  si  cria  la  margarita. 
Quando  vede  la  man»  che  già  la  piglia. 
Spesso  li  castor  peiseguitaU)  imitai 
E  della  bianca  sua  lucida  ligUa, 
Cbe  geneiata  ha  si,  non  partorita. 
Fa  prodiga  a  colei,  di  cui  ragiono^ 
Di  spontaneo  voler  Ubero  dono. 

K  se  saver  vuol  pur  chi  costei  sia, 
Gh*  è  destinata  ad  abitar  qucst'  accpie, 
Figlia  Al  di  Acbeioo,che  in  compagnia 
Di  due  gemelle  sue  d'  un  parto  nacque. 
Ha  da  fortuna  bigiuriosa  e  ria       [que  ; 
lAeoppia  a  lei  congiunta  oppressa  giac* 
E  eh'  ella  sol  giungesse  a  queste  sponde, 
Fu  graaia  mia  cbe  signoreggio  1'  onde. 

Gli  altri  duo  delTirren  mostri  guizxanti 
Eran  di  qualità  simili  a  questo, 
Attrattivi  negli  alti  e  nei  sembianti» 
Donne  il  petto  e  la  faccia,  e  coda  il  resto  ; 
Soavissimo  rischio  a'  naviganti, 
Deiovoeo  piacer,  scherzo  funesto; 
Il  cui  cantar  ne'  salsi  ondosi  regoi 
Era  morte  ai  nocchiere  naufragio-ai  legni. 

Ma  poiché  ogni  arte  lor  vinse  e  deluse 
Di  là  passando  il  peiegrin  sagace. 
Quando  con  ceraimpenetrabii  chiuse 
Le  caute  orecchie  all'  armonia  tenace, 
D' ira  arrabbiatele  di  dolor  confuse 
Le  disperse  del  mar  1'  onda  rapace, 
E  (  salvo  questa,  che  campò  per  sorte  ) 
Per  dlsperaxion  si  dier  la  morte. 

Delle  tre  mezzo  pesci  e  mezio  dive 
Quella,  che  in  questo  mar  gittata  venne. 
Qui,  come  vedi^  immorlalraente  vive  ; 
Ciò  per  pietà  dal  mio  gran  Nunse  ottenne. 
L'  dire  per  varj  lidi  e  varie  rive 
Gors^,  uà  so  ben  dir  ciò  cbe  n'  avvenne» 
So  ben*  che  una  di  lor  dall'  onde  spinta 
Presso  Gttina  e  Ponuoi  rimase  estinta. 


E  trasportata  a  quella  nobii  sede. 
Miglior  cheln  vita,  in  morte  ebbe  veolura. 
Perchè  de'  Calci  il  popolo  le  diede 
Il  paradiso  mio  per  sepoltura. 
Dico  il  liete  paese,  ove  si  vede 
Si  di  sé  stessa  inoanerar  Natura , 
A  cui  cinto  di  colli  il  mar  fa  piazza. 
Che  a  Nettuno  è  teatro,  a  Bacco  è  tazza. 

Dall'  ossa  della  vergine  canora. 
Che  in  quel  terren  ceiesCe  ebbe  1*  avello, 
Spirto  di  melodia  pullula  ancora , 
Quasi  d'antico  onor  germe  novello. 
Più  d*  una  lira  vi  si  sente  ognora , 
E  più  d'un  bianco  mio  musico  augello; 
E  che  sia  vero ,  un  de'  suol  figli  ascolta, 
A  cbe  dolce  canzon  la  lingua  ha  sciolta. 

Volgesi  a  quella  parte,  ond'  esce  ti  canto 
Adone ,  e  vede  un  pescator  sul  lito. 
Di  semplice  duaggio  ha  gonna  e  manto. 
Ed  ha  di  polpo  un  eapperon  sdruscito. 
Ampio  cappel,  che  si  ripiega  alquanto. 
Gli  adombra  il  crin,  di  sottil  paglia  ordito . 
Tiene  a  pie  la  cistella,  in  man  la  canna, 
Con  cui  dell'  acque  H  popolmuto  inganna. 

Lilla,  dlcea,  che  si  fastosa  e  lieta 
Ognor  nevai  del  mio  tormento  acerbo, 
Deh  Vienne  ali'ombra,or  ch'il  maggior  pi»- 
Scalda  li  ieon  feroce  e  *1  can  superbo,  [lieta 
Qua  Vienne,  ove  leggiadra  e  mansueta 
Un'  anguilla  domestica  ti  serbo , 
Che  di  limo  si  nutre  entro  un  forame 
Di  questoscoglio,e  non  ha  8plne,o  squame. 

Più  bel  non  vide,  o  più  vezzoso  pesce 
Del  Mincio  mai  la  celebrata  pesca. 
Spesso  qualora  il  mar  si  gonfia  e  cresce 
Salta  dal  fondo  in  su  la  riva  fresca. 
Va  per  l' erba  serpendo,  e  tant'  olir*  esce , 
Che  V  leu  fin  nel  mio  grembo  a  prender  Fe- 
Di  fin  oro  all'orecchie  ha  due  pendenti  [sca; 
E^mi  vomita  in  man  perle  lucenti. 

Ha  lunga  coda  e  larga  testa  e  grossa, 
Bocca  aperta  e  viscosa  ed  ampie  terga. 
La  schiena  è  di  color  tra  bruna  e  rossa, 
D'auree  macchie  smaltata  a  verga  a  verga. 
Si  dibatte  per  1*  acqua  e  per  la  fòssa , 
Né  pur  In  pace  un  sol  momento  alberga. 
Lubrica  scorre,  entra  per  tutto  e  guizza , 
E  se  la  tocca  alcun ,  tosto  si  drizza. 


L'AimiE. 


m 


Tua  sari,  «  Taeceltl  e  m  ti  pìwe» 
fkpom  tkprant*  ti  dtopiecail»  «ii^ogno, 
Dtl  tw»  >Wal»  «itr»  F  «mot  Tlvace 
!•  (tt  «ito  nano  ImprigloiMr  I»  t^glliK 
Oh  di  qucsf»  animai  Yiepift  fagaee , 
Più  dura  al  arto  pregar  di  ^esto  scoglio, 
Vieai  a  maprar  4eii  tieni  an  doppio^  ardo* 
E  M  il  pesce—  inai  prenditi  il  cere,  [re. 


CMeAi  a  Vcaert  Adon,  cM  flia  coiol , 
Che  A  ben  col  caacir  1^  aure  lu»lnga. 
È  de'  ooslH,  rieponèr.  Anrar  di  hil 
Non  aTr^BHlclil  pM  fon*  arda,  «strìnga. 
Fileno  ha  moie,  e  dail^  Insidie  altrui 
È  qui  gfcioia  a  menar  flta  salinga. 
Nacque  cali  neHa  felice  terrai, 
pia  la  aorta  Sireaa  la  granilo  serra. 


ila  se  li  cai  pie  oltre  Inleader  forse 
Di  eoa  fortune,  aadSanne  w*  egli  scassi. 
Casi  aea  glr«,  ed  al  quando  a' accorse 
Ver  lui  drtsaa»  la  bella  coppia  i  paesi , 
Di  counta  bella  siapido  sorse 
Per  faverMa,  da  que*  roaii  sassi  ; 
Ma  cao«aR  gli  aeeennò  r  amica  Dea, 
Che  di  Ui  aott  parflaas,  ore  sedea. 

Per  roBpcr  ,dtee,o^per  tarbar  non  tegno 
I  tuoi  dolci  riposi ,  o  I  bel  lavori. 
Sai  ben,  cheqvando  def  allo  patrio  regno 
Prcadeni  la  prima  a  celebrar  gH  onori , 
Io  diadi  f&m  al  tua  allbnnato  ingegno , 
Sva^laiidoia  a  cantar  teneri  amori  ; 
(Ma  il  none  imnonale  ancor  per  tutto 
SertaB  di  LMIa  un  rarena  e  H  flutto. 

Del  foco  tancoB  Mormorio  sonoro 
Farà U  mar,  dov'  lo  nacqui ,  eterna  fede; 
E  come  Apollo  ti  dond  l' allora. 
Cosi  Taiga  Nettano  or  ti  concede. 
Lodanti  I  nwtl  pesci,  e  la  di  loro 
Fai  dileMaaa  e  roiontarie  prede  ; 
Ami  con  aaarisrtme  rapine 
Prendi  i'  anfana  umana  e  le  dltliie* 

VattaMKo  caator,  la  nobH  arte 
Quanto  pia  gradirei  del  tuo  concento. 
Sa  t  diletti  e  1  dolor  spiegassi  In  carte. 
Che  par eastai ,  non  piA  sentiti  ^lo  sento; 
Per  costai,  che  è  di  ■»  la  miglior  parte, 
Amaro  mia  plaeer,  dolce  tormento , 
Maaandeli' alma  alia,  rlla  mia  vera, 
Ami  dft  fwiu  firn  anima  Inlank 


Deb,  la  ne  prego,  casi  il  €lelseeando 
Sentire,  e  benigno  al  tualdeslrslmaatrt , 
Fa  neUr  t^  ftiiani  udire  al  aModo 
La  balla  isaorto  dagT  Inoend}  nostrk 
So ,  che  se  quest*  arder  lieto  e  giacanèa 
Sarbmaierto  al  tuoi  ^tail  Inchloairl , 
Pasaarà  t' onda  escara  e  chiara  fla 
Non  sema  gloria  tua,  la  flimma  mliir 

Farò,  se  cM  farai,  per  te  celai 
Langair,  per  cai  languioci ,  amantt  amam  t 
E  quaado  ti  ao<lo,  onde  fegato  tal, 
Varr*  poacia  a  broncar  Parca  spinati, 
Nel  felice  drappel  de^  cigni  ailel 
Ti  porrò,  candid'  ombra,  ahna beata, 
Ddve  Y  EtemiUi ,  che  sempre  vlre. 
Nel  libro  sno  T  altrui  memoria  tcifre. 

IHsponde,  o  degna  Dea  delti  beluie, 
Imperatrice  d*ogaÌ  nobii  polio>. 
Canterò ,  scrìverò,  se  voi  ari  dato 
Vena  corriapondeate  al  bel  aaggcito. 
Da  voi  viemmi  lo  stile,  e  voi  lerata 
Sovra  sé  stesso  il  debHe  inielletto, 
Petelìè  la  cetra  mia  rauca  e  discorde 
Si  ha  de'  lacci  d'Amor  fatte  le  corde. 

Queate  cor,  chesl  strugge  apocoapaeo 
Languendo  di  dolcissima  ferita. 
La  mercè  vostra,  in  ogni  tempo  e  loco. 
Sarà  fonte  d' amor  piò  che  di  vita; 
Somministrando  ai  soo  celeste  foco 
Nelle  pene  beato,  esca  in#aila. 
Con  tal  piacer  per  la  beltà  che  adoro , 
Sperando  vivo,  e  sospiranila  moro. 

Nacque  nel  nascer  mio,  né  llach'  estimo 
Manchi  per  volger  d'anni  arder  SI  caro. 
Quelle  catene ,  ond'  io  son  preso  e  cinto, 
Insieme  con  le  fasce  mi  legano. 
Quei  lini  stessi,  in  eh'  lo  fui  prhna  avvinto, 
La  piaga  dei  mio  petto  anco  fasciaro. 
Lavato  appena  dai  materno  bagno , 
Fui  lavato  dai  pianto,  onde  mi  lagno. 

Amor  fa  mio  maestro,  appresi  amandò 
A  scrìver  poscia  ed  a  cantar  d' Amore. 
Di  due  furori  acceso,  arsi  penando , 
L'un  mi  scaldò  la  mente  e  V  altro  11  core  ; 
L'uno  Insegnommi  a  lagrlmar  cantando. 
L'altro  a  far  le  mie  higrìme  canore. 
Amor  fé' con  la  doglia  amaro  II  pianto , 
Febo  con  l'armonia  soave  il  canto. 


148 


MARINO. 


Negar  non  voglio ,  né  negar  poss'  io, 
Che  ai  dolci  studj ,  agli  onorati  alTanni , 
Che  rapiscono  i  nomi  al  cieco  obblio, 
E  fanno  al  tempo  ingordo  etemi  inganni. 
Fatale  elezlon  1*  animo  mio 
Non  Inclinasse  assai  fin  da'  prim'  anni. 
In  qualunque  martlr  grave  e  molesto, 
Refugio  unqua  non  ebbi  altro  che  questo. 

Ma  da  questa  di  vezil  arte  nutrice 
Ecco  le  spoglie  alfin  che  altri  riporta , 
Ecco  qual  frutto  vien  di  tal  radice. 
Un  guamel  di  zigrin ,  l' amo  e  la  sporta. 
Trofei  del  nostro  secolo  infelice , 
In  cui  di  gloria  ogni  favilla  è  morta. 
L'età  del  ferro  è  scorsa,  e  sol  di  questa 
La  vilissima  ruggine  ne  resta. 

Tempo  fu ,  che  ai  cullor  de'  sacri  rami 
Favorevoli  fur  molto  I  pianeti. 
Or  sol  regnano  In  terra  avare  fami , 
E  copia  grande  d' uomini  indiscreti, 
De'quai  se  alcuno  è  pur  eh'  Il  canto  n'a- 
Ama  le  poesie,  non  1  poeti  ;  [mi , 

Né  ila  poca  mercé ,  quand'  egli  applaude 
Premiando  talor  laude  con  laude. 

Di  me  non  parlo,  e  se  pur  canto,  o  scrivo, 
D' Amor,  non  di  Fortuna  io  mi  lamento , 
Che  non  in  tutto  di  ricchezze  é  privo 
Chi  trae  la  vita  povero  e  contento. 
In  tale  stato  voleniler  mi  vivo. 
Bastami  sol ,  che  d' oro  ho  lo  strumento. 
Lo  stromento,  eh'  io  sono  (a  quell*  alloro 
Vedilo  là  sospeso)  é  di  fin  oro. 

Ha  di  gigli  dorati  Intorno  i  fregi , 
Ed  ha  gemmato  II  manico  e  le  chiavi. 
Dono  t>en  degno  del  gran  re  de'  regi , 
Rege ,  amor  de'  soggetti ,  onor  degli  avi. 
Si  non  indegni  di  cantar  suoi  pregi 
Fussero  i  versi  miei  poco  soavi , 
Com'  egli  é  tale  infra  gli  eroi  maggiori , 
Qual  é.ll  suo  giglio  infra  i  più  bassi  fiori. 

Ma  questo  é  il  men  se  non  che  il  vulgo  a  cui 
Fosco  vel  d'ignoranza  1  lumi  appanna. 
Prendendo  a  scherno  1  bei  sudori  altrui , 
Nel  conoscere  il  meglio  erra  e  s'inganna. 
E  sebben  io  tra  que'  miglior  non  fui , 
Sovente  òhi  più  vai  biasma  e  condanna. 
Niser,  di  colpi  tali  ognor  fu  segno 
Il  mio  battuto  e  travagliato  ingegno. 


Più  d'una  volta  il  genltor  severo. 
In  cui  d'oro  bollian  desiri  ardenti. 
Stringendo  il  morso  del  paterno  impero. 
Studio  inutìl ,  mi  disse ,  a  che  pur  tenti? 
Ed  a  forza  piegò  l'alto  pensiero 
A  vender  fole  al  garruli  clienti , 
Dettando  a  questi  supplicanti  e  quelli 
Nel  rauco  foro  1  queruli  libelli. 

Ma  perché  potè  in  noi  Natura  assai , 
La  lusinga  del  Genio  in  me  prevalse, 
E  la  toga  deposta ,  altrui  lasciai 
Parole tte  smaltir  mendaci  e  false. 
Né  dubbj  testi  interpetrar  curai , 
Né  discordi  accordar  chiose  mi  calse. 
Quella  stimando  sol  perfetta  legge. 
Che  de'  sensi  sfrenati  H  fren  corregge. 

Legge  omal  più  non  v'  lia  la  qual  per  dritto 
Punisca  il  fallo ,  o  ricompensi  il  merta. 
Sembra  quanto  é  fin  qui  deciso  e  scritto 
D' opinion  confuse  abisso  incerto. 
Dalle  calunnie  il  litigante  aflUtto 
Somiglia  in  vasto  mar  legno  inesperto. 
Reggono  il  tutto  con  affetto  ingordo 
Passion  cieca  ed  interesse  sordo. 

La  rota  eletta  a  terminar  le  liti 
Qual  nuova  d' Ission  rota  si  volve , 
E  con  giri  perpetui  ed  infiniti 
Trallien  l' altrui  ragion ,  né  la  risolve. 
Pu  r  que'  lunghi  intervalli  alfin  spediti,  [ve. 
Spesso  il  buon  si  condanna  e  il  reos'assol* 
Deiroro,al  cui  guadagno  é  il  mondo  inteso, 
La  bilancia  d' Astrea  trabocca  il  peso. 

Tenneml  pur  assai  la  patria  l)elia 
Dentro  i  confin  delle  native  soglie , 
Dico  Napoli  mia  ,  che  la  sorella 
Della  Sirena  tua  sepolta  accoglie. 
Ma  perché  l'uom  nell'età  sua  novella 
È  pronto  a  variar  pensieri  e  voglie, 
Vago  desio  mi  spinse  e  mi  dispose 
A  cercar  nove  terre  e  nove  cose. 

Mossemi  ancor  con  fabi  allettamenti 
La  persuasion  della  speranza. 
Ed  al  sacro  splendor  degli  ostri  ardenti 
Mi  trasse  plen  di  glovenil  baldanza , 
Sicché  all'altrice  delle  chiare  genti 
Chiesi  mercé  di  riposata  stanza , 
Credendo  Amor  vi  soggiornasse ,  come 
Par  che  prometta  il  suo  fallace  nome. 


L'ADONE. 


Purte  colà  dei  più  liet'  anni  io  spesi , 
E  dei  colli  famosi  all'ombra  yìssì, 
E  sotto  stelle  nobili  e  cortesi 
Or  l'altrui  lodi ,  or  le  mie  pene  scrissi. 
Stelle,  i  cai  raggi  d'alu  gloria  accesi 
Yinceano  i  maggior  lumi  in  cielo  affissi , 
Ma  rinfluense  lor  per  tutto  sparse 
Ad  ogni  altro  benigne  «  a  me  fur  scarse. 

Vidi  la  corte,  e  nella  corte  io  vidi 
Promesse  lunghe  e  guiderdoni  avari , 
Favori  ingiusti  e  palrocinj  infidi , 
Speranze  dolci  e  pentimenti  amari , 
Sorrìsi  traditor,  vezzi  omicidi. 
Ed  acquisti  dubbiosi  e  danni  chiari, 
E  voti  vani  ed  idoli  bugiardi , 
Onde  il  male  è  securo  e  il  ben  vien  tardi. 

Ma  come  può  vero  diletto,  o  come 
Vera  quiete  altrui  donar  la  corte  ? 
Le  die  la  cortesia  del  proprio  nome 
Solo  il  principio,  il  fine  ha  dalla  morte. 
Io  volsi  dunque  pria  che  cangiar  chiome. 
Terra  e  cielo  cangiar,  per  cangiar  sorte. 
Ma  lung'ora  però  del  loco  in  cui 
Rlcovrar  mi  dovessi,  in  dubbio  fui. 

Sperai  di  tanti  danni  alcun  ristoro 
Trovar  laddove  ogni  valor  soggiorna  , 
Nella  città  che  il  nome  ebbe  dal  toro , 
Siccome  il  fiume  suo  n'ebbe  le  coma. 
Venni  alla  Dora ,  che  di  feriti  oro 
(Come  il  titol  risona)  i  campi  adorna , 
Ma  in  prìgion  dolorosa ,  ove  mi  scorse , 
Lasso,  che  in  vece  d*or,  ferro  mi  porse. 

Di  quel  signor,  che  generoso  e  giusto 
Regna  colà  dell'  Alpe  alle  radici. 
Non  mi  dogi*  io  ;  così  pur  sempre  Augusto 
Goda  ai  valor  dovuti ,  anni  felici. 
Sol  del  Destino  accuso  11  torto  ingiusto, 
E  il  finto  amor  de'  disleali  amici. 
Per  la  cui  scelleraggine  si  vede 
Laddove  nasce  il  Po,  morir  la  fede. 

Venne  sospinta  da  livor  maligno 
Ancor  quivi  l'invidia  a  saettarmi, 
Che  sua  ragion  con  scellerato  ordigno 
Difender  volse ,  e  disputar  con  l' armi  ; 
E  rispondendo  col  focli  sanguigno, 
E  col  tuon  delle  palle  al  suon  dei  carmi , 
Mosse  l' ingiurie  a  vendicar  non  gravi 
Delle  penne  innocenti  i  ferri  cavi. 


ÌA9 


Mi  assalse  insidiosa,  e  come  avante 
Lingua  vibrò  di  fiele  e  di  veleno. 
Cosi  poi  vomitò  foco  sonante 
Per  la  bocca  d'un  fulmine  terreno. 
Con  la  canna  forata  e  folgorante 
Tentò  ferirmi  e  lacerarmi  li  seno , 
Come  la  fama  mi  trafisse  e  come 
Mi  lacerò  con  le  parole  il  nome. 

Non  meritava  un  lieve  scherzo  e  vano 
Di  arguti  risi  e  di  faceti  versi. 
Che  altri  dovesse  armar  l' iniqua  mano 
Di  si  perfidi  artigli  e  sì  perversi , 
E  scoccar  contro  me  colpo  villano , 
Che  inerme  11  fianco  alia  percossa  offersi. 
Che  non  fa,  che  non  osa  ira  e  furore 
D'animo  disperato  e  traditore? 

Pensò  forse  il  fellon  quando  m' offese 
Per  atto  tal  di  migliorar  ventura, 
E  con  la  voce  del  ferrato  arnese 
Di  acquistar  grido  appo  l'età  futura. 
Sperò  coi  lampo  che  la  polve  accese , 
Di  rischiarar  la  sua  memoria  oscura  ^ 
E  fatto  dalla  rabbia  audace  e  forte 
Si  volse  immortalar  con  la  mia  morte* 

Girò  l'infausta  chiave,  e  le  sue  strane 
Volgendo  in  tomo  e  spaventose  rote  « 
Abbassar  fé'  la  testa  al  fiero  cane. 
Che  in  bocca  tien  la  formidabll  cote, 
Sicché  toccò  le  macchine  inumane, 
Ondeawanipa  il  balen,che  altrui  percolo, 
E  con  fragore  orribile  e  rlmbomlx) 
Avventò  contro  me  globi  di  piombo. 

Ma  fusse  pur  del  Ciel  grazia  seconda. 
Che  innocenza  e  bontà  sovente  aita , 
0  pur  virtù  di  quella  sacra  fronda, 
Che  dal  folgore  mai  non  è  ferita; 
Fra  gli  ozj  di  quest'  antro  e  di  quest'  onda. 
Fui  riserbato  a  più  tranquilla  vita. 
Forse  come  amator  di  sua  bell'arte, 
Campommi  Apollo  da  Vulcano  e  Marte. 

Quindi  l'Alpi  varcando,  il  bei  paese 
Giund  a  veder  della  contrada  franca . 
Dove  1  gran  gigli  d'oro  ombra  cortese 
Prestaro  un  tempo  alla  mia  vita  stanca. 
La  virtù  vidi  e  la  beltà  francese  ; 
V'abbonda  onor,  né  cortesia  vi  manca. 
Terren  sì  d'ogni  ben  ricco  e  fecondo , 
Ch'  io  non  so  dir  se  sia  provincia  o  mondo. 


IM 


MABlNa 


MaperoedièH  fuvorwioie  tn  gran  parte 
Di  quei  petti  gverrtorl  eiaer  tiranao, 
E  le  penne  paelflche  «  le  carte 
Con  aace  e  spade  oonvensar  ooo  savie , 
E  tra  gU  seoppf  e  timpani  éi  Marie 
I  concenti  4' Aowr  voce  aon  haiin». 
Questo  seogUe  rwnito  e  quetio  Udo 
Feci  de*  nftei  peosler  refuglo  e  nido. 

Qui  mi  vino  a  me  stesso,  e  in  quest'arena 
Cile  cosa  sia  fetidtà  coropreado, 
E4}ai  purgando  la  mia  rosza  Tena, 
Da*  tuoi  candidi  cigni  il  casto  appraado. 
Con  cui  sfogar  dei  cor  la  doiee  pena 
La  peseatrice  mia  m'ode  rìdendo. 
Vena  pavera  certo  od  infeconda , 
Ma  schietta  e  naturai  con»^  è  qaeslf  onda. 

Cosi  vlmo  ti  rigor  del  ler  Destina, 
Con  cui  ?era  viete  sempre  combatte. 
Di  Pausilfppo  «  Nésida  «  Pioppiao 
Risardsoo  le  perdite  che  ho  fatte. 
U  puro  Aagno  e  il  bel  fonte  vidna , 
Le  lar  rive  iorìte  e  l'oade  hitatte   {ma, 
Son  miaeorteemia  reggia  ;  altro  non  bra- 
che T  «ita  e  l'acqua  e  la  canauodae  l'ama. 

Dan  ehe  anelante  a  vani  acquisti  aspira, 
E  In  cose  frali  ogni  suo  studio  ha  messo. 
Fa  qual  turbo ,  o  paleo ,  che  mentre  gira , 
La  sepeitura  fabbrica  a  sé  stesso , 
E  dopo  molte  rote  alin  si  mira 
Avere  al  molo  il  predpltlo  appresso. 
Che  vai  tanto  sudar,  genie  inquieta. 
Se  angusta  fossa  alle  fatiche  è  metal 

11  meglio  è  dunque  In  questa  vita  breve 
Procacciar  contro  Marte  alena  riparo, 
E  poiché  II  cofpo  incenerir  pur  deve , 
Rendere  almeno  il  nome  etemo  e  chiara. 
GM  da  Fortuna  rea  torto  riceve 
Specchisi  io  me,che  a  dlsprezsarla imparo; 
Sol  beato  è  cM  gode  in  ore  liete 
ÌVa  1  modesti  piacer  bella  quiete. 

Tlrtùnan  menche  Amordi  sé  s*  appaga, 
Dice  ta  Dea ,  cbe  intenta  II  parlar  ode, 
Siccame  amor  sol  con  amor  si  paga , 
OoA  virtà  sol  di  virtù  si  gode. 
Altro  premio ,  altro  presso  ed  altra  paga 
Non  richiede ,  né  vuol ,  che  onoree  lode. 
Ella  é  mercé ,  a  mercé  sola  a  sé  stessa. 
Così  dteendo,  al  bel  fonte  si  appressa. 


Noli'  isalalla  un  ptoeoi  pian  Hloiida 
Da  siepe  é  dato  di  fin  ora  éleila. 
Che  col  metalo  prertaos  e  bionda 
Difende  il  pratioel  die  vi  Ci  letta. 
E  dlgermiadorKerì  fecanda 
A'aranatiche  piante  hawi  nn  basehatla, 
Che  Imi  con  1*  ombre  lor  frondose  a  spesse 
il  laoa  iosuperhir  di  réoea 


Uà  Paraasetto  d*hnmortal  verdara 
Nel  «eaira^d  pracd  fa  piataa  amhreaa. 
In  mezao  al  cai  quadrangola  a  misara 
La  p&aau  della  fabbrica  si  posa. 
Permansi  a  conlenq>tar  Taita  struttura 
La  vaga  e  li  vago  in  sulla  spoada  erbosa , 
E  van  miranda  1  peregrini  intagli , 
Cui  unita  é  sotio  liSoie  opra  che  agguagli. 

DI  terrena  scuUor  scarpdli  Indnairi 
Formar  non  saprìen  mal  si  bella  laata; 
E  bea  lece  moli' anni  e  aMlti  lustri 
Al  tre  giganil  etiid  sudar  la  fìronie* 
Nave  dtt  marmo  fin  figure  Hfamtri  [manta. 
Cerchiano  un  sasso,  e  ilsasso  assembrava 
E  quel  monte  ha  due  dme ,  a  tn  sulle dma 
Alato  carridor  la  aampa  imprime; 

Deh  perdonili  HCid  si  grave  falla,  ^ 
Per  cui  men  caro  li  buon  Hcor  si  tiene, 
Zoppa  fabbricator  dd  bel  cavallo , 
Che  ne  venne  ad  aprir  novo  Ippocreaa. 
Bastar  ben  ti  dovea,  che  II  sua  cristallo 
Scaturisse  Elicona  tal  larghe  vene, 
Sensa  far  di  quell'acque  elette  e  rare 
L'uso  a  pochi  concesso,  ornai  volgare. 

Quanti  da  Indi  hi  qua  dd  nome  ladogni 
Poeti  il  chiaro  stmlio  han  fatto  vilet  [gnl 
Quanti  con  labbra  Immonde  andad  Inge* 
Vanno  a  contaminar  l'onda  gemile t 
Naa  si  turbi  11  bd  coro  e  non  si  sdegni , 
Se  venale  e  plebeo  divien  la  stile. 
Poiché  dd  mondo  ogni  contrada  quasi 
Di  CabaUhd  abbonda  e  di  Parnasi. 

£  si  ben  finto  11  sappador  destriero , 
Che  allo  spuntar  del  giorno  in  orlenie 
1  corsieri  del  Sd  credendol  vero 
RtaighiaiKlo  gli  annitrirono  sovenle. 
Piove  dd  sasso  in  un  diluvio  intero 
La  piena  hi  pHa  concava  e  lucenta, 
E  ta  pila,  che  accoglie  in  sé  la  pioggia , 
Delle  Muse  su  gli  omeri  s'appoggia. 


L'ADME. 


Ui 


Hi  lo  ftmmento  mio  diinina  Uosa, 
Ed  a  ciaaciM  rtroieto  In  ogni  parte 
L' onda  canora  fai  cavo  plenbo  diitiaa, 
Per  molle  canne  i*  anfana  eonparle. 
Strangolata  gorgeglla ,  Indi  diiiisa 
Volge  macchine  e  rote  ordite  ai  arie, 
E  con  tenor  di  melodia  mentita 
Della  man,  deUa  liocca  il  suono  imita» 

Sta  aotio  r  oml>ra delia  cava  pletn, 
Cbe  sottogiaoe  al  volator  Pegaso , 
n  bel  signor  deUa  oormtta  cetra , 
11  gran  retlor  di  Pindo  e  di  Parnaso. 
In  testa  il  lauro,  al  Aanoo  lia  la  larstra, 
E  versa  V  acqua  in  più  capace  vaso. 
L* acqua,  che  d*alto  vien  lucida  e  tena. 
Per  r  annonico  plettro  in  giù  riversa. 

Intorno  al  labl»ro  spasiose  e  grande 
DeUa  conca ,  die  copre  U  re  di  Delo, 
S*  intesse  il  fonte  da  tutte  Je  bande 
Di  traslucido  argento  mi  aottH  vielo , 
E  in  tal  guisa  il  suo  giro  allarga  e  spande, 
Che  vien  quasi  a  formar  coppa  di  gelo , 
In  guisa  tal ,  die  a  chi  per  ber  s'appressa. 
Tazza  faisieme  elievandaèraeqna  ialessa. 

Piar  che  quel  oMaro  Tdo  Inargentalo , 
Che  di  liquidi  stami  ordì  Nalnra , 
Abbia  r  Arie  tessiuo  e  lavoralo 
Per  guardar  dalla  polve  onda  si  pura; 
0  sia  per  asdogar  forse  Alale 
L' acqua,  cbe  in  sostener  quella  scuUun 
Le  Dee  del  tempo  e  dell*obbUo  nemiche 
Stillan,  quasi  sudor  delle  fatiche. 

Volgon  le  Muse,  V  nna  aU*  altra  opposte 
Le  spaile  al  Ionie ,  od  alio  stagno  il  viso. 
E  in  diverse  attitudini  composte 
Fanno  corona  ali*  armentier  d' Anfriso. 
In  pie  levate,  e  in  vago  ordin  disposte 
Grondan  perle  dal  crin,  brine  dal  viso , 
E  scalze  e  mezzo  Ignude  accolte  in  cerchio 
Detta  gran  conca  reggono  il  covercbio. 

Dalla  conca  più  alta  albi  più  bassa  « 
Che  in  bacino  maggior  Tacque  rlceUa, 
Ddle  beir  onde  11  predplzio  pasm. 
La  qiial  pur  le  riceve  e  le  rigetta. 
Nel  cerchio  inferior  cader  le  lassa, 
Dove  r  aoqua  divisa  a  bere  alletta. 
In  quattro  fonti  piccioli  è  divisa. 
Ed  ogni  fonte  lia  la  sua  statua  faidea. 


Quattro  le  statue  aon  :  laGlorla  tamia. 
La  Fama  In  aHm  parte  faidse  staime , 
La  Virtù  quindi,  e  qulnd  la  Fortuna 
Vaghi  al  vago  lavor  termini  fanno; 
E  in  cima  a  tre  aeagllon  pesta  daecmm, 
Che  agiate  air  aknri  sete  adito  danne , 
L' aequa  fai  vaso  mfaMr  vem  e  ripone 
0  per  urna ,  o  per  tromba,  o  per  I 


Chi  può  dir  pd ,  siccome  ediena,  e  in 
Guise  si  varia  la  voloMl  venat    [qnante 
Or  per  torto  sentier  serpendo  ermnie 
Tesse  di  bd  meandri  ampia  catena  t 
Or  con  dirotta  aspergine  «altanie 
Bagna  lambendo  li  del  i'enra  serena; 
E  poidiè  quanto  pnò  «*  tnalza  e  poggia , 
Sparge  1*  aocoHo  nembo  in  lieta  pioggia. 

Phnrutad  ringorgaeainaneonde  [to, 
L'acqua,  e  In  cnpocanalenppresm  atqnsn- 
Singhioica  d ,  cbe  il  mormorio  delPonde 
Sembra  di  rosignnd  gemilo  e  ptenle. 
Poi  per  secreto  vie  slioccando  altronde, 
Esce  con  fona  tal ,  «on  fnror  tanto, 
Che  d  diafioeca  ta  argentata  spuma , 
E  somiglia  a  veder  candléa  plimiaii 

MeravIfHa  tdor,  mcntn  s'etlsile. 
Arco  stampa  nel  cid  sindie  ad  id. 
Trasformard  V  umor  llqnide  e  molle, 
Volto  in  raggi ,  In  eemete ,  In  steNe  II  mfeL 
Miri  qui  sgorgar  gMi,  eruttar  bolle. 
Là  girelle  rotar  con  cento  girl , 
Spuntar  rampolli  e  pnUtdar  zampItH, 
Eguizd  esprazd  epispineM  espIBi. 

Nello  opaclo ,  che  l' orlo  a  eerdiiar  viene 
Tra  cornice  e  cornice  d  maggior  Taae, 
Havvl  un  fregio  di  ecndl ,  il  q«ial  contiene 
L'insegne  In  sé  delle  più  chiare  cane , 
E  di  cigni  scherzami  «  di  Sirene 
Varie  treeee  ogni  scudo  ha  ndta  base , 
Che  distendendo  van  su  I  biancM  menni 
L'ali  e  le  code,  e  fan  cartiglio  alTeanl. 

Posto  è  in  td  guisa  faMnme  alla  bell'«pra 
L' ordtai  ddl'  armi  pi*  feoMise  d  monde, 
Cbe  delle  Unse ,  che  sten  lor  di  sopra, 
Reggen  l' incarco,  compartite  in  tondo. 
Come  r  una  eostenga  e  l' altra  eopfi, 
SontB  lor  in  lid cambio  eppoggieepon- 
Ogni  starna  nnescudo  ha  sono  il  piede  [do. 
E  in  ogd  scudo  un  aimbolo  d  vede. 


152 


MARINO. 


Per  distinguer  i'  imprese  il  fabro  egregio  | 
I>eU*  ornamento  nobile  e  sublime , 
Misctii  di  più  color,  ma  d' egual  pregio 
Scelse  e  poli  con  ingegnose  lime. 
Talché  d' ogni  divisa  il  vario  Trcgio 
Le  differenze  in  color  vario  esprime , 
E  con  pietre  diverse  In  un  commesse 
E  scultura  e  pittura  accoppia  in  esse. 

Vedi  marmi  colà  vivi  e  spiranti. 
Disse  al  suo  beli*  Adon  Venere  allora , 
Son  famiglie  d' eroi ,  de'  cui  sembianti 
Virtù  si  pregia  e  poesia  s'  onora. 
Hanno  molto  a  girar  gii  anni  rotanti 
Pria  che  abbian  vita,  e  non  son  nati  anco- 
Mosso  Vulcan  da  spirito  presago ,     [  ra. 
Innansi  tempo  ne  adombrò  l' imago. 

Tu  dei  saper,  che  sotto  il  cicl  secondo 
U  giro  di  quel  fuso  adamantino , 
Che  la  Necessità  rivolge  a  tondo. 
Mossa  però  dal  gran  Motor  divino , 
La  serie  delle  cose  al  basso  mondo 
Muta  immutabil  sempre  alto  destino , 
E  fra  queste  vicende  anco  le  lingue 
L' una  nasce  di  lor,  l' altra  s' estingue. 

La  dotta  cetra  argiva  udrassi  pria 
Sul  Gefiso  spiegar  melati  accenti, 
E  trarre  alla  dolcissima  armonia 
Del  mare  orientai  sospesi  i  venti. 
Privilegio  fatai  di  questa  fia 
Di  sacre  cose  inebbriar  le  menti, 
Sollevando  ai  secreti  alti  misteri 
De'  Numi  eterni  i  nobili  pensieri. 

Moverà  non  men  dolce  il  Tebro  poi 
Sulle  corde  latine  11  plettro  d' oro , 
Onde  dai  cigni  miei  nei  poggi  suoi 
Fia  trapiantato  il  trionfale  alloro. 
Grave  e  ben  atto  a  celebrare  eroi 
Sarà  del  Lazio  il  pettine  canoro , 
Ed  a  sonar  con  bellicosi  carmi 
Di  guerrieri  e  di  duci  imprese  ed  armi. 

Succederà  la  tosca  lira  a  queste , 
DI  queste  assai  più  delicata  e  pura , 
Che  di  tutti  gli  onor  si  adorna  e  veste , 
Onde  r  altre  arricchirò  arte  e  natura. 
Intenerito  dal  cantar  celeste 
L' Arno  al  corso  porrà  freno  e  misura , 
E  dai  versi  allettato  e  trattenuto 
Porterà  tardo  al  mare  il  suo  tributo. 


Questa  con  vaghi  metri  e  dolci  note , 
E  con  numeri  molli  accolti  in  rima 
Fia  che  per  propria  e  singolar  sua  dote 
Meglio  che  altra  non  fa,  gli  amori  esprima. 
Or  alle  tosche  Muse  (ancorché  ignote ) 
Fu  il  nobil  fonte  dedicato  In  prima, 
Né  certo  edificar  si  dovean  cose 
Nel  paese  d' Amor,  fuorché  amorose. 

Ma  perché  é  ver,  che  delle  Muse  afflìtte 
Sono  Invidia  e  Fortuna  emule  antiche, 
Uopo  d'alte  difese  e  d'armi  Invitte, 
Avran  contro  si  perfide  nemiche. 
Le  case  dunque  che  qui  son  descritte, 
Sosterran  l'onorate  altrui  fatiche; 
E  questi  fien  tra  i  princìpi  più  degni , 
Che  daran  fida  aita  ai  sacri  Ingegni. 

Beato  mondo  allor,  mondo  beato , 
Cui  tanto  amico  Clel  gloria  destina! 
Beatissima  Italia ,  a  cui  fia  dato 
Per  cosior  risarcir  l'alta  mina, 
E  tornar  trionfante  al  primo  stato 
Delle  Provincie  universal  regina  ! 
Si  dice,  e  della  schiera  Ivi  scolpita 
Le  generose  immagini  gii  addita. 

Ferma,  dicea ,  la  vista  in  quella  parte, 
Dove  11  bianco  corsier  sul  rosso  splende. 
Questo ,  sebben  feroce ,  il  fiero  Marte 
Ama ,  e  foco  guerrier  nel  petto  accende. 
Talor  d'Apollo  a  viepiù  placid'arte 
Inerme  ancora  e  mansueto  intende  ; 
Onde  aprendo  la  vena  a  novi  fonti 
Fia  che^iovo  Pegaso ,  il  del  sormonti. 

Sappi ,  che  fra  que'mostri,  onde  s'adorna 
Del  sommo  clel  la  lucida  testura. 
Oltre  il  Pegaso,  altro  destrier soggiorna , 
Adombrato  però  di  luce  oscura. 
Pur  di  segno  minor  maggior  ritorna 
Sol  per  esser  di  questo  ombra  e  figura  ; 
E  le  sue  fosche  e  tenebrose  stelle 
Tempo  verrà,  che  saran  chiare  e  belle. 

Né  speri  alcun  giammai  con  sprone  o  verga 
Domarlo  a  forza ,  o  maneggiarlo  in  corso. 
Con  dura  sella  premergli  le  terga , 
0  con  tenace  fren  stringergli  il  morso. 
Spirito  in  lui  sì  generoso  alberga. 
Che  intollerante  ha  di  vii  soma  il  dorso. 
Chi  crede  averlo  o  soggiogato ,  o  vinto, 
Con  fatai  precipizio  a  terra  é  spinto. 


Pur  deposto  taior  l'Impeto  audace, 
Gbe  avrà  di  sangue  ostil  versati  rivi , 
Chiuderà  Giano,  ed  aprirà  la  Pace, 
Ed  ai  cipressi  innesterà  gli  olivi. 
Germoglieran  dai  cenere ,  che  giace 
I>e' cadaveri  morti  1  lauri  vivi , 
E  diverran  sol  per  lodarlo  allora 
L*AlpÌ  Parnaso,  e  Caballin  la  Dora. 


ADONE.  151 

Ben  s'agguaglian  tra  lor,  se  non  che  quella 
I  cigni  d'oltraggiar  prende  diletto. 
Ma  da  questa  ch'io  dico,  aquila  bella 
^vran  gii  augei  canori  esca  e  ricetto. 
E  se  allr'  aquila  in  elei  conversa  in  stella 
D' una  cetera  soia  adorna  il  petto , 
QuesU  ne  avrà  fra  1* altre  in  terra  due 
Possenti  ad  eternar  le  glorie  sue. 


Dal  chiaro  armento  di  Sassonia  uscito 
Carco  ne  andrà  di  scettri  e  di  diademi  ; 
Neppur  la  bella  Italia  ai  fier  nitrito. 
Ma  fia  che  l'Asia  sbigottisca  e  tremi. 
Poi  di  spoglie  e  trofei  tutto  arricchito 
Verrà  delia  mia  Cipro  al  lidi  estremi. 
Ma  che?  fiero  destlu,  perfido  Trace! 
E  qui  scioglie  un  sospiro,  e  pensa  e  tace« 

Tu  vedi,  segue  poi ,  l'aquila  bianca. 
Che  divide  dell'aria  i  campi  immensi , 
E  le  nubi  trascende ,  e  lieve  e  franca 
Su  i  propri  vanni  in  maestà  sostiensi. 
Quella  In  opre  d' onor  giammai  non  slanca 
L'insegna  iìa  de' gloriosi  Estensi, 
Il  cui  volo  magnanimo  e  reale 
Per  vie  dritte  e  sublimi  aprirà  l'ale. 

Non  tanto  le  verrà  la  bella  Insegna 
Per  la  divina  origine  d'Ettorre, 
Quanto  perchè  con  lei  fla  che  convegna 
L'inclita  augella,  che  viitate  abborre. 
Quella  però ,  che  ogni  bassezza  sdegna , 
Assai  presso  alle  sfere  11  ciel  trascorre. 
Questa  dal  vulgo  allontanando  I  passi 
Non  sia  che  a  vii  pensier  1*  animo  abbassi . 

Quella  la  spoglia  dell'  antiche  piume 
Dentro  puro  ruscei  ringìovlniu, 
Di  rinnovar  sé  stessa  ha  per  costume 
A  molti  e  molti  secoli  dì  vita. 
Questa  purgata  entro  il  castailo  fiume , 
Quasi  fenice  del  bel  rogo  uscita , 
Verrà  l' ire  del  Tempo  a  curar  poco , 
Fatta  immortai  dall'  acque,  e  non  dal  foco. 

E  come  quella  ognor  con  guardo  fiso 
Avvezzar  alla  luce  I  figli  suole. 
In  quel  modo ,  che  a'  rai  del  tuo  bel  viso 
Anch'  lo  sempre  mi  volgo,  o  mio  bel  Sole  ; 
Cosi  da  questa  con  accorto  avviso 
Imparerà  la  generosa  prole 
Di  Febo  amica ,  ed  a'  suoi  raggi  Uitesa 
Di  celeste  splendor  mostrarsi  accesa. 


Vedi  quell'altre  poi  quattro  seguenti , 
Emule  della  prima,  aquile  nere. 
Per  accennar,  che  a  tutti  quattro  i  venti 
Hanno  il  volo  a  spiegar  dell'  ali  altere. 
A  semplici  colombe  ed  innocenti 
Non  saran  queste  ingiuriose  e  fiere. 
Ma  spirti  avran  di  guerreggiar  sol  vaghi 
Con  nibbi  ed  avoltoi,  vipere  e  draghi. 

Rapì  cangiato  In  queste  forme  istesse 
Il  mio  gran  genitor  vago  garzone , 
Benché ,  cred'  io ,  se  te  veduto  avesse , 
Preposto  avrebbe  a  Ganimede  Adone. 
Ma  se  costume  è  naturale  in  esse 
Satollar  di  rapine  il  curvo  unghione. 
Queste  pronte  a  donar,  non  a  rapire , 
Sol  di  prede  di  cori  avran  desire. 

Predice  a  queste  l'indovina  Manto 
Il  favor  tutto  dell' aonle  Dive. 
Per  questo  Mincio  con  etemo  vanto 
Popolate  di  cigni  avrà  le  rive. 
Mormorando  concorde  al  nobll  canto 
De' suol  Gonzaghi  le  memorie  vive,  [do. 
Che  vivran  sempre  in  più  d' un  stil  facon- 
fi  non  morran  finché  non  more  il  mondo. 

Sotto  r  ali  di  queste  11  maggior  cigno. 
Che  darà  vita  al  mio  Troian  pietoso. 
Da  mollir,  da  spezzar  duro  macigno 
Formerà  canto  In  ogni  età  famoso. 
E  già  da  queste  ancor  destro  e  benigno 
Giunto  in  Italia  a  procacciar  riposo. 
Ebbe  Io  stesso  Enea  presagio  e  segno 
Di  felice  vittoria  e  lieto  regno. 

Mira  quel  tronco,  acuì  di  fronde  aurate 
Fanno  pomposo  il  crin  germi  felici. 
È  la  quercia  d' Urbin ,  che  in  altra  etate 
Tali  e  tante  aprirà  rami  e  radici , 
Che  poiclì'  avrà  di  spoglie  assai  pregiate 
Arricchiti  di  Roma  I  colli  aprici , 
In  riva  porterà  del  bel  Metauro 
Con  suoi  frutti  lucenti  un  secol  d'auro. 


tft4 


XARfnO. 


Questa  pfù  eh*  altra  pianta,  hrf  gar  f  mi- 
Denn»  del  fecondlsaliiio  EHeona.       [de 
Di  questa  Apollo  alle  sue  cUome  bionde 
Di  lauro  InTeee ,  intesserà  ooroita. 
Al  memorio  delle  soart  fronde 
Il  suono  Invidiar  potrà  Dodona. 
Ayranno  all'  ombra  sua  tranqfuillo  e  fido 
I  miei  candidi  angei  ricoTfo  e  nido. 

LA  teRa  scorza)  che  seccar  non  potè 
Ardor  d'estate,  né  rigor  di  verno, 
Porterà  al  clH  con  mrlie  Incise  note 
De*  suoi  cfHari  cultori  il  nome  etemo, 
n  ceppo  aAtier,  che  fulmine  non  scote , 
Prendendo  d*Aquilon  l' ingfurie  aschemo, 
Seispre  maggiore  acquisterà  TermezEa, 
Come  H  nel  mio  cor  la  tua  bellezza. 

Or  colà  Tolgi  gn  occhi  al  sei  giacinti , 
Nel  cui  lieto  oendeo  appunto  miri 
Queli'  azzurro  sereno,  onde  son  finii 
Delle  tue  incl  1  lucidi  zaffiri. 
Sì  cliiaro  è  quel  color,  che  gli  lia  dipinti, 
Che  s*  egli  avvien,  che  in  essi  il  guardo  giri, 
Non  sali  pensier  che  dubbio  alterna  ed  er- 
Dirsesieniffgn  in  cÌelo,o  stelle  In  terra,  [ra 

Gigli  celesti  e  fortonatl ,  oh  quale 
Seme  d' alte  speranze  in  voi  s'accoglie! 
Qual  d*  odori  di  gloria  aura  immortale 
Trarrà  la  Fama  dalle  vostre  foglie! 
E  qnant'  api  da  voi  porteran  1*  ale 
Rlccbe  di  ricche  e  preziose  spoglie , 
Onde  illustre  lavor  Ila  poi  costrutto, 
Ch'  empierà  di  dolcezza  11  mondo  tutto  ! 

Voi  piantati  e  nutriti  hique*  begli  orti , 
Dove  non  son  da  bruma  1  fiori  offesi , 
Darete  per  sottrarle  agli  altrui  torti 
Alle  sante  sorelle  ombre  cortesi. 
Per  voi  non  men  magnanimi  cheford, 
Gresceran  tanto  in  pregio  I  gran  Farnesi, 
Che  a  qual  finale  più  celebre  e  più  chiaro 
La  palma  osorperan  la  Parma  e  il  Taro. 

Qoella  colonna ,  11  cui  candor  lucente 
Del  suo  seno  assomiglia  11  bd  candore , 
Sostegno  Ha  della  Virtù  cadente, 
Stabii  come  la  fede  è  nel  mio  core. 
E  se  tra  le  colonne  In  occidente 
La  gran  lampa  del  Sol  tramonta  e  more, 
Da  questa  invitta  e  salda  ad  ogni  cnrilo 
RHuoeerà  con  la  sna  Inoe  Apollo. 


Qnante  ToUe  qnand*  io  (folle  di*  lo  n*  e- 
Di  Gradivo  1* amor  gradhr  solia,        [ra  !) 
Questa ,  dioeami ,  la  mia  reggia  «Itera , 
Questa  de*  mieU  trionfi  fi  trono  ali. 
Osari  e  Mecenati  in  Ivnga  schiera 
Per  lei  rinnoverà  la  città  mia  ; 
Né  Agli  mai  tra'  svoi  famosi  e  cMari 
La  gran  lupa  latina  atra  pie  cari. 

L* altro  scudo  vMn,  che  fior  travom 
DI  tre  strisele  vermigtie  il  Manco  tuatlra, 
E  di  rose  purpuree  il  campo  terso 
(Simile  al  volto  tuo)  fregialo  moclmt 
DI  stirpe  fia ,  splendor  dell'  iinlvono , 
Pompa  del  Tebro,  e  meravlgla  noatm , 
A  cui ,  come  a  miglior  fra  le  ariglloH , 
Ben  converrassi  il  fior  degli  aUri  fiori. 

Fior,  cAw  4el  sangue  mio  superilo  vai. 
Fior,  pupilla  d*  Amor,  tesor  di  Maggio, 
Tu  de*  prati  di  Pindo  onor  sarai. 
Né  dei  d*  ombra,  o  di  Sol  temeroltragglo. 
Quella,  ch'onora  U ciel  romano,  e aal 
Non  tuffa  in  tort>id'  onda  il  chiara  raggio; 
De'  fregi  tuoi ,  non  più  di  stelle  InleMe 
Porterà  le  ghiiiande  orsa  celestie. 


Eeeo  dei  gran  Tonante,  ecoo  poi  nero 
Un  altro  egregio  imperiale  aiigfilob 
DeiDorìa,  a  cui  di  Dori  il  salso  impero 
Destinato  è  dal  Qd,  lo  sondo  è  quello. 
Fido  mtadstro  del  gran  Olove  Ibero 
Arderà,  ferirà  io  suiol  rnixllo, 
Slcooae  tu  oo«  tuoi  pungenti  agOM«di 

I  rttrasl  d'Amor  ferisci  ed ardL 

NoahaqMBloa  librar  dei  dolo  in  lerra 

II  tripartito  folgoro  vermigiio. 

Ma  deU'  altro  inrenaL^cheinnovagaem 
Fia  temprato  di  bronzo,  armar  V  arUgilio. 
Quanto  il  lembo  del  mar  drcooda  €  aann 
Tremerà  tutto,  e  correrà  periglio. 
Solo  U  verde  arboscd ,  non  che  feiMo, 
Fia  difeso  da  questo  e  enslodMo. 


progenie ,  eh*  lo  ti  contee  «oitro 
Aquila  peregrina  aiaerà  H  volo. 
Che  imporporata  del  più  iucld'  ostro 
Le  hnme  penne,  andrt  da  polo  a  pelo. 
Progenie  degna  di  famoso  Inchiostro , 
Del  mondo  onor,  non  di  Ugerìa  solo. 
Degna  più  eh*  altra  assai  del  favor  alo , 
Che  darà  legge  id  mar,  dorè  nacqu'  io. 


L'ABOME» 


116 


Ma  deb  poD  aMiue  atte  purpuree  prfle, 
Di  que*  Medici  iUuslri  anse  MvnMM, 
Per  cui  (se  il  cliiaro  antifeder  bm  iaile) 
Le  piagbe  antiolie  ba  da  saldar  Toecana. 
Da  Fortuna  battuu ,  «1  ciel  faraUe 
Balxar  Yirtà  sow'  ogni  gl«rla  unawL 
Con  esse  al  giooo  dell*  liistabU  Serte 
Vinoeraane  i  ter  duei  Iniklia  e  Marta. 

Palle  d'alto  valor  fulminatrki* 
Onde  tempesta  uscir  deve  si  fatta  « 
Cbe  de'  rul)eUi  eserciti  neoiid 
Fia  cbe  ogiri  Xora,  ogni  riparo  abballa. 
Per  cui  non  ael  de'  Barbari  Inrelicl 
La  superbia  cadrà  rotta  e  dia£atta. 
Ma  dello  scoppio  il  gran  rlmbtaibo  ealo 
Tutto  de'  vizi  «uerrtrà  lo  alnalo. 

Sono  i  bei  globi  steiU  al  eelesU , 
E  slmulacri^leUe  sfere  eterne; 
E  ben  parie  conferme  ln^uelleei»qiiesli 
(Tranne  sol  uno}  il  Monero  ai  aoeme. 
A  dinotar,  cbe  i^  eaaraU  gesti 
Tutte  quante  a'ba  li  del  ro4e 
Volgeranno  prapiaie  amico  inose. 
Solo  csolofo  Sayirno»  infensi» 


Fiorir  l'aiti piA  beife,  a  ifecMannl 
Allor  d*  Amo  «edrani  te  tonbftd'  aeqoe; 
E  risoiier  te  Inoa,  a  r fefrancaiil 
DnH'  Italico  anor,  «b'eaUnu  flao«aa8 
E  BMlU  biitipi  a  nobil  vaio  aiaani 
SuU'  ili  4ll  cabli, cbe  da  flMoaaqna« 
E  con  «Mmì  canoentl  addokir  I*  anra 
Dielin  ai  cancor  di  ficaiftee  e  Lai 


UbeUa 
Ondai* 
Quasi  bi 
E  ne'  pia 
DeU'dftì 
Oqual, 
Nascer  di 


ai  sceoH  kiatMa 
la 
ée* 

al  ano  peMier  a- 
cplAprofeMtt 
tnttas*! 

lo,  comsdal  kisiri, 
tal  «GBMfU  HtanMI 


Vaiger  di  dal,  firn  di  masi  «  d'an^ 
M  aacoi  trista  bi  tenebra  aapalta 
SpMtar  va  Sale  a  ristarara  I  itemiL 
Sol,cbaa«iàaaldldsnMil  tattaclliaiUd 
Ma  il  cor  aen»ra  vM  Ira  i  regi  alteaL 

parteL 


Nan  ia«iai«bedi<pieatatnplft  bel  man- 
Alma  copra  pMeagi^,  a  pM  pudica,  [to 
Ma  dette  lodi  aue  basti  soltanto. 
Uopo  noni,  cb'to  più 4H  dò  ti  Aa,  [ta 
Chè-qnalpraprioella  siasi  e  come  e^nan- 
Vinca  di  pregte  agni  memoria  anttea. 
In  parte,  oVte  condur  ti  vogMo  tn  breve, 
fiaserM  l'aochia  tao  giudice  deva. 


Goal  gli  «ee,  ed  sNa  beBa  ti  bella 
f^  parote  hnerroaape  in  tiÉ  mantelli 
Deh  dtanmi,  o  fida  mia,  cbeacndoè^wHa, 
LoqualpaslononèoongNallH  In  setolerà. 
Ma  nella  base  sta,  die  fa  scabeUo 
Al  gran  MatordeUa  plA  cblara  fferat 
In  queir  asiar,  cbe  al  ctel  par  ai  soarigH, 
Glie  Yogtton  dir  qae' tre  dorati  glgHt 

HeUa  casa  di  Fnnda  è  bdlvtea, 
E  tal  loca  aragion  Vaicaa  te  dtede. 
Però  cbe  appunto  a  ^pielte  ittcai 
Fia  di  Febo,  riq)aode,  alberga  a 
E  siccoaw  dai  annuii  «  divlm 
Sursi  sote  in  disparte  HI  si 
Cosi  d'ogai  «-alar  ricca  e 
Se  n'  andrà  rinoalar  daT  altra 


M(tea« ben,  cèa  deritaHa  agglm^ 
Questa  sate  atawiiera  OMve  al  lre«l, 
Ch'aUragtanmsai^ViitÉacaldi  «ponga, 
Non  Ila  ohe  i  cl«al  aaai  cotanto  appretJL 
Troppa  fera  a  cantar  te  aerte  lunga. 
Che  ne  «sdrà,  ée'gteriasi  regi, 
E  aenaa  aansanrar  ai  fetta  staaia 
Eaata  par  tntU  ad  lllttMrarte  no  aria. 

Gaam  tntta  ndcar  racoalte  asM 
DeH'akva  membra  te  vlrtndl 
Cad  «atta  H  dgmv,  di  e 
BMoarrftlnaède'sudf 
Né  men  materia  a  4«d  pM 
Bar*  dacelebrar  ano  giartea 
Che  preadaa'bdaiidar,cbei 
Stilter  vadnm  ddle  pi*  detm  feaml. 

Con  amn  iftrt  aacar,  tegaia  e  atretta 
Ten*  Fartnaa  ambite  e  aagaaae. 
Stadi*  rnaa  a  Vkt*  sena  a  aaggetia, 
Faralla  a  suo  fevar  tonar  castante. 
E  il  vagite  alato,  ohe  can  tanta  fralia 
Fugge,efuggtudafaHipeMcaSdlaBmate, 
Percbè  ^  anod  aaai  aan  ae  ae  parti, 
(k)n  groppi  auhiiat A  taaadc  farti. 


156 


MARINO. 


Oltre  il  buon  zelo  e  la  giustizia,  a  cui 
Dritto  è  elle  Gallla  ogn^tperanza  appoggi, 
Fiache  tfn*  gigli  d*or  sol  per  costui 
Delle  Muse  toscane  il  coro  alloggi. 
11  Tago  e  il  Gange  Irriglienin  per  lui. 
Invece  del  Gastalio,  i  sacri  poggi , 
Onde  per  fecondar  l'arido  alloro  [d'oro. 
L'acque,  ch'or  son  d'argento,  allor  fien 

Nasci,  nasci,  o  Luigi  !  Amica  stella 
Quant'onor,  quanto  pregio  a  te  promette! 
Vibri  pur  quanto  sa  cruda  e  rubella 
L'altrui  perfidia  in  te  lance  e  saette. 
Taccio  l'altre  tue  glorie,  e  passo  a  quella, 
Che  le  Muse  da  te  non  fian  neglette. 
De' dolci  studj,  e  della  sacra  schiera 
Te  rettore  e  tutore  il  mondo  spera. 

Cresci,  cresci,  o  Luigi,  inclita  prole 
D*  alme  eccelse  e  reali  e  giuste  e  pie. 
Il  tuo  gran  nome,  ove  l'altrui  non  suole 
Si  spargerà  per  disusate  vie; 
E  dove  sorge  e  dove  cade  il  Sole 
E  dove  nasce  e  dove  more  il  die. 
La  Fama  li  porterà  leggera  e  scarca, 
E  romperà  le  forbici  alla  Parca. 

Tra  molte  e  molte  cetre,  onde  rimbomba 
De'  tool  vanti  immortali  il  chiaro  grido, 
Dal  Sebeto  traslala  odo  una  tromba 
Della  tua  Senna  al  fortunato  Udo. 
Questa  trar  ti  potrà  d'oscura  tomba, 
E  darti  infra  le  stelle  etemo  nido. 
Oh'  empiendo  II  ciel  d' infaiicabil  suono 
Sarà  lira  al  concento  e  squilla  al  tuono. 

E  sebben  chi  la  suona  e  chi  la  tocca 
Sosterrà  di  fortuna  oltraggi  e  scherni; 
Quando  1*  invidia  altrui  maligna  e  sciocca 
Pia  che  In  hii  sparga  I  suol  veleni  interni  ; 
Mentre  avrà  spirto  in  petto  e  fiato  in  l)oc- 
Non  però  cesserà,  che  non  ti  eterni;  [ca. 
Di  te  narrando  meraviglie  tante. 
Che  ne  suoni  Parnaso  e  tremi  Atlante. 

Allor  Venere  tace,  e  dove  folta 
Stendon  la  verde  chioma  allori  e  faggi , 
Mille  intorno  al  bel  fonte,  e  mille  ascolta 
Poeti  alati  e  musici  selvaggi , 
Che  con  rime  amorose  a  volta  a  volta» 
E  con  Infaticabili  passaggi. 
Intrecciando  sen  van  per  la  verdura, 
Di  lasciva  armonia  dolce  mistura. 


Il  vago  stuol  de' litiganti  augelli. 
Per  riportar  de' primi  onori  il  fiuto, 
Innanzi  a  Qterea  tra  gli  arboscelli 
Cominciò  gareggiando  alto  contrasto. 
E  concenti  formò  si  novi  e  belli , 
Che  a  pareggiarli  lo  col  mio  stU  non  basto. 
Giurò  Venere  istessain  ciel  avvezza. 
Che  le  sfere  non  han  tanta  dolcezza. 

0  perchè  assai  piacesse  a  questa  Diva 
Il  canto,  che  In  sul  fine  è  più  solenne, 
0  perchè  monda,  e  di  sozzure  schiva 
Amasse  II  bel  candor  di  quelle  penne  ; 
Gregge  di  bianchi  cigni  ella  nutriva 
Neil'  isoletta,  ove  quel  giorno  venne , 
Cile  ambiziosi  allor  deUe  sue  lodi 
A  cantar  si  sfidaro  in  mille  modi. 

Infiniti ,  da  strani  ermi  confini , 
Guerrier  facondi  e  musici  campioni, 
E  domestici  a  prova  e  peregrini 
Vi  concorsero  Insieme  a  far  tenzoni. 
Tra' frondosi  s'udir  mirti  vicini 
Vibrar  accenti  e  saettar  canzoni , 
E  della  pugna  lor,  che  fu  concento, 
Fu  steccato  la  selva  e  tromba  il  vento. 

Varj  di  voce  e  nello  stll  diversi. 
Tutti  però  del  par  leggiadri  e  vaghi, 
E  tutti  alla  gentil  coppia  conversi 
Cantao  come  Amor  arda  e  come  impiaghi. 
Cantan  molti  il  futuro,  e  forman  versi 
Dell'opre  altrui  fatidici  e  presaghi, 
Che  quel  che  ivi  si  bee  furor  divino. 
Sveglia  ne'  petti  lor  spirto  indovino. 

Stiamo  ad  udir  (  la  Dea  di  Pafo  disse) 
Degli  alati  cantor  le  dolci  gare. 
Tener  l' orecchie  attentamente  affisse 
SI  dennoa  quell'  insolito  cantare. 
Perchè  si  belle  ed  onorate  risse 
Saranno  in  altra  età  famose  e  chiare, 
Gli  augelli  autor  di  si  soavi  canti 
Son  di  sacri  poeti  ombre  volanti. 

L'anime  di  costor,  poiché  disciolte 
Son  da'  legami  del  corporeo  velo,  [volte 
Passano  In  cigni ,  e  che  in  tal  forma  In- 
Vivan  poi  sempre,  ha  stabilito  il  Cielo. 
E  tra  questi  mirteti  In  pace  accolte 
Le  fa  beale  11  gran  rettor  di  Delo, 
Là  dove  ognor,  siccome  fer  già  quando 
Tenner  corpo  mortai,  vivon cantando. 


L'ADONE. 


15T 


Molte  ve  n*  ha  che  ancor  rinchiuse  e  strette 
Nonson  tra'  sensi ,  e  queste  pur  son  tali, 
A  cantar  qui  per  mia  delizia  elette 
Finché  in  career  terreno  implicfaln  1'  ali. 
Adone  il  canto  ad  ascoltar  si  stette 
Di  que'  felici  spiriti  immortali, 
Che  già  Tenlan  con  tocI  invece  d'armi, 
Nel  Terde  agone  al  paragon  de'  carmi. 

Fu  benigno  favor,  grazia  cortese 
Di  lei,  che  è  de'  suol  lumi  unico  Sole, 
E  miracol  del  Qe! ,  che  Adone  intese 
Di  quel  linguaggio  i  sensi  e  le  parole , 
E  ben  distinto  ogni  concetto  apprese 
Espresso  fuor  delle  canore  gole. 
Nella  scuola  d' Amor  che  non  s' apprende, 
Se  11  parlar  degli  augelli  anco  s' intende? 

Eran  tra  questi  augei  i'  ombra  d' Orfeo, 
Che  fé' de'  versi  suoi  seguace  il  bosco. 
Pindaro  v'  era,  ed  eravi  Museo, 
E  Teocrito  v'  era,  e  v'  era  Mosco. 
EravI  Anacreonte,  eravi  Alceo, 
E  Safo  aito  splendor  del  secol  fosco. 
Che  non  portò  di  quanti  io  qui  ne  scrìvo , 
Luce  minore  ali'  idioma  argivo. 

V  era  Io  sluol  di  quei  Latini  primi. 
Che  In  amoroso  stil  meglio  cantaro. 
Gallo,  Orazio,  Catullo,  alme  sublimi, 
Tibulio,AccÌo,Properzio  e  Tucca  e  Varo, 
Ed  Ovidio,  di  cui  non  è  chi  stimi 
Che  aitro  cigno  d*  Amor  volasse  al  paro. 
V  era  la  schiera  poi  de'  più  moderni 
Dell'  italica  lingua  onori  eterni. 

8  sebben  gii  altri  che  le  bianche  piume 
Per  le  piagge  spiegar  di  Roma  e  d' Argo, 
Fur  ior  maestri,  ond'  ebber  spirto  e  lume, 
Mercè,  che  a  quelli  il  Clel  ne  fu  più  largo. 
Questi  però  che  di  Parnaso  il  Nume 
Gli  ha  destinati  a  posseder  quel  margo , 
Cantano  soli  alla  gran  Dea  presenti; 
Tacciono  gli  altri  ad  ascoltare  intenti. 

Aristofane  tu,  che  ornasti  tanto 
Là  nei  greci  teatri  il  socco  d'  oro, 
Tu,  che  d' Interpetrar  ti  desti  vanto 
U  ragionar  del  popolo  canoro, 
E  In  acena  11  novo  inespiicabii  canto 
Spiegar  sapesti  e  le  favelle  loro, 
Tanta  or  dal  biondo  Dio  mercè  m' impetra, 
Che  distinguerlo  insegni  alla  mia  cettdu 


Un  w  ne  fu  che  sovra  un  verde  lauro 
Fece  col  suo  cantar  Laura  Immortale , 
Ed  illustrò  dai  BatfMano  al  Mauì^ 
Quei  foco ,  che  d' Apollo  il  fé'  rivale  ; 
Dicendo  pur  che  alle  qùadrella  d' auro 
Cede  la  forza  del  fulmineo  strale , 
Poiché  neir  arbor  sacra  al  Clel  diletta, 
Dove  Giove  non  potè ,  Amor  saetta. 

Altro  il  cui  volo  pareggiar  non  lice , 
Ben  suli'  ali  leggier  tre  mondi  canta , 
E  la  beltà  beata,  e  Beatrice, 
Che  da  terra  il  rapisce  esalta  e  vanta. 
Un  suo  victn  con  stil  non  men  felice 
Seco  s'  accorda  in  un  istessa  pianta , 
Perchè  Gertaldo  ammiri,  e  il  mondo  scerna 
La  sua  flamma  e  la  fama  a  un  punto  eterna. 

Hawi  poi  d' Adria  ancor  canoro  mostro. 
Purpureo  cigno  e  nobile  e  gentile , 
Che  la  lingua  ha  di  latte  e  11  manto  d'ostro. 
Rossa  la  piuma  e  candido  Io  stile. 
Apre  non  lunge  augel  d' Etruria  il  rostro 
(Salvo  il  capo  eh' è  verde)  a  lui  simile , 
Appellando  il  suo  amor  sul  verde  stelo. 
Scoglio  in  mar,selce  In  terra,angelo  In  cielo 

Accompagna  costor  soavemente 
11  sonator  delia  sincera  avena , 
Che  le  Muse  calar  fece  sovente 
Di  Mergeliina  alla  nativa  arena. 
Le  cui  dolci  seguir  note  si  sente 
Anco  un  aitro  figliuol  della  Sirena , 
Che  con  qual  arte  1  rami  a  spogliar  vegna 
Lo  sfrondator  della  vendemmia  Insegna. 

Donne  insieme  ed  eroi ,  guerre  ed  amori 
Quel  che  nacque  in  sul  Po,  cantar  s'udia, 
Immortalando  di  Ruggier  gli  onori 
Con  pura  vena ,  e  semplice  armonia  ; 
Edi  dolcezza  inebbriava  1  cori, 
I  circostanti  tronchi  inteneria. 
Arder  facea  d' amor  le  pietre  e  l' onde , 
Sospirar  i'  aure  e  lagrimar  le  fronde. 

Testor  di  rime  eccelse  e  numerose 
Di  Partenope  un  figlio  a  lui  successe, 
E  prese  a  celebrar  l' Armi  pietose , 
Liberatrici  delle  mura  oppresse  ; 
E  i  suoi  pensier  si  vivamente  espose , 
1  versi  suoi  sì  nobilmente  espresse , 
Che  fé'  del  nome  di  Goffredo  e  Guelfo 
Sonar  Cipro  non  sol»  ma  Delo  e  Delfo. 


1&8 


MAEINO. 


Né  tu  con  voce  meo  gradita  e  cara 
Favoleggiando  U  canto  tuo  sciogliesti. 
Dico  a  te  cIk  di  gloria  oggi  sì  chiara 
Il  tuo  fido  pastore  adorni  e  vestL 
Seguir  voleanoe  della  nobil  gara 
Dubbia  ancor  la  vittoria  era  tra  questi, 
Quand'ccco  fuor  4'  un  cavernoso  tufo 
Sbucar  dilTorme  e  raiibuffàto  un  gufo. 

Oh  quanto,  ob  quanto  meglio*  Inlame 
Ritorneresti  all'inalici  grotte,   [augello. 
Nunzio  d'infausti  aagurj,  al  Sol  rubeUo, 
E  dell'ombre  compagno  e  della  notte] 
Non  diacnrbar  l'angeUco  drappello. 
Vanne  tra  cave  piante  e  mnra  rotte 
A  celar  quella  tua  fronte  cornuta. 
Quegli  occhi  biecU  e  quella  iMria  irsuta. 

Da  qual  profonda  e  tenebrosa  buca 
Nottula  temeraria  al  giorno  uscisti? 
Tonu  là  dove  Sol  mai  non  riluca 
Tra  foschi  orrori  e  lagrimosi  e  tristi  ; 
Tu  trionfi  cantar  d'invitto  duca? 
Tu  di  mondi  novelli  eccelsi  acquisti  7 
Tu  dell'  Invidia  rea  figlio  maligno 
Di  pipistrel  vuoi  trasformarti  incigno? 

Cosi  parla  all'augel  malvagio  e  brutto 
La  Dea,  sdegnando  un  sili  sk  rauco  udire, 
E  i  chiari  onor  del  domator  del  futlo, 
Dov'  ella  ebbe  il  natal,  tanto  avviiireu 
Splace  del  cigni  al  condatoro  lutto  ' 
ÌA,  villana  sdoecbezsa  e  il  folle  ardite. 
Che  r  alle  lodi  ad  abbassar  ai  metta 
Del  colombo  a  lei  sacro  una  cltetla. 

Mentre  a  garrir  s'appresta,  afioondoln  atto 
Che  della  nobil  turba  il  gioco  accresce, 
E  scole  l'ali  e  In  un  meénmo  tratto 
Gli  urii  tra  i  canti  amblsioso  ei  bmoc; 
Loquacissima  pica  11  fnntraffatfn 
Uccellato  uooeUone  a  sfidar  esce, 
E  eoastfilll  importanl  hi  roial  carmi  [mL 
Dassl  anch' eUaa  gnochiar  d'aoMMi  e  d'a»* 

Macho?  Bon  prima  a  balbettar  ai  mise 
Quel  «no,  canlo  non  già,  atrepito  eatrid». 
Che  idto  levami  fai  mile  e  miilo  9uiaa 
Infra  i  volanti  aacoltatari  na  gridi». 
Ed  empiè  il,  che  Ckana  «e  rise, 
Quasi  di  lesu  popalaro  II  lido. 
Taflqna  aiane,ofnggk  om man  rlfehk>« 
Dd  w^éeii  aagd  Civaia  «  fischio. 


Non  è  gran  fatto,  che  l' audacia  atoHa 
Di  questa  gassa,  che  si  mal  borbotta, 
L'adunanca  genUi,  die  è  qui  raccolta» 
Disse  Venere  bella,  abbia  Interrotta. 
Già  volse  in  altra  forma  un'  altra  volta 
Con  la  sclilera  pugnar  famosa  e  dotta; 
Ma  con  1'  altre  Pieridi  confuse 
Vergogna  accrebbe  a  sé,  gloria  alle  Muse. 

Amor,  che  vede  di  quel  canlo  lieto 
La  madre  intesa  aUa  piaoevol  guerra. 
Volando  intanto,  ov'  è  il  vicin  mirteto^ 
Insidiosa  chiave  asconde  e  serra; 
Volge  anelletlo  picdolo  e  secreto, 
E  con  gagliardo  pie  balte  la  terra. 
Ed  ecco  d' acqua  un  repentino  vela, 
t^  fa  pelago  al  snolo  e  nube  ai  òelou 

Appena  ti  piede  11  pavimento  tooea, 
E  l'ordigno  volubile  ai  move. 
Che  il  fonte  tradhor  subito  scocca 
Saette  d' acqua  Inaspettate  e  nove, 
E  prorompe  in  più  scberil  e  mentre  fiocea 
Tempesta  par  quando  è  sereno  e  fim9. 
Spicciano  l'onde  ed  avventate  In  allo 
Movono  a  chi  noi  sa  furtivo  assalto. 


Come  qualora  a  Roma  il  Cesto  glemo 
Del  suo  ooflHno  pastor  riporta  l'anno. 
Le  iusette  voLanli  a  adlle  Inloma 
Col  flrmanmnto  a  gareggiar  aan  vannn. 
Ma  ne  riedoa  poi  vtele,  e  nel  ritoma 
Lucido  pracipisio  a  terra  fanno» 
E  fanno  le  cadenti  auree  fiamnsidia 
Un  dUuvio  di  folgori  e  di  olellet 


Cosi  U  bel  fonte  hi  pia  fonU  si 
Se  non  quanto  diverso  è  l'eleamnlni 
Questo  gioco  bagnò,  quel  talor 
E l' una  piccia  è  d' or,  l' altra  d' 
Alcun  non  sa  di  lor  come  gnardarta 
Da  quei  ftiror  che  assale  a  tradirne nin 
Altrui  penegue,  e  qnantn  pie  lo 
Do/nom  crede  salvani.  Ivi  l'aiiiw. 


Ahi  cmdo  AaMr,  versar  f< 
Arte  non  è,  che  In  pur  ora  I 
Avvesao  già  per  soUli 
Le  tue  fiammeaapmssar  di 
E  non  ti  beau  ognor  dai  nostri 
Lagrìmosi  atlllar  insoelil  e  asari* 
Ma  spesso  vuoi  che  |^'  infelici 


L'ABOm. 


159 


Fugge  la  Dea  di  mille  rivi  e  mille 
Bagnati  il  sen  col  suo  bel  foco  in  braccio  ; 
E  queste^  dice  a  lui,  gelide  stille, 
Che  m*han  tutta  di  fuor  sparsa  di  ghiaccio, 
Tosto  rasciugherò  con  le  faTllle, 
DI  quel  sospiri,  ond'io  per  te  mi  sfaccio. 
Va  poi  seco  in  disparte,  e  cosi  lassa 
In  penoso  piacer  1*  ore  trapassa. 

Già  tramontar  volea  la  maggior  stella, 
E  del  giorno  avansava  ancora  poco, 
Quando  col  beli'  Adon  Venere  bella 
Partì  da  quel  delizioso  loco. 
Dlnaai,  dolce  mio  ben,  gli  sogginns'cHa, 
Al  primi  lampi  del  diurno  foco 
Ne  Terrai  meco  a  visitare  insieme 
Del  regni  miei  le  meraviglie  estreme. 

E  il  mio  carro  Immortal  vo*  che  U  pwU 
Sul  sereni  del  del  campi  IncenU, 
A  più  vaghi  gUnUai,  a  più  b^gU  orti» 
Dove  Jasiaoe  di  iori  ha  stdte  ardenti, 
U^fm  é'iMorrolllMIi  diporti, 
Pmkk  beau  Mlé  Mela  gntL 
Non  deve  a  te  mia  gloria  essere  avosa, 
Cke  dBRBa  e  boB  dd  del  cewKe  coia. 


Quivi  data  per  me  ti  fia  licenza 
Di  contemplar  con  mortali  occhi  impuri 
Quante  d*alta  bel^  somma  eccellenza 
Donne  avran  mal  nei  secoli  futuri  ;    [za, 
Benché  m'ingombri  li  cor  qualche  temen- 
E  vo%  chela  tua  fé  me  n'assicuri, 
Non  alcuna  di  lor,  mentre  la  miri, 
A  me  ti  tolga,  ed  al  suo  amor  ti  tiri. 

Sebben  la  Dea  d' amor  cosi  dicea. 
Non  n'  era  la  cagion  solo  il  diletto, 
Ma  perchè  desviarlo  indi  volea. 
Non  senza  aver  di  Marte  alto  sospetto, 
Sapendo  ben,  che  la  sua  stella  rea 
n  risguardava  con  maligno  aspetto, 
E  temea  non  le  fusse  all'  improvviso 
Dentro  le  braccia  un  di  colto  ed  uccisou 

Sorgea  la  notte  lntaata,e  1'  oaiÌM«  mtn 
Portava  incomo,  e  1  pigri  sogni  in  leaaw 
ÌMT  immortali  sue  luoeati  Cera 
Tatto  li  campo  celeste  era  già  ptoo  ; 
E  di  quelle  steiMti  e  iraghe  scWcm 
Per  le  piagge  del  del  puro  e  sereao. 
La  caedalrice  Dea,  che  fogge  fl  glorao. 
Li  orme  aegola  con  wgOBilato  corao. 


ICO 


MARINO. 


CANTO  DECIMO. 


LE  MARAVIGLIE. 


ALLEGORIA. 

Che  Adone  sotto  la  condotta  di  Mercurio  e  di  Venere  salga  in  cielo,  ci  disegna, 
che  con  la  favorevole  costellazione  di  questi  due  pianeti  può  1*  intelletto  umano  solle- 
varsi alle  più  alte  speculazioni ,  eziandio  delie  cose  celesti.  La  grotta  della  Natura , 
posta  nel  cielo  della  Luna  con  tutte  V  altre  circostanze ,  allude  ali*  antica  opinione 
che  stimava  in  quel  cerchio  ritrovarsi  1*  idee  di  tutte  le  cose.  Ed  essendo  ella 
cosi  prossima  al  mondo  elementare ,  madre  dell'  umidità ,  e  concorrente  Insieme  col 
Soie  alla  generazione ,  meritamente  le  si  attribuisce  la  giurisdizione  sopra  le  cose 
naturali.  L*  isola  dei  Sogni ,  che  nel  medesimo  luogo  si  finge ,  esprìme  il  dominio  e 
la  forza  che  ha  quel  pianeta  sopra  l' ombre  notcume  e  sopra  11  cerebro  ornano.  La 
casa  dell'Arte  situata  nella  sfera  di  Mercurio,  e  lo  studio  delle  varie  scienze,  la 
biblioteca  dei  libri  segnalati ,  l' officina  dei  primi  inventori  deHe  cose ,  fi  mappamondo 
dove  si  scorgono  tutti  gli  accidenti  dell'  universo ,  ed  in  particolare  le  moderne  guerre 
delia  Francia  e  dell'  Italia,  sono  per  darci  ad  intendere  la  qualità  di  quella  stella, 
potentissima  (quando  è  ben  disposta  ]  ad  inclinare  gli  uomini  alla  virtù  e  ad  operare 
effetti  mirabili  in  coloro  che  sotto  le  nascono. 


ARGOMENTO. 

Di  sfera  in  sfera  coìassli  salita 
Veoere  con  Adone  in  ciel  sen  vieno. 
A  cui  Mercurio  poi  quanto  contiene 
Il  maggior  mondo  in  piccol  mondo  addita. 


Musa,  tu  che  del  dei  per  torti  calli 
Infaticabilmente  il  corso  roti, 
E  mentre  de'  volubili  crìsUIli 
Qual  veloce  e  qual  pigro  accordi  1  moti, 
Con  armonico  piede  in  lieti  balli 
I>ell' Olimpo  stellante  il  suol  percoli, 
Onde  di  quel  concento  il  suon  si  forma. 
Che  è  del  nostro  cantar  misura  e  norma; 

Tu,  divina  virtù,  mente  immortale. 
Scorgi  l'audace  ingegno,  Urania  saggia. 
Che  oltre  i  propri  confin  si  leva  e  sale 
A  spaziar  per  la  celeste  piaggia. 
Aura  di  tuo  favor  mi  regga  l'ale 
Per  si  alto  sentier  sicch'  io  non  caggia. 
Movi  la  penna  mia,  tu  che  11  ciel  movi, 
E  detta  a  novo  stll  concetti  novi. 


Tifi  prlmier  per  l' acque  alzò  l' antenne. 
Con  la  cetra  sotterra  Orfeo  discese. 
Spiegò  per  l'aure  I>edalo  le  penne. 
Prometeo  al  cerchio  ardente  11  volo  stese. 
Ben  conforme  all'  ardir  la  pena  venne 
Per  cosi  stolte  e  temerarie  imprese. 
Ma  più  troppo  ha  di  rischio  e  di  spavento 
La  strada  inaccessibile  eh'  io  tento. 

Tento  insolite  vie,  dal  nostro  senso 
E  dal  nostro  intelletto  assai  lontane. 
Onde  qualor  di  sollevarvi  io  penso 
0 di  questo,  o  di  quel  le  voglie  insane; 
Quasi  debil  potenza  a  lume  Immenso, 
Che  abbacinata  in  cecità  rimane,        [pò 
L' uno  abbagliato,  e  l' altro  infermo  ezop- 
Si  stanca  al  sommo  e  si  confonde  al  troppo. 


ADONE. 


161 


E  se  par,  che  noi  Tinca  e  noi  soTerchl 
L' infinito  splendor,  talTolta  aTviene, 
E  che  11  pensier  t1  poggi  e  che  ricerchi 
Del  non  trito  cinunln  le  vie  serene. 
Immaginando  quei  superni  cerchi, 
Non  sa,  se  non  trovar  forme  terrene. 

50  hen,  che  senxa  te  toccar  si  vieta    • 
A  al  tardo  carsor  sì  eccelsa  meta. 

Tu,  che  di  Beatrice  11  dotto  amante 
GU  rapisti  lassù  di  scanno  in  scanno, 
E  il  felice  scrittor,  che  d'Agramante 
Immortalò  Talta  mina  e  11  danno, 
Guidasti  si,  che  sul  destrier  volante 
Seppe  condunrl  11  paladin  britanno. 
Passar  per  grazia,  or  anco  a  me  concedi 
Del  tuo  gran  tempio  alle  scerete  sedi. 

Già  per  gli  ampj  del  elei  spazj  sereni 
Dinanzi  al  Sol  Lucifero  fuggiva, 
E  quei  scotendo  1  suoi  gemmati  freni 
L' uscio  purpureo  al  novo  giorno  apriva. 
Fendean  le  nebbie  a  guisa  di  baleni 
Anelando  1  destrier  di  fiamma  viva, 
E  vedeansi  pian  pian  nel  venir  loro 
Ceder  l'ombre  notturne  al  fiati  d' oro» 

Dalle  stalle  di  Cipro,  ove  si  pasce 
Gran  famiglia  d'auge!  semplici  e  molli, 
Sei  ne  scelse  In  tre  coppie  e  in  auree  fasce 
Ai  tlmon  del  bel  carro  Amor  legolli. 
Torcer  lor  vedi  Incontr'al  dì,  che  nasce. 
Le  vezzose  cervici  e  i  vaghi  colli, 
E  le  smaltate  e  colorite  gole 
Tutte  abbellirsi  e  variarsi  al  Sole. 

Vengon  gemendo,  e  con  giocondi  passi 
Movon  citati  al  bei  viaggio  il  piede, 
Al  bei  viaggio,  ove  apprestando  vassi 
Venere  con  colui  che  il  cor  le  diede. 
Al  governo  del  fren  Mercurio  stassi, 
E  del  corso  sublime  arbitro  siede; 
Sovra  la  princIpal  poppa  lunata 
Posa  la  beila  coppia  innamorata. 

Sdolser  d'un  lancio  le  colombe  a  volo 
Legate  al  giogo  d'or,  l'ali  d' argento. 

51  aprirò  i  cieli  e  serenossi  11  polo, 
Sparver  le  nubi  ed  acqiietossi  il  vento. 
DI  canori  augelletti  un  lungo  stuolo 
Le  secondò  con  musico  concento, 

E  sparser  mille  passere  lascive 
Di  garriti  d'amor  vod  festive. 


Qneile  innocenti  e  candide  augellette. 
Da' cui  rostri  si  apprende  amore  e  pace. 
Non  temon  già,  d*  amor  ministre  elette, 
Lo  smerlo  Ingordo,  o  11  peregrio  rapace. 
Con  lor  l'aquila  scherza,  altre  saette 
Nel  cor,  che  nell*  arti|lÌo  aver  le  place. 

I  più  fieri  dintorno  augel  grifagni 
Son  di  nemici  lor  fatti  compagni. 

Precorre,  e  segue  il  carro  ampia  falange 
(Parte  il  circonda)  di  valletti  arcieri. 
Ed  altri  a  consolar  l' Alba  che  piange. 
Col  venir  delia  Dea  volan  leggieri. 
Altri  al  Sol,  che  rotando  esce  di  Gange, 
Perchè  sgombri  la  via,  van  messaggierl. 
Ciascuno  11  primo  alle  fugaci  stelle 
Procura  di  annunziar  l'alte  novelle. 

0  fu,  che  in  novo  e  disusato  modo 
Saggia  scorta  mi  guidi  a  quel  gran  regno, 
Disse  a  Mercurio  Adone,  ove  non  odo. 
Che  altri  di  pervenir  fusse  mai  degno, 
Pria  eh'  io  giunga  lassù,  solvimi  un  nodo. 
Che  forte  implica  II  mio  dubbioso  inge- 
È  fors'  egli  corporeo  ancora  il  cielo  [gno, 
Poiché  può  ricettar  corporeo  velo? 

Se  corpo  ha  il  ciel,dunque  materia  tiene, 
Se  egli  è  material,  dunque  è  composto  ; 
Se  composto  mei  dai,  ne  segue  bene 
Che  è  dei  contrari  alle  discordie  esposto  ; 
Se  soggiace  ai  contrari,  ancor  conviene 
Che  alla  corruzion  sia  sottoposto. 
Eppur  del  elei  parlando,  udito  ho  sempre, 
Ch'egli  abbia  incorrottlbill  le  tempre. 

Tace,  e  in  tal  suono  ai  detti  apre  la  via 

II  dotto  timonicr  del  carro  aurato  : 
Negar  non  vo',  che  corpo  il  ciel  non  sia 
Di  palpabii  materia  edificato, 

Cile  far  col  moto  suo  quell'armonia 
Non  potrebbe,  ch'el  fa,  mentre  è  girato. 
É  tutto  corporal  ciò  che  si  move,  [il  dove. 
E  ciò  che  ha,  li  qual  e  li  quanto,  il  donde  e 

Ma  sappi,  che  non  sempre  è  da  Natura 
La  materia  a  tal  fin  temprata  e  mista, 
Perciiè  abbia  a  generar  cotal  mistura. 
Quel  che  perde  mutando  in  quel  che  acqui- 
Ma  perchè  quantità  prenda  e  figura,  [sta  ; 
E  del  corpo  alla  forma  ella  sussista  ; 
Né  di  material  quanto  è  prodotto 
Dee  necessariamente  esser  corrotto. 


J62 


MARINA 


Malaria  dar  questa  materia  suole 
Al  discorso  mortai,  cbe  soveaie  erra. 
Chi  fabbricata  la  celeste  mole 
Di  foco  e  fumo  tien,  obi  d*  aoqua  e  terra. 
Se  arrìvassero  al  ver  ai  fatte  fole. 
Sarebbe  quivi  una  perpetua  guerra. 
Così  di  quel  cbe  V  uom  nou  sa  vedere. 
Favoleggiando  va  miUe  ctaimere. 

La  materia  del  ciel,  sebbeu  sublima 
Sovra  l' altre  il  suo  grado  iu  eminenza. 
Non  però  dalla  vostra  altra  si  stima; 
Nulla  tra  gr  individui  lia  differcnaa. 
Ogni  materia  parte  è  della  prima, 
Sol  la  forma  si  varia  e  noa  l' essenza. 
Varietà  tra  le  sue  parti  appare. 
Secondo  cbe  elle  sou  più  dense,  o  rare. 

Bastiti  di  saper,  cbe  peregrina 
Inqiressione  in  sé  mai  non  riceva 
La  perfetta  natura  adamantina 
Di  quel  corpo  lassù  Jubrico  e  lieve. 
Paragonarsi  (ancorcbè  pura  e  fina) 
Qualttdi  d*  elemento  a  lei  non  deve. 
Un  fiore  scelto,  una  sostanza  quinta, 
Da  cui  di  pregio  ogni  materia  è  vinta. 

La  sua  figura  è  circolare  e  tonda. 
Periferia  continua,  e  senza  punto. 
Termin  non  ba,  ma  aipazio  egual  circonda; 
Il  principio  col  fin  sempre  bacoagbmlo. 
Linea,  cbeappien  d'ogni  ecccUenza  al»- 
Alla  divinità  simile  appunto,        [bonda, 
E  la  divina  Eterni  tade  imita. 
Perpetua,  iiidÀssoluiMle,  infinita. 

Or  a  questa  del  ciel  materia  eterna 
L'anima,  cbe  l'informa,  è  sempre  unita. 
Questa  è  quella  virtù  santa  e  superna. 
Spirto,  cbe  le  dà  moto  e  le  dà  vita. 
Senza  lei,  cbe  la  volge  e  la  governa, 
Fora  sua  nobiltà  troppo  avvilita. 
Miglior  foran  del  ciel  le  pietre  istesse, 
Se  la  forma  motrice  ei  non  avesse;. 

Questa  con  lena  ognor  possente  e  franca 
Della  macchina  sua  reggendo  il  pondo, 
Le  rote  mai  di  moderar  non  manca 
Di  quel  grand' orinol,  cbe  gira  a  tondo. 
Per  questa  in  guisa  tal,  che  non  ai  stanca. 
L'organo  immenso,  onde  tia  misiin  H 
Con  sonora  vertigine  ai  volve,  [mondo, 
Né  si  discorda  mai,  aè  si  dissolve. 


'      Cosi  diflea  di  Giove  il 
Né  lasoiava  d'andar,  pcvch'ei  pBSÌBwr 
De' campi  intanto,  ov'haGtenonelmpem, 
Lasciate  avea  le  regioo  pin  haaae, 
E  già  verso  U  piéotftivoa  più  h 
Elemento  drizzava  il  lodd'; 
La  cui  sfera  immortai  mai  sempre  aacett 
Passò  sensa  periglio  e  senza  ofieat. 

Varcalo  il  pnns  ed  innocente  fisco, 
Cile  alla  gettda  Dea  la  faccia  airings, 
L'etra  sormonta,  «d  a  più  aobU looo 
Già  presso  al  primo  del  prende  la 
E  il  suo  corpo  InooBtraBdo  a  poco 
Cbe  par  specchio  ben  terso  « 
In  queste  note  il  favellar  ^Istiafne 
li  maestro  dell'arti  e  delie  Iin«ne  : 

Adon,  so  che  saper  di  questo  gira 
Brami  i  secreti,  ove  sbm  qnasi  s'aeri, 
Con  tanta  atsenzion  mirar  li  mAro 
Nel  vollo  della  Dea,  madre  dei  mori; 
Che  aebben  tu  mi  taci  il  tao  deshm^ 
E  la  dimanda  tua  non  mi  palesi. 
Ti  veggio  in  frooSe  o^l  pensior 
Più  che  se  per  parlar  fosse  dlotinito. 


Questo,  acuì  slam  vicini,  è  della! 
L'  orbe,che  imbianca  il  ciel  con  suoi  spioft- 
Candida  guida  della  Noue  bruna,    [4orl| 
Occliio  de' ciechi  e  tenebrosi  orrori. 
Genera  le  rugiade,  i  nembi  aduna. 
Ed  è  ministra  de' fecondi  umori. 
Dagli  altrui  raggi  illuminata  splende. 
Dal  Sol  toglie  la  luce,  al  Sol  la  rende. 

Di  questo  corpo  la  grandezza  \'era^ 
Minor  sempre  è  del  Sol,  nèmai  l'adombra, 
Cbe  delia  terra  a  misurarla  intera 
La  trentesima  parte  appena  ingombra. 
Ma  se  s'accosta  alla  terrena  sCera,   [bra, 
Egual  gli  sembra,  e  gli  può  far  qualch'on^ 
Sol  per  un  sol  momento  allorsi  vede 
Vincer  il  Sol,  d'ogni  altro  tempo  cede. 

Ha  varie  forme,  e  molti  aspetti  o  molti, 
Or  è  tonda,  or  bicorne,  or  piena,  or  scornai 
E  sempre  tien  nel  Sol  gli  occhi  rìvoUl, 
Cbe  la  peroote  dalla  parte  estrema. 
Onde  semprealmen  può  l' un  de'  due  volri 
Partecipar  di  sua  lieità  suprenuu 
Fa  ciascun  mese  il  suo  periodo  kitero, 
E  circondando  il  del,  cangia  emiqpoKU 


L'ABONG. 


163 


1  a  voi  più  dw  gU  «Ufi  or- 
Suol  soprai  Tostfi  corpi  aver  gran  fona,  [bi 
Jtama  è  de' tenti,  e  Aea  di  inall« norM, 
Ella  sol  gli  prodnee,  ella  gli  aansorta. 
Quanlo,«  padre  Oeean,  nel  grembo  assor- 
Quanto  la  te  vive  sotto  dura  teoria,  [lil, 
E  il  noto  istcnt  taocaagiande  usanca 
Altera  al  atte»  tno  stalo  e  sem^Umaa. 

ft friuioc il  Éor,  la  pianta  e  la  radloe, 
11  mare,  il  fome,  iltoaM  e  Tonda  e  11  pe- 
PrcDdoa  da  questa  ogni  \\nk  notriee,  [wt, 
E  H  moto  aaeor,  qvaad*  ella  manca  o  ere- 
fio!  cerebro  ella  è  sol  goveniatrice,  [see. 
Di  qnamo  il  ventre  chiude  e  quanto  n'e- 
E  tutto  ci6,  che  in  tè  parte  ritiene  [tee, 
ir  BBida  ifoalità,  eon  lei  eoaviene. 

Oata,  BOB  dieo  tol  Satnroo,  o  Gioire 
DM  BM»do  iaferior  propina,  o  fella, 
Ma  qnal  altra  o  che  posa,  o  che  si  move, 
StaUl  non  versa,  o  vagalMBda  stella. 
Che  BOB  patri  per  lei  :  quante  il  dd  piove 
lainenae  iagglb,  teendon  per  qudla. 
Per  quella  chiara  laa^iada  d' argento, 
Che  è  deironfaftt antturBe altoamaoiento. 

Cadete  awlea,  che  gM  B  bel  sembiante 
CoUtritn  e  disposto  fai  boono  aspetto, 
Anemchè  variabile  e  vagante, 
Partorisee  talor  fdioe  cCRetco. 
Ma  Fortuna  non  mal,  fnor  die  ineottanle. 
Speri  chinaqne  a  lei  nasce  soggetto, 
Qm  eoo  perpetuo  ernor  Ha  che  lo  splaga 
Faor  di  patria  a  nwoar  vita  ramiaga. 

€oB  più  dilato  ancor  hmes  sermoac 
Il  Meo  dtvin  voiea  seguire. 
Quando  a  messo  il  discorso  II  bd  garsoae 
La  favella  fl^i  traaoa  e  prende  a  dire  : 
D* naa  eosa  a  spiar  Palta  cagione 
Caldo  ari  move  e  feniido  desire. 
Cosa,  che  da  die  pria  rocchio  la  scorte. 
Sempre  ha  la  aeafee  mia  tenuu  In  forse. 


DTalcBBe  ombrose  nuicchie  fanpreasa  io 
Della  triforme  Dea  la  guancia  para,  [veggio 
Dimmi  fl  perchè;  tra  mille  dubb}  oadeg- 
Né  so  trovarne  opialoB  secora.  [gfo, 
Qual  immoado  contagia,  lo  ti  richieggio, 
Di  hmtte  stampe  il  vago  volto  sseara? 
Cod  ragloaa,  e  1'  altro  uà*  altra  vdU 
La  parafai  rtpigiia,  e  dice  :  Ascolta. 


Poidiè  cotanto  addentro  intender  ^noi. 
Ai  bel  quesito  soddisfar  prometto. 
Ifo  di  dò  la  ragion  ti  dirà  poi 
L*  occhio  vie  meglio  assai ,  die  V  intdletto. 
Non  mancan  già  filosofl  tra  voi , 
Che  notato  hanno  in  lei  questo  difetto. 
Studia  clascm  d*  investigario  a  prova, 
Ma  chi  si  apponga  al  ver  raro  si  trova. 

Afferma  alam,  che  d*  altra  cosa  densa 
Sia  tra  Febo  e  Febea  corpo  framesso, 
La  qual  dello  splendor,  eh*  ei  le  dispensa. 
In  parte  ad  occupar  venga  il  reflesso. 
Il  che  se  fosse  por,  come  altri  pensa. 
Non  sempre  il  volto  suo  fora  l' Istesso, 
Né  sempre  la  vedrìa  chi  In  lei  si  aflisa 
In  tra  loco  macchiata,  e  d'  una  guisa. 

Havff  chi  crede,  che  per  esser  tanto 
Cinzia  vicina  agli  elementi  vostri. 
Della  natura  dementare  alquanto 
Coovlen  pur  die  partecipe  si  mostri. 
Cosi  la  gloria  Immacolata  e  il  vanto. 
Cerca  contaminar  de'  regni  nostri , 
Come  cosa  dd  del  sincera  e  schietta 
Possa  di  vii  mistura  essere  Infetta. 

Altri  vi  fu,  che  esser  qnd  globo  disse 
Qaasi  opaco  cristal,  che  il  piombo  hadle- 
E  che  col  suo  reverbero  venisse      [tro, 
V  ombra  ddle  montagne  a  farlo  tetro. 
Ma  qual  sì  terso  mai  fu,  che  ferisse 
Per  cotanta  distanza,  acchiio,  o  vetroY 
E  qnal  vasta  cerniera  in  specchio  giunge 
L' Iramagfaie  a  mirar  così  da  lunge? 

^   Egli  è  dunque  da  dir,  che  più  secreta 
Colà  s*  asconda,  ed  esplorata  invano 
Altra  cagion,  die  penetrar  si  vieta 
Air  ardimento  dell'  ingegno  umano. 
Or  io  ti  fo  saper,  che  quel  pianeta 
Non  è,  com'  altri  vuoi,  polito  e  piano, 
Ma  ne'  recesd  suoi  profondi  e  cupi 
Ha  non  men  che  la  terra  e  valile  rupi. 

La  superficie  sua  mal  conosdtita 
Dico,  che  è  par  come  la  terra  Istessa, 
Aspra,  Ineguale  e  tumida  e  scrignota. 
Concava  fai  parte,  in  parie  ancor  convessa. 
Quivi  veder  potrai  (  ma  la  vednU 
Noi  può  raSgurar,  se  non  s*  appretta  )  ^ 
Altri  mari ,  altri  fiumi  ed  altri  fonti, 
Città,  regni,  Provincie  e  piani  e  monti. 


164 


MARINO. 


E  questo  è  quel,  che  sa  laggiù  parere 
Nel  bel  viso  di  Trlvia  i  segni  foschi,  [dere 
Benché  altre  macchie,  che  or  non  puoi  ve- 
Vo'  che  entro  ancor  vi  scorga  e  vi  conoschi , 
Che  son  più  spesse  e  più  minute  e  nere, 
E  son  pur  scogli  e  colli  e  campi  e  boschi. 
Son  nel  più  puro  delle  bianche  gote, 
Ma  da  terra  affissarle  occhio  non  potè. 

Tempo  verrà,  che  senza  impedimento 
Queste  sue  note  ancor  fien  note  e  chiare, 
Mercè  di  un  ammirabile  stromento, 
Per  cui  ciò  che  è  lontan ,  vicino  appare; 
E  con  un  occhio  chiuso  e  1*  altro  intento 
Speculando  ciascun  Torbe  lunare. 
Scorciar  potrà  lunghissimi  Intervalli 
Per  un  picciol  cannone  e  due  cristalli. 

Del  telescopio  a  questa  etate  ignoto 
Per  te  Oa ,  Galileo ,  1*  opra  composta , 
L'opra,che  al  senso  altrui, benché  remoto 
Fatto  molto  maggior  V  oggetto  accosta. 
Tu  solo  osservator  d' ogni  suo  moto , 
E  di  qualunque  ha  in  lei  parte  nascosta, 
Potrai ,  senza  che  vel  nulla  le  chiuda , 
Novello  Endlmion ,  mirarla  ignuda. 

E  col  medesmo  occhiai  non  solo  in  lei 
Vedrai  dappresso  ogni  atomo  distinto , 
Ma  Giove  ancor  sotto  gii  auspicj  miei 
Scorgerai  d'altri  lumi  intorno  cinto , 
Onde  lassù  dell'Arno  1  Semidei 
Il  nome  lasceran  sculto  e  dipinto. 
Che  Giulio  a  Cosmo  ceda  allor  fla  giusto, 
E  dal  Medici  tuo  sia  vinto  Augusto. 

Aprendo  il  sen  dell'  Ocean  profondo , 
Ma  non  senza  periglio  e  senza  guerra , 
11  ligure  Argonauta  al  basso  mondo 
Scoprirà  novo  cielo ,  e  nova  terra. 
Tu  del  elei ,  non  del  mar  Tifi  secondo , 
Quanto  gira  spiando,  e  quanto  serra 
Senza  alcun  rischio ,  ad  ogni  gente  ascose 
Scoprirai  nove  luci  e  nove  cose. 

Ben  del  tu  molto  al  ciel,  che  ti  discopra 
L'invenzion  dell'organo  celeste, 
Ma  viepiù  il  cielo  alla  tua  nobil  opra. 
Che  le  bellezze  sue  fa  manifeste. 
Degna  é  l'immagin  tua,  che  sia  là  sopra 
Tra  1  lumi  accolta ,  onde  si  fregia  e  veste, 
E  delle  tue  lunette  il  vetro  frale 
Tra  gli  eterni  zafflr  resti  immortale. 


Non  prima  no ,  che  delle  stelle  Istease 
Estingua  il  cielo  1  luminosi  rat, 
Esser  dee  lo  splendor,  che  al  crin  ti  teast 
Onorata  corona ,  estinto  mai. 
Chiara  la  gloria  tua  vivrà  con  esse, 
E  tu  per  fama  in  lor  chiaro  vivrai , 
E  con  lingue  di  luce  ardenti  e  belle 
Favelleran  di  te  sempre  le  stelle. 

Non  avea  ben  quel  ragionar  fornito 
Il  secretarlo  de' celesti  Numi , 
Quando  il  carro  immortai  vide  salito 
Sovra  il  lume  minor  de' due  gran  lumi. 
Trovossi  Adone,  in  altro  mondo  uscito. 
In  altri  prati ,  In  altri  boschi  e  fiumL 
Quindi  arrivò  per  non  segnato  calle 
Presso  un  speco  riposto  in  chiusa  valle. 

Circonda  la  spelonca  erma  e  remota 
Verdeggiante  le  squame ,  angue  custode. 
Angue,  che  attorce  in  flessuosa  rota 
Sue  parti  estreme  e  sé  medesmo  rode. 
Donna  canuta  il  crln ,  crespa  la  gota. 
Del  cui  sembiante  il  del  s'allegra  e  gode. 
Dell'antro  venerabile  e  divino 
Siede  sul  limitare  adamantino. 

Pendonle  ognor  da  queste  membra  e 
Mille  pargoleggiando  alme  volanti,[queUe 
E  tutta  piena  Inlorno  è  di  mammelle. 
Onde  allattando  va  turba  d' infanti. 
Misurator  de* cieli  e  delle  stelle, 
E  cancellier  de'suol  decreti  santi. 
Le  leggi ,  al  cui  sol  cenno  il  tutto  vive , 
Ne' gran  fasti  del  Fato  un  veglio  scrive. 

Calvo  é  il  veglio  e  rugoso,  e  spande  al 
Della  barba  prolissa  il  bianco  pelo,  [petto 
Severo  in  vista  e  di  robusto  aspetto , 
E  grande  si ,  che  quasi  adombra  11  cielo. 
È  tutto  ignudo  e  senza  vesta,  eccetto 
Quanto  il  ricopre  un  varlabil  velo. 
Agii  sembra  nel  corso,  ha  1  pie  calzati, 
Ed  a  guisa  di  augel ,  gli  omeri  alati. 

Tien  divisa  in  due  vetri  in  sulla  schiena 
Lucida  ampolla ,  onde  traspar  di  fore 
Sempre  agitata  e  prigioniera  arena, 
Nunzia  verace  delle  rapld'  ore. 
A  filo  a  filo  per  angusta  vena 
Trapassa  e  riede  al  suo  continuo  errore, 
E  mentre  ognor  si  volge  e  sorge  e  cade , 
Segna  gli  spazj  dell'  umana  etade. 


L'ADONE. 


Di  serri  e  serre,  ad  ubbidirgli  avvezza 
Moltitudine  intorno  ba  reverente. 
Di  quella  maestà,  che  il  tutto  q>rezza, 
Provvida  esecutrice  e  diligente. 
Mostrava  Adon  desio  d*aver  contezza 
Qnal  si  fusse  quel  loco  e  quella  gente  ; 
Onde  cosi  di  quei  secreti  immensi 
n  suo  oonducitor  gli  aperse  i  sensi. 

Sacra  a  colei,  che  gli  ordini  fatali 
Ministra  ai  mondo,èqoesu  grotta  annosa. 
Non  solo  impenetrabile  al  mortali, 
Agli  occhi  umani  ed  alle  menti  ascosa , 
Sicché  alzarvi  giammai  la  vista,  oTali 
Intelletto  non  può,  sguardo  non  osa  ; 
Ma  gì'  Interni  recessi  anco  di  lei 
Quasi  appena  spiar  sanno  gli  Del. 

Natura  unlversal  madre  feconda 
È  la  donna ,  che  assisa  Ivi  si  mostra. 
In  quella  cava  ha  sua  magion  profonda , 
Occulto  albergo  e  solitaria  chiostra. 
Giusto  è,  che  ognun  di  voi  le  corrisponda, 
Vuoisi  onorar  qua!  genitrice  vostra  ; 
E  ben  le  devi  tu ,  come  creato     [grato. 
Più  bel  d'ogni  altro.  Adone,  esser  più 

Qoell'uom  antico  ch'alle  spaile  hai  vanni, 
È  quei ,  che  ogni  mortai  cosa  consuma , 
Domator  di  monarchi  e  di  tiranni. 
Con  cui  non  è  chi  contrastar  presuma. 
Parlo  del  Tempo  dlspensier  degli  anni , 
Che  scorre  il  elei  con  sì  spedita  piuma , 
E  si  presto  sen  fugge  e  si  leggiero, 
Che  è  tardo  a  seguitarlo  anco  il  pensiero. 

Con  r  ali,  che  si  grandi  ha  sulle  terga , 
Vola  tanto  che  il  Sol  l' adegua  appena. 
Sola  però  l'Eterniti,  che  alberga 
Sovra  le  stelle ,  il  giunge  e  l'incatena. 
La  penna  ancor,  che  dotte  carte  verga, 
Passa  il  suo  volo,  e  11  suo  furore  affrena. 
Così  (chi  il  crederebbe?)  un  fragll  foglio 
Può  di  chi  tutto  può  vincer  l' orgoglio. 

DI  duro  acciaio  ha  temperati  I  denti , 
Infrangibili ,  eterni ,  adamantini. 
Delie  torri  superbe  ed  eminenti 
Rode  e  rompe  con  questi  1  sassi  alpini  ; 
Del  gran  teatri  i  porfidi  lucenti , 
Degli  eccelsi  colossi  i  marmi  fini. 
Divorator  del  tutto,  alfin  risolve 
Le  pMt  sald«  materie  in  trita  polve. 


165 


DI  sua  forma  non  so  se  t*  accorgesti , 
Che  non  è  mal  l'istessa  alla  veduta. 
Faccia  ed  età  di  tre  maniere  ha  questi , 
L'acerba ,  la  virile  e  la  canuta. 
Tu  vedi  ben ,  come  sembiante  e  gesti 
Varia  sovente  e  d'or  in  or  si  muta. 
L'effigie,  che  pur  or  n'offerse  Innanzi, 
Altra  ne  sembra ,  e  non  è  più  qual  dianal. 

Vedigli  assiso  ai  piedi  un  potentato. 
Da  cui  tutte  le  cose  han  vita  e  morte , 
Con  un  gran  libro ,  le  cui  carte  è  dato 
Volger  (com'ella  vuol)  solo  alla  Sorte. 
A  questo  Nume,  che  si  appella  Fato, 
Detta  quant'el  determina  In  sua  corte. 
Quegli  lo  scrive,  ed  ordina  al  governo. 
Primavera  ed  autunno ,  estate  e  inverno. 

Comandan  questi  al  secolo  e  palese 
Gli  fan  ciò  che  far  dee  di  punto  In  punto. 
Il  sccol  poi  che  ha  le  sue  voglie  intese , 
Al  lustro  impon  che  l' eseguisca  appunto. 
Il  lustro  all' anno,  e  l'anno  al  mese,  II  mese 
Al  giorno^ll  giorno  airora,e  l'ora  al  punto. 
Così  dlspon  gii  affari ,  e  con  tal  legge 
Signoreggia  I  mortali  e  il  mondo  regge. 

Vedi  que'duo,i'un  giovinetto  adomo. 
Candido  e  biondo  e  con  serene  ciglia. 
L'altra  femmina  ebruna,e  vanno  intorno, 
E  si  tengono  in  mezzo  una  lor  figlia. 
Son  color,  se  noi  sai,  la  Notte  e  11  Giorno, 
E  l'Aurora  è  tra  lor  bianca  e  vermiglia. 
Or  mira  quelle  tre ,  che  tutto  han  pieno 
DI  gomitoli  d'accia  11  lembo  e  11  seno. 

Quelle  le  Parche  son ,  per  cui  laggiuso 
È  filata  la  vita  a  tutti  voi. 
Nel  suo  volto  guardar  sempre  han  per  uso, 
Tutte  dipendon  sol  dai  cenni  suoi. 
Quella  tien  la  conocchia  e  questa  il  fuso, 
L'altra  torce  lo  stame  e  II  tronca  poi. 
Vedi  la  Verità  figlia  del  vecchio ,    [chio. 
Che  innanzi  agli  occhi  gli  sostien  lo  spec- 

Quanto  In  terra  si  fa,  là  dentro  el  mira, 
E  dell'altrui  follie  nota  gli  esempi. 
Vede  l' umana  ambizion  che  aspira 
In  mille  modi  a  fargli  oltraggi  e  scempi. 
Crede  fiaccargli  alcun  la  forza  e  l' Ira 
Ergendo  statue  e  fabbricando  tempi. 
Altri  contro  gii  drizza  archi  e  trofei , 
Piramidi,  obelischi  e  mausolei. 


166 


BiAUMO. 


Ride  egli  allora  ,  e  si  sei  prende  a  gioeo,  | 
Scorgendo  quanto  Tuom  s'inganna  ed  erra 
E  poiché  in  piedi  ha  pur  tenute  un  poco 
Quelle  macchine  altere  ^  alfin  le  atterra. 
Dalle  in  preda  deli*  acqua ,  ovver  deifeco. 
Or  le  dona  alla  peste ,  ora  alla  guerra* 
Le  sparge  in  fumo  in  quella  guisa  oin  que- 
Sicché  vestigioalcun  non  ve  ne  resta,  [sta 

E  di  ci6  la  ministra  èsoiquell'  una. 
Che  è  deca  e  d' un  deliin  sui  dorso  siede, 
CalTa  da  tergo  e  il  crine  in  fronte  aduna. 
Alata  e  tien  sovra  una  palla  il  piede« 
Guarda  se  la  conosci,  è  la  Fortuna, 
Che  al  paterno  terreu  passar  ti  diede. 
Mira  quanti  tesor  dissipa  al  vento, 
Mitre,  scettri,  corone ,  oro  ed  argento. 

Quattro  donne  reali  a  pie  le  miri, 
E  son  le  monarchie  deli'  universo. 
D' or  coronata  è  quella  degli  Assiri, 
D*  argento  1*  altra,  che  ha  V  impero  perso  ; 
La  Grecia  appresso  con  men  ricchi  giri 
Porta  cerchiato  il  crin  di  rame  terso. 
L' ultima,  che  di  ferro  orna  la  cliioma, 
È  la  guerriera  e  bellicosa  Roma. 

Ma  ciò  che  vai,  se  il  tutto  è  un  sogno  bre- 
Stolto  colui,  che  in  vanità  si  fida,    [ve? 
Dritto  è  ben, che  d' un  ben,  che  perir  deve, 
L' un  filosofo  pianga  e  l' altro  rida. 
Sola  virtù  del  Tempo  avaro  e  lieve 
Può  V  ingorda  sprezzar  rabbia  omicida. 
Tutto  li  resto  il  crudel,  mentre  che  fugge, 
E  rapace  e  vorace,  invola  e  strugge. 

Guarda  suli'  uscio  pur  della  caverna, 
E  vedrai  due  gran  donne  assise  quivi, 
E  quinci  e  quindi  dalla  foce  in  tema», 
Di  qualità  contraria  uscir  duo  rivi. 
Siede  l' una  da  destra  e  luce  eterna 
Le  fregia  il  volto  di  bei  raggi  vivi, 
Ridente  in  vista  e  di  un  aspetto  santo. 
In  maa  lo  scettro  ed  ha  stellato  il  manto. 

È  la  Felicità,  de'  cui  vestigi 
Cerca  ciascun,  né  sa  trovar  la  traccia. 
Ma  da  larve  deluso  e  da  prestigi 
Di  quella  iav«ce,  la  Biiseria  abbraccia^ 
Stanno  molte  donzelle  a'  suoi  servigi , 
D' ocdiio  giocondo  e  di  piacevol  faccia^, 
Vita,  abl)ondanza,  e  bea  contente  e  liete 
Festa,  gioia,  allegria,  pace  a  quiete^ 


Liiago  HaaaptècaslbBipld' ondaevlfa 
Mormorando  sen  va  soafcaente. 
li  destro  iuaited,  da  cui  àtriva. 
Di  letizia  immMrtal  vena  conrcate. 
Ella  un  laaibicco  la  man  sovra  la  rifs 
Colmo  dell'  acqua  tien  di  quel  torfcttta, 
E  (come  vedi  ben)  fuor  éella  boote 
In  terra  le  dlsiUiaa  gooda ai 


A  poco  a  poco  isgiè  Tersa  il  dilcttov 
Perdiè  altri  noa  pad  forno  intieroacipilsto. 
Scarso  è  1'  mbmo  conforto  ed  tfl^>effett•, 
E  qualche  parte  insè  seaipre  ha  #  irisloi 
Quelbeaciie  qui  nd  dei  èpwoetdiietlo. 
Piove  laggiù  eootaoiinailo  e  misto, 
Pcroccliè  pria  che  caggia,  el  si  coafoada 
Con  quell'altro niscdchf  aaiafe ha l'onée. 

L'altro  niscel,  che  mea  paryilooditeo 
Passa  da  manca,  è  lutto  di  veleoo^ 
Viepiù  che  fid,  viepiù  che  assenrio  lairfs 
E  sol  pianti  e  sciagure  accoglie  ia  atno. 
Vedi  cold,  che  il  vaso,  onde  volam 
Le  compagne  d*Astrea,  tolto  a'  In  ptaaos 
E  con  prodiga  mam  sovra  i  nonaii 
Sparge  quanti  mai  fur  malori  e  maH. 

Pandora  è  quella  ;  il  boMolo  di  Giove 
Folle  audacia  ad  aprir  le  persaase. 
Fuggì  lo  stuol  delle  Virtudi  altrove. 
Le  Disgrazie  reslaro  In  fondo  d  vaac. 
Sol  la  Speranza  ia  cima  all'  orlo,  doto 
Sempre  accompagna  i  miseri,  rianae  ; 
Ed  è  quella  colà  vestila  a  verde. 
Che  in dd  non  entra,eaell'eBtrar d  peida^ 

Or  vedi  come  fuor  deli'  aotpia  bocca 
Dell'  urna  rea,eheogni  difetto  aseoode,. 
In  larga  Tena  scaturisce  e  fiocca 
Il  sozzo  umor  di  quelle  perfld'  oo^ku 
Dell'altro  fiume, onde  piacer  trabocca. 
Questo  in  copia  maggior  1*  acqua  dift>nd& 
Percliè  in  quel  nido  di  tonoeati  e  gmi 
Sempre  l' amaro  è  più  che  II  dolce  i 


Vedi  Morte,  Penuria  e  Guerra  e  Pesta, 
Vecchiezza  e  Povertà  con  bassa  fronte. 
Pena,  Angoeda,  Fatica,  alDltte  e  meMB 
Figlie  appo  lei  d' Avemo  e  d' Acheroote. 
Ve'  r  empia  logratitudine  tra  qucaia. 
Prima  d'  ogni  altro  md  radice  e  ionie. 
E  tutte  uscito  son  del  laBOi  lamoodo 
i  Per  iiUiBataff,pcrinfotlafeiLnHMìdow 


L'ADONE. 


167 


NoaU  ■Mravigliar,dieUbiiiil  t  doglie 
In  quello  priBO  citi  biceian  dimoia. 
Perchè  la  Diva,  onde  tteno  voto ei  foglio, 
È  di  ogni  morlM»  e  di  ogni  mil  signora. 
In  lei  dominio  e  potestà  s' accoglie 
Kaofra  i  corpi  e  sof ra  V alme  ancora. 
Ma  se  di  ogni  bruttura  inii|ua  e  feUa 
Vuoi  la  schiuma  veder,  folgitl  a  quelia. 

Si  disse,  e  gli  mostre  mostro  diiibrme 
Con  orecchie  di  Mida  e  man  di  Cecco. 
Al  duol  Tolti  parca  Giano  bUorme, 
Alla  aresu  Piìapo,  ai  ventre  Bacco. 
La  gola  ai  lupo  avea  forma  confonne, 
ArtigU  avoa  d' arpia,  anne  di  ciacco. 
Era  iena  alla  voce  e  volpe  al  tratd, 
Scorpione  alla  coda  e  stania  agH  altK 


alla  guida  Adoa,  di  che  natura 
Fussa  Iwstf  a  si  strana,  e  di  che  sorte, 
Ed  ialese  da  lui,  che  era  figura 
Vera  od  idea  della  moderna  corte. 
Firtrato  orrendo  dell'  età  futura, 
FlageLdel mondo,  assai  peggior  che  Morte, 
Dell*  Ertami  infernali  aborto  espresso, 
Vomito  deif  tatfemo,  inferno  istesso. 

Ma  di  questa,  dlcea,  meglio  è  tacerne. 
Polche  ogni  pronto  stil  vi  fora  soppo. 
Ben  mille  lingue  e  mille  penne  eteme 
In  mia  vece  di  lei  parleran  troppo. 
Ifira  in  qnel  tribunal,  dove  si  sceme 
DI  gente  Intorno  adulatrice  un  groppo. 
Donna  con  torve  loci  e  lunghe  orecchie. 
Che  da' fianchi  si  tien  due  bratte  vecchie. 

L' Autorità  drannlca  dipigne 
Quella  saperba  e  barbara  sembiansa, 
E  l'assistenti  sue  sciocche  e  maligne 
Son  la  Soepiaione  e  l' Ignoransa.     [  gne. 
Labbra  lia  verdi  e  spumati  ci  e  man  sangui- 
Mostra  rigor,  furor,  fasto,  arroganza. 
Porgo  la  destra  ad  una  donna  ignuda, 
DI  cui  non  è  la  più  perversa  e  cruda. 

Questa  tutta  di  sdegno,  accesa  e  tinta, 
E  di  dispetto  e  di  fastidio  è  piena  ; 
E  da  turba  cnidel  tirata  e  spinta 
Giovinetta  gentil  dietro  si  mena, 
Che  Funa  el'  altra  mano  al  tergo  avvinta 
Poeta  di  dura  e  rigida  catena, 
aiBaiilU  n  viso  e  pallidetta  alquanto, 
Ed  ha  bianca  H  gonna  e  bianco  II  manto. 


La  Calunnia  («dei^che  al  trono  angusto 
Per  man  la  tregge  e  par  d*  astio  si  roda. 
Beila  la  fìiccia  ha  si,  ma  dietro  al  busto 
Le  si  attorce  di  serpe  orrida  coda. 
L' altra  condotta  nel  giudizio  ingiusto, 
A  cui  ie  braccia  Indegno  ferro  annoda, 
È  r  incorrotta  e  candida  Innocenza, 
Sovraffatta  talor  dall'  Insolenza. 

Il  Livor  l'è  dfncontra,  il  quale  approva 
La  felsa  accusa,  e  la  risguarda  in  torto. 
Aconito  inferoal  nel  petto  cova, 
E  di  squallido  bosso  ha  N  viso  smorto, 
Simile  ad  uom,  che  afflitto  ancor  si  trova 
Da  lungo  morbo,  onde  guari  di  corto. 
Coppia  d'ancelle  alla  Calunnia  applaude. 
Testimoni  malvagi.  Insidia  e  Fraudo. 

Segue  costoro  addotorata,  e  piange 
Di  tal  perfidia  II  torto  e  la  menzogna 
La  Penitenza,  che  si  affligge  ed  ange 
Presso  la  Verità,  che  la  rampogna. 
E  si  squarcia  la  vesta,  e  il  crin  si  frange, 
E  di  duci  si  dispera,  o  di  vergogna, 
E  col  ffagei  di  una  spinosa  verga 
Si  batte  li  corpo,  e  macera  le  terga. 

Oimè,  non  stiam  pia  qui,  lasciam  per  Dio 
Di  questi  mostri  abbominandi  il  nido. 
Tacqnesi,  e  lungo  un  tortuoso  rio 
Quindi  svinilo  il  saggio  duce  e  fido. 
D^  un'  oscura  isoletta  A  don  scoprio 
Non  molto  Innge,  ancor  incerto,  il  lido. 
L'aria  avea  d'ogn' Intorno  opaca  e  bruna 
Qual  fosca  notte  in  nubilosa  Luna. 

Giace  in  mezzo  d'un  fiume,  il  qual  si  roco 
Dilaga  1*  acque  sue  placide  e  chete, 
E  va  si  lento  e  mormora  si  poco. 
Che  provoca  In  altrui  sonno  e  quiete. 
Ecco,  Mercurio  allor  soggiunse.  Il  loco. 
Dove  discorro  il  sonnacchioso  Lete, 
Da  cui  la  verga  mia  forte  e  possente 
Prende  virtù  d*  addormentar  la  gente. 

L' isola  d*  ogni  parte  abbraccia  e  chiude, 
,  Come  scorger  ben  puoi,  l' onda  letale. 
Sembra  oziosa  e  Hvida  palude. 
Onde  caligin  densa  in  alto  sale. 
Vedi  quante  in  queir  acque  anime  ignudo 
Vanno  a  lavarsi  ed  a  tullhrvi  I*  ale 
Pria  che  le  copra  il  corrottibii  velo, 
Per  obbilar  ciò  che  han  veduto  in  cielo. 


10$ 


MARINO. 


Vedine  molte,  che  a  bagnar  le  pinne 
Vengon  pur  nelle  pigre  onde  infelici, 
E  perdon  pur  dentro  il  medesmo  fiume 
La  conoscenza  de*  cortesi  amici. 
Son  gr  ingrati  color  che  lian  per  costume 
Dimenticar  favori  e  benefici, 
E  scriyer  nelle  foglie  e  dare  ai  venti 
Gli  obblighi,  le  promesse  e  1  giuramenti. 

Altre  ne  vedi  ancor  quassù  dal  mondo 
Salire  ad  or  ad  or  macchiate  e  brutte. 
Le  quai  non  pur  di  quel  licore  immondo 
Corrono  a  ber,  ma  vi  s' immergon  tutte. 
Genti  son  quelle ,  che  da  basso  fondo 
Son  per  fortuna  ad  alto  grado  addutte. 
Dove  ciascun  divien  si  smemorato , 
Che  più  non  gli  sovvien  del  primo  stato. 

Oh  dei  terreni  onor  perfida  usanza , 
Con  cui  l'obblio  di  subito  si  beve. 
Onde  con  repentina  empia  mutanza 
Viensi  l'uomo  a  scordar  di  quanto  deve! 
E  non  solo  d*  altrui  la  rimembranza 
In  lui  s'offusca  e  si  smarrisce  in  breve. 
Ma  si  del  tutto  ogni  memoria  ha  spenta , 
Che  di  sé  stesso  pur  non  si  rammenta. 

Il  paese  dei  Sogni  è  questo,  a  cui 
Pervenuti  noi  siamo  a  roano  a  mano. 
Vedi  che  appunto  nei  sembianti  sui 
Simile  al  sogno ,  ha  non  so  che  del  vano , 
Che  apparisce  e  sparisce  agli  occhi  altrui, 
E  visibile  appena  è  di  lonuno. 
Qui  da  Giove  scacciato  ii  Sonno  nero, 
Contumace  del  elei,  fondò  l'impero. 

Ma  per  poter  varcar  V  onda  soave 
Sarà  buon ,  che  alcun  legno  or  si  prepari. 
Ed  ecco  allora  in  pargoletta  nave 
Strania  ciurma  apparir  di  marinari. 
Itatone  e  Tarassio  il  remo  grave , 
E  Plulocle  e  Morfeo  movean  dei  pari  ; 
Era  il  vecchio  Fantasio  11  galeotto. 
Al  mestier  del  timone  esperto  e  dotto. 

Presero  un  porto,  ove  d'elettro  puro, 
Airaugel  vigilante  un  tempio  è  sacro. 
Quindi  scolpito  sta  l' Èrebo  oscuro, 
Quinci  d' Ecate  l>ella  il  simulacro. 
In  suir  entrar,  pria  che  si  passi  al  muro, 
V*  ha  di  duo  fonti  un  gemino  lavacro  ; 
Che  fan  cadendo  un  mormorio  secreto; 
Pannicchia  è  detto  T  un ,  r  altro  Negreto. 


Fa  cerchio  alla  citti  selva  frondosa , 
Che  di  grato  ristoro  al  corpo  lasso. 
La  mandragora  stupida  e  gravosa, 
E  il  papavero  v'  ha  col  capo  basso. 
L'orso  tra  questi  languido  riposa, 
E  riposanvi  all'  ombra  il  ghiro  e  il  tasso. 
Né  d'abitar  quei  rami  osano  augelli , 
Fuor  che  nottole  e  gufi  e  pipistrelli. 

D' un  irl  a  più  color  case  e  contrade 
Stansl  tra  lumi  tenebrosi  occulte. 
Quattro  porte  maestre  ha  la  cittade , 
Due  di  terra  e  di  ferro  incise  e  scuUe , 
Le  quai  rispondon  per  diritte  strade 
Della  Pigrizia  alle  campagne  inculte; 
E  per  queste  sovente  o  falsi ,  o  veri 
Escono  i  sogni  spaventosi  e  fieri. 

Dell'altre  due  ciascuna  il  fiume  guarda, 
L' una  é  d*  avorio  e  si  disserra  allora, 
Ch'é  nel  suo  centro  la  stagion  più  tarda. 
L'altra  di  corno  e  s'apre  in  sull'  aurora. 
Per  quel  la  a  schernir  l'uom  turba  bugiarda 
D'ingannatrici  immagini  vien  fora. 
Da  questa  soglion  trar  l'anime  vaghe 
Visioni  del  ver  spesso  presaghe. 

La  bella  coppia  entrò  per  l'usdo  ebumo, 
E  fur  quell'ombre  da' suoi  raggi  rotte. 
11  suo  palagio  ombroso  e  taciturno 
Nella  piazza  maggior  tenea  la  Notte. 
Dall'altra  parte  di  vapor  notturno 
Velato  e  chiuso  tra  profonde  grotte 
L'albergo  ancor  del  Sonno  si  vedea. 
Che  sovra  un  letto  d'ebano  giacca. 

Oh  di  quante  fantastiche  bugie 
Mostruose  apparenze  intomo  vanno! 
Sogni  schivi  del  Sol,  nemici  al  die. 
Fabbri  d' illusion,  padri  d' Inganno. 
Minotauri,  Centauri ,  Idre  ed  Arpie, 
E  Gcrioni  e  Briarel  vi  stanno. 
Chi  Sirena,  chi  Sfinge  al  corpo  sembra. 
Chi  di  Ciclopo  e  chi  di  Fauno  iia  membra. 

Chi  par  bertuccia  ed  é  quai  bue  cornuto. 
Chi  tutto  é  capo  e  il  capo  poi  sena*  occhi. 
Altri  han  com'hanno  1  mergi  il  l>ecco  acuto. 
Altri  la  barba  a  guisa  degli  alocchi. 
Altri  con  faccia  umana  é  si  orecchiuto , 
Cile  convien  eh'  ogni  orecchia  il  terren  toc- 
Altri  ha  pie  d'oca  e  di  falcone  artiglio,  [cbL 
L' occhio  nel  ventre  e  nel  bellico  il  ciglio. 


L'ADONE. 


I(» 


Vedresti  effigie  angelica  e  sembiante , 
Poi  si  termina  il  piede  in  piedistallo. 
Visi  di  can  con  trombe  d'elefante. 
Colli  di  gru  con  teste  di  cavallo, 
Busti  di  nano  e  braccia  di  gigante , 
Ali  di  parpaglion ,  creste  di  gallo  ; 
Con  code  di  pafoa  grifi  e  pegasi , 
Fusi  per  gambe  e  pifferi  per  nasi. 

Alcun  di  ior,  quasi  spalmato  legno , 
Vola  a  vela  per  1*  aure  e  scorre  a  nuoto , 
Ma  di  due  rote  ha  sotto  un  altro  ingegno , 
Onde  corre  qoal  carro  e  varia  moto. 
Con  un  mantice  alcun  di  vento  pregno 
Gonfia  e  sgonfia  sofliando  il  corpo  voto , 
E  tanti  fiati  accumula  nell'epa, 
Cbe  come  rospo  ai  fin  ne  scoppia  e  crepa. 

E  questi  ed  altri  ancor  più  contrafatti 
Ve  n'  ila,  piccioli  e  grandi,  interi  e  mozzi. 
Quasi  vive  grottesche,  o  spirti  astratti, 
Sclierxi  dttl  caso  e  del  pensiero  abbozzi. 
Palle  alle  spoglie ,  alle  fattezze ,  agli  atU 
Son  lieti  e  vaghi  e  parte  immondi  e  sozzi. 
Molti  al  gesto,  al  vestir  vili  e  plebei, 
MolU  di  regi  in  abito  e  di  Dei. 

Tra  gli  altri  Adon  vi  riconobt>e  quello. 
Che  in  Qpro  già,  quand'el  tra'fior  dormiva 
Rappresentogli  II  simulacro  bello 
Della  sua  bella  ed  amorosa  Diva. 
E  già  quel  pigro  e  luslngliler  drappello 
Dietro  alla  Notte,  cbe  volando  usciva. 
Gli  s'accostava  in  millo  forme  intorno 
Per  gravargli  le  ciglia ,  o  torgii  il  giorno. 

Ma  il  suo  dottor  si  se  n'  accorse  e  presto 
Gli  fé*  le  luci  alzar  stupide  e  basse. 
Vener  sorrìse  ed  ei  poscia  che  desto 
L'ebbe,  non  volse  più  che  ivi  indugiasse, 
Ma  mostrandogli  a  dito  or  quello ,  or  que- 
Air  altra  riva  un'  altra  volta  il  trasse,  [sto. 
Dimandatalo  Adon  dì  molte  cose. 
Ed  a  molte  dimande  egli  rispose. 

E  giunta  a  mezzo  di  suo  corso  omai 
L' umida  Notte  aU'  Occaii  scendea , 
E  con  tremanti  e  pallldeltl  ral 
Più  d' un  lume  dal  ciel  seco  cadoa. 
Cinto  di  folte  stelie  e  più  cbe  mai 
Chiaro  il  pianeu  inargentato  ardea , 
Vagheggiandorcon  occhio  intento  e  vago 
In  fresca  valle  addormentato  il  vago. 


Deh  perdonimi  il  ver,  se  altrui  par  forse, 
Ch*  io  qui  del  del  la  dlgnitate  offenda , 
Poiché  laddove  Tempo  unqua  non  corse, 
L'ore  non  spiegan  mai  notturna  benda. 
Faccini ,  perchè  cosi  quel  che  non  scorse 
Il  senso  mal ,  1*  intendimento  Intenda  « 
Non  sapendo  trovar  fuor  di  natura 
Agli  spazj  celesti  altra  misura. 

In  questo  meno  il  condottier  superao 
Le  sei  vaghe  corsiere  al  éarro  aggiunse. 
Fece  entrarvi  gli  amanti  ed  al  governo 
Assiso  poly  ver  l'altro  ciel  le' punse ,^ 
Ed  al  bel  tetto  del  suo  albergo  eterno. 
In  poche  ore  rotando ,  appresso  giunse. 
Intanto  il  parlalor  facondo  e  saggio 
La  noia  alieggeria  del  gran  viaggio. 


Eccoci ,  gli  diceva ,  eceocl  a  vista 
Della  mia  stella,  cbe  più  su  si  gira , 
Candida  no ,  ma  variata  e  mista 
Di  un  tal  li  vor,  che  al  pÌomt>o  alquanto  tira  ; 
Picciola  si ,  cbe  quasi  appena  è  vista , 
E  talor  sembra  estinta  a  chi  la  mira, 
E  nelle  notti  più  serene  e  chiare 
Dell'  anno  sol  per  pochi  mesi  appare. 

Questo  gli  avvien  non  sol  perchè  minore 
Dell'altre  erranti  e  delle  fisse  è  molto, 
Ma  però  che  da  luce  assai  maggiore 
Gii  è  spesso  il  lume  ineccllssato  e  tolto. 
Sotto  i  raggi  del  Sole  li  suo  splendore 
Nasconde  si,  che  vi  riman  sepolto, 
E  tra  que' lampi,  onde  si  copre  e  vtla. 
Quasi  in  lucida  nebbia ,  altrui  si  cela. 

Ma  dall'  essere  al  Sol  tanto  vicina 
Maggior  forza  e  vigor  prende  sovente , 
Come  ancor  questa  del  tuo  cor  relna 
Per  l'islessa  cagione  è  più  possente. 
Seco  e  coi  Sole  in  compagnia  cammina, 
Seco  la  rota  sua  compie  egualmente. 
Benché  tra  noi  sia  gran  disuguaglianza , 
Che  assai  di  lume  e  di  i>eltà  mi  avanza. 

La  qualità  di  sua  natura  é  bene 
Mutabile,  volubile.  Inquieta. 
Si  varia  ognor,  né  mai  fermezza  tiene , 
Or  Infausta,  or  seconda,  or  trista,  or  lieta. 
Ma  quesU  tanta  in^tabiltà  le  viene 
Dalla  conglunzlon  d' altro  pianeta , 
Perch*  lo  son  tal,  cbe  negli  effetti  miei 
I  Buon  co' buoni  mi  mostro,  e  reo  eo*rei. 

8 


170 


MANNO. 


Masoon  per  la  virtù  di  queste  luce 
Laminosi  inteUetU ,  ingegni  acuti. 
Senno  altrui  dona  ed  nomini  produce 
Gnvtù  agli  affari  e  neil*  Industrie  astuti. 
¥age  desio  di  nuove  cose  induce , 
E  d*  Incognite  al  mondo  arti  e  virtuti. 
Per  lei  sol  chiaro  e  celebre  evenne 
Delle  lingue  lo  studio  e  delle  penne. 

S  quando  questa  tua  dolce  lumiera 
Vi  applica  il  raggio  suo  lieto  e  benigno. 
Quel  fortunato,  al  cui  natale  impera, 
Riesce  In  terra  il  pia  famoso  cigno. 
Cosilo  IHo  della  seconda  sfera 
Parla  al  vago  figUuol  del  re  Ciprigno, 
E  tattavla,  mentre  cosi  gli  conte 
Le  proprie  doti,  il  patrio  del  sormonu. 

Afean  r  aureo  timon  per  la  via  torta 
Driuano  già  le  mattutine  ancelle. 
Già  su  I  confln  della  dorata  porte 
GIMMO  era  il  Sole  e  fea  sparir  le  stelle  ; 
La  cui  leggiadra  messaggiera  e  scorte 
Sgoabrando  intanto  queste  nubi  e  quelle. 
Per  le  piagge  spargea  chiare  ed  ombrose 
DaHa  terra  e  del  del  rugiade  e  rose. 


Qamdo  vi  giunse  e  con  la  coppia  scese 
Som  le  soglie  dd  lucente  chiostro. 
Coma  fu  dentro  Adon,vide un  paese  [stro; 
Con  più  bel  giorno  e  pia  bel  del,  che  il  no- 
Pol  dietro  alle  sue  scorte  H  cammin  prese 
Per  un  ampio  sentier,  che  gli  fu  mostro; 
E  in  un  gran  pian  si  ritrovaro  adagio,      1 
Nd  cui  messo  sorgea  nobil  palagio. 

Pdagio,  che  al  modello,  alla  figura 
Quad  d'  anfiteatro  avea  sembianza. 
Ogni  edificio^  ogni  artifizio  oscura. 
Ogni  lavoro,  ogni  ricchezza  avanza. 
Viste  nel  primo  giro  hai  di  Natura, 
Dlise  ClBenio,  la  scerete  sterna. 
Or  ecco,  o  beir  Adon ,  sd  giuntoin  parte, 
Pove  r  albergo  ancor  vedrai  deU'  Arte. 

Dell'Arte  emnlasua  la  casa  è  questa. 
Eccola  là,  se  di  vederia  brami. 
DI  gemme  in  fil  tirate  è  la  sua  veste, 
IVapunte  di  ricchisdmi  ricami. 
Mira  di  che  bei  fregi  orna  la  testa. 
Come  r  intreccia  de*  più^erdi  rami. 
'Di  atromentl  e  di  macchine  ancor  vedi 
QimI  e  quanto  si  lien  cumulo  a'  piedi. 


Mira  penne  e  peHKHh,«  Alfa  qiAntl 
Vi  Ila  scarpelli  emarteHi^  amb  edloeiKll, 
Boiinl  e  ffaie,  cirdni  e  quadranti, 
Subbie  spole,  a«hi  e  lud  e  ^Mde  e  Aiiél. 
Cosi  diceagll  e  procedendo  avanti. 
La  gran  maestra  tfalasdè  noi  stadi, 
E  riverente  e  con  cortese  inchino 
UmiUossi  aimeaaaggier  divino. 

Dal  divin  messigglero  Mon  condutto 
La  porte  enurò  delia  celeste  mole. 
Di  diammite  ogni  muro  avea  costrutto. 
Che  lampeggiando  «Miarbagliava  II  Sole; 
E  r  immense  cortike  era  per  tutto 
intorniato  di  divd'se  scole, 
E  molte  donne  in  catttdra  wilMiti 
Vedeansi  quivi  amaMesifar  le  gentL 

Queste  d*  etete,  o  di  bellena  «guati. 
Mercurio  ripigliò,  \erginl  dette 
Sono  ancelle  dell'  Arte,  e  liberali. 
Perocché  r  oom  fan  libera,  «>n  deae. 
Fonti  Inesausti,  «racoll  iHmotteli 
Dd  saper  vero  e  non  som  pNl  die  sette. 
Fidate  guidesillustratHcl  sante 
Del  senso  cieco  e  deli'  ingegno  errante. 

Colei  eh'  è  prima  e  tien  In  man  le  chia\  i 
Ddla  sublime  e  spaziosa  ^Ofta, 
Di  tutte  le  aKre  facoltà  più  gravi 
Agli  anni  rozzi  è  fondamento  e  scorta. 
Qudia>  che  con  ragion  t)elle  e  soavi 
Loda,  biasma,  difende,  accusa,  esorta, 
È  la  dilette  mia,  chet)alia1)0cea 
Mentre  che  versa  11  md,  !*•  aariuo  aceicca. 

Ve'  r  altra  poi  con  la  faretra  alato. 
Sottile  arciera  a  saettere  intente, 
Cile  bene  acuti  ognor  dall'  arco  aurato 
Di  strali  invece  i  sillogismi  avvente. 
Passa  ogni  petto  d'  aspri  dubbj  armato, 
Nega,  prova,  conferma  ed  argemenu. 
Scioglie,  dichiara,  e  ddle  oose  vere 
Distingue  il  falso,  dfln  eonchiude  e  fere. 

Vedi  quell'  altre  ancor  quattro  donzelle 
Di  sembiante  e  di  volto  dqoanto  oscure. 
Tutte  d'  un  parto  sol  naoquer  gemette , 
E  iraltenped  e  mmieri  e  misure. 
L' una  contemplatricc  è  delle  scelte, 
E  suol  vattdnar  cose  future; 
Vedi  che  ha  in  man  la  sferas  e  dd  pianeti 
I  Si  dilette  di  espor  gli  aia  secreti. 


L'AMNE. 


171 


L*  altra,' che  eon  la  pertict  di^egBa 
E  triangoli  e  tondi  e  cttbl  e  ^adri, 
Gonlioeeepuati  UTerinostrand<siii9egna 
Righe  e  piombi  adoprar,  compassi  e  «({na- 
La  tcna  di  sua  man  figura  e  segna  {dri. 
Tadire  egregie  e  calcoli  leggiadri. 
Sottrae  la  aooima,  la  radice  trova, 
Moltiplica  il  partito,  e  fa  la  prova. 

Instrolsce  a  oompor  V  «Itima  suora 
fi  ftighe  e  pansé  e  sincope  e  battute , 
E  temprar  note  all'  armonia  sonora 
Or  lente  e  gravi,  or  rapide  ed  acute. 
Aitreve(teme  non  men  sagge  ancora 
Olire  queste  potrai  fin  qui  vedute, 
]lenebèlesette,ch'  io  t*  ho  eonte  emostre, 
Slen  le  prime  a  purgar  le  menti  vostre. 

Eccoahre  dne  sorelle,  e  del  Disegno, 
E  della  Simmetria  pregiate  figlie. 
L'  ima  con  bei  colori  in  tela,  o  in  legno 
Sa  di  nulla  formar  gran  meraviglie. 
L' altra,  che  neli'  industria  e  neil'  ingegno 
Non  ha  (trattane  lei)  chi  la  somigUe, 
Sa  dar  coi  (erro  al  sasso  anima  vera. 
Al  metallo,  allo  stucco  ed  alla  cera. 

Eccoti  ancol*  col  mappamondo  avante, 
E  con  la  carta  un'  altra  giovinetta, 
Che  scnprendo  i  paesi  e  quali  e  quante 
Regioni  ha  la  terra,  allrui  diletta. 
Sentente  poi  religiose  e  sante 
Damigella  celeste  altrove  detta. 
Di  Dio  discorre,  e  dell'  eterna  vita 
Ai  discepoli  suoi  la  strada  addita. 

Mira  oolà  quella  matrona  augusta. 
Che  per  Ioga  e  per  laurea  è  veneranda. 
fila  Legge  cKil,  che  santa  e  giusta 
Sol'oooe  oneste  e  lecite  comanda. 
Qnella,cbe  porge  d'  altrui  febbre  adusta 
Amara  e  salutifera  bevanda, 
È  di  ogni  morbo  uman  medicatrice, 
Che  sua  virtù  non  chiude  erba,  o,radlce. 

Gdarda  or  colei,  che  spiriti  divini 
Splra^  aebben  fattezae  alquanto  ha  brutte, 
E  par,ohe  ognun  r  oneri,ognun  I*  Inchini, 
Qnal  madre  universai  dell*  altre  tutte. 
Quella  è  Sofia,  che  rabbuflaU  i  crini , 
•Magre,  e  con  guance  pallide  e  distrutte, 
£00  scalai  piedi  e  con  squarciati  panni, 
Pur  di  dotti  scotarì  empie  gQ  scanni. 


Aélone,  passione,  atto  e  potenn, 
Qualità,  quantità  mostra  In  ogni  ente. 
Genera  e  specie,  proprio  e  dllTerania, 
Relazione,  sostania  ed  accidente. 
Con  qual  legge  Natura  e  Provldenn 
Crea  le  cose,  e  corrompe  alternamente , 
La  materia,  la  forma,  il  tempo.  Il  moto. 
Dichiara  e  il  sito  e  Tinfinito  e  11  voto. 

Tlen  due  donne  da'  fianchi .  Unacfae«iede 
Sovra  quel  sasso  ben  quadrato  e  sodo, 
È  la  Dottrina,  che  a  chiunque  II  chiede 
DI  ogni  difficoltà  disciogiie  11*  nodo. 
L'altra  che  con  la  libbra  in  man  si  vede 
Pesarle  cose,  ed  ha  il  martello  e  il  chiodo, 
È  la  Ragion,  che  con  accorto  Ingegno 
A  nessun  crede,  e  vuol  da  tutti  11  pegno. 

Ma  queir  altra  colà,  che  ha  si  leggiere 
Le  penne,  è  Dea  del  mondo,  ansi  tiranna. 
DI  fallace  cristallo  ha  due  visiere, 
Che  rocchio  illude,  e  il  buon  giudldo  ap- 
E  le  fa  guatar  torto  e  travedere,  [panna 
Slcch'  altrui  spesso  e  sé  mcdesma  inganna. 
Di  un  tal  cangiacolor  la  spoglia  ha  mista. 
Che  r  apparenze  oghor  muta  alla  vista. 

Né  di  tanti  color  gemmanti  e  bello 
Suol  r  augel  di  Giunon  rotar  te  piume. 
Né  di  tanti  arricchir  l' ali  novelle 
Quel  del  Sole  In  Arabia  ha  per  costume, 
Né  di  tanti  fiorir  vcgglonsi  quelle 
Dell'  alato  figliuol  del  tod  bel  Nume, 
DI  quante  eli*  ha  le  sue  varie  e  diverse 
Verdi,  bianche,  vermiglie  e  rance  e  perse. 

Opinion  s'  appella,  e  molte  ha  seco 
Ministre  infami  e  meretrìci  infide, 
Larve,  che  uscite  del  tartareo  speco 
Vengon  dell'  alme  incaute  a  farsi  gifidc , 
Ed  é  ior  capo  un  giovinetto  cieco, 
Gli'  Errore  ha  nome ,  e  lusingando  ride. 
D*  un  licore  incantato  Inebbriai  sensi i 
E  lui  seguendo  a  precipizio  viehsl. 

Mira  intorno  astrolabi  ed  almanacchi, 
Trappole,  lime  sorde  e  grimaldelli, 
Gabbie,  bolge,  giornee,  bossoli  e  sacchi, 
Ijibirinti ,  archipendoli  e  livelli, 
Dadi,  carte,  pallon,  tavole  e  scaoòhi, 
E  sonagli  e  carrucole  e  succhielli, 
Naspl,  arcolai,  vetticchi  e  orlooll, 
Lambicchi,  bocce ,' mantici  e  crogiuoli. 


172 


MARINO. 


Mira  pieni  di  vento  otri  e  vesslche, 
E  di  gonAo  sapon  turgide  palle. 
Torri  di  fumo,  pampini  d'  ortiche, 
Fiori  di  zucclie  e  piume  verdi  e  gialle, 
Aragni,  scarabei,  grilli,  formiche, 
Vespe,  zanxare,  lucciole  e  farfalle, 
Topi,  gatti,  bigatti  e  cento  UH 
Stravaganze  d*  ordigni  e  d'  animali. 

Tutte  queste,  che  vedi  e  d'altri  estrani 
Fantasmi  ancor  prodigiose  schiere , 
Sono  i  capricci  degi'  ingegni  umani , 
Fantasie ,  frenesie  pazze  e  chimere. 
V  ha  molini  e  palei  mobili  e  vani. 
Girelle,  argani  e  rote  in  più  maniere. 
Altri  forma  han  di  pesci,  altri  d'uccelli, 
VarJ ,  siccome  son  varj  i  cenelli. 

Or  mira  ali*  ombra  della  sacra  pianta 
Fregiala  il  crin  dell*  onorate  foglie 
I^  Poesia,  che  mentre  scrive  e  canta. 
Il  fiore  di  ogni  scienza  insieme  accoglie. 
La  Favola  è  con  lei,  che  orna  ed  ammanta 
Le  vaghe  membra  di  pompose  spoglie. 
L*  accompagna  l*  Istoria  ignuda  donna  , 
Senza  vel ,  senza  fregio  e  sonza  gonna. 

Vedi  la  Gloria,  che  qual  Sol  risplende , 
Vedi  1*  Applauso  poi ,  vedi  la  Lode , 
Vedi  i'Onor,  che  a  coronarla  intende 
Di  luce  eterna ,  onde  trionfa  e  gode. 
Ma  vedi  ancor  coppia  di  furie  orrende  , 
Che  di  rabbia  per  lei  tutta  si  rode. 
La  persegue  1*  Invidia  empia  e  crudele , 
Che  ha  le  vipere  in  mano,  in  bocca  il  fiele* 

La  maligna  Censura  ognor  Tè  dietro, 
E  quant*  ella  compone,  emenda  e  tassa. 
Col  vaglio  ogni  suo  accento,ogni  suo  metro 
Crivella  e  poi  per  la  trafila  il  passa,  [tro. 
Posticci  bagli  ocelli  in  fronte  e  son  di  ve- 
Or  se  gii  affigge ,  or  il  ripone  e  lassa. 
Nola  con  questi  gli  altrui  lievi  errori , 
Né  scorge  intanto  i  suoi  molto  maggiori. 

Ciò  detto ,  di  diaspri  e  di  alabastri 
Gli  mostra  un  arsenal  capace  e  grande , 
Che  so>r'  alte  colonne  e  gran  pilastri, 
Le  sue  volte  lucenti  appoggia  e  spande. 
Turba  v*  ha  dentro  di  diversi  mastri , 
Ingegner  d*  opre  illustri  e  memorande. 
Qui  di  lavori  ancor  non  mai  più  visti 
Sogglornan,  dice,  i  più  famosi  artisti. 


DI  quanto  mai  fu  ritrovato  in  terra , 
0  si  ritroverà  degno  di  stima , 
0  sia  cosa  da  pace,  o  sia  da  guerra. 
Qui  ne  fu  l'esemplar  gran  tempo  prima. 
Qui  pria  per  lunghi  secoli  si  serra 
Ignoto  ad  ogni  gente ,  ad  ogni  clima , 
Poi  si  pubblica  al  mondo  e  si  produce 
Ali*  umana  notizia  ed  alla  luce. 

Vedi  Prometeo  figlio  di  lapeto , 
Cile  di  spirto  celeste  il  fango  informa. 
E  vedi  Cadmo  autor  dell'  alfabeto, 
Da  cui  prendon  le  lingue  ordine  e  norma. 
Vedi  il  Sirncusan ,  che  il  gran  secreto 
Trova,  ond'  un  picciol  cielo  ha  moto  e  for- 
Eli  Tarentin,  che  la  colomba  imita,  [ma, 
E  il  grand' Alberto,  che  al  metal  di  vita. 

Ecco  Tubai  primo  inventor  de'  suoni , 
Il  Tebano  Anfione  e  il  Trace  Orfeo. 
Ecco  con  altre  corde  ed  altri  tuoni 
Lino ,  lopa ,  Tamhra  e  Timoteo. 
Ecco  con  nove  armoniche  ragioni 
Il  mirabil  Terpandro  e  il  buon  Tirteo , 
Fabbri  di  nove  lire  e  nove  cetre , 
Animatori  d' arbori  e  di  pietre. 

Mira  Tesibio ,  e  mira  Anassimene 
Su  la  mostra  segnar  V  ore  correnti. 
Mira  Pirode  poi ,  cbe  dalie  vene 
Trae  della  selce  le  scintille  ardenti. 
Anacarsi  è  colui ,  mira  che  tiene 
In  mano  il  folle  e  dà  misura  ai  venti. 
Mira  alquanto  più  in  là  metter  in  uso 
Esculapio  lo  specchio ,  e  Giostro  il  fuso. 

E  Gige  v'  ha,  che  la  pittura  inventa , 
Ed  havvi  col  pennello  Apoilodoro , 
E  Corebo  è  con  lor,  che  rappresenta 
Della  plastica  industre  il  bel  lavoro , 
E  Dedal ,  che  agguagliar  non  si  contenta 
(k>n  sue  penne  nel  volo  e  Borea  e  Coro  ; 
Ma  macchinando  va  d'  asse  e  di  legni 
Ingegnoso  architetto  alti  disegni. 

Epimcnide ,  Eurialo ,  Iperbio  e  Dosso 
Templi  e  palagi  ancor  fondano  a  prova  , 
E  Trasone  erge  il  muro,  e  cava  il  fosso 
Danao,  che  il  primo  pozzo  in  terra  trova. 
Navi  superbe  edifica  Minosso  , 
Tifi  il  timon ,  con  cui  l' affreni  e  mova. 
Beliorofonte  è  tra  costor  eh'  io  narro , 
Ed  Erìtonio  co'  cavalli  e  11  carro. 


L'ADONE. 


178 


Guarda  Aristeo  cod  quanto  ulii  fatica 
Bel  mei ,  del  latte  alia  cultura  intende. 
Tritolemo  a'  mortai  mostra  la  spica , 
Bige  r  aratro,  clie  la  terra  fende. 
Preto  alio  scudo ,  Midia  alla  lorica 
Travaglia,  Etolo  li  dardo  a  lanciar  prende. 
Sdte  pon  V  arco  In  opra  e  la  saetta , 
L' asU  Tlrren,  Pantasilea  V  accetta. 

HavTl  poi  mille  fabbricati  e  fatti 
Da  Gretensi ,  da  Siri  e  da  Fenld  , 
Mossi  da  rote  impetuose  e  tratti 
Altri  arnesi  guerrieri ,  altri  artifici. 
Vedi  arpagoni  e  scorpioni  e  gatti , 
Macchine  di  cittadi  espugnatrici , 
E  da  couar  con  torri  e  con  pareti 
Catapulte ,  l>ali8te  ed  arietL 

Bertoldo  vedi  là ,  nato  in  sul  Reno, 
Gbe  per  strage  del  mondo  e  per  mina 
L*  irreparabil  fulmine  terreno 
Fonde ,  temprato  ali*  Infernal  fucina. 
Quegli  è  Giovanni  (oh  fortunato  appieno!) 
Che  le  stampe  introduce  in  Argentina  ; 
E  ben  gli  dee  Magonza  eterna  gloria  , 
Come  eterna  egli  fa  l' altrui  memoria. 

Gosi  parlando  per  eccelse  scale 
Sovr*  aureo  palco  si  trovar  saliti , 
E  quindi  entraro  in  galleria  reale , 
Che  volumi  accogliea  quasi  infiniti. 
Eran  con  l)ella  serie  in  cento  sale 
Riposti  in  ricchi  armari  e  compartiti , 
Legati  in  gemme ,  ed  ogni  classe  loro 
Distinguea  la  cornice  in  linee  d' oro. 

Ceda  Atene  famosa ,  a  cui  già  Serse 
Rapi  gli  archivj  d*  ogni  antico  scritto , 
Che  poi  dal  buon  Seleuco  all'  armi  perse 
Ritolti ,  in  Grecia  fer  nuovo  tragitto. 
Né  da'  suoi  Tolomei  d' opre  diverse 
Cumulato  Museo  celebri  Egitto. 
Né  di  tal  libri  in  qncst'  etate,  e  tanti 
Urbin  si  pregi ,  o  il  Vatican  si  vanti. 

Molti  n'  eran  vergati  In  molle  cera , 
Molti  in  sottili  e  candide  membrane. 
Parte  in  fronde  di  palma  e  parte  n*  era 
Di  piomlH)  in  lame  ben  polite  e  piane. 
In  Caldeo  ve  n'  avea  scritta  una  schiera , 
Altri  in  lettre  fenicie  e  soriane , 
Altri- In  egizj  slml)oli  e  figure , 
Altri  in  note  furtive  e  cifre  oscure. 


Questo  è  l'erario ,  In  cui  si  fa  conserva, 
Seguì  Mercurio ,  de'  più  scelti  inchiostri. 
Di  quanti  mal  scrittor  Febo  e  Minerva 
Sapran  meglio  imitar  tra' saggi  vostri. 
I  nomi,  a  cui  non  noce  età  proterva. 
Vedi  a  carattcr  d' or  scritti  ne*  rostri. 
Qui  stan  le  lor  fatiche  e  qui  son  state 
Pria  che  composte  sieno  e  che  sien  nate. 

Quanti  d' illustri  e  celebrati  autori 
Si  smarrlscon  per  caso  empio  e  sinistro 
Degni  di  vita  e  nobili  sudori  , 
Ed  or  Nettuno, or  n'  ò  Vulcan  ministro? 
Or  qui  di  tutti  quel  ricchi  tesori , 
Glie  si  perdon  laggiù ,  si  tien  registro  ; 
Sacre  memorie  ed  involate  agli  anni , 
Che  traman  morte  agli  onorati  affanni. 

La  libreria  del  dotto  Stagirìta, 
Che  il  fior  contien  d' ogni  scrittura  eletta. 
Di  cui  Teofrasto  in  sul!'  uscir  di  viu 
Lascerà  successore ,  è  qui  perfetta. 
D'  Empedocle,  Plttagora  ed  Archita 
Vi  ha  le  dottrine,  e  qualunque  altra  setta, 
Di  Talele ,  Democrito  e  Solone, 
Parmenide,  Anassagora  e  Zenone. 

Petronio  vi  ha,  di  cui  gran  parte  astofle 
Torbido  Lete  in  nebbie  oscure  e  cieche. 
Di  Tacito  vi  son  l'ultime  prose, 
Tutte  di  Livio  le  bramate  Deche , 
La  Medea  di  Nasone ,  ed  altre  cose 
De'  Latini  miglior ,  non  men  che  greche. 
Cornelio  Gallo  con  Lucrezio  Caro , 
Ennio  ed  Accio  e  Pacuvio  e  Tucca  e  Varo. 

D' Andronico  e  di  Nevio  I  drammi  lieti, 
Di  Cecillo  e  Licinio  anco  vi  stanno , 
E  dì  Pubblio  Terenzio  i  più  faceti      [no. 
Sali,  che  alle  salse  acque  in  preda  andran- 
E  non  pur  d' altri  istorici  e  poeti 
Le  disperse  reliquie  albergo  v'  hanno. 
Ma  gli  oracoli  ancor  delle  ^bille, 
Scampati  dai  furor  delie  faville. 

Tacque,  e  volgendo  Adon  l'occhio  in  dis* 
Vide  gran  quantità  di  libri  sciolti ,  [parte 
Che  avean  malconce  e  lacere  le  carte  , 
Tutti  sossopra  in  un  gran  mucchio  accolti. 
Giacean  negletti  al  suol ,  la  maggior  parte 
Rosi  dal  tarlo,  e  nella  polve  Involti. 
Or  perchè,  disse,  esposti  a  tanto  danno 
Dal  beli'  ordine  questi  esclusi  stanno? 


174 


MARUta 


E  perchè»  sema  OBor,  seiin  oraameiiM 
Di  coverta  V  .0  di  oaitro  io  qui  gli  troTo? 
Un  fea  gli  aUri  gltlato  al  pavimenlo 
Ne  veggo  ìk  fra  Druslano  e  Borro, 
Che  (  se  eroder  si  deve  ali*  argomento  ) 
Porta  un  titolo-illustre  :  Il  Mondo  Novo. 
Ma  si  logoro  par,  s' lo  beo  dlscemo^ 
Che  ({«afilUnioado  vecchio  è  plùmodemo. 

Di  scusa  certo  e  di  pietà  son  degni , 
Sorrìdendo  V  interpeire  rìspose. 
Quei ,  che  d*  ogni  valor  poveri  ingegni 
Si*Bfonan  d'emular  l*opre  famose; 
Che  ingordigia  d*onor  no»  ha  ritegni 
Nelle  cupide. menti  ambiilose , 
E^  quando  allo  volar  ne  vegglon  uno , 
A  quel  segno  arrivar  vorria  dascnno. 

Non  mica  a  tutti  è  di  toccar  conoesso* 
Della  gloria  iramarial  la  cima  alpina. 
Chi  volar  vuol  sena' ali»  accoppia  spesso 
All'  audace  salita  alta  ruina. 
Ma  quanlUiM|ue  avvenir  soglia  l'Istesso 
Quasi  In  ogni  beli*  arte  e  disciplina, 
Non  si  vede  però  maggior  tracollo , 
Che  di  chi  segae  indegnaoMnte  ApoUo. 

DiaCroa*  chiarì  scrittor  di  Smimae  Manto, 
Per  Otti  sempre  vivranno  I  duci  e  ranni. 
Tentando  lavan  di  pareggiargli  al  canto , 
Più  d*  uno  arroterà  lo  stile  e  i  carmi. 
Oh  quanti  poi,  con  quanto  studio  e  quanto 
DeU^itallco  stuoi  di  veder  panni 
Tracciar  con  poca  lode  i  due  migliori , 
Che  in  sul  Po  canteran  guerre  ed  amoril 

Glie  di  poemi  in  quella  lingua  cresca 
Numerosa  farragine  e  di  rime. 
La  fiacil  troppo  invenzion  tedesca     [me. 
N*è  «agion,  che  per  prezzo  li  tutto  Impri- 
Ma  se  alcuna  sarà,  che  mal  riesca , 
L'opra.»  ohe  tu  dicesti  è  tra  le  prime. 
Cosi  figliano  i  monti  e  il  topo  nasce , 
Ma  poi  nato  eh'  egli  è  si  more  in  fasce. 

Poioliè  al  Catti  parti  un  breve  lume 
Vistoappenahan  laggiù  nel  vostro  mondo, 
Il  vecehiarel  dalie  veloci  piume , 
Quel  che  vedesti  già  ncir altro  tondo. 
Qui  ridurie  in  un  monte  ha  per  costume 
Per  seppellirle  in  tenebroso  fondo. 
AlfiB  le  porta  ad  attuflar  nel  rio. 
Che  copre  il  tutto  di  perpetuo  obbllo. 


Ma  plùooa  dimorlam,  che  poiché  a  quanti 
Ti  ho  scorta  eterni  e  luminosi  mondi^ 
Converrà.4  che  altra  ancor  ti  manlfisati 
Dei  secreti  del  Fato  alti  e  profondi^ 
E  vie  molto  maggior,  che  non  vedesti. 
Maraviglie  vedrai,  se  mi  seoondi. 
Qui  tacque  e  in  ricca  leggiate  spaslosa 
Il  condusse  a  mlrar-mirabU 


Vasio.edUsio  d'ingegnosa*  sfera 
Reggea,  quMi  gran  mappa»  un  piedestallo, 
Che  si  appoggiava  ad  una  basa  intera 
Tutu  Intagliata  dei  miglior  metallo.. 
Era  d' ampleiza  assai  ben  grande,  ed  era 
Fabbricata  d'acciaio  e  di  criatailo*. 
La  cerchiavan  per  tutto  In  molli  giri 
Fasce  di  lucidissimi  zaffirit 

Forma  avea  d*  un  gran  pomoorisploiidti 
Più  che  lucente  e  ben  polito  apocchios 
E  d'aurei  seggi  intomo  iniomo  avea 
Per  risguardaria  un  comodo  appaaeccète* 
Quivi ,  Bwntre  che  intento  Adon  teneg 
L'occhio  alla  palla,  ai  suo  parlar  i'oieo» 
Mercurio  seco  e  con  la  Dea  s*  aOae,  [cbÌ0, 
Indi  da  capa  a  ragionar  si  mlae. 

Quesu,  dieea,  sovramortal  fattori. 
La  qual  confonde  ogni  crealo  Ingegno, 
Opra  mirabil  è,  ma  di  Natura» 
E  di  divfai  Maestro  alto  disegno. 
L'artefice  di  tauu  architetbira^ 
Che  d'ogni  altro  artificio  eccede  II  segna, 
Fu  questa  mia  dei  gran  Fattor  sovrano 
(Benché  imperfètta)  imllalrìce' 


Sudò  molto  la  man,  né  T  intelletto. 
Poco  in  si  nobil  macchina  sofcrse, 
E  lungo  tempo  inabile  architetto 
Sue  fatiche  e  suoi  studj  invan  diqienat 
Ma  quei,  ch'é  sol  tra  noi  fabbro  perfetto, 
Del  bel  lavor  l' invenzion  m'aperse, 
E  il  secreto  mi  fé'  liscile  e  lieve 
Di  raccorrò  il  gran  mondo  io  spazio  bnerei 

E  che  sia  ver,  rivolgi  a  questa  mia 
AdamaaUiia  fabbrica  le  ciglia. 
Dì  se  vedesti ,  o  se  esser  può ,  che  aia 
Istromcnlo  maggior  di  meraviglia  7 
Composta  é  con  tani'arte  e  maestria. 
Che  al  globo  universal  si  rassomiglia. 
Mirar  nel  cerchio  puoi  limpido  e  terso 
Quanto  l'orbe  contien  dell' universow 


L'AIMML 


1T5 


Fiinvwdl  «iMirvne  un  delo  angusto 
Fin  WfttB  lik^JhMiQ  tMBpo  aUnib  concaio, 
Dov^  01  lerma,  or  cU  v«por4  onusto 
L*aoi«  ye^rasfti  e  U  tuono  e  U  lampo  es- 
B  tener  moto  jragoUilo  •  giualo  [praiio , 
IaìiAm^  I)m  eoa  r  altre  aioUe  appNaao, 
E  em  perpetno  error  per  Talta  molo 
DI  fera  Uì  f«r#  Ir  tra  le  afero  11  8ole. 

Ma. <loiire  un  tal  miracoleal  tofiae^ 
O  chi  aenno  ebbe  mal  tanto  profondo, 
Che  compilar,  oonpeodlar  «ap«aie 
La  gran  rota  del  lutto  In  pioeiol  tondo) 
Al  magta^ro  mio  aol  al  conoeaie 
Fare  un  vero  model  del  maggior  mondo, 
Lo  4|nal  del  mondo  insieme  elementare, 
(Non  ekeaol  del  celeste)  è  1* esemplare. 

Onde  di  quante  eo^e  o  buone ,  o  ree 
Passate  ba  il  mondo  in  qualslTogUa  etade^ 
E  di  quonte  passar  poscia  ne  dee 
Per  quante  ba  colagglù  terra  e  contrade  ; 
Qui  son  le  prime  originarie  idee*, 
Dovo  asorger  si  può  ciò  che  vi  accade. 
Rilqoa  tutto  In  questo  vetno  pura 
Gol  passato.ell  presente,  anco  11  futuro. 

Vedi  14  amm  ftnlde  e  1*  algenU , 
E  dove  bollo  e  dovo  aggbiaccia  1*  anno , 
Vedi  conqual  misura  agU  elementi 
Tutti  i  oorpi  celeatt  io  giro  vanno. 
Vedi  il  «entier,  laddow  i  duo  lucenti 
Paaseggieri  del  del  difetto  fannob 
Vedi  oQme  velo^  il  moto  gira 
Del  del ,  che  ogni  altro  del  dietro  si  tira. 

Eo«o  I  tropici  poi^  quindi  dlsceml 
Volgersi  il  Conerò  e  quinci  il  Capricorno, 
Dove  aggoagUan  del  pari  I  corsi  alterni 
La  nottjB  al  sonno,  alla  vigilia  il  giorno. 
Ecco  i  colori,  uniti  ai  poli  eterni, 
Chesemprs  il  del  van  disoorrendo  intomo. 
Ecco  con  dnquo  linee  I  paralelli , 
E  nel  bel  mezao  11  princIpal  tra  quelli. 

Ecfioti  là  sotto  il  pia  bamo  delo 
Il  foco,  obe  sempr'  arde  e  mal  non  erra. 
Mira  dell'acque  II  trasparente  gelo, 
Che  il  gran  vaso  dd  mar  nd  ventre  serra. 
Mira  dell'aria  molle  il  sotiil  velo, 
Mira  scabros^i  e  ruvida  la  terra, 
JìftM  librata  ne|  sqo  pioprio  pondo, 
Quasi  centro  dd  dd ,  base  del  mondo. 


Rlmlsa,  e  vi  vedrò!  distinti,  e  oUari 
Boscbi ,  colli ,  pianure  e  valli  e  monti. 
Vedrai  scogli  ed  avene,  isole  e  mari, 
E  laghi  e  fiumi  e  rusedietti  e  fonti; 
Provincie  e  regni ,  e  di  costumi  vari 
Centi  diverse  e  d'abiti  «  di  fronti. 
Vedrd  con  peli  e  squamme  e  ponnee  rostH 
E  fere  e  pesci  ed  augelletti  e  mostri. 

Vedi  la  pane,  ove  l'Aurora  al  Tauro 
Il  capo  indora  e  1*  oriente  alluma. 
Vedi  l'altra,  ove  lava  d  vecchio  BMuro 
Il  pie  di  sasso  PalRrlcana  spuma. 
Vedi  là  dove  sputa  li  fiero  Gauro 
Sulle  bolse  rlfee  gelida  bruma. 
Vedi  ove  il  negro  con  la  negra  gente 
Suda  sotto  l'ardor  dell'asse  ardente. 

Ecco  le  rupi ,  onde  traboeca  D  NNo, 
Che  la  patria  e  U  natd  si  ben  nasconde. 
Ecco  1*  Eufrate  che  por  dritto  filo 
Le  due  gran  ragion  parte  con  i'  onde. 
L'Indo  è  colà,  che  per  antico  stilo 
Fa  di  tempeste  d'or  rieclie  le  sponde. 
Queir  è  il  terren,  laddove  slersa  e  seopa 
Le  sue  Jertili  piagge  il  mar  d'.  Europa. 

Vuol  r  Arabie  veder  per  te  femoio» 
La  Petrea,  la  Deserta  e  la  FeHcel 
Eccoti  il  loco  appunto  ove  t'espose 
La  trasformata  già  tua  genitrice. 
Ve'  le  rive  di  Cipro ,  amblsloae 
DI  una  tanta  belleasa  abitatrice. 
Conosd  il  prato,  ove  perdesti  U  corei 
È  quello  il  tetto,  ove  t^aeoolse  Amore. 

Grande  èli  teatro  e  nd  suol  spasj  inimend 
Chi  langoe  in  pena  e  chi  gidsoe  in  gioco. 
Ma  per  non  ti  stancar  la  mente  e  1  semi 
In  cose.omai.  Che  ti  rilevan  poco. 
Tanto  sol  mostrerò,  quanto  appartiend 
Alla  bell'esca  dei  tuo  ddce  foco. 
Sd  pur,  che  protettrice  è  questa  Dea 
Della  stirpe  di  Dardano  e  d' Bneoi 

Le  diede  sovra  Paliade  e  Giunone 
Paride  già  delle  bdlesze  II  vanto. 
Benché  tragico  n'ebbe  il  guiderdone, 
E  corser  sangue  11  Simoenta  e  11  Xanto. 
Questa  (  ma  non  già  sola  )  è  la  cagione , 
Ch'ella  il  seme  troiano  ami  cotanto. 
MlroUa  In  questo  dir  Mercurio  e  rlse^ 
L'.dtra  arrosd  col  rimembrar  d'Anchlse. 


176 


MARINO. 


Or  mentre,  seguì  poi ,  del  cavo  fianco 
Usdto  del  destrler,  che  Insidie  chiude, 
Stuol  di  greci  guerrieri  il  Frigio  stanco 
Assai  con  armi  impetuose  e  crude , 
Sotto  la  scorta  del  buon  duce  franco 
RlcoTra  alla  meotica  palude 
Una  gran  parie  di  reliquie  tIvc  ; 
Esuli ,  peregrine  e  fuggitive. 

Taccio  il  corso  fatai  di  queste  genti, 
E  de*  suoi  varj  casi  il  lungo  giro; 
Per  quanti  fortunevoli  accidenti 
In  Germania  passar  con  Marcomiro; 
Come  di  Marcomiro  1  discendenti 
Nel  gallico  terreo  si  stabilirò , 
Dappoiché  Ferramondo  al  mondo  venne, 
Che  dello  scettro  il  primo  onor  vi  tenne. 

Né  fia  d*uopo  additarti  ad  uno  ad  uno 
Di  quest'ampia  miniera  1  gran  monarchi, 
E  le  pabne  e  le  spoglie  e  di  ciascuno 
L' eccelse  imprese  e  gli  onorati  incarchi. 
La  folta  selva  degli  eroi ,  che  aduno 
Consenti  pur  ciie  brevemente  io  varchi , 
E  scelga  sol  del  numero  eh*  io  dico , 
Col  degno  figlio  il  valoroso  Enrico. 

Volgi  la  vista  ove  il  mio  dito  accenna, 
E  la  Lega  vedrai  V  insegne  sciorre , 
E  quasi  armata  ed  animata  Ardenna, 
Tre  foreste  di  lance  in  un  raccorre. 
Ma  d'altra  parte  il  paladin  di  Senna 
Vedile  pochi  e  scelti  a  fronte  opporre. 
Vedi  con  quanto  ardire  oltre  Garona 
Fa  le  truppe  marciar  contro  Perona. 

Montagna ,  che  del  elei  tocchi  i  confini , 
Selva  d'antiche  e  condensate  piante. 
Fiume  che  d'alia  rupe  in  giù  ruini. 
Tempesta  in  nembo  rapido  e  sonante , 
Neve  indurata  in  freddi  gioghi  alpini , 
Fiamma  eh'  Euro  alle  stelle  erga  fumante, 
Mar,  cielo,  inferno  all'animosa  spada 
Forano  fgevol  guado  e  piana  strada. 

Gucrrler,destricrialterra,armi,stendardi 
Spezza  e  sprezzando  gli  urti^  apre  le  strade. 
Nembi  di  sassi,  grandini  di  dardi. 
Turbini  d'asie,  fulmini  di  spade 
PiovongU  sopra  ed  ei  dei  più  gagliardi 
Sostiep  gl'incontri,  agl'impeti  non  cade, 
Nò  stanco  posa ,  né  ferito  langue , 
Fatto  scoglio  di  ferro  in  mar  di  sangue. 


Tutto  del  sangue  ostll  molle  e  vermiglio 
Abbatte,  implaga,  uccide,  ovunque  tocchi. 
Vedll  vibrando  a  prova  il  ferro  e  U  ciglio , 
Ferir  col  brando  e  spaventar  con  gli  occhi. 
Se  altri  taior  nell'orrido  scompiglio 
SI  rivolge  a  mirar  qual  colpi  e1  scocchi. 
Dai  guardo  è  pria,  che  dalla  spada  ucciso, 
E  chi  Aigge  la  man  non  campa  11  viso. 

Chi  gli  contenderà  l'alto  diadema. 
Se  un  oste  tal  d' ogni  poter  disarma? 
Né  sol  dappresso  il  Rodano  ne  trema , 
Ma  fa  da  lunge  impallidir  la  Parma. 
Ecco  del  Tago  la  speranza  estrema. 
Il  signor  degli  Allobrogi  che  s'arma. 
Ecco  che  in  prova  al  paragon  concorre 
Con  riulico  Achille  il  gallo  Ettorre. 

Odi  Parigi  1  fieri  tuoni,  e  vedi 
Quanti  l'irata  man  fulmini  avventa? 
Dell  ciie  pensiloh  che  fai?  perchè  non  cedi? 
Già  co' giganti  suoi  Flegra  paventa. 
Stendi ,  stendi  le  palme  e  pietà  chiedi, 
E  r  auree  chiavi  al  regio  pie  presenta. 
Stolta  sci  ben  se  altro  pensier  ti  move; 
Così  si  vince  sol  l'Ira  di  Giove. 

Vedilo  entrar  nelle  famose  mura, 
Ed  occupar  le  mal  difese  porte. 
Van  con  la  fuga  cieca  e  mal  secun 
Declinando  il  furor  del  braccio  forte , 
L' ignobil  pianto  e  la  plebea  paura  ; 
Chi  non  fugge  da  lui  segue  la  morte. 
Battuto  dal  timor  cade  il  consiglio, 
E  l' ordine  confuso  è  dal  periglio. 

Eccolo  atfin,  eh' è  con  applauso  eletto 
De'  Galli  alteri  a  governare  il  freno , 
Né  studia  quivi  con  tiranno  affetto 
Beni  usurpati  accumularsi  in  seno. 
Con  larga  man ,  con  gioviale  aspetto 
Versa  d' oro,  ov'è  d'uopo,  il  grembo  pieno, 
E  d'or  in  or  regnando,  altrui  più  scopre 
Generosi  pensier,  magnanim'  opre. 

Non  vi  ha  più  loco  ambizione  Ingorda, 
Non  più  stolto  furor,  discordia  fiera. 
Non  vi  iia  prudenza  cieca ,  o  pietà  sorda , 
Pace  e  giustizia  in  quell'  impero  Impera. 
Sa  far,  sì  ben  ie  repugnanze  accorda , 
Autunno  germogliar  di  primavera. 
Mentre  fra  gii  aurei  gigli  a  Senna  In  riva 
Pianta  dopo  la  palma  anco  l' oliva. 


L' ADONE. 


177 


Vi  rtù  quanto  è  maggi or,tanto  è  più  spes- 
Deil'  iiìTìdia  maligna  esposta  ai  danni,  [so 
La  qual  suol  quasi  a  lei  far  queU'  istesso, 
Che  U  tarlo  ai  legni  e  la  tignuola  ai  panni. 
Qual  ombra,clie  va  sempre  al  corpo  appres- 
ila perseguita  ognor  con  vaTj  affanni,  [so, 
Ma  son  gli  oltraggi  suol  ,cbe  offendon  poco, 
Lime  del  ferro  e  mantici  del  foco. 

Mira  li  fior  de*  migliori,  al  cui  gran  lume 
L* altrui  sciocco  livor  divien  farfalla, 
Mercè  di  quel  valor,  che  per  costume 
Quanto  si  affonda  più ,  più  sorge  a  galla  ; 
Malgrado  di  chi  nocergli  presume. 
Al  pesi  è  palma ,  alle  percosse  è  paHa  ; 
Onde  di  novo  onor  doppiando  luce 
È  fatto  inclito  re  d*  inclita  duce. 

I>el  guerrler  forte,  i  cui  gran  pregiesalto 
Fia  tale  e  tanta  la  sublime  altezza , 
Che  come  Olimpo  oltra  le  nubi  in  allo 
Non  teme  i  venti  e  i  fulmini  disprezza. 
Così  d'invidia ,  oppur  d'insidia  assalto 
Danneggiar  non  potrà  tanta  grandezza  ; 
Anzi  ogni  offesa  ed  ogni  ingiuria  loro 
Sari  soffio  alia  fiamma  e  fiamma  all'oro. 

Se  non  eh*  io  veggio  di  furor  d*  inferno 
Di  una  furia  terrena  11  petto  acceso , 
E  punto  dalle  vipere  d'Avemo 
Un  cor  malvagio  a  perfid'opra  inteso. 
Non  vedi  là ,  come  colui ,  che  a  scherno 
Prese  eserciti  armati ,  a  terra  ha  steso 
Mosso  da  folle  e  temeraria  mano. 
Con  un  colpo  crudel  ferro  villano? 

Quando  all'atte  speranze  in  scn  concette 
Tenendo  il  mondo  già  tutto  converso. 
Cinto  d'armi  forbite  e  genti  elette 
Spaventa  il  Moro  ed  atterrisce  11  Perso , 
E  gli  appresta  Fortuna  e  gli  promette 
Lo  scettro  universal  dell'universo. 
Pria  che  egli  vada  a  trionfar  d' altrui , 
Yien  Morte  Iniqua  a  trionfar  di  lui. 

Vansi  le  Virtù  tutte  a  seppellire 
Nel  sepolcro  che  chiude  11  Sol  de'  Franchi, 
Salvo  la  Fama,  che  non  vuol  morire , 
Perchè  alle  glorie  sue  vita  non  manchi  ; 
E  come  al  caso  orribile  a  ridire 
1  suoi  tant* occhi  lagrimando  ha  stanchi. 
Cosi  per  farlo  ancor  sempre  Immortale 
SI  apparecchia  a  stancar  le  lingue  e  l' ale. 


Ma  che  ?  Se  da  colei,  che  vince  II  tutto, 
È  vinto  alfine  li  sempre  invitto  Enrico , 
L'alto  onor  de'Borbon  quasi  distrutto 
In  parte  a  ristorar  vien  Lodovico , 
Che  da  si  degno  stipite  produtto , 
Aggiunge  gloria  al  gran  lignaggio  antico, 
E  sotto  l' ombra  del  materno  stelo 
Alza  felice  i  verdi  rami  al  cielo. 

Or  mi  volgo  colà ,  dove  Balena 
SmalU  di  gigli  1  fortunaU  lidi. 
Veggio  superbo  il  mar  che  s'Incorona 
Di  gemme  e  d'or,  qual  mai  più  ricco  il  vidi. 
Già  già  l'arena  sua  tutta  risona 
Di  lieti  bombi  e  di  festivi  gridi. 
Veggio  per  l'onde  placide  e  tranquille 
Sfavillar  lampi  e  lampeggiar  faville. 

Né  r  Indico  Oceano  orientale 
Tante  aduna  nel  sen  barbare  spoglie  : 
Né  lo  stellato  ciel  cumulo  tale 
Di  bellezze  e  di  lumi  in  fronte  accoglie. 
Oh  spettacol  gentil ,  pompa  reale. 
Oh  ben  nato  consorte,  oh  degna  moglie  l 
Qual  concorso  di  regi  e  di  reine 
Scende  a  felicitar  l' acque  marine  ! 

Risguarda  in  mezzoal  fiume  ov'  io  ti  mostro 
Vedrai  colonne  eburnee ,  aurei  sostegni 
Con  un  gran  sovracìel  di  ludd' ostro 
Far  ricca  tenda  a  un'isola  di  legni ,  [atro 
Che  fianco  a  fianco  aggiunti  e  rostro  a  ro- 
Porgono  il  nobil  cambio  al  duo  gran  regni. 
Mentre  prendono  e  dan  Spagna  a  Parigi 
Lisabetta  a  Filippo,  Anna  a  Luigi. 

Ma  vedi  opporsi  agi'  imenei  felici 
Suddite  al  Gallo  e  ribellanti  schiere, 
E  coprir  di  Guascogna  1  campi  aprici 
Quasi  dense  boscaglie ,  armi  guerriere. 
Quinci  e  quindi  avversarie  e  protettrici 
Spiegan  Guisa  e  Gondè  bande  e  bandiere. 
Ma  del  figlio  d' Enrico  il  novo  Enrico 
SI  mostra  si ,  non  è  però  nemico. 

L'uno  è  colui, che  sotto  ha  quel  destriero 
Baio  di  pelo,  iialiau  di  razza; 
Di  tre  vaghi  aironi  orna  il  cimiero, 
E  di  croci  vermiglie  elmo  e  corazza. 
Benché  misto  di  bigio  abbia  il  crin  nero ,  * 
Gli  agi  abbandona,  ed  esce  armatoli  piai** 
E  carco  In  un  d'esperienza  e  d'anni',  [ca;. 
Torna  di  Marte  ai  già  dismessi  affanni.  « 


•% 


ITS 


MAMKO. 


L'albro  èqvci  pie  )0DUn,clie  lacanpagna 
Scorre,  di  ferro  e  d'or  grave  loceote. 
È  99ÌxtPàt  degli  arni ,  e  i'accompagiHi 
Piera  e  di  BOTiCà  cupida  gente. 
Ha  nello  scado  i  gigli,  e  di  Brettagna 
Caftalca  ufecro  un  corridor  poaseote, 
E  tien  dal  fianco  attraversala  al  tergo 
Una  banda. d'azzurro  in  MU'usbeigo, 

Già  già  nMBeroinmenso  i  ngombrtli  pia- 
Di  tende  armate  e  di  tralMccbe  tese,  [ut 
Piagne  disfatte  il  misero  XqwAtm» 
E. le  messi  e  le  meli  al  bel  paese. 
Già  tinto  ilglglio  d'or  di  saogne  umano, 
Glie  è  pure  (  ahi  ferlià  )  sangue  francese , 
SeniimiqcKl  fior,  cIm  del  soo  re  trafitto 
Nelle  fioflie  purpuree  il  nome  ha  scritto. 

Gallia  inMiee.  aM  qnai  s'appiglia,  ahi 
Nelle  Tìscere  tue  morbo  intestino  !  [quale 
Rode  il  tuo  seii  profondo  intemo  male 
DI  domestico  tosco  e  ottadìno. 
Pugnan  diseordi  umori  in  corpo  frale 
Si  ch'Io  preveggio  il  tuo  morir  Ticine; 
Ed  al  tuo  scampo  ogni  opra,  ogni  arte^  va- 
Se  medica  pietà  non  ti  risana.  [i 


^•noolàmentc  alla  gran  domia  d*  Arno 
Gonqual  valor  la  sua  ragion  difende. 
Né  con  peno  treroaiiAe,  o  viso  ecarno 
Fm  tante  cure  sue  posa  mal  premie. 
Vorreftibe  (e  il  lenta  ben,  ma  il  tenta  indar- 
Senaa  ferroestirpar  le  teste  orrende,  [no) 
Le  teste  di  quell'  idra  empia  ed  immonda , 
Di  veleno  infcmal  sempre  feconda. 

Cile  non  fe  per  troncarle  ?  ecco  pospone 
Allepubblkhe  cose  il  ben  privato, 
Ed  air  impeto  ostll  la  vita  espone 
Per  salvar  dei  gran  pegno  il  dubbio  stato. 
Ad  accordo  venir  por  si  dispone , 
E  sospende  tra  1*  ire  il  braccio  armato. 
Purché  11  furor  s*  acqncti  e  cessi  quella 
D'orgoglio  Insano  aquilonar  procella. 

Un  quamiovffln  la  gran  tempesta  scorge, 
Che  l'aria  offusca,  eli  mar  conturba  e  me- 
E  ch^  r  onda  ter  ri  l>ile  più  sorge ,      [sce, 
E  che  il  remo  Implacabile  più  cresce. 
Al  ben -nido  tlmon  la  destra  porge, 
Drlataal  ni  polo ,  e  di  caomrin  non  esce. 
Or  con  forza  reggendo,  or  con  ingegno 
Traenti  flotU  li  travagliato  legno,  «w 


Fissa  dritto  colà  meco  lo 
Dove  l'ampia  rivief»  U  paaso 
Quhi  campeggia  M  gran  campion^oiointo 
Covtro  oul-noasi  den  torre,  né  àernu 
E  par  che  dica  Intrepido  e  gagltandA, 
Chi  la  pace  ricusa,  abl»la  la  goem. 
E  con  prodezza  alla  baktaaia  egnle 
Dell' avversario  i  miglior  forti 


L'esenoiloreai  canto  pao^nrode 
Di  gentied' arml,«nons' allontatOSlMC 
Per  eseguir  quanto  glovevoi  cvede, 
0  necessario  «ila  corona  frana. 
0  senza  eeeatpio  Incompimiiil  fedel 
Quando  ai  casi  opportuni  ogniatoominri 
Sol  qucoti  a  par  deite  piò  forti 
Mostra  petto, costante,  almai 


Fa  gran  legate  di  cavalU  e  fanti; 
Che  può  contro  costor  l'oste  nenUea? 
Gente  miglior  non  vide  il  Sol  tra  quanti 
CI  user  spada  giammai ,  vestir  lorkau 
Non  sanno  hi  guerra  Indomiti  e  ooslaati 
0  temer  risciiio^  o  ricusar  fatica 
Usi  in  ogni  staglon  con  l'armi  grevi 
Bere  i  sudori  e  calpestar  le  novi. 

Oh  qual  fervor  di  Marte,  oh  qualgià  toooi 
Al  re  crescente  11  cor  (ooo  d* ardite  ! 
Brama  di  gir  tra* folgori,  che  ttooca 
Più  d'un  cavo  metallo,  a  sfogar  l'Iie. 
Ma  dappoiché  non  pnò  là  dove  fiocca 
La  tempesta  del  sangue^  in  pugna  wcIub, 
Vassene  o  caccia  esercitanido,  o  giosta. 
Che  una  effigie  di  guerra  ahnengU' 


Cosi  leon  dalla  mammella  iffautn 
Uso  ancora  «  poppar  cibi  novali , 
Tosto  die  r  unghia  ai  pie  sente  cresci  ula, 
Alla  bocca  k  zanne,  al  collo  I  velli-, 
Già  la  rupe  natia  sdegna  erlfinta. 
La  tana  angusta  e  le  vivande  Imbellii 
Già  segue  là  tra  le  cornate  squadre 
Per  le  getule  selve  il  biondo  padre. 

Ma  quel  la  Dea  [eh*  altroché  Dea  non  dote 
Dirsi  colei ,  die  a  divin'opre  aspira) 
Smorza  intantoqncl  foco  enon  l'è  greve 
Per  la  comtm  salute  il  placar  1*  Ira. 
I  congiurati  principi  riceve , 
E  r  accampato  esercito  ritira , 
Ed  al  popol  fellone  e  contumace 
Perdonando  11  fallir,  dona  la  pvce; 


Mffifè  il*4stio  |Mriva(o  «nepr  bollire 
De' duci  istes;»!  gV  ai^inij  inquieti , 
E  in  strettii  lega  amiQfjtinaU  ordire 
Di  nov^llfs  congiure  occmUq  reti. 
Ecco  1*  ai:corto  re  viene  a  scoprir» 
Di  quel  trajuato  i  taciti  secreti  ^ 
E  44*  sospetti  d*ogiM  oltraggio  indegno 
Cop  la  prigione  altrui  libera  U  regno. 


ADONI.  no 

Veder  puoi  di  Torin  V  Invitto  duce. 
Cui  BOB  ba  Aoma ,  o  Macedonia  eguale , 
Che  carriaggi  e  salmerie  conduce 
Con  varie  sovra  lor  macciiine  e  scale. 
Su  lo  spuntar  delia  diurna  luce 
A  Trioo  arriva,  e  la  gran  porta  assale. 
Vedi  stuol  piemontese  e  savoiardo 
Quivi  attaccar  l' espugnator  pcttardo. 


PoicbèM  pansier  dnl  maephiiiato  dmiir 
Vano  riesce  e  d*  ogni  effetio  voto , 
Del  capo  afflilo  le  reliquie  vanno' 
Qual  polve  sparsa  alio  spirar  di  Noto. 
Ma  per  iK>ve  cagion  pur  anco  fanno 
Novo  tra  lor  sediaioso  moto  ; 
Eppur  eoA  oove  forze  e  genti  noie 
I^  regia  arvaia  a'  danoi  lor  si  move. 

Fuor  dii*maUi>Ri  impeij  intanto  uaelto 
Passa  il  re  novo  a  possedere  il  trono , 
Da  cui  pfia  caiei^rant^  e  poi  pentito 
Chi  pur  diami  l' offese,  oaien  perdono. 
Richiamala  è  Virtù ,  Marte  sbandito 
Per  qtfeli'  alio  Aonxei ,  di  coi  ragiono  ; 
L' alto  donnei^  ahe  aostener  non  pavé 
Con  sÀ  teaera  man  scettro  sì  grave. 

n  Tamigi,  il Daottfaio  Jl Boti ,  ti  Bono 
L*  ama ,  il  lene,  l' ammira  eneo  da  lunge, 
Anzi  fin  nett' italico  terreno 
A  dar  le  leggi  noi  gran  nome  giunge. 
E  se  fMir  éi  sodome  espresso  appiano 
Un  degno  eaenHilo  alcun  desio  ti  pungo, 
Risguaréa  in  riva  al  Po,  come  si  lace 
Arbitro  della  guerra  e  della  pace. 

Io  dico,  ove  tra  M  Po,  che  non  lontano 
Nasce,  aia  Dora  e  il  Tanaro  risiede 
Il  bel  paese,  al  cui  fecondo  piano 
La  montagna  del  fono  11  nome  diede. 
Vedrai  Savola  con  armala  mano. 
Che  due  cose  in  un  piMMo  a  Mantoa  chiede, 
U  pegno  dcHa  pieciola  nipote , 
E  de'  conAn  la  patlagglatn  dote. 

VodldlfiadaM  11  succasaof,  che  viene 
In  campo  a  por  le  s«e  ragioni  anticJM , 
E  pecche  V  «oa  nega  e  l'akra tiene , 
Case  unite  in  amor  tornan  nemiobe. 
Forse  nutrisci ,  o  Mincio,  entro  le  vene 
Il  seme  ancor  delle  gneniere  spftdw. 
Poiché  veggio  dal  aen  deHa  tua  terra 
Pullular  tuttavia  gorml>  di  gnerra  1 


Ecco  rotto  il  raatel ,  passato  il  porne, 
Non  però  senza  sangue  e  senza  morti , 
Le  genti  alloggia  all'  alta  rocca  a  fronte. 
Prende  i  quartier  più  vantaggiosi  e  forti, 
Manda  la  valle  ad  appianar  col  monto , 

I  picconieri  e  i  manovali  accorti , 
Mette  i  passi  a  spedir  scoscesi  e  scabri 
Con  vanghe  e  zappe  e  guasudori  e  fabrì. 

Fa  con  gaMMe  e  trincee  steccar  dlntomo 
De'  miglior  posti  i  più  spcufI  siU , 
Col  sembiante  real  vergogna  e  scorno 
Accresce  ai.  vUi ,  ed  animo  agli  arditi. 
Par  fiamma,  o lampo,  or  parte,  or  la  ritoi^ 
Cercando  ove  conforti ,  ed  ove  alti ,   [no 
Mentre  il  cannon,  che  fulminando  scoppia 
Nel  riveUin  la  batteria  raddoppia. 

Ed  egM  in  no  co'  generosi  Hgtt 
Studia,  come  talor  meglio  ai  batta , 
Sempre  occupando  Infra  i  maggior  perigli 
La  prima  ontrau  e  l' ultima  ritratta. 
Convien,  ohe  pur  di  ceder  si  consigli 
La  terra  alAn  per  non  restar  dislalta , 
Ed  apre  ai  vindtor,  che  l'assecura 
Dalla  preda ,  dal  ferro  e  dall'  arsura. 

[quista  ; 
Monoalvo  a  un  tempo  espugna  anco  e  co»» 
Machi  pnèqui  vietar  die  non  si  rubet 
Va  li  tutto  a  sacco.  0 qual  confuaao  mista 
Scorgo  di  fuaao  e  pólve  oscura  nube  ! 
E  se  pari  l' udir  fusse  alla  vieta. 
Risonar  v'udirei  timpani  e  tube. 
Rendersi  i  difensor  già  veder  parml , 
Salve  le  vite  con  gli  arnesi  e  l' armi. 

Pur  nell'Aite  madesma  Alba  èaoiiNresa, 
Eppur  dalie  rapino  oppressa  langna. 

II  miser  citiadin  non  te  dMesa 
Per  doglia  atttlo  e  per  pausa  asaogue. 
Va  il  soldato ,  ove  II  trae  fra  r  ire  accesa 
Fame  d' or,  sete  d' or  più  che  di  sai^gue. 
Suscita  F  oro,  cb^è  sotlanra  accoko , 
E  seppelliate  poi  cbi  r  ha  sapollo. 


ISO 


MARINO. 


Di  buoD  presidio  il  gran  guerrier  fornisce 
Le  prese  piazze  ed  ecco  il  cam  pò  ha  mosso. 
Nova  milizia  assolda ,  e  ingagliardisce 
Di  gente  elvezia  e  valesana  il  grosso. 
Ecco  della  citlà  ,  che  impaludisce 
Là  tra  i  I  Belbo  e  la  Nizza ,  li  muro  ha  scosso. 
Ecco  a  difesa  del  signor  di  Manto 
Il  vicino  Spagnol  moversi  intanto. 

Per  reverenza  dell*  insegne  ibere 
Toglie  a  Nizza  l' assedio,  e  si  ritragge  ; 
Quindi  van  di  cavalli  armate  schiere 
D' Incisa  e  d*  Acqui  a  disertar  le  piagge. 
Tragedia  miserabile  a  vedere 
Le  eulte  vigne  divenir  selvagge, 
E  dal  furor  dei  foco  e  delle  spade 
Abbattuti  i  viltaggi,  aree  le  biade. 

Trema  Casale;  a  temprar  armi  intesi 
Sudano  1  fabbri  alle  fucine  ardenti. 
L*acciarmancaatant*  uopo,ondeson  presi 
Mille  dagli  ozj  lor  ferri  innocenti. 
Rozzi  non  solo  e  villarecci  arnesi, 
Ma  cittadini  artefici  stromenti 
Forma  cangiano  ed  uso  e  far  ne  vedi 
Elmiescudi,  aste  ed  azze  e  spade  e  spiedi. 

Il  vomere  già  curvo,  or  fatto  acuto, 
A  Bellona  donato,  a  Cerer  tolto. 
Su  la  sonante  incudine  battuto, 
D' aratore  in  guerrier  vedi  rivolto. 
L' antico  agrlcoltor  rastro  forcuto. 
Nei  fango  e  nella  ruggine  sepolto, 
Vestendo  di  splendor  la  viltà  prima, 
Ringiovenisce  al  foco  ed  alia  lima. 

Intanto  e  quinci  e  quindi  ecco  spediti 
Vanno,  e  vengono  ognor corrieri  emessi, 
Che  il  buon  re,  eh*  io  dicea,  vuol  che  sopiti 
Sieno  i  contrasti ,  e  la  gran  pugna  cessi  ; 
Ed  acciocché  gii  alftir  di  tante  liti 
In  non  sospetta  man  restin  rimessi, 
Ai  deputati  imperiali  e  regj 
Fa  consegnar  della  vittoria  i  pregj. 

S*  induce  alfin.  capitolati  i  patti, 
L' eroe  dell*  Alpi  a  disarmar  la  destra, 
E  dei  defflnitor  de'  gran  contratti 
Tra  le  mani  il  deposito  sequestra. 
Ma  qual  rio  sacrilegio  è  che  non  tratti 
L' empia  discordia  d*  ogni  mal  maestra? 
Ecco  da  capo  al  rinno\'ar  dell'  anno 
Novi  interessi  a  nove  risse  il  tranno. 


Tornano  a  scorrer  l'armi  ove  ancor  stassi 
La  prateria  sì  desolata  e  rasa. 
Che  n6  stillano  pianto  e  sangue  i  sassi, 
Poiché  fabbrica  in  pie  non  v*  é  rimasa. 
Né  resta  agii  abiUnti  afflitti  e^sst 
Villa»  borgo,  poder,  castello,  o  casa. 
Già  s*  appresta  la  guerra,  e  già  la  tromba 
Altri  chiama  alla  gloria,  altri  alla  tomba. 

Colui  eh*  è  primo  e  la  divisa  ha  nera 
E  suir  usbergo  brun  bianca  la  croce, 
(Ben  il  conosco  alla  sembianza  altera) 
È  Carlo ,  il  cor  magnanimo  e  feroce. 
Di  corno  in  corno  e  d'una  In  altra  schiera 
Il  volo  impenna  ai  corrìdor  veloce. 
Per  tutto  a  tutti  assiste  e  il  suo  valore 
Intellelto  é  del  campo,  anima  e  core. 

Spoglia  di  grosso  e  malcurato  panno , 
Lacerata  da  lance  e  da  quadrella , 
L*  armi  gli  copre  e  fregio  altro  non  hanno, 
Né  vuol  tanto  valor  vesta  più  bella. 
Spada,  splendido  don  del  re  britanoo,' 
Cinge,  né  v'ha  ricchezza  eguale  a  quella. 
Ricca ,  ma  più  talor  suo  pregio  accresce , 
Che  i  rubintra  i  diamanti  il  sangue  mesce. 

Mira  colà ,  dove  distende  e  aporge 
Asti  verso  Aquilon  V  antiche  mura. 
Poco  lunge  di  fuor  vedrai  che  sorge 
Un  picciol  colle  in  mezzo  alia  pianura. 
Quindi  (fuor  che  la  testa)  armato  el  scorge 
Le  classi  tutte,  e  il  suo  poter  misura. 
Quindi  del  campo  in  general  rassegna 
Rivede  ogni  guerrier,  nota  ogn' insegna. 

Quasi  pastor,  che  le  lanose  gregge 
Con  la  provvida  verga  a  pasco  adduca, 
Con  leggiadre  ordinanze  altrui  dà  legge 
li  coraggioso,  il  bellicoso  duca. 
Per  mostrar  quivi  a  chi  l'afirena  e  regge 
Come  di  ferro  e  di  valor  riluca, 
Spiega  ogni  stuol  vessilli  e  gonfaloni , 
Gonfia  stendardi  e  sventola  pennoni. 

Quanto  d' Insubria  il  bel  confln  circonda 
Fin  sotto  le  ligustiche  pendici , 
Quanto  di  Sesia  e  Bormia  Irriga  l'onda, 
Voto  riman  di  turbe  abitatrici. 
Quei ,  che  nella  vallea  cupa  e  profonda 
Soggioman  del  Monviso  alle  radici, 
Vengonvi ,  e  di  Provenza  e  di  Narbona 
Quei  elle  bevon  Durenza,  Isara  e  Sona. 


L*  ADONE. 


181 


Mi  pur  d*  Augusta  solo  e  di  Lucerna 
Le  valli  inculte  e  le  montagne  algenti, 
E  dagli  aspri  cantoni  Agauno  e  Berna 
Mandanvi  copia  di  robuste  genti  ; 
Ma  giù  dall'  Alpi ,  OTe  mai  sempre  verna, 
Y'inondan  quasi  rapidi  torrenti , 
Per  le  vie  di  Bernardo  e  di  Gebenna 
Quei  che  lasciano  ancor  Llgeri  e  Senna. 

Un  che  con  armi  d*or  va  seco  al  paro , 
È  TAldlghiera,  U  marescial  temuto, 
Che  sotto  giogo  di  pesante  acciaro 
Doma  il  corpo  rugoso  e  li  crln  canuto. 
Ecco  di  Damian  l' eccidio  amaro , 
Da'  due  franchi  guerrier  preso  e  battuto , 
Ed  ecco  d*Alba  la  seconda  scossa. 
Chi  fia,  che  impeto  tanto  affrenar  possa? 

Poo  mente  a  quel  clmier  che  con  tre  cime 
Di  bianca  piuma  si  rincrespa  al  vento. 
È  di  Vittorio  «  il  prìncipe  sublime. 
Del  Piemoute  alta  speme,  alto  ornamento. 
Ben  l'interno  valor  negli  atti  esprìme. 
Ha  di  latte  11  destrìcr,  l'armi  d'argento, 
E  d' un  aureo  monil,  che  al  petto  scende. 
Groppo  misterioso  al  collo  appende. 

Vedi  con  quanto  ardire  e  In  che  fier  atto 
Inaspettato  a  Messeran  s'accampa, 
E  giunto  a  Cravacor,  quasi  m  un  tratto 
Di  mina  mortai  segni  vi  stampa. 
Già  questo  e  quel,  poiché  del  giusto  patto 
Non  fur  contenti,  in  vive  fiamme  avvampa. 
Già  d' ambedue  con  esterminio  duro 
Splanato  è  11  forte  e  smantellato  il  muro. 

Vuoi  veder  un,  che  nato  a  grandi  imprese^ 
D'emular  il  gran  padre  s' affatica  ? 
Mira  Tommaso ,  Il  giovane  cortese , 
Che  tinta  di  sanguigno  ha  la  lorìca, 
E  il  cuoio  dei  leon  sovra  l'arnese 
Porta,  dell'avo  Alcide  insegna  antica. 
DI  seta  ha  i  velli  e  con  sottil  lavoro 
Mostra  il  ceffo  d' argento  e  l' unghie  d' oro. 

Vedilo  in  dubbia  e  perigliosa  mischia 
Passar  tra  mille  picche  e  mille  spade. 
Già  dal  volante  fulmine,  che  fischia , 
Trafitto  il  corridor  sotto  gli  cade. 
Ma  ne'  casi  maggior  viepiù  s'arrischia 
Quel  cor,  che  col  valor  vince  l'etade , 
E  pien  d'ardir  più  generoso  ed  alto, 
Pieso  novo  destrìer,  toma  all'  assalto. 


Miralo  poi,  mentre  il  maggior  fratello 
Con  gran  guasto  di  morti  e  di  prigioni 
Rompe  il  soccorso  e  11  capitan  di  quello 
Uccide ,  che  confuso  è  tra'  pedoni  ; 
Della  cavalleria  giunto  al  drappello 
Torre  1  regj  stendardi  a  due  campioni , 
Indi  mandargli  per  eterno  esempio 
D'alta  prodezza  ad  appiccar  nel  tempio. 

Solo  11  gran  Filiberto  altrove  Intanto 
Dubbioso  spettator,  stassl  in  disparte. 
Ma  il  buon  Maurizio  con  purpureo  manto 
Regge  li  paterno  scettro  in  altra  parte, 
E  r  alte  leggi  dei  governo  santo 
Con  giusta  lance  ai  popoli  comparte. 
Talor  pio  cacciatore  ai  fidi  cani 
Del  devoto  Amedeo  dispensa  1  pani. 

Oh  se  mai  prenderà ,  Tifi  celeste, 
Il  gran  timon  della  beata  nave , 
Da  quai  scogli  secura ,  a  quai  tempeste 
Sottratta,  correrà  calma  soave! 
Già  la  vegg'  io  per  quelle  rive  e  queste 
Portar,  nov'  Argo,  di  gran  merci  grave , 
Scorta  da  divin  Zefliro  secondo , 
li  vello  d'oro  a  vestir  d'oro  il  mondo. 

Ma  vedi  or  come  freme  e  come  ferve 
Contro  costoro  il  fior  d' Italia  tutta. 
Genti  all'Iberno  tributarie,  o  serve, 
Gioventù  ben  armata ,  e  meglio  instrulta. 
Ben  a  tante  e  si  fiere  armi  e  caterve  , 
SI  oppon  r  inclito  Estense  e  le  ributta. 
Aifln  pur  all'esercito,  che  passa. 
Libero  il  cammin  cede  e  il  varco  lassa. 

Passan  l' ardite  schiere  e.  di  Milano 
Il  prefetto  maggior  tra'  suoi  l'accoglie. 
Eccolo  là  sovra  un  corrente  Ispano , 
Che  l'insegne  reali  all'aura  scioglie. 
Il  baston  general  di  capitano 
Tlen  nella  destra  e  veste  oscure  spoglie. 
Mira  poi  come  in  un  feroci  e  vaghi 
S'arman  dall'altro  lato  1  gran  Gonzaghi. 

Quei  ch'ha  d'un  verde  scuro  a  fiocco  a  fioc- 
La  sopravesta,  è  di  Niverse  il  pregio,  [co 
Vedi  un  ch'ha  d'or  lo  scudo  e  d'orlo  stocco. 
Quegli  è  Vincenzo  il  giovinetto  egregio. 
L'altro,  che  splende  di  lucente  cocco, 
E  in  sembiante  ne  viene  augusto  e  regio, 
Riposato  nel  gesto  e  venerando , 
Quegli,  alo  ben  Gomprendo,è  Ferdinando. 


i8;t 


MARIMO. 


LomUì  belatudj  e  prende  «guerra  icdii- 
Dai  UranquUH  pentier  cura  diversa,     [to 
Maoto  die  il  Aor  dei  lucid'  ostri  ba  tinto. 
Fa  ricca  pompa  all'armatura  tersa. 
Groppo  di  gemme  lo  cima  li  tiene  avvinto 
Sicciiè  r  omero  e  il  petto  gU  attraversa  ; 
Ma  pur  Taeeiar  con  argentala  luee 
Sotto  k  fina  porpora  traluce. 

Vedi  il  Toledo,  che  VerceUi  affronu, 
GIÀ  r  Ila  di  stretto  assedio  inceronata. 
La  dttA  tutta  alle  difese  pronta 
Sta  Mille  nuira  e  snUe  torri  armata. 
Vedi  lo  scalaUNT,  che  su  vi  monte» 
E  il  cittadino  a  custodir  1*  entrata; 
Ma  poiché  assai  resiste  e  si  difende, 
Per  difetto  di  polve  alfin  si  rende. 

In  queeto  mesce  il  capitano  alpino 
Di  far  gualdane  e  correrie  non  resta. 
Filiaiano  ed  Annone  -e  il  Monferrlno 
Con  mille  piaghe  in  mUle  guise  Infesta. 
Oltre  M  frutto  perduto ,  il  contadtaio 
Forza  è  clie  paghi  or<|uella4agtÌa  or  questa. 
Gorre  V  altrui  Uoensa ,  ove  l' alletta 
Deslre  o  <tt  guadagno ,  o  di  vendetta. 

Corf  divisa,  e  deli'  istorie  Ignote 
Svela  il  fosco  tener  lo  Dio  d' Egitto, 
Quando  nel  terso  aceiar,  tra  le  cui  rote 
Quanto  creò  Natura  è  circoscritto, 
Adone  in  parti  alquanto  indi  remote 
Volgesi  e  vede  un  non  minor  conflitto. 
Dove  la  gente  In  gran  diluvio  inonda, 
E  difhiso  In  torrenti  il  sangue  abbonda. 

Onde  rivolto  al  messagger  volante  : 
Della  bella  facondia  arguto  padre , 
Disse,  o  mmilo  divin ,  tu  che  sai  tante 
Meraviglie  formar  novo  e  leggiadre , 
L' allra  guerra ,  die  fan  quhidl  distante 
L*aItrech*altrovelo  veggio  annate  squadre 
Fammi  conio  onde  awien  polche  ancor  qui- 
Parri43ombattaeoorraHsangaelnrlvi.  [vi 

lo  H  dM ,  risponde ,  altra  cagione. 
Ausarla  In  un  4empo  a  guerreggiar  sespln- 
Gon  ta  donna  real  del  gran  leone ,  [gè 
Ghe  per  Adria  guardar  la  s|)ada  stringe. 
Né  pur  del  eangue  di  pift  d*  un  squadrone 
La  terra  solasi  colora  e  tinge , 
Ma  il  mare  Istasssto  non  men  fiera-assalto 
Rosasggia  ancor  di  sanguinoso  smalto. 


Se  gola  hai  di  vederlo,  or  meeo 
Dritto  le  luci ,  04-*  le  l' affiso  e  gim. 
Egli  girolle ,  e  in  disusata  guisa 
Vide  ondeggiar  lo  sferico  zaffiro. 
Già  di  Anfitrite  a  mano  a  man  rawian 
1  vasti  alberghi  entro  l'angusto  giro, 
E  di  gran  selve  di  spalmati  legni 
Popolati  rimira  i  salsi  regnL 

Dalle  rive  adriatiche  e  dal  povto 
Di  Parlenope  bella,  alate  travi 
Già  del  Cerro  mordace  il  dente  tono 
Spiccano,  onuste  di  metalli  cavi 
Già  quinci  e  quindi  a  para  par  i^  è  scorto 
Un  naviglio  compor  di  molte  navi , 
Le  cui  veloci  e  volatrici  antenne 
Per  non  segnate  vie  baiton  le  peana. 

Volan  per  l' alto  e  de' cerulei  ebloatri 
Arano  i  molli  solchi  i  curvi  abeti. 
Rompon  co'  remi  e  co'  taglienti  rostri 
Delle  prore  ferrate  il  scn  di  TeCl« 

I  fieri  armenti  dei  marini  mostri 
Fuggono  spaventati  al  lor  secreti. 
Sotto  f  ombra  degli  arbori  che  adnaa  [na. 
Quest'armatae  queil'  altra,  Il  mar  s*hnlini- 

Appena  omeri  quasi  ha  II  mar  bastanti 

II  peso  a  sostener  di  tanti  pini. 
Appena  il  vento  Istesso  a  gonfiar  land 
Può  co*  fiati  supplir,  candidi  Hnl. 
Fugaci  Olimpi  e  vagabondi  Atìantl, 
Alpi  correnti  e  mobili  Appennini 
Paion,  svelti  da  terra  e  sparsi  a  nuoto, 
I  gran  vascelli  alla  grossezza ,  al  mote. 

Veder  fra  Unti  affanni  In  taau  guerra 
La  vergin  bella  a  Giterea  dispiacque. 
La  vergin  beNa ,  che  s'annida  e  aem 
Tra  i  lucenti  cristalli ,  ov*  efia  nacque  ; 
Ond'  hanno  insieme  H  mar  lite  e  la  terra, 
L' una  gii  offre  le  rive  e  l'altro  1'  «eque. 
Pugnan  con  bcUe  ed  ambiziose  gara 
Per  averta  tra  lor  la  terra  e  U 


Ecco  che  gorghi  già  di  foco  e  polve 
Vomita  il  bronzo  concavo  e  forato. 
Scoccando  si ,  che  i  legni  apre  e  dissolve, 
Gon  fiero  bombo  il  fulmine  piombata 
Nebbia  d' orror  caliginoso  invoKe 
E  mare  e  ciel  da  questo  e  da  quel  lato. 
Sembra  ogni  canna  (  tante  fiamme  spira) 
La  gola  di  Tlfeo,  <fuando  si  adira. 


L' ABONE. 


183 


Già  vieMi  adafferrar  poppa  con  poppa, 
Già  sproo  oon  sprone  inpetuoso  coua , 
Già  vota  il  foso  e  il  fil,  che  Ckilo  aggroppa 
DI  miUe  Tltea  do  puofo  Atropo  mona,  [{la, 
Spada  in  spada,  asta  in  asla  urtando  intop- 
L'acqaa  ^à  ae  divien  squallida  e  sozza , 
E  del  tMOgne  conuui  tinta,  somiglta 
Del  gcan  solfo  Eritreo  r<»da  vennlgtta. 


L*  una  dasenelP  altra  avventa  e  scaglia 
Pregni  d'occulto  ardor  gioM  e  Toluml , 
Oade,  neotre  più  stretta  è  la  battaglia, 
Incendio  repentki  vie»  che  s*  allmni. 
Scoppiali  le  cave  palle  e  fan  che  saglia 
Tufho  aUe^oèdle  di  lavìUe  e  fumi. 
Tra  11  bituBM  e  la  pece  e  il-nitro  e  il  zolfo 
Chi  sbalta  il  del,  dil  sdrucciola  nel  golfo. 

flnm  ValBano  e  momorando  rogge, 
E  trai  niggM  svoi  vibra  la  lingaa. 
GiMile  iBlomo  e  castella  arde  e  distrugge, 
Né  sa  Nettuno  oaiai»  come  1*  estingua. 
L*e8ca  del  sangue ,  cbc  divora  e  sugge, 
AlàMoulo  gli  porge,  onde  s*  impingoa. 
VliMe ,  trionfa  e  con  la  man  rapaoe 
Depreda  H  tutto  Imperioso  e  «face. 

loèmi mille  piramidi  vedresti 
Solfar  la  iamma  dagli  ondori  campi , 
Alzar  le  |Nmle,  ed  a  ^el  venti  e  questi 
CrollariecorBae  scaturirne  i  lampi. 
Tra  sì  fieri  spettacoli  e  funesti  [pi. 

Par  che  la  fiamma  ondeggi  e  Tonda  avvam- 
par che  tomi  alla  lite ,  onde  pria  nacque. 
Fatto  abisso  di  foco,  il  ciel  dell* acque. 

L*  eccelse  poppe  e  le  merlate  rocche 
Son  cangiate  in  feretri  e  fatte  tombe. 
Con  rauche  voci  e  con  tremende  bocche 
Romoreggian  tamburi  e  stridon  trombe. 
Lanciansi  1  dardi  e  votansi  le  cocche, 
Vlbransi  V  aste  e  rotansl  le  frombe  ; 
Chi  muor  trafitto  e  chi  malvivo  langue, 
Solcan  laceri  busti  il  proprio  sangue. 

Tremendi  casi ,  la  spietata  zuffa 
Mesce  di  ferro  In  un ,  d*  acqua  e  di  foco. 
Chi  nel  fondo  del  pelago  s*attuffa. 
Chi  del  sale  spumante  è  fatto  gioco. 
Chi  galleggia  risorto  e  il  flutto  sbuffa , 
Chi  tenta  risalir,  ma  gli  vai  poco  , 
Che  ricade  ferito,  ed  a  versare 
Vien  di  tepido  sangue  un  mar  nel  mare. 


Strepito  di  minacce  e  di  quer^. 
Di  percosse  e  di  seoppj  1  lidi  assorda. 
Altri  con  man  delle  squarciate  vale 
S*  atlien  sospeso  in  aria  a  qualche  eorda. 
Ma  giuBlo  dall'  arsura  empia  e  crudele 
Vassi  a  precipitar  nelToRda  ingorda,     < 
Onde  con  strana  e  miserabli  sorte 
Prova  quattro  elementi  in  una  morte. 

Or  quando  pia  cmdel  Mìe  la  gnerra, 
E  va  baccando  la  Discordia  stoica , 
Quando  di  qua  di  là  Tonda  e  la  terra 
Tutta  è  nel  sangue  e  neH*  orrom  imroHai 
Ecco  del  fier  Bifronte  il  tempio  aerra 
Colui  dM  anco  il  serrò  ia  prian  volta. 
Placa  gH  animi  alteri ,  e  fa  ohe  cada 
L*  ira  dal  cori  e  datta  man  la  spada. 

E  por  fennar  con  sempre  stabil  chiodo 
La  pace  die  è  gran  tempio  ita  la  eoif^lo, 
Cristina  bella  in  sacrosanto  nodo 
Stringe  del  re  del  monti  al  maggior  figlio. 
Vedrassi  il  groppo ,  onde  si  gloria  HodOii 
Insieme  ioeateaar  ia  palma  e  il  giglio. 
E  ta  di  gigli  allor,  non  più  di  rose 
Tesserai ,  Dea  d' anmr ,  trecce  aasoreae. 


Già  d*  età,  già  di  senno,  egià  eresdttia 
Tanto  è  di  forze  11  giovinetto  Augusto, 
Che  ottioB  del  pari  amabNe  e  tenwlo 
Vanto  di  bu«no  e  titolo  di  ginata. 
Ma  T  orgoglio  dei  principi  abbattuto 
Sorge  ancor  più  superbo  e  più  robusto , 
E  il  bel  regno  da  lor  stracciato  a  brani 
Rassomiglia  Atteon  tra  i  propri  cani. 

Movesi  ali*  armi ,  e  ne  va  seco  armato 
Enrico,  il  primo  fior  del  regio  seme. 
Quei,  che  pur  dianzi  andò,  quasi  sdegnato, 
Co*  men  fedeli  a  collegarsi  insieme. 
Sdegno  fu,  ma  fu  lieve;  or  che  allo  stato 
Del  gran  cugino  alto  periglio  ei  teme , 
Gli  sovvien  quanto  è  d*  uopo  in  tanta  im- 
Di  consiglio,  d'aiuto  e  di  difesa,   [presa 

Va  con  poche  armi  ad  assalir  la  fronte 
Dei  nemici  dispersi ,  e  li  sorprende. 
Non  vedi  Can ,  che  volontarie  e  pronte 
Gli  disserra  le  porte  egli  si  rende? 
Vedi  di  Sei  nei  sanguinoso  ponte 
Quante  squadre  nibelle  a  terra  stende. 
Poi  per  domar  la  scellerata  setta 
Ver  T  estrema  Biame  11  campo  affretta. 


1S4 


MARINO. 


Cede  lo  sfono ,  €  1*  impeto  nemico , 
Ingombra  Navarrin  terrore  e  gelo. 
Già  v'entra,  e  nell'entrarTi  11  re  cbModlco, 
Non  men  che  di  valor  s'arma  di  zelo. 
Rende  al  dìstrulU  altari  il  culto  antico. 
A  sé  stesso  V  onor,  la  gloria  al  Qelo. 
Ogni  passo  è  vittoria,  ovunque  ei  vada, 
E  vince  senza  sangue  e  senza  spada. 

Qual  uom  che  pigro  e  sonnacchioso  dorme 
Giace  col  corpo  in  sulle  piume  molli , 
Con  l'alma  del  peosler  seguendo  l'orme, 
Varca  fiumi  e  foreste  e  piani  e  coUi  ; 
Tal  rivolgendo  Adon  gli  occhi  alle  forme. 
Della  cui  vista  ancor  non  son  satolli , 
Non  sa  se  vede ,  o  pargli  di  vedere 
Tra  lumi  ed  ombre  immagini  e  chimere. 

Mentre  eh'  el  pur  dei  simulacri  accolti 
Nei  mondo  cristallin  l' opre  rimira. 
Del  silenzio  in  tal  guisa  1  nodi  ha  sciolti 
L'alto  inventor  della  celeste  lira. 
Sappi ,  che  dietro  a  molti  corsi  e  molti 
Del  gran  pianeta  che  il  quart'  orbe  gira , 
Pria  che  abbia  effetto  il  ver  staranno  ascose 
Le  qui  tante  da  te  vedute  cose. 

Ma  quei  successi ,  che  a  ncor  chiude  il  Fato, 
T' ho  voluto  mostrar,  come  presenti , 
Acciocché  miri  alcun  fatto  onorato 
Delle  più  degne  e  gloriose  genti. 


Fin  qui  Giove  permette,  e  non  m*é  dato 
Più  fn  là  scoprirti  dei  futuri  eventi. 
Or  tempo  é  da  fornir  l'opra  che  resta. 
Vedi  il  Sol ,  che  nel  mar  china  la  testa. 

Vedi  che  armata  di  argentati  lampi 
Per  le  campagne  del  suo  ciel  serene 
La  ètella  inferlor,  che  omai  degli  ampi 
Spazj  dell* orizzonte  il  mezzo  tiene, 
Mentre  dell'aria  negli  aperti  campi 
A  combatter  col  dì  la  notte  viene , 
Prende  a  schierar  delle  guerriere  ardenti 
I  numerosi  eserciti  lucenti. 

Lungo  troppo  11  cammino,  e  breve  è  l'ora. 
Onde  convien sollecitare  il  passo. 
Per  poter,  raccorciata  ogni  dimora. 
Tornar  per  l'orme  nostre  al  mondo  basso. 
Perocché  II  suo  bel  lume  ha  già  l'Aurora 
Due  volte  acceso ,  ed  altrettante  casso 
Da  che  partimmo,  e  qui  (  fuor  che  a  felice 
Gente  immortale)  il  troppo  star  non  lice. 

Cosi  Mercurio  ;  e  l' altro  allor  dintorno 
Dove  r  occhio  il  traea ,  volgendo  II  piede. 
Le  ricche  logge  dell'albergo  adorno. 
Di  parte  in  parte  a  contemplar  si  diede. 
E  da  che  prese  a  tramontare  11  giorno , 
Che  ivi  air  ombra  però  giammai  non  cede. 
Non  seppe  mal  da  tal  vista  levarse 
Finché  l'altr'alba  in  oriente  apparse. 


L'ADONE. 


18& 


CANTO  UNDEGIMO 


LE  BELLEZZE. 


ALLEGORIA. 

Perla  luce  die  circonda  le  ombre  delle  donne  belle,  s* intende  la  Bellezza,  la 
qual  da*  platonici  fu  detta  raggio  di  Dio.  Nella  Fama  che  seguita  la  reina  Maria 
de' Medici ,  e  parla  delle  sue  grandezze,  si  comprende  che  la  lode  va  sempre  dietro 
alla  virtù ,  e  che  le  azioni  generose  ed  illustri  non  restano  giammai  senza  la  meritata 
gloria.  In  Mercurio,  che  a'  prieghi  d'  Adone  calcolandogli  la  figura  della  natività,  e 
pronosticandogli  la  morte,  vien  confutato  da  Venere,  si  dinota  quanto  sia  grande 
r  umana  curiosità  di  volere  Intendere  le  cose  future ,  e  quanto  poco  si  debba  credere 
alla  vanità  dell*  astrologia  giudlciaria. 


AaCOMlIITO. 


Belleste  r  contemplar  d'alme  dÌTÌoe 
Sen  poggia  al  terao  del  la  coppia  lieta; 
B  dagli  eflTeUi  di  quel  bel  pianeta 
Scopre  lo  Dio  facondo  alle  dottrine. 


0  già  dell*  Amo,  or  della  Senna  onore. 
Maria  più  eh*  altra  invitta  e  generosa , 
Donna  non  già,  ma  nova  Dea  d*  amore , 
Che  vinta  col  tuo  giglio  hai  la  sua  rosa, 
E  del  gallico  Marte  il  fiero  core 
Domar  sapesti  e  trionfarne  sposa , 
Prendi  queste  d*  onor  novelle  fronde , 
Naie  colà  su  le  castalle  sponde. 

Queste  poche  d*  onor  fronde  novelle  ^ 
Questi  fior  di  Parnaso  e  di  Permesso 
La  tua  chioma  reai  degna  di  stelle 
Non  sprezzi,  ond*  io  corona  oggi  le  tesso; 
Poiché  anco  li  Sole,  oSol  dell*  altre  belle. 
Che  è  della  tua  beltà  ritratto  espresso , 
Scorno  non  ha ,  che  fra  la  luce  e  i*  oro , 
Che  gli  fregiano  il  crin ,  serpa  1*  alloro. 


Che  tue  lodi  garrisca  e  di  te  canti 
Stridula  voce,  ignobll  cetra  e  vile. 
Che  1  tuoi  si  chiari  e  sì  famosi  vanti 
Adombri  oscuro  inchiostro,  oscuro  stile  ; 
Che  1  pregj  tuoi  sì  spaziosi  e  tanti 
Raccolga  angusto  foglio,  alma  gentile. 
Sdegnar  non  dei,ch*è  gloria  e  non  oltraggio 
Illustrar  Tornbre  altrui  col  proprio  raggio. 

Sai,  che  pur  rauco  a  salutar  l'Aurora 
Infra  i  cigni  canori  II  corvo  sorge. 
In  plcciol  onda,  In  picclol  vetro  ancora 
Chiusa  del  ciel  1*  inunensità  si  scorge. 
Né  suol  celeste  Dea  quando  talora 
Simulacro  votivo  altri  le  porge , 
Ricco  di  sua  bellezza  aver  a  sdegno 
Rozzo  Un ,  rozzo  piombo  e  rozzo  legno. 


186 


MARIMO. 


Tu  dell'  ingegno  mio  propizia  stella , 
Per  quest*  acqua ,  eh'  io  corro ,  esser  ben 
Poiché  i  divini  amor  canto  di  quella,  [dei, 
Della  cui  stirpe  originata  sei  ; 
E  di  volto  e  di  cor  benigna  e  bella 
Ben  la  somigli  e  ti  pareggi  a  lei , 
A  cui  per  farsi  a  te  del  tutto  eguale 
Quanto  sol  manca,  è  l'onestà  reale. 

Troppo  audace  talor  tento  ben  lo 
Cantando  alzarmi  al  tuo  celeste  foco. 
Ma  le  penne  all'  ardir,  V  aure  al  desio 
Mancano ,  e  caggio  augel  tarpato  e  roco. 
Pur  se  dell*  opre  tue  ni*l  cantar  mio 
11  più  si  tace ,  e  quel  eh'  io  scrivo  è  poco, 
Gran  fiamma  secondar  breve  favilla 
Suple,  e  fiume  talor  succede  a  stilla. 

Uscita  col  canestro  era  e  con  l' urqa 
La  cpodottrice  de'  novelli  albori , 
Dall'  aureo  vaso  e  dalla  mano  eburna 
VersaodD  perle  e  seminando  fiori. 
Già  la  caliginosa  aria  notturna 
Spogliava  r  ombre  e  rivestia  1  colori , 
E  precorreano  e  predlceano  il  giorno 
La  stella  innanzi  e  gli  augelletti  intorno. 

Quando  l' augelle  querule  e  lascive 
U  carro  della  Dea  levando  in  aito , 
Dal  cerchio  di  quel  Nume,  a  cui  s*  ascrive 
L' eloquenza  e  II  saver ,  spiccaro  il  salto. 
E  in  breve  acceso  di  fiammelle  vive , 
Vive ,  ma  non  cocenti ,  un  puro  smaUo 
Quasi  di  schietto  azzurro  oltremarino , 
Alla  vista  d*  Adon  si  fé'  vicino. 

Vasai  al  del  di  costei,  che  11  cor  ti  sface, 
Disse  Mereurio  attor,  dal  del  seconda- 
Mira  QolA  della  sua  beila  face 
il  dolee  sigDorìl  lume  fecondo. 
0  letizia,  0  deliala ,  o  vita,  opaca 
Univeraal  dell'  un  e  V altro  mondo! 
GoBiA  aereo  «  quel  nnn  pia  mai  si  vide. 
Della  lampe  felice  il  lampo  ridel 

IM  rumata  alalia,  a  cui  aiam  preaeDomai, 
Ia  grandeazft  non  è  quam'  altri  crede , 
Gb^  è  dei  globe  terreii  minore  assai , 
Pur  tanta  in  ogni  mwko  esser  si  vede , 
E  tanti  spargi  «  a  ai  vivaci  rei , 
Che  Giove  islemoi»  qnalclie  parte  eccede; 
Kd  a  leiee4e  ogni  altra  luce  iatorne , 
Salito  ie  due ,  ebe  fan  la  nona  e  il  giorno. 


Né  di  tutto r  esercito  stellante, 
I  cui  splendor  col  suo  bel  volto  imbruna , 
Fiamma  si  luminosa  arde  tra  quanta 
Ferme  ne  ha  il  dolo,  o  peregrine,  alcuna. 
Quinci  quando  talor  spunta  in  Lavante 
Piazza  intorno  si  fa ,  come  la  Luna  ; 
E  talvolta  addivien ,  che  splender  suole 
In  ficela  ai  giorno ,  al  paragon  del  Sole. 

Quaior  gli  sguardi  avventurosi  gira, 
E  spiega  in  sul  ba-con  le  chiome  bionde. 
Tal  di  grazia ,  e  d' amor  faville  q>ira , 
Tanti  di  cortesia  raggi  diffonde , 
Che  può  gli  occhi  invaghir  di  cbl  la  mira, 
E  la  notte  fugar,  che  si  nasconde, 
Dando  stupor  dal  suo  lucente  albergo 
AI  mio  gran  alo ,  che  la,  sostien  sul  tergo. 

Luce  del  mondp  ed  ultima, e  priml^i 
Sila  il  giorno  discblvde  ad  alia  ilaerrn. 
Sorge  la  prima  a  risaliiarar  la  aoi9« 
Tosto  che  il  carro  d' or  glia  aaiiamb 
Poi  quando  tutta  la  fngaae  aohlem 
Delle  stelle  minor  nel  mar  si  serra , 
Riman  nell'  aria  d' ogni  luce  priva 
Sola  invece  del  Sol  fioche  egli  arriva. 

Sempre  accompagna  II  Sol,  né  mai  da  lui 
Per  brevissimo  spazio  si  disgiunge. 
Come  ancor  fa  la  mia ,  sicché  ambodui 
Non  sappiam  Tua  dall'altro  andarne  longe. 
Siam  auoi  seguad ,  e  seco  ognun  di  nul 
Quasi  in  un  tempo,  al  fin  del  corso  giunge. 
Terminando  di  par  con  la  sua  scorta 
Del  gran  calle  vital  la  linea  torta. 


Ben  (come  vederpuol)  di  sua  i 
Grande  veracemente  é  la  cblai 
Ma  sua  virtude  e  sua  fatai 
Sappi  aneor,  che  risponde  alla  haUaian^ 
Di  piacevol  natura  ogni  altra  avance  » 
Tutta  é  benignità,  tutu  é  dalaaaaa. 
Tu  per  lei  sola  appien  fatte  eontapta 
Saprai  per  prova  dir,  se  adulo,  o 


Egli  è  ben  ver  che  sa  Satuma^  o  Marte 
A  lei  si  acaoata  con  obliquo  aapetlo , 
Le  contamina  il  lume,  e  le  ooaifMrCa 
Di  sua  rea  qualità  qualehe  difetta. 
Ma  quando  avvien,  ebe  in  eleveta  parta 
Lunga  io  sguardo  infausto  abbia  44eetta, 
Non  ai  può  dir  con  quanti  efleMi  e  ^naH 
Fortunati  suol  Zar  gli  altrui  natali. 


L'AMNE. 


ir 


G\\  agi  del  leu».,  e  eoa  diletto  e  riso 
SckerzI ,  .giochi,  trastulli ,  osj  promelle. 
Bellezza  dona ,  e  leggiadria  di  viso , 
Ma  Xa  molli  le  genti  e  laaclvette. 
E 'SO  i|aand'  io  le  son  Incontro  assiso. 
Meco  amico  e  concorde  I  rai  riflette , 
Produco  in  terra  con  auapkj  lieti 
Ciliari  oratori  e  celebri  poetU 

So  Febo  poscia  »  visitar  si  move , 
E  In  sito  princIpal  la  casa  tiene , 
O  viensl  a  vagheggiar  col  padre  Giove , 
De*  suol  tesori  prodiga  diviene. 
Il  grembo  appieno  allarga,  e  laggiù  piore 
Ogni. grazia,  ogni  onore  ed  ogni  bene,. 
E  col  ravor  dell'  una  e  V  altra  luce 
A  gran  fortune  I  suol  soggetti  adduce. 

Con  questo  dir  per  entro  il  ludd*  ateo 
M  «sarchio  odamantin  drizia  il  sentiero, 
Che  al  conosciuto  carro  aprendo  il  varco, 
La  Diva  ammette  al  suo  celeste  imper». 
Loco,  ohe  di  piacer,  di  gioia  carco. 
Paradiso  del  del  può  dirsi  Invero  t 
E  tasta  fame  e  tanta  gloria  serra , 
Cheapposquel  cielo  ogni  altrocielo  è  terra. 

Anretle  molli ,  zefiri  lascivi , 
Fonti  d' argento  e  nettare  sonanti , 
Di  conrenle  saffir  placidi  rivi , 
Rive  smaltale  a  perle  ed  a  diamanti  ^ 
Rupft  gemflMte  di  smeraldi  vivi , 
Selve  d*  incenso  e  balsamo  stillanti , 
Prati  sempre  di  porpora  fiorili. 
Piagge  deliaiose ,  antri  romiti  ; 

Vaghi  per  terra  di  grottesche  erbose , 
Di  pastini  ben  culti  ampi  giardini , 
Bei  padiglioni  di  «iole  e  rose , 
DI  garofani  bianchi  o  purpurinl, 
Dolci  concordie  e  musiche  amorose 
Di  Sirene,  di  cigni  e  d*  augellini , 
Boschi  di  folti  allori  e  folti  mirU, 
Tranquilli  alberghi  di  felici  spirU  ; 

Freechl  ninfei  di  limpidi  cristaUi , 
Puri  canali  di  dorate  arene , 
Siepi  di  cedri ,  cespi  di  coralli , 
Scogli  muscosi  e  collinette  amene , 
Ombre  scerete  di  soiUighe  vaili , 
E  di  verdi  teatri  opache  scene , 
Tortorelic  e  colombe  innamorate. 
Fanno  gioir  le  region  beale. 


Ha V vi  riposte  e  cristalline  stante 
Di  scelti  unguenti  e  d' odorati  fumi , 
Che  sogllon  ricettar  belle  adonanae 
Di  Ninfe  no,  ma  di  celesti  NumU 
Altra  Rete  canzoni  e  liete  dante 
Accorda  all'  amonia  de*  sacri  flumk 
AltrannoUin  narlo,cbehal*ondelniatle 
Di  manna  e  mele  e  di  rugiada  e  latte. 

Siccome  suol  triangolar  eriataHo 
Ripercosso  talor  da  raggio  avverso , 
Mostrar  rosso  ed  azzurro  e  verde  e  giallo 
Quasi  fiorite  un  bel  giardin  diverso; 
Onde  chi  mira  i  bel  colori,  ed  hallo. 
Del  gran  pianeta  al  lampeggiar  converso, 
Veggendo  Iride  fatto  un  puro  gelo , 
Non  sa  se  il  Sol  sia  in  terra  ,o  il  vetrota&elelo^ 

Cosi  volgendo  ai  dileuosl  oggetti. 
Novi  al  suo  senso  ,  attonito  le  dglla , 
Entrato  11  beli*  Adon  tra  qne*  rloattl. 
Non  aensa  alto  piacer  si  meraviglia. 
Sul  collo  al  volatori  amorosetU 
L*  uccìsbr  d*  Argo  abbandonò  la  briglia^ 
E  gli  lasciò  su  per  la  riva  fresca 
Pascer  d' ambrosia  incorruttibil  esca. 

Nel  dritto  mezzo  vaneggiava  uoptent 
Cimo  di  colli  e  spazioso  in  giro. 
Che  portando  lo  sguardo  assai  lontuio^ 
Tntto  d' or  mattonaio  e  di  zaffiro. 
Era  In  un  piaiza  e  prato,  e  quivi  In  strano 
Uvor  composti  a  risguardare  uscirò 
YarJ  ortlcelll  di  bei  fior  dipinti , 
Che  di  larghi  sentieri  eran  distinti. 

Dietro  la  pesu  Adon ,  sotto  la  cura 
Della  sua  bella  ed  amorosa  duca , 
Si  mise  per  la  florida  pianura , 
La  cui  via  dritta  In  ver  la  costa  adduce. 
Quando  rasserenossi  oltre  misura 
Queir emispero  di  beata  luce. 
Ed  ecco  un  iustit)  lampeggiar  dintorno. 
Che  Sole  a  Sole  aggiunse  egiocno  a  giorno. 

A  guisa  di  carbon ,  che  si  ravviva 
Di  Borea  ai  soflj  e  doppio  vampo  acquista. 
Novo  splendor  sovra  splendore  arriva. 
Che  riga  l'aria  di  vermiglia  lista. 
Quasi  ampia  sfere,  il  bel  chiaror  s*apriva« 
Nel  cui  centro  il  garzon  ficcò  la  vista, 
E  vide  entro  quel  circolo  lucente 
I  Gran  tratU  spaziar  di  lieU  gente. 


188 


MARINO. 


Come  augelllni ,  che  talor  satolli 
A  stonno  a  stormo  levansi  dal  fiume , 
Quasi  congratulanti ,  al  vicln  coIU 
Scoton  cantando  le  bagnate  piume  ( 
0  come  pecchie ,  che  da'  campi  molli 
Rapir  le  care  prede  ban  per  costume , 
Tra*  purpurei  fioretti  e  tra  gli  azzurri 
Alternando  sen  van  dolci  susurri. 

Così  menavan  tra  festivi  canti 
L' anime  fortunate  allegra  vita , 
Lucide  a  maraviglia  e  folgoranti , 
Tutte  in  età  di  gioventù  fiorita. 
Vive  persone  no ,  paion  sembianti 
Specchiati  in  bei  cristal,  che  il  vero  imita. 
Ciascuna  lor  immagine  rassembra  [bra. 
Vanità,  che  abbia  corpo  ed  abbia  mem- 

Tremoiavan  per  entro  i  ral  sereni 
Quelle  fulgide  fiamme  a  mille  a  mille 
Non  altrimenti ,  che  atomi ,  o  baleni 
Soglian  per  le  snebbiate  aure  tranquille, 
0  lucciolette ,  che  ne'  prati  ameni 
Con  vicende  di  lampi  e  di  scintille 
Vibrano ,  quasi  fiaccole  animate , 
Il  focil  delle  piume  inargentate. 

Deh  per  quel  dolce  ardor,  disse  il  don- 
Alla  sua  Dea,  che  per  te  dolce  m'arse  [zello 
Dammi,  ch'io  sappia,  che  folgore  è  quello, 
Che  repentino  agli  occhi  nostri  apparse? 
E  quelle  luci ,  che  in  più  d' un  drappello 
Vanno  per  mezzo  i  raggi  erranti  e  sparse, 
Dimmi  che  son ,  poiché  a  beltà  sì  rara 
La  chiarezza  del  elei  più  si  rischiara? 

La  luce ,  che  tu  miri ,  è  quella  istessa , 
Che  arde  ne'  tuoi  begli  occhi,  ella  rispose, 
Specchio  di  Dio,  che  si  vagheggia  in  essa, 
Fior  delle  più  perfette  e  rare  cose ,  [sa, 
Stampa  immortai  da  quel  suggello  Impres- 
Dove  il  Fattor  la  sua  sembianza  pose, 
Proporzion  d' ogni  mortai  fattura , 
Pregio  dei  mondo  e  gloria  di  Natura. 

Esca  dolce  dell'  occhio  e  dolce  rete 
Dei  cor,  che  dolcemente  il  fa  languire. 
Vero  piacer  dell'alma,  alma  quiete 
De'  sensi,  ultimo  fin  d^ogni  desire. 
Fonte,  che  solo  altrui  può  trar  la  sete, 
E  sol  render  amabile  11  martire. 
Se  udito  hai  nominar  giammai  bellezza. 
Qui  ne  vedi  l' essenza  e  la  pienezza. 


L'anima  nata  infra  l'eterne  forme, 
Ed  avvezza  a  quel  bel,  che  a  sé  la  chiama. 
Della  beltà  celeste  In  terra  l'orme 
Cerca  e  ciò  che  l'alletta  e  segue  e  brama  ; 
E  quando  oggetto  ai  suoi  pensier  conforme 
Trova ,  vi  corre  ingordamente  e  l' ama. 
Fior,  fronde,  gemme  e  stella  e  Sde  ammira 
Ma  viepiù  '1  Sol  chMn  due  begli  occhi  gira. 

Bellezza  è  Sole  e  lampo  e  fiamma  e  strale. 
Fere  ov' arriva  e  ciò  che  tocca  accende. 
Sua  forza  è  tanta  e  sua  virtude  è  tale. 
Che  inebbria  si,  ma  senza  oflìesa  offende. 
Nulla  senza  beltà  diletta ,  o  vale , 
Il  tutto  annoia  ove  beltà  non  splende. 
E  qual  cosa  si  può  fra  le  create 
Più  bella  ritrovar  della  belute? 

[coglia 
Perde  appo  questo  (ancorché  in  un  s'ac- 
Quanto  il  mondo  ha  di  buono)  ogni  altro  be- 
Ogni altro  ben,  che  a  desiare  invoglia,  [ne, 
Alfln  sazia  il  desio  quando  e'  ottiene. 
Sol  quei  desio,  che  di  beltà  germoglia. 
Cresce  in  godendo,  e  vie  maggior  diviene. 
Sempre  amor  novo  a  novo  bel  succede, 
Tanto  più  cerca»  quanto  più  possiede. 

Giogo  caro  e  leggier,  leggiera  salma, 
Prigionia  grata  e  tirannia  soave. 
In  qualunque  altro  affar  perder  la  palma 
Altrui  rincresce  e  l' esser  vinto  è  grave. 
A  quest'  impero  sol  qual  più  grand' alma 
Soggiace,  e  d'ubbl(àr  sdegno  non  bave. 
Non  é  cor  sì  superbo ,  o  sì  rubello , 
Che  non  si  pieghi  e  non  s' inchini  al  bello. 

Violenza  gentil,  che  opprime,  affrena, 
Tira,  sforza,  rapisce,  eppur  non  noce. 
Tosco  vital ,  che  nutre  ed  avvelena, 
E  senza  danno  ai  cor  passa  veloce , 
Magia  del  dei  che  incanta  ed  Incatena, 
E  non  ha  mano  e  non  ha  lingua,  o  voce, 
Voce,  che  muta  persuade  e  prega , 
Man ,  che  senza  legami  annoda  e  lega. 

Un  sol  guardo  cortese ,  un  atto  pio 
Di  bella  donna,  mille  strazj  appaga, 
Fa  subito  ogni  mal  porre  in  obblio , 
Lodar  l'incendio  e  benedir  la  piaga. 
Cupido  di  penar  rende  il  desio , 
E  del  proprio  dolor  l'anima  vaga. 
Ed  uom  di  vita  e  di  conforto  privo 
È  possente  a  tornar  beato  e  vivo. 


L' ADONE. 


189 


Questo  è  quel  lume,  che  innamora  e 
E  fa  corona  all'  anime  contente,    [place. 
Né  foco  in  fiamma,  né  favilla  in  face, 
Né  stella  in  elei ,  né  Sole  in  oriente 
Arde  in  sì  puro  incendio  e  si  vivace. 
Glie  agguagli  il  dolce  ardor  che  qui  si  sente. 
Sono  astratte  sostarne  e  lucid'  ombre. 
Di  ogni  impaccio  terren  libere  e  sgombre. 

Son  delle  donne  più  famose  e  belle 
Tutte  raccolte  qui  1*  alme  beate , 
Perocché  per  fatai  legge  di  stelle 
Quante  giammai  ne  sicno,  o  ne  son  state, 
Quelle  che  nacquer  già  miiranni,  e  quelle 
Che  nasceran  nella  futura  etate , 
Son  (come  qui  le  vedi)  a  schiera  a  schiera 
Tutte  quante  dovute  alla  mia  sfera. 

E  se  vago  sci  ptu*  di  mirar  come 
Liete  sen  van  per  questa  piaggia  aperta , 
E  vuoi,  che  alcuna  io  ne  disegni  a  nome. 
Meco  non  ti  rincresca  ascender  l*erta. 
Quivi  di  quante  scorgi  aurate  chiome 
Contezza  avrai  più  manifesta  e  certa, 
Che  meglio  apparirà  (benché  remota) 
Qualunque  fia  tra  lor  degna  di  nou. 

Ciò  detto ,  ad  un  poggiuol  poggiare  In 
Delle  rupi  più  basse  e  più  vicine,     [cima 
Ma  qoal,  seguì  Ciprigna,  elegger  prima 
Del  bei  numer  degg'  io,  che  è  senza  fine  ? 
0  quai  più  stimerò  degne  di  stima? 
Le  Barbare,  le  Greche,  o  le  Latine 
Fra  tante  le  più  belle  e  nobil  donne, 
Che  abbia  il  Ciel  destinate  a  vestir  gonne  t 

Tu  vedi  ben  colei ,  che  tanta  luce 
Fra  1*  altre  tutte  di  bellezza  ha  seco. 
È  la  famosa  suora  di  Polluce , 
Flebll  materia  al  gran  poeta  cicco. 
Vedi  Briseida,  che  il  più  forte  duce 
Fé*  sdegnoso  appartar  dal  campo  greco. 
Polissena  la  segue  e  va  contenta,      [ta. 
Che  r  ira  ostil  coi  proprio  sangue  ha  spen- 

L'altra,  che  alquanto  lia  turbatelto  il  el- 
fi la  vezzosa  vedova  alTrlcana ,        [glio, 
Del  mio  ramingo  ed  agitato  figlio 
Fiamma  quasi  maggior  della  troiana. 
Tien  nella  destra  11  ferro  ancor  vermiglio, 
Né  la  piaga  del  petto  in  tutto  è  sana; 
E  in  tanta  gioia  pur  mostra  la  vista 
D*  ila,  d*odlo,  d'amor,  di  affanno  mista. 


Quella  che  ha  in  man  dueserpi,e  tanta  do- 
Lussuria  trae  di  barbaresche  spoglie,  [pò 
E  pende  nel  color  deli'Etiopo, 
Ma  col  suo  bruno  all'  Alba  il  pregio  toglie, 
E  il  nero  crine  ali'  uso  di  Canopo 
Sotto  un  diadema  a  più  colori  accoglie  ; 
Del  grande  Antonio  amica ,  è  Cleopatra , 
Che  l'ha  di  sua  beltà  fatto  idolatra. 

Danae  è  colei,  che  semplicetta  accolse 
Nel  grembo  virginal  l'oro  impudico. 
Quella  è  l' incauta  Semele,  che  volse 
Mirare  in  trono  il  non  ben  noto  amico. 
Ecco  Europa  colà ,  da  cui  già  tolse 
La  più  nobU  provincia  il  nome  antico. 
Eccoti  Leda  qui ,  che  si  compiacque 
Del  bianco  augello,  ond'Elenapoi  nacque. 

Vi  è  Dlanlra,  che  si  duol  delusa 
Di  avere  ucciso  V  uccisor  di  Anteo. 
Havvi  Arianna,  che  l' inganno  accusa 
Del  troppo  ingrato  e  perfido  Teseo, 
Guarda  Andromeda  poi  che  non  ricusa 
li  fido  suo  liberator  Perseo. 
Ed  Ero  guarda,  che  da  lido  a  lido 
Trasse  più  volte  il  nuoutor  di  Abido. 

Vedi  una  turba  di  progenie  ebrea 
Tutta  in  un  groppo,  che  laggiù  cammina? 
In  queste  sol,  clie  il  fior  son  di  Giudea, 
Arde  di  santo  amor  fiamma  divina. 
V  ha  Rebecca  e  Rachele  e  Betsabea, 
Havvi  Susanna,  Ester,  Dalila  e  Dina, 
E  Giuditta  è  tra  lor  la  vedovella 
Feroce  e  formidabile,  ma  bella. 

Mira  il  tragico  ardor  dei  pria  cruilele , 
Poi  ripentito,  anzi  arrabbiato  Erode , 
Marianne  gentil ,  che  le  querele 
Del  fiero  amante  di  quassù  non  ode. 
L'altra  che  d'aver  tolto  ai  suo  fedele 
Il  bel  trionfo  Insuperbisce  e  gode, 
lo  dico  a  Tito  il  buono ,  è  Berenice , 
Che  del  gran  vincitore  è  vincitrice. 

Or  li  addito  di  belle  un  altro  coro , 
Non  meno  accese  in  amoroso  rogo. 
La  gran  donna  del  Lazio  è  madre  loro , 
Cui  por  s'aspetta  all' universo  il  giogo. 
Livia  d' Augusto  è  prima  infra  costoro , 
Messalina  di  Claudio  ha  l'altro  luogo, 
Senza  mill' altre  ancor,  che  ne  tralascio 
Per  restringer  gran  massa  in  picco!  fascio. 


190 


■AMlfO. 


LtfKku  però  «m  voglio  unt  eho  tolto 
La  Mnea  poppo  fusaitiulnau  e  gunu 
Ha  di  punta  mortale  U  fianco  rotto, 
LMsrtaia>  «corolle  fnna  abbia  di  «aaia. 
Non  so  ie  ha  come  II  corpo.  Il  cor  corrotto, 
So,  €he  «Ma  fona  altrui  poco  contrasta  ; 
B«Oviebe  col  pagliai  non  s' apre  II  petto , 
Che  gustar  pria  non  voglia  il  mio  diletto. 

No  no,  non  già  per  Ira  il  aen  si  Aede , 
Che  abbia  (  ti  so  ben  dir  )  contro  11  tiranno, 
Per  vendicar,  siccome  11  volgo  crede , 
Con  «1  oolpo-ll  suo  torto  •  il  oomon  tkui- 
Fallo sol  per  dolor,  perchè  s'avvede   [no. 
Pur  CMppo  Cardi  del  suo  aciooco  inganno, 
Che  n'ha  passata  per  follia  d'onore 
^Smua  tanto  piacer  i'  età  migliore. 

Volgiti  a  Fausta,  che  di  fòco  infausto 
Percagion  del  llglia&trohallcortanl'arso, 
ChecoBTion ,  che  di  Amor  fatto  olocausto 
Grlspo  l'estingua  col  ano  sangue  sparso. 
n  tempo  a  dime  unte  è  troppo  esausto , 
L' occhio  a  segnarle  tutto  è  troppo  scarso. 
Lascio  l'antica  schiera  e  passo  a  quella , 
Che  dee  nobilitar  l'età  novella. 

Trai  pia  chiari  splendor  deHe  moderne 
Vedi  là  sdotlilar  Giulia  Gonzaga. 
Deli' immensa  beltà  die  in  lei  si  sceme , 
Potrà  far  solo  il  grido  hicendlo  e  piaga , 
Ed  al  fler  Soliman  le  fibre  interne 
Strugger  dell'  «Ima  innamorata  e  vaga , 
Onde  per  adempir  gli  alti  desiri 
Verrà  io  Setta  a  ber  l'onde  di  Lirl. 

Vedi  duo  rami  del  medesmo  stelo. 
Una  coppia  real  di  Margherite , 
Sol  per  bear  la  terra  elette  in  cielo , 
E  fir  di  casto  amor  dolci  ferite. 
Quella  che  è  prima  e  di  purpureo  velo 
Le  schiette  membri  e  candide  ha  vestite, 
Indorerà  con  luce  ardente  e  chiara 
E  del  secolo  il  ferro  e  di  Ferrara. 

L'  aHra,che  mano  a  man  seco  congiunge, 
Di  l^orena  felice  i  poggi  onora. 
Folgoreggia  il  bel  volto  ancor  da  hnge , 
E  di  lume  divln  tutto  s*  Infiora. 
Amor  non  cura,  eppur  saetta  e  punge, 
EdoUrui  non  volendo,  uccide  ancora. 
Mka  con  che  ridente  aria  soave 
Tempra  il  rigor  del  portamenlo  grave. 


Socoid'ogui  beltà,  pur  cui  beila 
Fla  NoveUara,  un  oovu  moeiro  «  eutiiOi 
Per  immagin  formar  A  beo  lorram 
Dei  grau  plttora'awanuggiò  la  mino. 
Di  Amor  guerriera  e  di  AivHle  armati 
Fa  piaghe  ardenti,  onde  si  fugge  Invwio. 
Ogni  sua  paroletta,  ogni  ano  aguanlo 
Fuimloa  una  faoella^  ai  mia  un  cardo. 

Isabella  la  beila  è  eoatei  detta , 
Che  dalle  prime  due  non  si  dlluuga. 
Disponi  il  core,  o  gran  Vlncenao ,  aipetla 
Che  un  suo  raggio  per  gli  oeehi  al  cor  ti 
Saprai  di  quale  ardor  di  qua!  aaefttB[gìunga, 
Dolcemente  mortai  riscaldi  e  punga. 
Venga  a  mirar  costei ,  chi  non  intende 
Come  al  possa  amar  cosa  che  eflènde. 

Che  lume  è  quel  che  trae  di  lampi  un  nem- 
Checandld'ombra?  e  di  che  rat  si  vestet[bo 
Poita  nel  volto  Amor,  leGmie  hi  grambo, 
E  nulla  ha  di  tcrren,  tncta  è  celeste. 
Si  si ,  tien  scritto  neli'  aurato  lembo , 
La  fentee  dd  Po,  GiuHa  da  Este. 
0  del  mondo  cadente  ultima  speme. 
Prole  gentil  dell'  onorato  eeme  1 

Oh  come  la  vegg*  lo  folgor  divino 
Tra  miile  balenar  loci  lombarde! 
Finch' uom  degno  di  lei  trovi  il  destino. 
Scompagnata  trarrà  l'ore  pia  tarde. 
Quasi  tra  perle  lucido  rubino , 
Da  fin  or  drooscritto,  avvampa  ed  arde. 
Quasi  rosa  tra  I  fior,  che  in  fresca  sponda 
Forma  il  Soi^  moice  l'aura  e  nutre  l'onda. 

Ecco  del  Tebro  una  pregiata  figHa , 
Onde  la  gloria  Aldobrandina  irraggia, 
Idolo  della  terra  e  meraviglia 
Di  queste  lieta  e  fortunate  piaggia. 
Volge  r  arciere  e  sagitterie  ciglia 
Mia,  né  men  che  bella,  oneste  e  sag^a. 
Ride  il  bel  volto,  e  quasi  uncielslammh^, 
Che  ie  stelle  paterne  intorno  gira. 

m 

Altre  dee  ne  van  seco  in  una  schiera , 
Che  le  sembran  compagne,  e  son  sorelle. 
Colei,  die  più  si  accoste  alla  primiera , 
Apre  al  verno  maggior  rose  novelle. 
L'altra  incontrando  la  più  chiara  sfera. 
Fa  quel  del  Sol,ch'ei  fa  dell'altre  stelle. 
Farà  la  prima  il  Taro  adorno  e  tteto, 
Dell'altre  due  si  arricchirà  Bebeto. 


L'AMIfE. 


191 


Osai  S«TOi«  ftfli  oaor  mmì  sii  «appella, 
E  .fiMHro  Dive  a  rimirar  m' invila  « 
GaCeriM  e  Maria  eoa  iMbelia, 
fi  la  fliaggior  éi  latte  è  M argi>erita. 
Qual  Paride,  «he  aceiga  or  la  più  bella? 
Quair  liagHa  fia  di  giudicarle  ardiu? 
Per  <|«este^  onde  risona  e  Tiie  e  Battro, 
Le  Graiie,  die  aen  tre,  diveiraa  ^naturo. 

L'Awora  ti  parrà,  se  quella  Tedi,  [na. 
Quand'^eUa  li  pigro  suo  veccliloabl>audo« 
Se  questa  prendi  a  riaguardar,  la  credi 
La  Mia  e  Irianca  figlia  éì  Lalona. 
Se  éaH'alIfa  di  lor  notiala  chiedi, 
fi  Biri  k)  splendor  clic  1*  incorona , 
Dfrii ,  ohe  «  meacogiomo,  a  messa  stale 
Ha  mlÉorlukie  li  knninoso  frate. 

Mala  perla,  di*  io  dico,  al  cui  gran  pregi 
L*  Inda  atupiace  e  I*  Oriente  ha  scorno^ 
BagH  astichi  tesor  di  cento  regi 
Vadca  a  rischiarar  d*  Europa  il  giorno  ; 
•ftuuIiÉ,  che  dee  di  preeiosi  fregi 
Far  dd  gran  Aglio  mio  l' erario  adomo, 
È  tal,  che  mai  non  ne  produsse  alcuna 
La  Iwica,  ove  nascendo  ebbi  la  cuna. 

AtÈW  dirà,  die  il  paragona  è  viie , 
•A«ui  tanto  di  questu  il  candor  piacqne , 
€Ma  d «uo  povere  sen  ne  fé' monile, 
E  nel  foco  attnolia  e  non  neH'  acque. 
Blrà,  che^uesia  sua  perla  gentile 
Vra  V«nde  no,  «la  tra  le  stelle  nacque. 
Ccho  il  dd,  perchè  vince  ogni  aHrasteNa, 
▼«oM  In^oe  dd  S>ote,  ornar  di  queBa. 

H  più  taddo  Al  diel  vello  aurato 
I%r  porla  In  nobll  Alza ,  ha  doto  attorto  ; 
Bper  legarla  il  più  An  or  pregiato 
Va  aoelto  Amor  cheabhia  l' occaso  o  V  orto. 
Ma  legge  wd  d'irreparahil  fato, 
Ghe4n  breve  il  suodgnor  rimanga  morto  ; 
Né  potendo  ella  diatemprarsi  In  pianto, 
Plangan  sangue  per  lei  Torino  e  Manto. 

4)odl' altra  che  soMilglla  attera  e  sola 
L'  «HA  vi!l*giiidla  peregrina , 
Qualor  te  phime  ha  rinnoifate  e  toia 
A  visitar  la  region  vidna , 
Matilda lè  poi,  d'Enmnuel  AgKuofta, 
No'  cai  begli  ««chi  Amor  gli  strali  ailna  ; 
Ed  a  cui  die  dt  sua  beltà  superna 
#MMo  può  éu  rOnnlpoteiita  eterna. 


Ouagli  occhi  fagbl«dliddceaaaaMlenti, 
Per  cui  fia  più  dd  dd  bdhi  la  iwra^ 
Struggeran ,  non  che  i  cor,  le  navi  dgeaii, 
Che  deU'  Alpi  canute  il  oatclilo  ««ra. 
Moveran  con  tal  amd  a  si  pungenti 
Contro  r  alme  ritruee  assalto  e  gueraa , 
€he  lorran  lor  nell' amorosa  impresa 
E  l'ingegno  e  la  fuga  e  la  difesa* 

Vedi  unrivaggio,  che  ddl' aite  *esca 
Ripiegando  le  dme ,  U  prato  bagna. 
Quivi  aitili  amori  Amore  totenso  adesoa 
Quanto  avran  mai  di  bello  Iuilla«  Spagna. 
Quiri  fiorisce  isgni  bdtà  donnesca , 
Ma  fors'  è ,  che  di  dime  io  mi  rlmagna , 
Uiè  all'  ocdiio,  die  non  ben  tante  n*  aeio- 
Lalontanaasaeios|ilendor  le  taglie,  {glie 

Pur  non  oonvien,  che  ooiidlench)  lo  passi 
Quelie  che  son  hra  l'Alpi  e  1  Pirend. 
E  prima  dia  mio  vista  incontro  fasd 
Alma ,  che  co'  sud  lumi  abbaglia  i>  mtlei. 
Sola  degna,  a  cui  ceda  e  il  pomo  lassi > 
Che  ottenni  dal  pastor  de'  bosoM  tdd. 
Margberiu  Valeria,  li  cui  valore 
È  tesor  di  virtù,  pompa  Sonore. 

Quest'dtra  perla  che qudSd  fiammeggia, 
Ragion  none  oh* io  dd  mio  dirdefraerie, 
Benché  di  un  tal  soggeUoio  bennil«r«eg- 
Con  le  parole  estenuar  la  fonde.        [già 
Oh  con  qual  grada  e  nnestà  passeggia , 
Come  stupido  il  Ciel  tutto  l'applaude  ! 
Tanti  spirti  reali  intorno  piove. 
Che  par  la  «fera  mia  sfera  di  Giove. 

Ma  par  negli  atti  d  contristi  e  ddga, 
E  va  turbata  e  disdegnosa  alquanto 
Che  senza  morte  si  rallenti  e  sdolga 
Quel  nodo,  onde  la  strinse  Iweneo  santo  ; 
Kche  altra  a  un  punto  le  rapisca  e  vdga 
Di  Gdlia  il  regno  e  di  beitade  11  vanto. 
Onde  perdere  in  nn  deggia  per  qndla 
E  di  rdna  il  Utolo  e  di  bella. 

Più  okre ,  oh  che  divhi  volto  vegg'  io , 
11  col  grave  rigor  modera  e  «dee 
Di  iMMigna  letizia  un  raggio  pio, 
E  d*  onesto  eorriso  un  lampo  dolce  I 
EU* è  Carlotta ,  arder  dd  regno  «rio. 
Che  gli  onor  di  Condè  sostiene  e  folce  ; 
Nume  degno  di  altari  e  che  si  adori 
Con  sacrifici  d'«nimc  e  di  cori. 


192 


MARINO. 


Dal  cielo,  ond'  esce  il  gran  faiial  di  Deio, 
Alla  riva  che  è  meta  a  sua  fatica , 
E  dai  pigri  Trioni ,  ove  di  gelo 
La  Xvia  U  piede  Incrìstallito  implica, 
Fin  dove  sotto  il  più  cocente  cielo 
Ferve  di  Libia  la  pianura  aprica  ; 
Beltà  non  v'  tia ,  che  più  si  ammiri  e  pregi, 
Possente  ad  infiammar  l' alme  dei  regi. 

Aguzza  il  guardo  pur,  se  pur  da  tante 
Luci  esser  può,  che  non  languisca  offeso  ; 
E  guarda,  elle  a  quel  Sol  che  avrai  davante, 
Non  resti  o  V  occliio  cieco,  o  il  core  acceso. 
Vedrai  Maria  Borbon ,  dal  cui  sembiante 
Il  modello  del  bel  Natura  ha  preso. 
Beltà ,  che  far  potrebbe  in  forme  nove 
Spuntar  le  corna  e  nascer  1*  ali  a  Giove. 

Questa  degli  avi  suoi  degna  nipote , 
Farà  di  Monpensier  più  chiarì  I  figli. 
Hanno  ancor  molto  a  volger  queste  rote 
Pria  che  nasca  laggiù  chi  la  somigli. 
Bella  onestà  le  imporpora  le  gote. 
Ma  confonde  alle  rose  i  patrj  gigli. 
Fa  beato  T inferno  il  suo  bel  viso, 
E  poo  le  pene  eterne  In  paradiso. 

Rlsguarda  or  quella  in  umiltà  superba 
Sotto  candido  vel  fronte  serena 
Quant' aspetto  real  ritiene  e  serba, 
È  la  vaga  Luigia  di  l..orena. 
Dell*  angelica  vista  alquanto  acerba , 
E  del  bel  guardo  la  licenza  affrena  ; 
Ma  la  forza  del  foco  e  dello  strale , 
Che  passa  I  cori ,  ad  affrenar  non  vale. 

Per  questa  il  mio  reame,  il  suo  lignaggio 
Non  men  d'onor,  che  di  beltà  fiorisce. 
Vince  parlando  ogni  rigor  selvaggio. 
Le  tigri  umilia  e  gii  aspidi  addolcisce. 
Tempra  gli  smalli  col  benigno  raggio , 
Scalda  I  ghiacci ,  apre  i  marmi,  i  cor  rapl- 
Amor,  questi  miracoli  son  tuoi ,       [sce. 
Che  in  virtù  de'  begli  occhi  il  tuUo  puoi. 

Mira  quell'altra,  che  con  schivi  gesti 
Dal  commercio  comun  sen  va  lontana. 
Agli  atti  gravi,  agii  andamenti  onesti 
Sfaretrata  talor  sembra  Diana. 
Ma  per  quanto  comprendo  ai  rai  celesti , 
É  la  Dea  Caterina,  alma  sovrana. 
Che  in  sé  romita  e  dalio  stuol  divisa 
Fa  di  sé  sol  gioir  Gioiosa  e  Guisa. 


Anna  obbliar  di  Sueason  non  deggio , 
Ornamento  e  stupor  della  mia  corte. 
Languir  per  lei  d' amor  mlil*  alme  veggio, 
E  veggio  al  nascer  suo  nascer  la  morte. 
0  delle  glorie  mie  colonna  è  seggio , 
0  maniere  leggiadre ,  o  luci  accorte  ! 
Dove  di  quelle  luci  il  Sol  non  giri , 
Altro  eh'  ombre  non  vede,  occhio  che  mirt 

Fisa  la  vista  e  tra'  più  densi  rai 
Enrìchetta  Vandoma  intento  mira , 
E  due  d'amor  luciferi  vedrai , 
Che  invece  d' occhi  la  sua  fronte  gira. 
Due  giardini  di  fior  non  secchi  mal 
Veston  le  guance ,  onde  dolce  aura  spira. 
Ride  la  bocca ,  onde  puoi  ben  vederle 
In  ostel  di  rubin  chiostri  di  perle. 

E  che  dirò  di  quella  nobil  ombra. 
In  cui  tanto  di  lume  Apollo  infuse. 
Che  di  Safo  e  Corinna  i  raggi  adombra, 
E  gloria  accresce  e  numero  alle  Muse  7 
Anna  Roana,  che  d'un  lauro  all'ombra 
Le  suore  seco  a  gareggiar  t>en  use 
Sfida  a  cantar  con  que'-celcsti  accenti. 
Che  dei  foco  d' amor  son  sì  cocenti. 

Tacerò  poi  fra  tante  lampe  eccelse 
Quella,  onde  Roccaforte  arde  e  sfavilla? 
Per  crear  questa  luce ,  il  Ciel  si  svelae 
Del  destro  lume  l' unica  pupilla. 
Se  ancor  verde  ed  acerba  Amor  la  scelse 
Per  arder  l'alme  e  sol  d'ardor  nutrilla. 
Deh  che  fia  poscia  e  qual  trarranno  arsura 
Quando  alle  fiamme  sue  sarà  matura  ? 

Ma  dove  lascio  un  altro  lume  chiaro  ? 
Maria,  de'Moubasoni  egregia  prole? 
Grazia,  che  stia  di  tanta  grazia  al  paro. 
Non  mira  in  quanio  mondo  alluma  il  Sole. 
Le  doti  illustri  dello  spirto  raro 
Raccontar  non  si  lasciano  a  parole. 
Dir  di  lei  non  si  può ,  che  non  s*  onori. 
Onorar  non  si  può,  che  non  s" adori. 

Incomposta  bellezza  e  semplicetta 
Parte  si  scopre  in  lei ,  parte  si  chiude. 
Ignudo  Amor  nel  vago  viso  alletta , 
Le  Grazie  nel  bel  sen  scherzano  ignude. 
Cortese  orgoglio  e  maestà  negletta , 
Maniere  Insieme  e  mansuete  e  crude , 
Gravità  dolce  e  gentilezza  onesta 
Bella  la  fan ,  ma  lo  sua  beltà  modesta. 


L'ADONK 


193 


A  queste  g^orte  aggiunti ,  a  queste  lodi 
1  pregi  del  maguanimo  marito , 
lo  dico  Carlo ,  che  con  saldi  nodi 
D'amor  santo  e  pudico  è  seco  unito, 
E  l'un  fassi  dell'altro  in  dolci  modi 
DI  scambievole  onor  fregio  gradito , 
Con  quei  lume  reciproco  fra  loro ,   [oro. 
Che  oro  a  gemma  raddoppia  e  gemma  ad 

0  del  Rodano  altero,  inclito  figlio. 
Per  cui  di  gloria  il  Gallo  impenna  Tali, 
Signor  degno  di  scettro ,  Il  cui  consiglio 
Volge  la  chiave  de'  pensier  reali; 
n  cui  sommo  valor  farà  dal  giglio 
Sovente  puUuI&r  palme  immortali  ; 
Dritto  fia  ben ,  che  d' ogni  gioia  colmo 
Stringa  sì  bella  vite  un  si  degn'olmo. 

E  qui  Venere  tace,  indi  gli  addita 
In  disparte  un  drappel  di  donne  elette  ; 
E  fra  lor,  come  capo,  è  reverìta 
Una ,  che  trae  per  man  tre  pargolette. 
Tien  composta  negli  alti ,  a  brun  vestita 
Le  bionde  trecce  in  fosco  vel  ristrette; 
E  diadema  reale  ha  sulla  chioma 
Di  tre  gigli  fregiato  e  di  sei  poma. 

Son  le  fanciulle  alla  beltà  materna 
E  nei  volto  e  nel  gesto  assai  sembianti  ; 
E  in  fronte  alla  maggior  par  si  dlscerna 
Cerchio  di  gemme  illustri  e  scintillanti , 
Sicché  d' Apollo  la  corona  eterna 
Tempestata  non  è  di  raggi  tanti , 
Onde  nel  tutto  a  lei  si  rassomiglia 
Di  A  gran  genitrice  emula  figlia. 

Tal  dove  l'ombre  trionfali  spande 
La  pianta  amica  a  Giove  e  cara  al  Sole , 
Sotto  II  suo  tronco  verdeggiante  e  grande 
Tenera  sorge  e  giovinetta  prole; 
Tal  rosa  ancor  non  atta  alle  ghirlande 
Non  aperta  e  non  chiusa  in  orto,  suole 
Spiegando  all'aura  1  suol  novelli  onori, 
Mia  madre  imparar  come  s*  infiori. 


Parve  fra  le  più  degne  e  più  leggiadre 
Questa  ad  Adon  la  più  leggiadra  e  degna  ; 
Onde  rivolto  alla  benigna  madre 
Del  plcciol Dio,  che  nel  suo  petto  regna; 
Chi  è  colei ,  che  fra  sì  belle  squadre , 
Disse,  d' ogni  beltà  porta  l'insegna? 
Colei,  che  in  vista  affabilmente  altera 
Guida  r illustre  ed  onorata  schiera? 


Ben  reina  mi  par  delle  reine , 
Cotanta  in  lei  d' onor  luce  rlsplende, 
Ed  ha  tre  fanciullette  a  sé  vicine, 
lu  cui  i'efligie  sua  ben  si  comprende. 
E  coronata  d'or  l' oro  del  crine, 
Vasseue  avvolta  In  tenebrose  bende, 
E  sotto  oscuro  manto  e  bruno  velo 
Può  d'ogni  lume  impoverire  il  cielo. 

Adone,  ella  risponde ,  io  ben  vorrei 
Spegner  la  sete  al  bel  deslr,  che  mostri. 
Ma  scarsi  sono  a  favellar  di  lei         [stri. 
Non  che  gli  accenti,  i  più  facondi  inchio- 
Non  han  luce  più  chiara  i  regni  miei , 
Non  vedran  più  bel  Sol  mai  gli  occhi  vostrL 
Con  voce  di  diamante  e  stil  di  foco. 
Cento  lingue  d'acciarne  dlrian  poco. 

Altre  volte  sovviemmi  aver  narrato 
Quai  d'eccellenze  In  lei  cumul  si  serra. 
Oh  quante  palme,  oh  quanii  allori  il  Fato, 
Nella  futura  età  le  serba  in  terra  ! 
Ma  di  quanti  travagli  il  mondo  armato 
Per  maggior  gloria  sua  le  farà  guerra  1 
Che  non  può  l'alta  grazia  e  il  buon  consiglio 
E  del  provvido  ingegno  e  del  bel  ciglio? 

Ma  di  sue  lodi, a  cui  di  par  non  m'ergo, 
Dar  ti  potrà  colei  miglior  novelle , 
Dico  colei ,  che  tu  le  vedi  a  tergo 
Tra  il  fido  stuol  delle  seguaci  ancelle. 
Fama  si  appella  e  tien  sublime  albergo 
Là  neir  ultimo  cici  sovra  le  stelle , 
Dove  sorge  fondata  immobilmente 
Di  diamante  immortai ,  torre  eminente. 

Olimpo  a  Giove  ingiurioso  monte. 
Atlante  delle  stelle  alto  sostegno, 
Peiia,  che  altrui  fu  scala.  Ossa,  che  ponte 
Per  assalir  questo  superno  regno, 
L' Emo,  il  Libano,  il  Tauro,  o  qualla  fronte 
Erge  a  più  eccelso  inaccessibil  segno , 
Fora  a  questa  d'altezza  ancor  secondo. 
Che  passa  il  elei,  che  signoreggia  il  mondo. 

Entrate  Innumerablli  ha  ia  rocca, 
E  il  tetto  e  il  muro  in  molte  parti  rotto. 
Di  bronzo  usci  e  balconi ,  e  non  gli  tocca 
(Che  gran  romor  non  faccia)  aura  di  motto. 
Tosto  che  esce  il  parlar  fuor  d' una  lx>c€a , 
A  lei  per  queste  vie  passa  introdotto, 
E  forma  quivi  un  indistinto  ftuono , 
Come  suol  di  lontan  tempesta,  o  tuono. 

9 


194 


MARINO. 


Quivi  la  pose  il  gran  Retlor  de*  deli , 
Quasi  guardia  fedel,  cauta  custode. 
Perchè  ciò  che  si  fa  scopra  e  riveli , 
Nunzia  di  quanto  mira  e  di  quant'ode. 
Cosa  occulta  non  è ,  che  a  lei  si  celi , 
E  di  conforme  all'opre  o  blasmo,  o  lode. 
Se  si  more  aura  in  ramo,  in  ramo  fronda, 
Esser  non  può ,  che  da  costei  s' asconda. 

Deli*  umane  memorie  ombra  seguace 
Sempre  avvisa,  riporta  e  parte  e  riede , 
Né  riposa  giammai ,  né  giammai  tace, 
E  più,  quanto  più  cresce,  acquista  fede. 
Garrulo  Nume  e  spirito  loquace , 
Vita  de'  nomi  e  di  sé  slessa  erede , 
Possente  ad  eternar  gli  eroi  pregiati , 
E  far  presenti  i  secoli  passati. 

Generolla  la  terra  e  co*  giganti 
Nacque  In  un  parlo  orribili  e  feroci. 
Dea,  che  quant'  occhi  intomo  ha  vigilanti, 
Tanti  ha  vanni  al  volar  presti  e  veloci , 
E  quante  penne  ha  volatrici  e  quanti 
Lumi,  tante  anco  ha  lingue  e  tante  ha  voci 
E  tante  bocche  e  tante  orecchie ,  ond'  ella 
TttitD  spia,  tutto  sa,  tutto  favella. 

Picciola  sorge  e  debile  da  prima. 
Poi  s'avanza  volando  e  forza  prende. 
Passa  r  aria  e  la  terra  e  su  la  cima 
Poggia  de'  tetti  e  fra  le  nubi  ascende. 
E  per  varj  idiomi  in  ogni  clima 
Pari  al  guardo  ed  ai  volo  il  grido  stende. 
Di  ciò  che  altri  mal  fa,  dì  ciò  che  dice 
0  di  buono  ^  o  di  reo  pubblica trice. 

Questa,  che  deve  a  tutti  quattro  i  venti 
Far  poi  la  gloria  sua  chiara  e  solenne, 
Soddisfaratti  in  più  diffusi  accenti. 
Cosi  detto  chiamolla  ed  ella  venne. 
Baitea  per  le  serene  aure  ridenti 
Con  moto  infaticabile  le  penne. 
L'occhiuto  augel  rassomigliava  all'ali. 
Che  di  varie  fiorian  gemme  immortali. 

Di  tersa  luce  e  folgorante  acceso 
Brando,  a'  cui  lampi  ilSol  perdea  di  molto, 
Striogea  nell'  una  man ,  l' altra  sospeso 
Reggeadal  busto  esangue  un  capo  sciolto. 
Per  la  squallida  chioma  avvinto  e  preso , 
Fosco  nel  ciglio  e  pallido  nel  voiio. 
Spirava  nebbia  ;  e  seppe  Adon ,  che  questa 
Dell' 01)bllo  smemorato  era  la  testa. 


La  sollecita  Dea ,  cut  del  desio 
Del  bellissimo  Adon  nulla  è  nascosto, 
E  che  quando  l'alato  e  cieco  Dio 
Il  congiunse  alla  madre,  il  seppe  toslo; 
Ben  di  lontan  la  sua  dimanda  udio, 
E  quanto  Citerea  gli  avea  risposto  ; 
Ond' una  allor delle  sue  cento  lingue 
Sciogliendo,  il  ragionar  cosi  distingue  : 

Volgi,  omortale,  ove  quel  Sol  lampeggia 
Di  bellezze  e  di  grazie  unico  e  solo, 
Gli  occhi  felici,  e  la  beiti  vagheggia. 
Che  alza  i  più  pigri  ingegni  a  nobil  volo. 
Dico  quel  Sol ,  per  cui  dolce  fiammeggia 
La  terra  e  il  cielo  e  l'un  e  l'altro  polo  ; 
Quel  vivo  Sole,  alla  cui  chiara  lampa 
Senna  senno  non  ha,  se  non  awampa. 

Questa  è  l' eccelsa  e  gloriosa  donna , 
Che  accoppia  a  regio  scettro  animo  regio. 
Gran  reina  de' Galli ,  e  della  gonna, 
E  del  sesso  imperfetto  eterno  pregio. 
Dell'inferma  Virtù  stabil  colonna, 
Dell'età  rugginosa  unico  pregio; 
Esempio  di  beltà,  nido  d'Amore, 
Specchio  di  castità ,  fonte  d' onore. 

Dal  gran  centro  del  elei  lunga  catena 
Di  bel  diamante  inanellata  pende. 
Con  questa  Amor,  che  l' universo  affreoa. 
Annoda  altrui  soavemente  e  prende. 
Per  questa  l'uom  dalla  beltà  terrena 
D'un  grado  in  altro  alla  celeste  ascende, 
E  di  questa  quel  bel ,  che  in  lei  s'aounira. 
Un  amo  è  d'or,  che  qui  l' anime  tira. 

Quest'  amo  ascose  infra  suoi  strali  AnMNre 
In  quel  divino  e  maestoso  aspetto , 
In  cui  di  d||e  bellezze  un  doppio  ardore 
Abbaglia  ogni  pensier,  scalda  ogni  affetto. 
L'una  di  nobil  fiamma  accende  il  core. 
L'altra  è  degli  occhi  un  reverito  oggetto; 
E  quel  gemino  bel  si  ben  si  mesce , 
Che  qual  foco  per  foco  incendio  cresce. 

L' una  il  cupido  senso  alletta  in  guisa 
Con  vivi  lampi  di  serena  luce , 
Che  empie  d' alto  piacer  chi  in  lei  s'affisa, 
Sebben  casti  desir  sempre  produce* 
L' altra  dal  career  suo  l'alma  divisa 
Di  raggio  in  raggio  al  sommo  Sol  conduce. 
Mostrandole  laggiù  sotto  unian  velo 
Quella  beltà ,  che  si  contempia  in  ciek». 


L'AB(»fE. 


19S 


Beo  tu  per  «luesta  scala  ancor  le  piume 
Del  tuo  basso  Intelletlo  alzar  potrai, 
E  nello  specchio  del  creato  lume 
Dell*  increato  investigar  I  rat  ; 
E  del  corporeo  e  naturai  costume 
L'Impura  qualUi  vinta  d* assai, 
Di  quel  bel  ciglio  alla  beata  srera 
Tornar  d' umil  farfalla  aquila  altera. 

Laggiù  nel  mondo  a  soggiornar  lien  tardi 
Verrà,  ma  carca  di  caduca  salma. 
E  benché  la  gentil ,  per  cui  tu  ardi , 
Po«egga  di  beltà  la  prima  palma , 
Sì  nobili  però  non  son  que*  dardi , 
(Con  pace  sua)  che  ti  saettan  1*  alma. 
L' una  è  lasciva  Dea ,  V  altra  pudica , 
L'una  madre  d' Amor,  l'altra  nemica. 

E  ti  so  dir,  che  alfin,  polche  avrà  molto 
Vestite  in  terra  le  terrene  spoglie , 
Quando  il  nodo  vltal  le  sarà  sciolto 
Dalla  falce  crudel ,  che  il  tutto  scioglie, 
Lo  sno  spirto  reai  fla  qui  raccolto 
In  questo  istesso  ciel,  dove  or  s'accoglie; 
E  (come  è  legge  di  destino  etemo) 
Si  usurperà  di  Venere  il  governo. 

A  lei  di  questo  giro  il  grave  pondo 
Dal  sovrano  Motor  sarà  commesso , 
E  d' influir  laggiù  nel  vostro  mondo 
Quanto  influisce  il  suo  bel  Nume  istesso* 
E  ben  contenta  dell' onor  secondo 
Bnmerà  la  tua  Dea  di  starle  appresso  ; 
Né  ben  possente  ad  emularla  appieno , 
Una  delle  sue  Grazie  essere  almeno. 

Potrebbon  forse  per  cessar  le  gare 
Delle  vicende  lor  partir  le  cure. 
Quella  le  notti  addur  serene  e  chiare. 
Questa  portar  le  torbide  ed  oscure. 
Crederò  ben ,  che  per  invidia  amare 
Tai  cose,  ed  a  soffrirle  saran  dure,    • 
Ma  perché  U  corso  dell'eterne  rote 
Porla  questo  tenore,  altro  non  potè. 

Senno  farà ,  se  volentier  le  cede , 
E  porta  in  pace  il  vergognoso  oltraggio , 
Poiché  pur  di  sua  stirpe  é  degna  erede , 
E  di  sua  luce  un  segnalato  raggio. 
Sai  ben  di  qual  orìgine  procede 
Del  famoso  Quirin  l' alto  iegnagglo. 
Sai ,  che  d'ogni  suo  ramo  é  ceppo  Enea, 
Che  fu  figliuol  della  medesma  Dea. 


Tu  dei  dunque  saver,che  a  nascer  hanno 
Del  buon  sangue  troian  l'alme  latine, 
Onde  il  Tebro  ornerà  dopo  qualch'anno 
Prosapia  di  propagini  divine. 
Quindi  gli  Anicj  e  i  Pier  Leon  verranno. 
Poi  d' Austria  1  regi ,  indi  d' Etruria  alfine 
A  dilatar  nel  secolo  più  fosco 
Il  romano  splendor,  l' austriaco  e  11  tosco. 

Veggio  dell'Austro  l'onorata  pianta 
Si  fatti  partorir  germi  felici , 
Che  nell'arbor  dell'or  non  fu  mai  tanta 
Ricca  copia  di  rami  e  di  radici. 
Ma  tra' primi  virgulti ,  ondo  si  vanta. 
Quei  che  avrà  più  d*  ogni  altro  1  Cieli  amid. 
Sarà  Filippo ,  onor  di  sua  famiglia, 
Dico  colui ,  che  reggerà  Castiglla. 

Seguirà  Carlo ,  al  fortunato  impero 
Promosso  poi  con  titolo  di  Quinto, 
Che  di  trionfi  laureati  altero, 
E  d'illustri  trofei  fregiato  e  cinto. 
Poiché  partito  dal  paterno  Ibcro 
Avrà  r  Affrica  corsa  e  li  mondo  vinto. 
Romito  abltator  d*  ermi  ricetti , 
Deporrà  il  fascio  de' terreni  affetti. 

Sottenlrerà  l' altro  Filippo  al  peso 
Quasi  d*  un  novo  Atlante  un  novo  Alcide. 
Re  tanto  a  pace  ed  a  vlrtute  inteso 
Giammai  da  polo  a  polo  il  Sol  non  vide. 
Questi  Io  scettro  in  Lusliania  steso 
(Cotanto  il  Fato  a'  bei  pensieri  arride} 
In  regione  ancor  non  nota,  o  vista. 
Di  là  dal  mondo  un  altro  mondo  acquista. 

Catterina  vien  poi  con  Isabella, 
Qui  le  vedi  ambedue  starsene  in  gioia. 
Questa  va  Belgla  a  far  beata ,  e  quella 
Di  sue  bellezze  ad  abbellir  Savoia. 
Ecco  li  terzo  Filippo;  oh  degna,  oh  bella 
Progenie  del  guerrlcr,  clic  uscì  di  Troia  ! 
Spagna,  costui  con  l' arme  e  col  consiglio 
Ti  fia  principe  e  padre  e  padre  e  figlio. 

Non  fia  clima  remoto,  estrema  zona, 
Dove  lo  scettro  suo  l'omlìra  non  stenda. 
Ma  l'ampia  monarchia  della  corona 
È  la  luce  minor,  che  in  lui  risplenda. 
Quel  che  sovramortal  gloria  gli  dona , 
È  quella  coppia  amabile  e  tremenda , 
Pietà,  che  con  Giustizia  Insieme  alberga  ; 
Oh  di  tronco  i>ennato  Inclita  verga! 


196 


MARINO. 


Oh  come  a  propagar  di  stelo  in  stelo 
yiensi  la  sllrpe  del  gran  rege  ispano  l 
Ecco  novo  Filippo  innanzi  il  pelo 
Già  di  novo  spavento  empie  Ottomano. 
Destina  a  lui  quell'angelelta  il  Cielo, 
Che  la  donna  real  si  tien  per  mano , 

10  dico  delle  tre  la  meno  acerba , 
•Quella,  che  ha  la  corona  a  lui  si  serba. 

Ma  dei  regio  troncon ,  che  si  dirama , 

11  secondo  germoglio  ecco  discerno. 
Fernando  il  buon ,  la  cui  temuta  fama 
Fia  dei  Turco  crudcl  terrore  etemo,  [ma, 
E  perchè,  fuorché  il  giusto,  altro  nonbra- 
Sempre  rivolto  ai  rai  del  Sol  superno , 
Spiegherà  nel  vessillo  altero  e  bello 

Del  sommo  Giove  lo  scudiero  augello. 

Lascio  Massimo  poi ,  trapasso  Ernesto, 
E  Ridolfo  e  Mattia ,  del  gran  cultore 
Di  quel  più  che  altro  avventuroso  innesto 
Successori  all'impero  ed  al  valore. 
E  taccio  Alberto,  il  qual  non  fia  di  questo 
(Quantunque  ultimo  di  anni}  ultimo  onore, 
Che  ali*  indomito  Ren  quel  giogo  grave, 
Che  sì  duro  gii  fu ,  sarà  soave. 

L*  altra  è  Giovanna,  e  ben  scorger  la  puoi 
Dolci  balli  menar  per  questi  campi , 
Lieta ,  clie  al  elei  per  lei  di  tanti  eroi  [pi. 
Si  aggiungano  Sol  che  più  del  Sole  avvam- 
Stupisce  ristro,  e  del  cristalli  suoi 
Stemprar  sente  Io  smalto  a  sì  bei  lampi , 
Menlre  passando  in  braccio  al  gran  Fran- 
€on  r  italico  elei  cangia  il  tedesco,  [cesco 

E  cosi  fia,  che  un  stretto  groppo  incalmie 
D'Austria  e  d' Etruria  ambe  le  piante  Insie- 
Etruria,acui  non  giàmen  nobii  alme  [me. 
De'  gran  Medici  ancor  promette  il  seme , 
Che  per  tante,  che  aduna  e  spoglie  e  palme. 
Fin  di  Bisanzio  il  fier  Soldan  ne  teme. 
Ma  quando  ogni  altro  pur  venga  mancando 
Basta  a  supplir  per  tutti  un  sol  Fernando. 

Questi  non  pur  con  ben  armati  legni 
Tremar  fa  in  guerra  i  più  lontani  mari. 
Di  Corinto  e  di  Ponto  i  lidi  e  i  regni 
Purgando  ognor  di  barbari  corsari  ; 
Ma  in  pace  ancor  del  più  famosi  Ingegni, 
E  di  cigni  nutrisce  incliti  e  chiari. 
Schiere  felici,  onde  per  lui  diviene 
L'Arno  Meandro  e  la  Toscana  Atene. 


Cosmo,  di  Cosmo  anch'  ei  degno  nipote. 
Lascerà  dopo  lui  memorie  illustri , 
E  le  genti  rubelle  e  le  devote 
Domerà,  reggerà  per  molti  lustri. 
L'oro  fia  il  meo  della  sua  ricca  dote , 
Quando  con  degne  nozze  Europa  illustri. 
Copulando  l' Esperie  e  novi  onori 
Traendo  d'Austro  la  Città  dei  fiori. 

Mira  colei ,  che  alluma  e  rasserenai 
Tutto  di  questo  dei  l' ampio  orizzonte. 
Quella  fia  sua  consorte ,  e  Maddalena 
(Leggilo  in  lettre  d'oro)  ha  scritto  in  fronte. 
Del  gran  fiume  german  limpida  vena , 
Pur  scaturita  dall'austriaco  fonte. 
Rosa  giammai  non  vagheggia  l'Aurora 
Più  modesta,  o  più  bella  in  grembo  a  Flora. 

Lunga  istoria  sarebbe,  o  bell'Adone, 
Della  schiatta, eh' io  dico,  acontar  gitavi. 
Giulio,  Clemente,  Ippolito,  Leone, 
E  i  lor  sommi  maneggi  e  1  pesi  gravi. 
Ostri,  mitre,  diademi,  elmi,  corone, 
E  stocchi  e  scettri  e  pastorali  e  chiavi  ; 
E  la  linea  non  mai  rotta  dagli  anni 
De' Lorenzi ,  de' Pieri  e  de' Giovanni. 

Ma  sovra  questi  e  soYr'  ogni  altro  frutto, 
Che  si  nobii  giammai  ceppo  produca , 
Un  rampollo  gentil  sarà  prodotto , 
In  cui  tanto  valor  fia  che  riluca. 
Che  allo  splendor  dei  suo  lignaggio  tutto 
Par  che  tenebre  e  lume  a  un  punto  adduca. 
Siccome  Sol ,  che  illumina  le  stelle , 
Ma  sorgendo  tra  lor,  le  fa  men  belle. 

Vi  è  quel  cerchio  lucente,  ove  raccolte 
Quasi  in  aureo  epiciclo,  altr'ombre  stanno. 
Quivi  In  gran  nebbia  dì  splendore  inrolie 
Le  miglior  di  sua  stirpe  insieme  vanno , 
E  foltissimo  stuol  di  molte  e  molte 
Stelle  terrene  e  Dee  dietro  si  tranno  ; 
Ma  di  tutte  è  colei ,  che  le  conduce. 
La  lumiera  maggior,  l' unica  luce. 


Quella,  che  seco  parla  e  che  si  asside 
Sovra  la  rugiadosa  erba  vicina, 
E  d'esser  del  bel  numero  sorride. 
Pur  con  regio  diadema,  è  Catterina, 
E  rintuzzar  saprà  1*  armi  omicide ,    [  na , 
Che  han  col  tempo  a  sbranar  GaHia  moschi- 
E  saprà  del  gran  corpo  in  sé  diviso 
Saldar  le  piaghe ,  onde  sia  quasi  ucciso. 


L'ADONE. 


197 


GoDgiuxigerassi  in  nobU  giogo  e  degno 
L' una  al  secondo  e  l'altra  al  quarto  Enrico. 
Non  si  turbi  però ,  né  prenda  a  sdegno 
DI  restar  vinta  da  cottel ,  eh'  io  dico ,     , 
E  di  cedere  a  lei  non  pur  del  regno 
Lo  scettro  sol ,  ma  d' ogni  pregio  antico  ; 
Non  pur  della  real  gloria  e  grandeua , 
Ma  la  corona  ancor  della  bellezza. 

Dell' Istessa  brigata eccoten una, 
Gbe  come  slngolar  fra  l'altre  io  sceglio, 
Che  l'Amo  e  il  Mincio  illustra  e  in  sé  raguna 
Del  fior  d'ogni  beltà  la  cima  e  il  meglio; 
Gemma  d' Amore ,  e  senza  menda  alcuna 
Di  grazia  e  di  virtù  limpido  speglio, 
Leonora,  che  onora  ogni  aito  stile , 
E  desta  amore  in  ogni  cor  gentile. 

Un'altra  Catterina  ha  in  compagnia. 
Che  come  il  volto,  ha  1*  abito  vermiglio. 
Quella  e  questa  del  par  sposata  fia 
Del  sangue  d'Ocno  a  genitore  e  figlio. 
Ma  vedi  come  alla  gran  suora  e  zia 
Reverenti  ambedue  volgono  il  ciglio. 
Dico  a  costei,  che  senza  spada,  o  lancia 
Ha  sol  con  gli  occhi  a  trionfar  di  Francia. 

Dal  mare  il  nome  avrà,  di  coi  fu  prole 
L' istessa  Dea ,  che  ha  del  tuo  core  il  freno  ; 
E  come  è  di  bellezza  un  chiaro  Sole , 
Cosi  fia  un  mar  di  mille  grazie  pieno. 
RaoGorri  in  sé  quanto  raccoglier  suole 
Di  ricco  il  mare  e  di  pregiato  in  seno. 
Anzi  al  mar  darà  perle  il  suo  bel  riso , 
Oro  il  bel  criue  e  porpora  il  bel  viso. 

In  questo  sol  dal  mar  fia  difierente  ; 
Ricetta  ei  scogli  e  mostri ,  ira  e  furore  , 
Ma  costei  sosterrà  scettro  innocente , 
Pien  di  clemenza  e  privo  di  rigore. 
In  lei  due  vivi  Soli  hanno  Oriente , 
Nel  mare  il  Sol  tramonta  e  il  giorno  more. 
Agli  assalti  de'  venti  11  mar  soggiace , 
L' animo  suo  tranquillo  ha  sempre  pace. 

Non  fia  giammai  fra  le  più  degne  e  conte 
Dovunque  il  volo  mio  stenda  i  suoi  tratti. 
Altra  che  la  pareggi ,  o  la  sormonle 
In  leggiadre  fattezze  ;  o  in  chiari  fatti. 
Prudenza  in  grembo  e  pudicizia  in  fronte, 
Senno  ne'  delti  e  maestà  negli  atti 
Nova  Aspasia  la  fan ,  nova  Mammea , 
Anzi  degna  del  elei ,  novella  Astrea. 


Flen  magnanime  imprese ,  opre  virili 
Del  suo  nobil  pensier  le  cure  prime. 
All'  ago,  air  aspo,  a'  rozzi  studj  e  vili 
Non  piegherà  giammai  l' alma  sublime. 
Ma  dalie  basse  valli  erger  gli  umili , 

I  superbi  abbassar  dall'  alte  cime , 
Maneggiar  scettri  e  dispensar  tesori , 
Questi  flen  di  sua  man  degni  lavorL 

Uopo,  che  molle  amomo  unga  11  bel  crine, 
0  che  barbaro  nastro  unqoa  lo  stringa 
Non  avrà  già,  che  gli  ori  e  l' ambra  fine 
Fia  che  col  suo  biond'  or  d*  Invidia  tinga. 
Non  della  guancia  l' animale  brine 
Artefice  color  fia  che  dipinga. 
Altro  che  quel  color  di  fiamme  e  rose, 
Che  l>eltà  sol  con  onestà  vi  pose. 

Non  in  terso  cristallo  avrà  costume 
De'  begli  occhi  arrotar  lo  strai  pungente. 
Ma  le  fia  solo  il  chiaro  antico  lume 
Del  suo  sangue  real  specchio  lucente. 
Sangue  real,  che  quasi  altero  fiume, 
Di  grandezza  Immortai  colmo  e  possente. 
Verrà  dal  fonte  di  si  ricche  vene 
Le  belle  a  fecondar  galliche  arene. 

Tenteran  Morte  rea ,  Fortuna  avara , 
Ambe  d' Amor  nemiche  e  di  Natura , 
Di  quest'  Inclito  Solla  luce  chiara 
Con  benda  vedovil  render  oscura. 
Ma  nel  manto  funesto  assai  più  cara 
Fia  de'  begli  occhi  suoi  la  dolce  arsura; 
E  come  fiamma  di  notturna  sfera. 
Coprirà  doppio  lume  in  spoglia  nera. 

Barbara  man  con  sacrilegio  infame , 
Ferro  crudel  con  perfida  ferita 
Dell'  Alcide  di  GalHa  il  regio  stame 
Troncando  (ahi  stolta  in  ciò  viepiù  che  ai- 
Oserà  di  spezzar  l' aureo  legame     [dita  ) 
Della  più  degna  è  gloriosa  vita. 
Cosi  talvolta  awlen ,  che  chi  di  spada 
Cader  non  può ,  di  tradimento  cada. 

Ma  come  a  questa  Venere  novella 
Quando  il  velo  mortai  squarcerà  Morte , 
Per  esser  più  dell'  altra  onesta  e  bella , 

II  terzo  cielo  è  destinato  in  sorte  ; 
Cosi  costui ,  che  la  guerriera  stella 
Vincerà  di  valor,  Marte  pù  forte , 
Del  suo  giorno  vitale  a  sera  giunto , 
Fia  del  quinforbe  al  gran  dominio  assunto. 


108 


MARINO. 


Ahi  qual  allor ,  qual  esser  deve  e  quanto  | 
0  Muse ,  il  voslro  aflanno ,  il  vostro  lutto? 
Dritto  è, che  resti , abbandonando  U  can- 
Da'sospir  vostri  il  sacro  fonte  asciutto,  [to, 
Dritto  è,  che  tomi  poi  coi  largo  pianto 
De'  vostri  lumi  a  ricolmarsi  tutto. 
Degno  n'  è  li  caso;  e  se  mortai  non  siete, 
Esser  alraen  passibili  dovete. 

Ma  che  fia  di  costei ,  veduto  estinto 
Sotto  un  colpo  fellon  1*  Ercol  novello? 
E  di  sangue  real  bagnalo  e  Unto 
Chiudere  il  corpo  augusto  angusto  avello? 
Languirà,  piangerà  ,  né  però  vinto 
Fia  il  decoro  dal  duolo,  o  il  duoimen  bello. 
Men  belio  il  duol  non  fia  nel  suo  bel  viso , 
Che  il  festivo  sereu  del  dolce  riso. 

Né,  sebbcn  sola  e  sconsolata  resta 
Dopo  r  orrendo  e  scellerato  scempio , 
Vedova  lagrimosa  in  bruna  vesta , 
Cede  li  fren  del  discorso  al  dolor  empio  ; 
Anzi  qual  buon  noccliieroin  ria  tempesta, 
Di  bontà  Sole  e  di  giustizia  esempio. 
Mar  di  prudenza  e  di  fortezza  scoglio, 
Degli  scogli  e  dei  mar  rompe  i*  orgoglio. 

E  del  vero  sembiante  essendo  priva 
(  Denchè  l'abbia  nei  cor  )  del  gran  marito, 
Procura  pur ,  se  non  l' clDgie  viva, 
D' averne  almeno  un  Idolo  mentito. 
Quando  venir  dalia  toscana  riva. 
Per  man  d' altro  Usippo  a  sé  scolpito. 
Fa  di  pesante  e  concavo  metallo 
Il  colosso  real  sul  gran  cavallo. 

Fonder  di  bronzo  omal  più  non  bisogna 
Canne  tonanti ,  o  fulmini  guerrieri , 
Anzi  convien ,  che  stempri  il  gran  Bologna 
Quanti  tormenti  lia  Marte  orridi  e  fieri. 
Tempo  è,  die  abbiano  a  far  scorno  e  vergo- 
Le  statue  iliuslri  e  i  simulacri  alteri  [  gna 
Ai  crudi  ordigni,  agli  organi  da  guerra , 
Poiché  mercè  d' Enrico ,  é  pace  in  terra. 

Ed  io  quando  per  lui  bombarde  ed  armi 
In  aratri  e  in  trofei  vedrò  cangiate , 
Poiché  fien  tutti  1  bronzi  e  tutti  i  marmi 
Rosi  dal  dente  dell'  ingorda  etate , 
Per  eternar  con  gloriosi  carmi 
Dei  magnanimo  re  l' opre  onorate. 
Non  già  d' altra  materia ,  o  d' altre  tempre 
Le  trombe  mie  vo'  fabbricar  per  sempre. 


Mastranocaao  awien,  neoÉre,  per  V  on- 
L*  ediflzio  mirabile  camaliia ,  [de 

Però  che  tra  le  cupe  acque  profonde 
L' assorbe  la  voragine  marina. 
Ciprigna  istessa ,  che  nel  mar  s' aseonde, 
E  dal  mar  nacque,  ed  é  del  mar  rctea, 
Credendel  Marte,  in  q  uel  passaggio  II  pren- 
Pcr abbracciarlo,  alfin  delusa  U  rende,  [de 

Dal  divino  scultor  veggio  animato 
L'altodestrier,  che  sembra  nn  pIccM  son- 
Veggiol,  quasi  da  Pallade  InUgliato,  [te. 
Far  con  la  vasu  imago  ombra  al  gran  pott- 
E  mentre  quivi  in  cotal  atto  armai»    [  te. 
Sé  raedesmo  a  mirar  china  la  fronte, 
L' istesso  eroe,  del  ciel  fatto  guerriero. 
Non  sa  dal  finto  suo  scegliere  II 


EUa,  che  deli'  artefice,  che  avansa 
Natura  istessa,  il  gran  prodigio 
Sente  dall'  insensibile  sembianza 
Uscir  vive  faville ,  onde  sospira; 
E  temprando  11  martir  con  la 
Dalla  scultura,  che  si  move  e  spira  ; 
Pende  iounoblle,  e  tace,  e  cosà  hitanto 
Inganna  gli  occhi ,  e  disacerba  li  plantA. 

Ma  come  quella ,  a  cui  non  d' altro  cale, 
Che  in  vera  pace  assecurar  Parigi , 
Per  riunirsi  alla  corona  australe 
Stringe  con  esso  lei  la  Fiordlilgl. 
Figlia  del  gran  monarca  occidentale 
L' alta  sposa  sarà  del  buon  Luigi. 
Anna,  che  ne'  vcrd'  anni  ed  immaturi 
Fia,  che  agii  anni  rapaci  il  nome  furi. 

S' io  dicessi^  che  in  bocca  ha  l'Oriente, 
Che  Aprii  dì  puri  gigli  il  sen  le  Infiora, 
Ch'  ella  porta  negli  occhi  il  Sol  naseente, 
E  nelle  guance  la  vermiglia  Aurora  ; 
Poco  direi ,  scbben  veracemente 
Quanto  dir  ne  saprei ,  mentir  non  fora. 
Ma  il  più  s'asconde  e  11  men  che  in  lei  s'ap- 
tb  la  terrena  csterior  bellezza.    [  preeza , 

Vedila  là ,  che  per  solinghe  strade 
Spoglia  il  prato  de*  fregi,  ond*  é  vestilo , 
E  per  crescer  bellezza  alla  beltade 
Intrecciando  ne  va  serto  fiorito. 
Deli'  Ibero,  ove  II  Sol  tramonta  e  cade , 
Nascerà  l' altro  Sol,  che  or  io  t' addito. 
Vedi  che  dei  crin  biondo  il  bel  tesoro 
Come  il  fiume  paterno ,  ha  1'  onde  d' oro. 


L'ADONE. 


199 


0  face  di  beltà  gemina  e  doppia, 
A  cui  tante  il  desUn  glorie  predice. 
Là  doTe  Amor  con  nobii  laccio  accoppia 
D' Iberia  e  Gaina  il  Soie  e  la  fenice  I 
Leggiadra,  augusta,  avventurata  coppia, 
Nasca  da  voi  succession  felice , 
Che  con  sempre  fecondo  ordin  d*  eroi 
Susciti  in  terra  li  prisco  onor  de'  tuoi. 

Esca  sien  queste  nozze ,  onde  pugnaci 
Verrà  poi  Marte  ad  eccitar  faville , 
Siccbè  d'Amore  e  d'Imeneo  le  faci 
Fiamme  saran  di  saccheggiate  ville. 
Dal  letto  al  campo  andrassi  e'I  suon  de'baci 
Turbato  ila  da  mille  trombe  e  mille. 
Ragionarti  di  ciò  panni  soverchio. 
Che  già  mostro  ti  fu  nell*  altro  cerchio. 

Altri  accidenti  ancor  volger  si  denno 
Pria  che  cresduto  il  pargoletto  giglio, 
Ella  deponga  (e  deporrallo  a  un  cenno  ) 
Lo  scettro  franco ,  e  ceda  il  trono  al  figlio; 
E  la  costanza  accompagnando  al  senno , 
Dimostri  animo  invitto  e  lieto  ciglio» 
Gostanza  tal,  che  sì  può  far  ritratto 
D'ogni  altra  sua  virtù  sol  da  quest'  atto. 

Or  di  qua]  più  bel  lauro  ornar  le  chiome? 
Di  qual  fregio  miglior  vergar  le  carte 
Speran  gl'illustri  spirti t  o  quale ^  nome 
Trar  maggior  luce  altronde,  o  gloria  all'ar- 
Ha  che?  forano  lor  troppo  gran  some  [te? 
A  segnarne  pur  1*  ombra,  a  dirne  parte , 
Ancorché  dalle  Dee  dei  verde  monte 
Tutto  in  lei  si  versasse  il  sacro  fonte. 

Sembra  penna  mortai ,  che  osi  talora 
Ritrar  de'suoi  splendor  gli  abissi  Immenai, 
Pennel,  che  bella  immagine  colora , 
Ma  non  le  dà  però  ^irti ,  né  sensi. 
Onde  se  non  r  esalta  e  non  l' onora 
Il  mio  roco  parlar  quanto  conviessi, 
Scusimi  il  Sol  de'  begli  occhi  sereno. 
Che  quanto  splende  più ,  si  vede  meno. 

Sveller  però  per  celebrarla  lo  voglio 
Dalle  mie  piume  1  più  spediti  vanni. 
Con  cui  più  d'  uno  stile  In  più  d' un  foglio 
Farà  scrivendo  a  Morte  illustri  inganni  ; 
E  con  queir  armi ,  ond'  io  trionfar  soglio , 
Terrà  1*  ira  all'  obblio,  la  forza  agli  anni  ; 
Fra'  quali  un  ne  verrà,  che  Austro  e  Boote 
Risonar  ne  farà  con  chiare  note. 


Dal  mare  ancor  costui  fia  che  s' appetti. 
Per  in  parte  adeguar  l' alto  suggetto  , 
Ma  presso  al  mar  d' onor  si  grandi  e  belli 
Fia  picciol  fiume  il  suo  rozzo  intelletto^ 
Pur  come  (  benché  poveri  )  I  ruscelli 
Corrono  al  mare,  ed  ban  dal  mar  ricetto^ 
Così  sprezzato  ancor  non  fla  li  suo  stile, 
Di  mar  si  vasto  tributario  umile. 

0  fortunato,  o  ben  felice  ingegno. 
Destinato  a  cantar  divini  amori , 
Sì  dal  del  favorito  e  fatto  degno 
DI  tanti  e  tanto  invidiati  onori  1 
Tu  sarai  di  quel  nome  alto  sostegno. 
Che  fia  ricca  mercede  ai  tuoi  sudori , 
Di  cui  fia  che  risoni  e  Sona  e  Senna , 
Ornamento  immortai  della  tua  penna. 

Io  quanto  a  me  non  poserò  volando. 
Benché  sia  '1  mondo  a  tanta  gloria  angusto. 
Finché  le  lodi  sue  non  spiego  e  spando 
Dall'  Atlante  nevoso  all'  Indo  aduato. 
E  con  bisbiglio  armonico  esaltando 
In  petto  femminil  pensiero  augusto , 
Sebbene  il  falso  al  ver  mescer  mi  plaov, 
Sarò  lodando  lei  sempre  verace. 

E  giuro  ancor  di  quest'  aurata  tromba 
Il  sonoro  metallo  enfiarsi  forte , 
Che  a  queir  alto  romor,  che  ne  rimlMmba, 
L' ali  al  Tempo  cadran,  l' armi  alla  Morlti 
Né  vietar  potrà  mai  letargo,  o  tomb». 
Perfida  invidia,  ingiuriosa  sorte. 
Che  dovunque  virtù  la  scorge  e  chiana 
Non  la  segua  per  tutto  anco  la  Fama. 

Cosi  parlò ,  poi  fuggitive  e  preste 
Le  penne  dispiegò  l'alata  Dea, 
E  il  cavo  bronzo  accompagnando  a  queste 
Vod ,  gli  atrj  del  cid  fremer  faoea. 
E  da  più  d' un  vicino  antro  celeste 
Più  d' un  eco  Immortai  le  rlspondea. 
Allor  l'Eternità  quant'  dia  disse 
Col  suo  scarpello  in  bel  diamante  scrisse. 

I«a  vista  intanto  inusitata  e  strana 
Di  quelle  vaghe  e  peregrinei  arve. 
Che  qual  si  fusse ,  o  sussistente,  o  vana, 
Basta  che  grau  e  dilettosa  apparve. 
Divenuta  o  più  chiara,  o  più  lontana. 
Non  so  dir  come,  in  un  momento  sparve. 
Parve  pesce  fugace  in  cupo  fiume , 
Non  so  se  fusse  o  la  distanza ,  o  il  lume. 


200 


MARINO. 


Come  In  superba  e  laminosa  scena 
Al  dispiegar  della  veloce  tela , 
Ogni  pompa  e  splendore ond'ella  è  piena, 
Ai  riguardanti  subito  si  cela  ; 
Così  repente  in  men  che  non  balena 
Ciascuna  imago  agli  occhi  lor  si  vela, 
E  nelle  più  scerete  e  più  profonde 
Viscere  della  luce  si  nasconde. 

Scendon  la  balza ,  e  dal  poggetto  ameno 
Tornano  al  piano,  onde  partirò  avanti; 
Ma  di  stupore  Inebbrlato  e  pieno 
Spesso  sospende  Adon  tra  via  le  piante; 
E  percb*  alto  desio  gli  bolle  in  seno 
Di  saper  qual  destin  gli  è  sovrastante , 
Che  gliel  voglia  scoprir  Mercurio  prega, 
E  in  si  fatto  parlar  la  lingua  slega  : 

Or  die  di  tante  meraviglie  ascose 
L*  ordin  m*  è  noto,  ai  secoli  prescritto , 
Molto  vago  sarei  con  1*  altre  cose 
Di  udir  quanto  di  me  nel  Fato  è  scritto. 
Tu ,  per  cui  ciò  che  san ,  san  le  famose 
Scole  di  Arcadia  e  1  gran  musei  d*Egitto  , 
Deh  qual  di  mie  fortune  In  Ciel  si  cela 
Fausto ,  o  misero  evento ,  a  me  rivela. 

Risponde  il  divin  messo:  Uom  pernatura 
Ad  oracol  fatidico  ricorre , 
Perchè  qualunque  o  buona,  o  rea  ventura 
Sia  per  lui  fissa  in  Ciel,  gli  deggia  esporre. 
Ma  sovente  addivien ,  che  egli  procura 
D'Intender  quel  che  poscia  inteso  aborre  ; 
E  se  infortunio  alcun  gli  si  predice , 
Vive  vita  dubbiosa  ed  infelice. 

E  v*ha  talun,  che  da  gran  rabbia  mosso, 
Senza  guardar,che  il  mai  vien  di  qua  sopra, 
Qual  can,  che  morde  il  sasso,  ond'è  percos- 
Odia  colui,  che  la  bell'arte  adopra.  [so, 
Tacer  non  vo*  pertanto  e  far  non  posso, 
Che'l  gran  rischio  imminente  non  ti  scopra, 
Che  sebben  contro  il  Ciel  forza  non  hanno, 
Pur  giova  a  molti  antivedere  il  danno.  ' 

Quando  il  pianeta,  che  dei  cercbj  nostri 
Regge  il  minor,  concorse  al  tuo  natale, 
Ferì,  varcando  li  gran  sentler  de'  mostri 
Il  più  bravo  e  magnanimo  animale , 
E  il  settimo  occupò  di  tutti  i  chiostri , 
Angolo,  che  è  fra  gli  altri  occidentale. 
Talché  nel  lume  suo  trovossi  unito 
Ferino  il  segno  e  violento  il  sito. 


Era  Saturno  in  su  quel  segno  anch'esso, 
E  nel  medesmo  albergo  avea  ricetto , 
Ed  all'  umida  Dea  giunto  dappresso , 
La  risguardava  di  quartlle  aspetto  ; 
E  vibrando  il  suo  raggio  a  un  tempo  istesso 
D'Impression  contagiosa  infetto , 
Opposto  al  chiaro  Dio,  che  il  di  conduce. 
Il  percotea  con  la  maligna  luce. 

Intanto  Marte  era  nel  Toro  entrato. 
Casa,  dove  abitar  suoi  Citerea, 
E  già  dopo  il  ventesimo  passato 
Tutto  sdegnoso  il  quarto  grado  avea  ; 
E  mandava  al  Leone  il  suo  quadrato , 
Che  quasi  in  grado  eguale  il  ricevea. 
Or  questo  influsso  (come  vuol  Fortuna) 
Sen  vien  per  dritto  ad  incontrar  la  Luna. 

Contro  la  Luna  II  fier  quadrato  giunge 
La  qual  dinotatrice  è  della  morte , 
E  per  direzion  le  si  congiunge. 
Minacciandoti  pur  l'istessa  sorte. 
Perchè  come  anaretico,  l'aggiunge 
Virtù  nel  mal  più  vigorosa  e  forte: 
E  l' uno  e  l'altro  in  loco  tal  si  annida. 
Che  ne  divien  nocente  ed  omicida. 

Eccoti  in  somma  che  il  più  basso  lame 
A  due  stelle  perverse  applica  a  prova. 
Il  malvagio  vecchione  e  il  crudo  Nume, 
A  cui  guerra  sol  piace  e  sangue  giova. 
Ravvi  due  fere  poi  che  bau  per  costume 
Di  divorar  chi  sotto  lor  si  trova. 
Ed  havvi  il  Sol,  cui  sguardo  iniquo  offende 
E  dall'altrui  rigor  rigore  apprende. 

Nel  tempo  dunque  che  ti  accenno  or  lo. 
Sappi  la  mente  aver  provvida  e  saggia. 
Guardali  pur  dal  bellicoso  Dio, 
E  fuggi  ogni  crudel  bestia  selvaggia. 
Ma  non  so  se  la  vita  al  fato  rio 
Potrai  tanto  sottrar,  che  alfin  non  ca^^a, 
E  qual  da  falce  suol  tronco  ligustro. 
Non  pera  al  cominciar  del  quarto  lustro. 

Cosi  parlava,  e  più  parlar  volea 
L'ambasclator  del  concistoro  santo 
Quando  le  sue  ragion  ruppe  la  Dea, 
Che  seco  il  bell'Aden  trasse  da  canto. 
Lascia  ornai  queste  favole,  dlcea. 
Ed  al  garrulo  Dio  non  creder  tanto, 
Perocch'egli  è  ben  saggio  a  dime  il  vero. 
Ma  viepiù  fraudolento  e  menzognero. 


L'ADONE. 


2ÙÌ 


Pascolava  io  Dio  dell'  aurea  cetra 
In  Anfrìso  T armento,  ed  ei  nibollo. 
Taccloml  quando  l'arco  e  la  faretra 
Ancor  fancioilo  gli  furò  dal  coilo , 
Destro  così,  che  ne  restò  di  pietra, 
E  ne  arros^ ,  ma  ne  sorrise  Apollo , 
Tolse  a  Giove  lo  scettro,  e  non  fu  mollo  ; 
Se  non  cocca,  gli  avrebbe  U  fnlmin  tolto. 

Allo  Dio  della  guerra  Invitto  e  franco 
Il  pugnai  porrò  via  dalla  vagina. 
Al  mio  marito  la  tanaglia,  ed  anco 
li  martello  involò  nella  fucina. 
A  me  stessa  (che